Un'antica leggenda narra l'esistenza di una città, mitica ed irraggiungibile, situata nel cuore del Sudamerica. Questa leggendaria roccaforte, abitata da una popolazione indigena, era solita offrire abbondanti doni in argento agli esploratori che ne ritrovavano l'esatta collocazione, la quale non era riportata su nessuna mappa conosciuta: chiunque fosse riuscito a raggiungere la città d'argento non sarebbe più stato capace di abbandonarla a causa del suo fascino e della sua ricchezza. Il nome di questa località era Sierra de la Plata, che significa appunto il "monte d'argento".
La leggenda rimase sospesa per secoli tra fantasia e realtà, alimentata dai desideri di marinai ed avventurieri che ne tramandavano la storia di locanda in locanda. Fino a quando, un giorno, il corsaro spagnolo Juan Diaz, intento a navigare lungo le coste orientali del Sudamerica, si imbatté in una fortissima tempesta che fece naufragare il suo veliero, gettando lui ed il suo equipaggio sulle rive di una spiaggia disabitata. Per giorni Diaz condusse i propri uomini in cerca di cibo e riparo attraverso la vegetazione lungo l'unico corso d'acqua disponibile, finchè, dopo giorni di marcia e quasi esausti dalla fatica, si imbatterono nella città della
Sierra de la Plata. Enormi furono le ricchezze d'argento che i marinai trovarono in questo luogo: molti si fermarono per rimanervi per sempre, ma uno ritornò in patria portando con sé sacche piene d'argento e una storia da raccontare. Era Diaz, il capitano, il quale tornato in Europa tramandò il proprio racconto e confermò l'esistenza della città fino ad allora solo sognata da tutti i naviganti. Quella terra venne così chiamata Argentina, dal latino
argentum, in virtù del metallo prezioso che la arricchiva, e da quel momento molti bastimenti salparono da tutta l'Europa alla sua ricerca attraversando prima l'oceano, poi ripercorrendo il fiume che guidò Diaz insieme alla sua ciurma e che da quel momento divenne noto come
Rio de la Plata, il
Fiume d'Argento. Era nata una nuova terra che tramanderà la leggenda fino ai giorni nostri: così nacque il mito dell'Argentina.
Buenos Aires - L'impatto con la capitale argentina per il visitatore non è facile: Baires, (così viene chiamata con abbreviativo dagli stessi argentini) ospita poco meno di 2,9 milioni di abitanti, quasi 1/20 della popolazione totale della nazione. E' una città enorme, continuamente in moto, rumorosa e frenetica. Il segno della crisi economica che ha posto in seria difficoltà l'Argentina dal 2001 è ben visibile nei tratti e nelle caratteristiche della sua capitale: il centro della città è minuscolo rispetto alla periferia dominata da sobborghi di baracche in lamiera e mattoni grezzi, da strade terrose e non asfaltate. Sono i quartieri chiamati Las Villas, il corrispettivo argentino delle Favelas brasiliane. Ma anche frequentando il centro urbano è possibile cogliere alcuni aspetti della storia contemporanea di questo paese: le strade appaiono ovunque sporche e non è raro vedere nelle ore notturne, quando si attiva il servizio di nettezza urbana, alcuni individui rovistare nella spazzatura riversandone il contenuto direttamente sui marciapiedi. Sono i cartoneros, persone la quasi totalità delle volte disoccupate che raccolgono materiale riciclabile, soprattutto vetro, cartone e plastica, per rivenderlo ad aziende private di riciclo: questa mansione è diventata un vero e proprio lavoro tollerato dal governo argentino ed intrapreso da singoli cittadini che hanno avuto il reale merito di inventare dal nulla un impiego per far fronte al momento difficile che l'Argentina sta tuttora attraversando. Nonostante ciò basta poco per cogliere il carattere fiero e tenace di Buenos Aires, e l'immagine più funzionale in questa chiave è sicuramente quella della sua forma d'arte più celebre e diffusa: il Tango.

Passionale e malinconico, decadente e a volte triste, ma anche vivo, sincero, a tratti raffinato ed attraente: questo è il Tango, questa è Buenos Aires. Osservare uno spettacolo di Tango è sicuramente il modo migliore per entrare in contatto con lo spirito della città. Numerosi sono i teatri e le milongas dove vi indirizzeranno per assistere a spettacoli professionistici di Tango. Fate un salto in Calle Florida dopo il tramonto: questo è il luogo prediletto dalle scuole di ballo per esibirsi gratuitamente all'aperto e farsi pubblicità. Se riuscite ad evitare i passanti intenti a frequentare i numerosi negozi ed i venditori abusivi che sussurrano senza posa "Cambio, cambio!" al vostro passaggio offrendovi un cambio valuta a condizioni che mi sento di non raccomandare, e se siete fortunati, potrete assistere ad un assaggio di questa bellissima danza nel modo più spontaneo possibile.
In alternativa, il consiglio è quello di recarsi al Cafè Tortoni, in Avenida de Mayo: in questa caffetteria storica fondata nel 1858 da un emigrante francese si sono seduti personaggi celebri del calibro di Jorge Luis Borges, Federico Garcia Lorca, Ernest Hemingway ed Albert Einstein. Qui troverete un'atmosfera retrò con un arredamento ed un'architettura ottocentesca, oltre ovviamente a spettacoli di Tango tutte le sere. Sempre parlando di Tango, molti consigliano di recarsi nel Barrio San Telmo, il quartiere bohèmien ed artistico di Buenos Aires: abbiamo dedicato una serata a visitare questa zona le cui strade in verità mi sono apparse sinistre e deserte. Giunti in Plaza Dorrego, la piazza principale, abbiamo consumato un pasto discreto in un locale con musica dal vivo, e nulla di più. A dire il vero, un po' deludente. Per il resto, impiegherete una passeggiata di poche centinaia di metri per visitare tutto il centro storico di Buenos Aires: il punto di partenza solitamente è Plaza de la Republica, con al centro l'Obelisco de Buenos Aires, alto 67m e largo 7m alla base, progettato dall'architetto Alberto Prebisch ed inaugurato nel 1936.
