All'interno di una stanza buia ci sono poche decine di persone tutte stipate. La luce è soffusa, quasi spenta, ma non importa: fa parte della situazione. Una lieve sinfonia di voci, ben intonate l'una all'altra, si espande in ogni direzione, né troppo forte da coprire ogni suono né tanto debole da non farsi sentire. Sono voci di uomini che si trovano lì in quell'istante. Alcuni addirittura vestono ancora gli abiti ordinati ed eleganti, oppure sporchi e logori, con i quali hanno svolto la giornata di lavoro. Qualcuno tiene sulla sedia, sempre sotto vista, una valigetta consumata e formale.
Ci sono sedie e tavoli di legno vecchio nella stanza, ma è come se tutto sia costantemente in moto, senza posa. Operoso come un alveare, brulicante come un formicaio. Persone che si incontrano per condividere pochi attimi prima della fine del giorno. Prima di un altro giorno, nello spazio ristretto tra un Sole che cala e un altro che risorge. Sopra tutto una musica. Semplice. Efficace. Qualcosa che accompagna, non scuote. Che abbraccia senza stringere. Una chitarra, un tamburello, un violino. Nient'altro. Suonati con destrezza da tre uomini non più giovanissimi, raccolti in un angolo in fondo al locale. Discreti. Cantano delle note sulle quali ti immagineresti di vedere vaste valli verdi di Natura o alte scogliere spruzzate dal mare. Sembrano suoni che attraversano le epoche, immortali, ammaliando l'ascolto. Suoni che adesso si legano perfettamente in una stretta fraterna alle voci leggere. Ognuno si trova lì per trascorrere il tempo, nulla di più. Con una pinta di birra scura in mano, davanti ad un bancone usurato o in piedi di fianco a finestre dal vetro colorato. Qualcuno seduto in solitudine immerso in chissà quali pensieri. Alle parole giuste molti cantano e partecipano alla musica, a volte battendo il piede sul pavimento di legno sporco, altre scuotendo le mani. Un rito, quello dell'incontro in quel pub, che si ripete uguale giorno dopo giorno, sempre, senza mai subire il deterioramento del tempo. Quasi come una tradizione. Una religione...
Baile Atha Cliath, la Città del Guado. Questa è Dublino!

A
Temple Bar ci si perde come in un paese incantato. Eppure il quartiere è piccolo: una sola via, poche centinaia di metri, alcuni pub si contano sulla punta delle dita. Ogni locale è un mondo a sé, con la propria atmosfera, il proprio stile. Tutti accomunati da quella religiosa abitudine di esibirsi, nel proprio talento, per gli altri. Tutti accomunati da quell'irresistibile voglia di partecipare al canto. La musica come supremo momento di socialità. Nessun professionista. Tutti amatori. In alcuni pub fuori dal centro puoi vedere addirittura qualche bambino esibirsi impacciato con il proprio strumento, ancora apprendista, minuscolo tra una schiera di grandi.
Dublino è una città a misura d'uomo persino nelle zone più frequentate e turistiche. Come la centralissima
O'Connell Street, che da
Parnell Square North (caratterizzata dalla facciata della modesta e popolare
Abbey Presbyterian Church) corre giù fino alle rive del fiume
Liffey incoronato all'orizzonte da tanti piccoli ponticelli ad arco. Lungo il suo percorso, nell'area pedonale centrale che divide le due carreggiate, svetta altissima la
Dublin Spire, una colonna di acciaio alta 120m realizzata nel 2002 dove, circa 40 anni prima, un ordigno esplosivo dell'IRA polverizzò un monumento statuario dedicato all'inglese Horace Nelson. Ciò che però non è possibile esimersi dal fare percorrendo
O'Connell Street è fare visita a James Joyce, baluardo letterario irlandese, immortalato nella
James Joyce Statue, una statua in bronzo realizzata dalla scultrice statunitense Marjorie Fitzgibbon nel 1990, ritratto in una posa vivida e verosimile mentre passeggia sul marciapiede. Questo è il cuore di
Dublino.
E poi i meravigliosi spazi verdi disseminati su tutta la città: tra questi
St. Stephen's Green, un giardino tutto da vedere e da sentire, tanta è la tranquillità ed il riposo che è capace di trasmettere. Se invece si vuole fare visita ad un altro simbolo letterario, è possibile incontrare anche Oscar Wilde, immortalato in una statua dalle fattezze colorate e disteso sopra una roccia nel parco di
Merrion Square. Oppure ancora si potrebbe assaporare il silenzio e la solennità dei
Garden of Remebrance, vicino a
Parnell Square, dove un monumento ricorda i caduti irlandesi nelle guerre. Nel caso ci si soffermi un istante in più in
Merrion Square si avrà l'opportunità di visitare anche la
Oscar Wilde House, edificio in stile georgiano eretto nel 1762 che fu residenza del celebre scrittore irlandese dal 1855 al 1874, anno del compimento dei suoi studi universitari a
Dublino: nel 1994 l'abitazione fu rilevata dall'
American College che la ristrutturò riconsegnando i suoi ambienti, che oggi sono visitabili, al proprio aspetto originale.

Ma
Dublino, città dalla forte personalità, offre la mano anche alla storia più tradizionale ed antica. Per chi volesse immergersi in questa tradizione, ma anche per i più pigri e svogliati, è imperdibile la
St. Patrick Cathedral, la cattedrale intitolata a San Patrizio, vescovo, missionario, patrono della città e protettore degli onesti bevitori di alcoolici. Una leggenda fa risalire a San Patrizio anche un altro simbolo irlandese: il trifoglio, o
shamrock, con il quale si narra che il santo abbia spiegato alle masse il concetto della Trinità. Per i più scientifici e culturali, invece, c'è il
Trinity College, l'università di
Dublino, dove a qualsiasi ora è sempre possibile trovare un pasto generoso e a buon mercato. Per gli storici, numerosi sono gli edifici ricchi di tradizione: io ho potuto visitare
Howth Castle, una piccola fortezza fuori città che a prima vista appare trascurata ma che in realtà, ad un esame più attento, definirei invece davvero interessante.
Ma quello che su tutto ho potuto portare a casa da
Dublino è questo spirito di profonda condivisione degli spazi ma soprattutto del tempo, questa pacifica e straordinaria voglia di compagnia che qui è possibile respirare ovunque, a
Temple Bar come nella
Grafton Street, la via commerciale di
Dublino, dove ho osservato esibirsi tantissimi artisti di strada tra i quali anche un ragazzo che suonava a percussione una chitarra tenuta in grembo ed alla quale, a momenti, strappava seguendo l'ispirazione alcune corde.
Per gli amanti delle birre scure, consiglio infine un salto anche nella
Guinness Storehouse, il quartier generale della birra
Stout più bevuta di tutta l'Irlanda (oserei forse dire addirittura l'unica birra bevuta in Irlanda!), dove è possibile ammirare tutte le fasi di lavorazione degli ingredienti fino al risultato finale. Non berrete altra birra in tutta
Dublino se non questa!
In poche parole, Dublino regala sensazioni uniche e che penso resteranno dentro il viaggiatore per moltissimo tempo. E mentre rimango un po' perplesso davanti alle dimensioni della pinta di birra che ho ordinato (a proposito: a me non piacciono le scure), lascio che la musica entri nelle mie orecchie e percorra i miei pensieri. E senza fare resistenza, ascolto la voce di Dublino.