Il monumento si eleva nello stesso luogo nel quale sorgeva, un tempo, la piccola Iglesia de San Nicolas, la quale diede il nome al quartiere intero e fu inoltre il luogo in cui venne ospitata per la prima volta la bandiera argentina dopo la proclamazione d'indipendenza nel 1816. L'Obelisco costituisce tutt'oggi oggetto di controversia tra gli stessi argentini: effettivamente il suo gusto estetico lascia un po' a desiderare e nel 1939, dopo il crollo parziale di parte del rivestimento esterno, si decise addirittura di abbatterlo con un plebiscito popolare, ma fu il governo cittadino ad opporsi alla sua distruzione ed oggi di fatto costituisce uno dei simboli della città. Plaza de la Republica è attraversata dalla via più importante di Buenos Aires, una delle più ampie del Mondo, anche se non una delle più belle: Avenida 9 de Julio, sempre trafficatissima, è larga fino a 140m e possiede un'ampia area pedonale centrale. Da Plaza de la Republica, guardando verso sud lungo l'Avenida è possibile osservare il profilo di Evita Peron, l'eroina del popolo, scolpito in ferro battuto lungo la facciata dell'Edificio del Ministerio de Obras Publicas.
Allontanandosi da Plaza de la Republica si giunge in pochi minuti a Plaza de Mayo, l'ombelico della città. Questo è senza dubbio uno degli angoli più belli di tutta Buenos Aires ed all'interno di quello che di fatto è il suo piccolo spazio si trova tutta la storia della città e dell'Argentina intera: prima di tutto la Casa Rosada, la sede del governo nazionale e del Presidente della Repubblica Argentina. Questa elegante residenza è certamente di facile richiamo nell'immaginario collettivo in quanto dalla sua balconata erano soliti affacciarsi, nel corso degli anni '30 del secolo scorso, due dei più conosciuti personaggi storici argentini, vale a dire Juan Peron, il principale riformatore della politica argentina, e sua moglie Evita. L'edificio, dal caratteristico colore rosa, come indica anche il nome, è il risultato dell'unione di due edifici indipendenti costruiti in tempi distinti, e la circostanza è ben visibile nei diversi stili che caratterizzano le sue due metà contrapposte: il curioso progetto architettonico venne realizzato per esigenze di spazio dopo la decisione di collocare qui il governo nazionale e venne attuato tramite la costruzione di un arco tra i due edifici attigui che oggi costituisce l'ingresso alla Casa Rosada. Il colore rosa invece venne scelto per colorare le pareti esterne dal presidente Faustino Sarmiento come risultato della fusione del rosso federalista e del bianco unitarista, partiti in violenta contrapposizione nell'Argentina del XIX secolo.
Procedendo lungo la piazza si incontra la Catedral Metropolitana de la Santisima Trinidad, il luogo principale del culto cattolico in città: lungo la facciata della chiesa, edificata in un particolare stile neoclassico davvero inusuale, brucia perenne una fiaccola che simboleggia l'anima del patriota Josè de San Martin, passato alla storia come il General Libertador che liberò l'Argentina ed il Cile dal dominio coloniale spagnolo, la cui tomba giace all'interno del tempio. Accanto alla cattedrale, il Cabildo, l'antica residenza dell'ayuntamiento (sarebbe a dire il vecchio governo coloniale spagnolo), dalle facciate bianche e squadrate logorate dai segni della storia e delle battaglie combattute dagli argentini, sorge proprio di fronte alla Piramide de Mayo, colonna centrale della piazza celebrante la data dell'inizio dei moti per l'indipendenza, il 25 maggio 1810. Ogni giovedì da decenni davanti ad essa si riuniscono per tramandare la memoria di uno dei periodi più bui della storia argentina le Madres de Plaza de Mayo, le madri dei desaparecidos argentini scomparsi e mai più ritrovati durante il Regime della Giunta Militare che successe al governo Peron.
Se Buenos Aires comincia a piacervi non fermatevi al suo centro storico e continuate invece a scoprirla. La cosa migliore se volete visitare i quartieri circostanti il centro è quello di trovare un trasporto efficiente e flessibile: un'opzione valida è rappresentata dal Buenos Aires Bus. Si tratta di una linea di bus turistici scoperti e a due piani che vi accompagnerà per i principali punti di interesse della città consentendovi di scendere dove preferite alle fermate programmate, per risalire poi su uno dei bus successivi. Ne passa circa uno ogni 20 minuti, il servizio va dalle ore 09:00 alle ore 18:00, ed il biglietto giornaliero costa 260 Pesos Argentini (AR$). Al momento dell'acquisto vi viene fornita una cartina con tutte le fermate oltre ad una bottiglia di vino (a noi hanno dato del Bonarda: è curioso arrivare dall'altra parte del Mondo per bere lo stesso vino che berremmo a casa). Con questa opzione abbiamo potuto visitare: il Palacio del Congreso, sede del Parlamento Argentino e costruito nello stesso stile del Campidoglio di Washington; il Puerto Madero, porto commerciale cittadino recentemente ristrutturato, caratterizzato da basse costruzioni in mattoni rossi che costeggiano tutto il cammino pedonale e
dal Puente de la Mujer, ponte mobile lungo 160m, unica opera
sudamericana dal celebre ingegnere spagnolo Antonio Calatrava che lo
realizzò nel 2001; il Madero Este, nucleo più moderno e recente del porto, arredato da alti grattacieli; infine il Barrio Palermo. Quest'ultimo è il quartiere residenziale abitato dalla borghesia di Buenos Aires, oltre ad essere anche il più grande della città e sicuramente il più costoso. Le sue abitazioni sono le più ricercate e raffinate; non è chiaro se il suo nome derivi dal patrono di Palermo San Benedetto Manasseri, al cui nome è tuttora intitolata una chiesa del quartiere, oppure da Domingo Palermo, emigrante italiano tra i primi a raggiungere la zona. Ciò che è noto comunque è che il Barrio Palermo fu fino a pochi decenni fa' una proprietà terriera del dittatore Juan Manuel de Rosas; oggi questi terreni ospitano invece un giardino zoologico ed un giardino botanico nel grande Parque 3 de Febrero, patrimonio attuale di tutti gli argentini. Il Barrio è suddiviso poi in sei sottoquartieri: così, costeggiando l'Hipodromo Argentino de Palermo si giunge al Barrio Chico, uno degli angoli più pittoreschi del Barrio Palermo ed il più estremo dei sottoquartieri.
Il percorso di ritorno verso il centro con il nostro bus ci offre l'occasione di visitare altri due luoghi molto interessanti. Il primo è Plaza de las Naciones Unidas, al centro della quale troneggia la Floralis Generica: si tratta di una scultura floreale in ferro ed alluminio donata alla città dall'architetto argentino Eduardo Catalano nel 2002, collocata al centro di una vasca d'acqua ed in grado di aprirsi e richiudersi autonomamente e ciclicamente ogni giorno rispettivamente all'alba ed al tramonto. Davvero particolare!
La seconda occasione ci è invece fornita dal Barrio Recoleta: questo è a mio avviso il quartiere più suggestivo di Buenos Aires, caratteristica che gli è attribuita in virtù di due importanti siti che ne arricchiscono il patrimonio. Il quartiere deve il proprio nome ai monaci missionari francescani chiamati Recoletos, i Raccolti, i quali edificarono qui un monastero in cui vissero per decenni. Oggi il monastero è diventato la Basilica de Nuestra Señora del Pilar, bianca e stupenda. Accanto alla basilica sorge uno dei più visitati luoghi di pellegrinaggio di Buenos Aires: nel Cementerio de la Recoleta infatti riposa la salma di Evita Peron, in una piccola cappella dalle pareti nere lucidissime insignita sulla facciata di moltissime targhe di riconoscimenti e devozioni. La storia di questa tomba è alquanto avventurosa e sconosciuta a molti: dopo la morte di Eva Duarte, compagna del presidente Peron e devota protettrice di lavoratori e indigenti (i cosiddetti descamisados per i quali spese numerose opere di carità e combatté battaglie legislative), il suo corpo venne mummificato ed esposto per le pubbliche esequie negli uffici della Segreteria del Lavoro. Si racconta che le file di pellegrini che facevano visita alla camera ardente fossero di svariati chilometri. In seguito al golpe militare che improvvisamente depose Juan Peron, per paura che il corpo venisse profanato, la salma venne nascosta negli uffici della sede centrale del Servizio Informazioni dove rimase per due anni. Venne quindi trasportata segretamente in Italia dove Evita venne seppellita nel Cimitero Maggiore a Milano con lo pseudonimo di Maria Maggi. Solo nel 1974 il corpo tornò in Argentina per trovare la sua collocazione attuale. Da allora Evita non fu mai più sola: in ogni istante infatti sono molti i pellegrini che fanno visita alla sua tomba. A parte l'essere celebre per la sepoltura di Evita comunque, il Barrio Recoleta si sviluppò grandemente in seguito all'epidemia di febbre gialla che colpì Buenos Aires nel 1870: si pensava infatti che il quartiere, leggermente sopraelevato rispetto al resto della città, fosse più salubre e proteggesse maggiormente dal contagio, e per questo richiamò molte famiglie facoltose che qui iniziarono ad abitare.

Dopo uno spuntino a base di Manì, arachidi caramellate che è possibile acquistare in baracchini ambulanti situati ad ogni angolo, il nostro tour in bus termina in Plaza San Martin, piazza caratterizzata dalla presenza della Torre Monumental, torre dell'orologio donata dai britannici agli argentini e per questo chiamata Torre de los Ingleses fino alla metà del XX secolo, quando allo scoppio della guerra anglo-argentina per l'occupazione delle Isole Falkland il nome venne cambiato in quello attuale.
Ma il nostro giro per la capitale non sarebbe completo senza aver raccontato il luogo a mio avviso più particolare e bello della città. Ci siamo avvicinati al servizio bus rinunciando a visitare le vie di Buenos Aires a piedi dopo alcune raccomandazioni dei passanti che ci sconsigliavano di raggiungere in autonomia il Barrio de la Boca: le vie circostanti il quartiere ci venivano descritte come pericolose ed ostili per l'alto tasso di criminalità. Giunti sul posto in realtà ci è sembrato tranquillo e sicuro, tuttavia mi sento di ribadire e condividere i consigli degli abitanti locali avendo anche noi scelto di arrivarci in bus ed evitando in questo modo le zone più periferiche del quartiere. La Boca fu in origine la zona della città abitata dagli emigrati italiani, genovesi più precisamente: ancora oggi gli abitanti del quartiere vengono indicati con il nome snaturato dalla lingua italiana di Xeneizes. L'attività produttiva principale dei nostri connazionali era costituita dalla pesca che veniva effettuata nel Riachuelo, piccolo corso d'acqua cittadino confluente nel Rio de la Plata. I pescatori genovesi usavano gettare la vernice avanzata dalla verniciatura delle loro imbarcazioni sulle pareti delle proprie abitazioni: così, ancora oggi, nella sua parte storica chiamata El Caminito, il Barrio de la Boca appare disseminato da costruzioni in lamiera coloratissime e variopinte, uno spettacolo davvero unico e bellissimo. Completano il paesaggio negozietti artigianali, ristoranti rustici e spettacoli di Tango nei locali più spaziosi.
Ma non si può nominare la Boca senza parlare dello sport del calcio: la squadra del Boca Juniors è una delle più titolate d'Argentina e la terza più titolata a livello mondiale. Il club venne fondato ad inizio del XX secolo da alcuni giovani di origini italiane che abitavano il quartiere e che decisero di aggiungere all'appellativo del collettivo il termine juniors per donare alla compagine un'impronta più anglosassone, secondo quella che era la moda del tempo. Ma il Club Altetico Boca Juniors è celebre soprattutto per aver lanciato tra i professionisti il calciatore più forte di tutti i tempi, Diego Armando Maradona, la cui effige esultante è ancora dipinta su molte delle pareti del quartiere. Per gli amanti del genere è imperdibile l'Estadio La Bombonera, casa del Boca Juniors e vero tempio del calcio argentino: è qui che lo sport diventa fede. Nell'insieme, e secondo il mio personalissimo parere, la Boca è una delle poche cose da non perdere di Buenos Aires. Prima di abbandonare la città un pensiero mi attraversa la mente: dove passano gli italiani sboccia dal nulla sempre qualcosa di buono.

Puerto Iguazù - Partiamo da Buenos Aires pronti e preparati per muoverci verso la prossima destinazione. Lasciata alle spalle la fatica del fuso e assorbita la stanchezza seguita all'arrivo dopo la traversata aerea, ci sentiamo ormai pienamente dentro lo spirito del viaggio. Poi ecco che inizia lo psicodramma: il volo dalla capitale a Puerto Iguazù si rivela un vero incubo. Pur essendo un viaggiatore abituato a volare, posso senza dubbio dire di non aver mai compiuto un viaggio aereo peggiore. Anche perchè peggio del volo che ci ha condotto a questa nostra seconda tappa ci sarebbe solamente il disastro aereo. Scene apocalittiche nell'abitacolo; vuoti d'aria spaventosi che ti facevano sobbalzare sul sedile; il velivolo che continuamente tremava e si inclinava nel tentativo di mantenersi stabile; fuori dal finestrino una coltre di nuvole impenetrabile. Un'ora e mezza di puro disagio e terrore. Eppure non ho dubbi quando affermo che lo spavento subito è valso sicuramente la possibilità di visitare questa località e le sue meravigliose cascate. All'estremità nord della provincia argentina di Misiones sorge la piccola cittadina di Puerto Iguazù: la provincia prende li nome dalle numerose missioni gesuite che tra il XVII ed il XVIII secolo operavano in questa zona e si colloca al limite settentrionale dell'Argentina, al confine con Brasile e Paraguay. Puerto Iguazù non ne è il capoluogo ma è sicuramente il centro urbano più frequentato, data la sua vicinanza con le celebri Cascate dell'Iguazù. La città, immersa nella foresta tropicale, conta poco più di 30.000 abitanti e viene fortemente contraddistinta dal tipico colore rosso mattone della terra, composta da un'argilla nota come laterite, che grazie alla forte umidità del clima subtropicale ed alle frequenti piogge si estende a coprire ogni cosa, dalle strade alle costruzioni, tanto che a tratti sembra quasi di attraversare dei paesaggi marziani. Per il resto la città è semplice, con edifici bassi, pochi ristoranti e piccole attività commerciali, tuttavia, sebbene il traffico automobilistico appaia esiguo, questo luogo costituisce davvero una delle mete turistiche più ricercate di tutta l'Argentina.
La piazza principale della cittadina è Plaza San Martin, in linea con il resto del paesaggio, vale a dire semplice ed essenziale. Nonostante ad un primo sguardo Puerto Iguazù possa apparire come un sito anonimo e senza interesse, nasconde in verità una peculiarità unica, o quasi, nel vero senso del termine: in questo località infatti si incontrano tre frontiere di tre nazioni differenti, l'Argentina, il Brasile, ed il Paraguay. Più precisamente le tre frontiere si congiungono lungo la confluenza del Rio Iguazù, fiume che dà origine alle omonime cascate, nel Rio Paranà, il secondo fiume più lungo del Sudamerica. Esistono solo due luoghi al Mondo in cui tre frontiere si incontrano lungo un corso d'acqua: uno si trova in Asia tra Cina, Russia e Corea del Nord; l'altra si trova qui ad Iguazù. La rara circostanza viene celebrata tramite la collocazione di tre monumenti identici, tre bassi obelischi colorati con i colori nazionali dei tre stati, collocati su ciascuna delle tre rive. Così, dalla riva argentina l'Hito de las Tres Fronteras, piccola balconata panoramica sulla quale sono collocati il monumento decorato con i colori nazionali ed una fontana musicale, offre la vista sulla confluenza dei due fiumi e sull'incontro delle tre frontiere: da qui è possibile volgere lo sguardo su tre nazioni sudamericane contemporaneamente.
Da questo luogo è inoltre possibile scorgere anche gli obelischi brasiliani e paraguaiani: realizzare di trovarsi in un posto unico nel Mondo, così particolare e straordinario, suscita davvero un brivido oltre che riempie il cuore di orgoglio e di gioia. Tutte sensazioni che traduciamo in azione iniziando a giocare con i bambini di una scolaresca che dopo aver osservato il panorama accanto a noi si sono raccolti alle nostre spalle per giocare con i getti d'acqua della fontana: facciamo subito amicizia e ne usciamo fradici ma contenti. Poco distante dalla balconata infine un piccolo altare, tutto sporco della solita terra rossa ed adornato con le bandiere delle tre nazioni, completa la mia memoria di questo luogo insolito e quasi mitico.
Il giorno successivo ci aspetta un'intera giornata di visita alle celebri Cascate dell'Iguazù, una delle sette meraviglie naturali del Mondo. Queste cascate sono un patrimonio naturalistico condiviso tra Argentina e Brasile, e sono comprese, assieme alla foresta che le circonda e a tutto il territorio circostante, all'interno di un vastissimo parco naturale anch'esso spartito tra i due paesi, il quale, a seconda della nazione, viene chiamato Parque Nacional Iguazù in Argentina e Parque Nacional do Iguaçu in Brasile. I due parchi insieme coprono un'area di 2.500km². Il parco argentino venne fondato nel 1934, tre anni prima rispetto al corrispettivo brasiliano, e contiene oggi circa il 35% della biodiversità complessiva dell'intera nazione: questa circostanza spinse il governo argentino nel 1990 a dichiarare parte del parco riserva naturale chiusa al pubblico, motivo per cui attualmente la parte visitabile del parco stesso è una piccola porzione rispetto all'area totale. Inoltre entrambi i parchi sono stati nominati patrimonio dell'UNESCO rispettivamente nel 1984 per la parte argentina e nel 1986 per la parte brasiliana.
L'attrazione principale del sito sono sicuramente le sue meravigliose cascate: esistono, solamente nel lato argentino, più di 250 salti per una superficie complessiva di 2,5km. In effetti anche il nome Iguazù deriva da due termini della lingua degli indios Guaranì (la popolazione indigena locale che attualmente vive in un territorio di 600 ettari, poco fuori da Puerto Iguazù, chiamato Selva Yriapù) che significano "grandi" (y) "acque" (guasù). Un'antica leggenda Guaranì in effetti narra le vicende dell'amore di un dio per una bellissima fanciulla di nome Naipù: l'amore della divinità non era ricambiato dalla ragazza, la quale era invece invaghita del giovane pescatore Caroba. L'ira del dio per il rifiuto lo spinse a tramutare Naipù in roccia e Caroba in albero, incantesimo che modificò i corsi d'acqua creando così le Cascate dell'Iguazù. E' da allora che Caroba, immobilizzato dalle proprie radici lungo il limite delle cascate, non smette mai di osservare lo spettacolo della sua amata tramutata in pietra e delle cascate che la ricoprono. Ad ogni modo, oggi la parte visitabile del parco si snoda attraverso dei sentieri artificiali costituiti da passerelle in ferro che percorrono alcuni dei salti principali di questo enorme e maestoso complesso di cascate: esistono due sentieri percorribili, il Paseo Superior ed il Paseo Inferior. Così, pagato il prezzo del biglietto di ingresso al parco di 260AR$, dopo un breve tragitto a bordo di un trenino che costeggia il corso d'acqua attraversando il limite della foresta, ci incamminiamo sul Paseo Superior per visitare i salti principali. Un consiglio per chi volesse avventurarsi lungo il Paseo Inferior: munitevi di un buon impermeabile in quanto il sentiero corre più in basso rispetto alla cima della scogliera ed al Paseo Superior, immergendosi nella fitta e umida nebbia vaporosa prodotta dalle cascate. Noi optiamo per il percorso superiore, a mio avviso più pittoresco ed immancabile per chiunque volesse abbracciare il meraviglioso spettacolo offerto dalle Cascate dell'Iguazù. In una passeggiata di un paio d'ore incontriamo così il Salto Dos Hermanas, due salti tanto ravvicinati da essere indicati come due sorelle denominate confidenzialmente Anna e Teresa, il Salto Chico, il Salto Bossetti, uno dei più spettacolari, il Salto Adan y Eva, il Salto Mendez, intitolato ad un guardaparco locale deceduto nello svolgimento delle sue mansioni per la protezione del parco, il Salto Mbigua, ed il Salto San Martin, il secondo salto più alto. Davanti a questi salti sta l'Isla San Martin, piccolo isolotto dal quale è possibile anche imbarcarsi per un breve giro in gommone ai piedi delle cascate. Lungo tutto il percorso non è raro incontrare alcuni procioni: sembrano amichevoli ma le raccomandazioni di tutte le guide sono quelle di non avvicinarsi e soprattutto di non dare loro da mangiare, in quanto sono comunque animali selvatici ed il nostro cibo reca loro danno. Ma il simbolo di tutto il parco è sicuramente un altro incredibile animale: si tratta del Rondone Fosco, un uccello che trascorre tutta la sua vita in aria senza mai mettere le zampe a terra, visto che a causa della brevità dei suoi arti non sarebbe più in grado di spiccare il volo. Così plana perennemente e senza posa, unico animale a sopravvivere tra la violenta gittata delle alte cascate, mangiando in volo e aggrappandosi di tanto in tanto alle pareti rocciose. La favola del Rondone racconta anche che questo fantastico animale faccia persino l'amore e si riproduca volando. La fauna è davvero spettacolare e la flora ovunque rigogliosa, ma esiste un posto magico nel complesso delle Cascate dell'Iguazù che è realmente incredibile: si tratta della Garganta del Diablo, il salto più alto di tutto il complesso con ben 80m di altezza.
Dentro questa gola a forma di "U" si gettano 3 milioni di litri d'acqua al secondo, una mole idrica raccolta dalle piogge che cadono abbondanti nella Foresta Amazzonica brasiliana e che vengono raccolte dal Rio Iguazù. Il nome di questo salto deriva invece dal rumore caratteristico ed unico che viene provocato dalla caduta delle acque nella voragine, suono che assomiglia al boato di un'enorme gola che le credenze popolari riconducono appunto alla gola del diavolo. La passerella giunge proprio sopra la Garganta a strapiombo sul salto. L'esperienza, davvero impressionante, coinvolge tutti i cinque sensi: la prima percezione è quella uditiva che sconvolge, stupisce. Un rumore difficile da descrivere ma che fa intuire una potenza inimmaginabile. Forse è la musica della Natura che sussurra con un grido la propria intensità, la propria energia, il proprio segreto. Subentra quindi l'olfatto ed il gusto, nell'avvertire l'aroma di un'umidità particolare, spinta quasi nelle narici ed insinuata nella bocca attraverso i respiri, ed inalare l'aria su questa cascata è come respirare l'essenza della terra. Arriva poi la vista, imponente, violenta ma perfetta: solamente vedere in prima persona il moto continuo delle acque può suscitare la stessa sensazione di rispetto e far intuire la perfezione di un'armonia completa. Infine il vapore che bagna il viso a folate, la sensazione più emozionante ed avvincente: sembra di volare su ali fatte d'acqua. Non trovo altre parole per descrivere meglio questa esperienza, ma assolutamente la consiglierei a chiunque.
Consumato il nostro pasto a base di Empanadas nell'area ristoro del parco, in compagnia dei soliti procioni curiosi, ci dirigiamo accompagnati dalle nostre guide attraverso la frontiera argentino-brasiliana verso il Parque Nacional do Iguaçu, sul versante carioca, nella regione di Paranà. Dopo mezz'ora di viaggio in minivan arriviamo all'ingresso del parco: paghiamo il biglietto di 56R$ e ci addentriamo sul corrispettivo circuito di identiche passerelle lungo le cascate brasiliane. Qui i salti sono molto meno numerosi ma si dice che la vista sull'antistante lato argentino sia migliore. In effetti è così: esistono solo 600m di salti all'interno del Parque Nacional do Iguaçu, ma dalle sue sponde abbiamo potuto ammirare lo spettacolo di tutto il percorso sui salti argentini compiuto nella mattinata. La vista è davvero bellissima!
Per il resto la camminata lungo questo secondo percorso è molto più corta ed il salto più alto è il Salto Floriano, intitolato al politico brasiliano Floriano Peixoto. Le passerelle comunque sono più basse di quelle argentine, di modo che è possibile raggiungere la loro estremità a picco sulla valle sottostante ed immergersi nel vapore delle acque in caduta: sembra di nuotare immersi in un'enorme acquario in cui è possibile respirare. L'acqua accarezza il volto e bagna completamente nel giro di pochi secondi, quasi inavvertitamente. Fradici e con gli occhi pieni di stupore risaliamo al parcheggio tramite un un piccolo ascensore che ci evita la salita a piedi e facciamo ritorno, riattraversando la frontiera, al nostro albergo in Argentina.
Cordoba - Sbarcati a Cordoba noleggiamo un'automobile per raggiungere la nostra prossima destinazione e per addentrarci tra le sue vie
. Questa città è la seconda per dimensioni dell'Argentina nonchè il centro industriale più importante del paese. Si impose alla ribalta commerciale a partire dagli anni '30 del secolo scorso dopo che qui venne collocato il quartier generale dell'industria aeronautica militare. A dispetto della sua funzione però, Cordoba è oggi una città ricca di storia e di cultura: i suoi tratti sono stati indelebilmente segnati dall'opera dei missionari religiosi gesuiti che dal 1589 operarono in quest'area fino al 1767, anno che di fatto pose fine all'ordine religioso con l'editto del re di Spagna Carlo III di Borbone, il quale per motivi politici ed economici mise al bando la Compagnia di Gesù. Nell'arco di questo periodo le opere realizzate dai monaci furono numerose ed andarono a comporre quella che oggi è conosciuta come la Manzana Jesuitica, il Blocco Gesuita, il cuore storico della città.
All'interno di questo agglomerato si trovano gli edifici un tempo utilizzati dai Gesuiti come abitazioni, laboratori, luoghi di preghiera, chiostri. Oggi tutta quest'area è dichiarata patrimonio dell'UNESCO ed ospita scuole, biblioteche, musei, oltre all'Universidad Nacional de Cordoba, una delle università più antiche e rinomate del Sudamerica, evoluta direttamente a partire dal 1613 dal Colegio Maximo, istituto educativo fondato precedentemente dai religiosi. Altro luogo degno di nota all'interno della Manzana Jesuitica è la Iglesia de la Compañia de Jesù, il principale luogo di culto utilizzato dai Gesuiti: anche se dall'esterno può sembrare semplice e spoglia, non mancate di visitarne l'interno che invece appare davvero splendido. L'altare è bellissimo e l'atmosfera che sembra di respirare è la stessa fatta di pace e sacralità delle sue origini, circa 400 anni fa'.
Infine è da segnalare la Residencia, dove si collocavano le abitazioni dei monaci, ed il Colegio Nacional de Montserrat, scuola preuniversitaria fondata proprio dai Gesuiti nel 1687 e tuttora in funzione. Percorrere le vie della Manzana Jesuitica è come attraversare la storia di Cordoba: la sensazione è quella di venirne abbracciati e di vivere un tempo ed una tradizione differenti. E' questo a rendere la visita di questa parte della città una vera sorpresa che noi abbiamo vissuto quasi come un sogno ad occhi aperti: non ci aspettavamo sensazioni così forti nel visitare una metropoli grande e trafficata come Cordoba. Una curiosità linguistica: manzana in spagnolo significherebbe "mela", ma si utilizza anche come termine gergale per "quartiere", differentemente invece dalla parola spagnola quadra, molto utilizzata, che indica una distanza generica di circa 100m.
Arrivati al limite della Manzana Jesuitica si fuoriesce quasi direttamente nella piazza principale di Cordoba, Plaza San Martin, con al centro una statua equestre del General Libertador e su un lato il Cabildo, l'antica residenza del governo coloniale spagnolo e oggi sede di un centro di esposizioni, costruito nello stesso stile e molto simile al corrispettivo visto a Buenos Aires. Ma soprattutto, in un angolo della Plaza e a dominarne la scena, sorge la Iglesia Catedral de Cordoba, davvero bellissima con la sua particolare illuminazione e l'architettura che perfettamente riassume le caratteristiche tradizionali degli edifici religiosi sudamericani, uno dei centri di culto cattolico più celebri dell'Argentina e di tutto il Sudamerica, oltre che una vera icona della città. Consiglio vivamente di visitarla nelle ore notturne, nel corso delle quali, a mio parere, la cattedrale dà il meglio di sé. Sul retro della chiesa, lungo il suo lato posteriore, una piccola piazza ospita la statua di don Jeronimo Luis de Cabrera, conquistador spagnolo che fondò la città nel 1573.
Ad ogni modo, il timbro prevalente a Cordoba è quello religioso che caratterizza tutta la storia e quindi l'aspetto di questa meravigliosa città, la quale a dire il vero non ci aspettavamo così bella. Se volete approfondirne la conoscenza, consiglio di non perdere un altro edificio religioso molto interessante: il Monasterio de Santa Catalina de Siena che sorge attiguo alla Manzana Jesuitica. Fondato nel 1613 da doña Leonor de Tejeda y Mirabel e consacrato nel 1625 da papa Urbano VII, ancora oggi il monastero ospita l'Ordine delle Monache Carmelitane Scalze che vivono la propria fede in clausura. La tradizione racconta di come doña Leonor non riuscisse a concepire figli con il coniuge, il generale Manuel de Fonseca y Contreras. Questa circostanza spinse la donna a sviluppare una fede forte e a compiere opere di carità tra cui anche la costruzione del monastero. Alla morte del marito, rimasta vedova e sola, doña Leonor diventò la prima priora del convento da lei fondato. Sono capitato in questo luogo nel tardo pomeriggio e a parte l'aspetto della chiesa, che costituisce uno degli esempi migliori in città dell'architettura religiosa del periodo coloniale, ho avuto la fortuna di ascoltare il canto delle monache raccolte in preghiera e separate dal pubblico da una grata di ferro. Non so se avrò ancora la fortuna di ascoltare un canto come quello ma vi posso assicurare che con una facilità impressionante ha avuto la capacità di trascendere la mia mente in una dimensione separata ed isolata da tutto il resto, ed ho avuto l'esperienza di come la voce dell'uomo articolata in preghiera possa stimolare una riflessione profonda e quieta.
Fa il paio con il Monasterio de Santa Catalina la Iglesia del Monasterio de San Josè, situata proprio accanto alla cattedrale. Questa chiesa venne fondata da don Juan de Tejeda y Mirabal, fratello di doña Leonor, il quale diede ordine di edificarla in rispetto dei voti fatti in favore della guarigione della figlia Maria Magdalena da una malattia incurabile, guarigione che effettivamente si dice essere avvenuta in circostanze miracolose. Attualmente questo luogo ospita un monastero di clausura in cui risiede (qui pure) una comunità di Monache Carmelitane Scalze, motivo per il quale solo una piccola parte del complesso è aperto alle visite del pubblico. Dopo questa passeggiata dentro l'anima di Cordoba (tutto il percorso descritto è facilmente fattibile a piedi), facciamo ritorno al nostro albergo in Avenida de Alvear, lungo la Cañada, ramo fluviale del Rio Primero (o Rio Suquia come viene chiamato in lingua indigena) divenuto un simbolo della città. Avremmo voluto fermarci a Cordoba più tempo ma la prossima meta già ci attende.
Maipù - Partiamo il giorno successivo per un viaggio epico in automobile. Da Cordoba imbocchiamo la Ruta 38 e attraversiamo lo sconfinato territorio della Pampa. Questo termine derivante da una parola della lingua del popolo Quechua che significa "pianura" indica i vasti bassopiani fertili che si estendono dalle provincie argentine di Buenos Aires, La Pampa, Santa Fè e Cordoba, fino all'Uruguay ed alla regione brasiliana del Rio Grande do Sul. L'estensione complessiva di queste pianure supera i 750.000km², con circa 140.000km²
di estensione su territorio argentino. Il clima temperato di quest'area favorisce l'umidità e la fertilità dei terreni, storicamente sfruttati dai gauchos, i cowboy del Sudamerica, per sviluppare colture agricole ma soprattutto l'allevamento del bestiame. L'aspetto stepposo della Pampa è caratterizzato dalla presenza di graminacee e di bassi arbusti come gli Ombu, una specie di grande cespuglio. Il paesaggio, monotono e costante, è anche immenso e grandioso, con l'orizzonte che si espande a perdita d'occhio verso l'infinito.
Lanciati a grande velocità sulla strada sempre dritta che sembra più una pista di atterraggio, larga non più di due corsie e a tratti ondulante di un continuo e dolce saliscendi, con la nostra automobile abbiamo superato i villaggi di Cruz del Eje, Villa de Soto e Chamical: più ci si allontana da Cordoba, più il paesaggio si fa desertico e desolato. I piccoli villaggi turistici ben tenuti lasciano il posto a centri abitati grezzi, minuscoli ed in cui le baracche di mattoni scoperti si contano sulle dita di una mano, con strade sterrate polverose e casupole in lamiera raggruppate come a volersi tenere compagnia in mezzo al nulla più assoluto. Procedendo lungo la strada anche le distanze si allungano, fino a dover macinare centinaia di chilometri per percorrere il tratto tra un villaggio ed il successivo. In mezzo a tutto ciò un deserto fertile dove è raro incontrare altre automobili e le uniche forme di vita sono rappresentate di tanto in tanto da pecore al pascolo, cavalli, qualche vitello e, se siete fortunati come noi, alcuni gauchos in sella alle loro cavalcature. Insomma, assicuratevi di avere una buona automobile prima di partire perchè se si guastasse o si dovesse fermare sono guai seri! Assicuratevi anche di avere il pieno nel serbatoio visto che non saprete quando troverete la prossima stazione di servizio. Ciononostante, superati i primi attimi di timore in cui si avverte l'inquietudine di una profonda solitudine, la sensazione che subentra è di meraviglia e stupore: raramente, se ci pensate, si ha la possibilità di disperdere lo sguardo all'orizzonte senza trovare limiti lungo uno spazio pianeggiante. L'impressione che genera è strana e sottile, quasi inafferrabile, di certo per molti è ciò che più si avvicina alla libertà.
Abbandonata la Ruta 38 e proseguendo sulla Ruta 150, ci fermiamo a Patquia per consumare un pasto veloce in una stazione di servizio: ci sembra di essere in una di quelle città malfamate del Far West dove rotolano tra la polvere palle di salsola. La nostra meta è il Parque Provincial Ischigualasto: oltrepassato il villaggio di Los Baldecitos ed una stazione di polizia isolata in mezzo al nulla in compagnia di alcuni cactus e di un'antica locomotiva a vapore abbandonata, in pochi chilometri ne raggiungerete l'entrata. Questo parco racchiude una formazione geologica che presenta caratteristiche del tutto differenti rispetto ai territori della Pampa appena attraversata: il paesaggio è quello tipico del deserto arido, con una scarsa vegetazione e grandi distese di rocce nude dal tipico colore rossastro. Tali caratteristiche contribuiscono ad indicare la valle che ospita il parco come la Valle de la Luna, a causa proprio dell'aspetto arido, aspro, lunare per l'appunto, di queste terre. In effetti anche il nome Ischigualasto deriva da una parola della lingua del popolo Quechua che significa "luogo dove tramonta la Luna". All'interno del parco, visitabile con la propria automobile su sentieri sterrati in una carovana capeggiata da una guida locale, è possibile ammirare sculture geologiche scolpite dal vento, che qui soffia costantemente con velocità fino a 40km/h, e dalle piogge, a dire il vero alquanto scarse, che modellano la pietra donandole forme particolari e peculiari simili ad oggetti o animali.
Inoltre il Parque Provincial Ischigualasto costituisce un dei più importanti siti archeologici del pianeta: è infatti l'unico luogo al Mondo dove è possibile trovare reperti in grado di differenziare tutti i periodi dell'era del Triassico, con la scoperta anche di fossili e resti di numerosi dinosauri vissuti 230 milioni di anni fa'. Tutto bellissimo...se non fosse che al nostro arrivo, dopo 7 ore di automobile, scopriamo che il parco è chiuso a causa delle piogge cadute nei giorni precedenti e che hanno reso impraticabili i sentieri. Quindi informatevi telefonicamente prima di raggiungere il sito: intorno non esiste nulla di interessante e rischiate in caso di chiusura di buttare al vento un'intera giornata di viaggio. Ci accontentiamo di una bellissima vista sulla Valle de la Luna e ci rimettiamo in viaggio verso la nostra destinazione finale della giornata. Prima di lasciare il luogo ci fermiamo accanto al cartello d'entrata del parco, proprio ai piedi del Cerro Morado, la vetta piatta più caratteristica della zona, per scattare almeno una fotografia ricordo.
Ci dirigiamo verso sud, oltrepassiamo San Augustin de la Valle Fertil, unico centro di rifornimento nell'area di centinaia di chilometri, e proseguiamo verso la cittadina di San Juan. Nel farlo il paesaggio cambia un'altra volta e si estende in tutto il suo splendore la Valle Fertil: questo nuovo ambiente è caratterizzato da ampie pianure fertili rigogliose e verdeggianti con un'abbondante vegetazione costituita soprattutto da arbusti. Non manchiamo di stupirci nel contemplare la varietà naturalistica incredibile di questo paese e la strada ci reclama per continuare il nostro viaggio.

Superata San Juan, finalmente dopo 13 ore di viaggio in automobile, arriviamo a Maipù, piccolo villaggio attaccato al confine sud della più vasta città di Mendoza. Questo piccolo centro urbano è conosciuto soprattutto come importante centro produttivo di vini, attività caratterizzante tutta la regione che per questo motivo è celebre in tutto il Mondo. A parte i numerosi vigneti però, il paesaggio che ci si sottopone mi è apparso triste e disagiato, con strade buie molte delle quali sterrate e dissestate persino in centro, baracche disseminate ai lati delle carreggiate e rovine sparse un po' ovunque. Il centro della città, anch'esso modesto, è costituito da Plaza 12 de Febrero, nella quale l'unico elemento degno di nota è il Reloj de Flores, un orologio interamente fatto con i fiori, aggiornato quotidianamente ed eletto a simbolo di tutta la cittadina.
Soggiorniamo all'interno di una posada tradizionale gestita da un simpatico belga coltivatore di uva: corrisponderebbe grossomodo ai nostri agriturismi, con attività prettamente di accoglienza turistica e con una limitata produzione agricola, differentemente dall'estancia che invece sarebbe un vero e proprio podere agricolo per la coltivazione della finca, vale a dire il terreno agricolo. La struttura in sè, rimodernata dal nostro amico belga dopo anni di abbandono, lasciava un po' a desiderare (una sera abbiamo chiesto un bicchiere d'acqua, visto che l'acqua dei rubinetti è imbevibile, e ci è stato risposto che era finita), ma siamo impazienti il giorno successivo di assaggiare i famosi vini prodotti nella zona. Localmente sono moltissime le bodegas, le cantine cioè, che producono e vendono vini, la maggior parte delle quali appartenenti a famiglie di origine italiana emigrate qui ormai decenni fa': ne scegliamo una dal nome di chiare origini venete per visitarla e per degustarne i prodotti. Apprendiamo così che i due vini maggiormente prodotti qui sono il Carignan, con uva di importazione spagnola, ed il Malbec, con uva importata dalla Francia.
I terreni aridi di questa regione non permetterebbero la crescita della vite, motivo per cui non esistono tipizzazioni di uva locali. Tuttavia la combinazione di una grande escursione termica tra le ore diurne e notturne, di un vento moderato e costante chiamato Zonda, dell'abbondante crescita di alberi da frutto che attirano e sequestrano i parassiti, e dell'abile mano dell'uomo, rende possibile la crescita di abbondanti filari di vite che producono ottimi vini. A ciò va aggiunto un sistema irriguo che trasporta l'acqua, scarseggiante nei dintorni, dalle vicine montagne attraverso un reticolo di canali costruiti secoli fa' dalle popolazioni indigene locali. Grazie a tale opera non indifferente di ingegneria il vigneto da noi visitato coltivava l'uva con tecnica ad inondazione, lasciando cioè il suolo inondato di acqua per giorni prima di scaricarlo e lasciar crescere l'uva. Terminata la visita al vigneto ci dirigiamo alla cantina dove degustiamo gli ottimi vini prodotti, lasciando infine la bodega un po' brilli e molto istruiti.
La sera alla posada ci attende una cena con un Asado preparato da uno degli ospiti. L'Asado è forse la preparazione culinaria più tipica di tutta l'Argentina: si tratta di vari tagli di carne cotti alla brace, comprendenti chorizos (le salsicce di maiale), il bife (la bistecca di vitello), le costillas (le costolette di vitello), il chinchulin (le interiora), e le morcillas (i sanguinacci). Spesso si accompagna il tutto con salsa Chimichurri a base di aglio, olio, limone, aceto e spezie. Classicamente la grigliatura andrebbe fatta interrando la griglia con sopra la carne in una buca nel terreno sul cui fondo viene disposta la brace. In alternativa, la carne viene cotta su enormi spiedi a forma di croce conficcati nel terreno vicino ad un focolare. Noi lo mangiamo fatto su una normale griglia nella quale però la brace viene poco a poco spostata sotto la carne per permetterne la cottura molto lenta. Devo dire che è una delle poche cose deliziose che ho potuto mangiare durante tutto il viaggio.
Il giorno successivo invece ci mettiamo in cammino lungo la Ruta 7 verso il Puente del Inca. Si racconta che un tempo, molti secoli fa', vivesse un principe Inca, giovane, potente e facoltoso, affetto da una grave ed incurabile malattia. Nonostante il suo enorme potere e le sue infinite ricchezza, non riusciva a vincere lo strano e misterioso male che affliggeva la sua salute, e tra tutti gli stregoni ed i sapienti non ve n'era uno che riuscisse a vincere la piaga. Il principe lottava tra la vita e la morte quando un giorno giunse a lui dalla bocca di una veggente una profezia: sarebbe riuscito a vincere la malattia e a ritrovare la salute solamente se avesse scoperto una fonte magica di acqua purissima alla quale avrebbe dovuto dissetarsi. La profezia però metteva in guardia il principe: questa fonte si trovava in un luogo remoto, ostile e difficilmente raggiungibile. Subito il principe si mise in cammino alla ricerca della sua salvezza. Dopo parecchi mesi di viaggio e proprio mentre le forze del principe si stavano esaurendo, la spedizione raggiunse le pendici di un burrone sul fondo del quale scorreva un piccolo corso d'acqua. Sul lato opposto invece una primavera bellissima adornava il paesaggio intorno ad una chiarissima fonte di acqua pura. Il principe riconobbe il luogo della profezia, ma come raggiungerlo valicando il profondo e pericoloso burrone che lo separava dall'ambita meta? Così, proprio mentre il principe stava per cedere alla disperazione, gli dei giunsero in suo soccorso: il cielo si oscurò, la terra iniziò a tremare e cominciarono a cadere dalle alte vette vicine pesanti blocchi di granito. Cessato il cataclisma, il principe non poteva credere ai propri occhi quando vide davanti a sè, proprio sopra il burrone, un solido ponte di pietra creatosi dal nulla. Fu in questo modo che il principe attraversò il burrone, bevve dalla fonte miracolosa e guarì dalla sua grave malattia.

La provvidenziale località di cui si parla nella leggenda del principe infermo è oggi nota come il Puente del Inca, così chiamata proprio in virtù di questo mito che ne racconta le origini. Si tratta di un ponte di roccia collocato sopra una stretta gola all'interno della quale scorre il Rio Las Cuevas, affluente del Rio de los Horcones. Questo ponte dall'aspetto inusuale e dalla forma particolarissima è formato dai depositi di ossido di calcio e di ossido di ferro (che conferiscono anche il peculiare colore giallo-rosso) trasportati dalle acque che filtrano attraverso la roccia per finire nel torrente sottostante. In effetti l'acqua che circola in questo sottosuolo ad una temperatura media di 35°C possiede proprietà benefiche e curative, caratteristiche già note dal 1925, anno in cui venne costruito da alcuni imprenditori britannici un hotel di lusso sul posto per sfruttare il sito come centro termale, approfittando anche della recente creazione della stazione ferroviaria, la Estacion Puente del Inca ancora oggi visitabile, in grado di trasportare i viaggiatori dalle grandi città. L'Hotel Puente del Inca divenne negli anni a seguire struttura alberghiera rinomata e costosa, frequentata da importanti personalità, fino al 1965, anno in cui si verificò una tremenda alluvione che rase al suolo l'albergo. Gli ospiti ed il personale trovarono fortunatamente rifugio nella vicina Capilla Colonial, piccola cappella religiosa che ancora oggi sopravvive al tempo. L'hotel, tramutato in macerie, non venne più ricostruito ed il luogo venne da allora dichiarato area naturale protetta. Attualmente, oltre alla magnifica struttura del Puente del Inca, sono ancora visibili lungo il costone roccioso le rovine dell'albergo e dell'annessa stazione termale, oltre alla Capilla Colonial che costituisce l'unico edificio integro rimasto sullo sfondo di questo bellissimo luogo. Per il resto, il Puente del Inca oggi non è più percorribile per ragioni di sicurezza: è possibile solo osservarlo dal ciglio della gola senza poterlo attraversare per raggiungere la sponda opposta dove si trovano la cappella e le rovine della stazione termale. Intorno al sito è possibile rinvenire solo un piccolo bar, una zona ristoro per i viaggiatori e poche baracche dove i pochissimi abitanti vendono prodotti artigianali fatti per lo più a mano. Il viaggio per raggiungere il Puente del Inca da Maipù, nonostante comporti circa 360km tra andata e ritorno, appare pittoresco ed interessante: costeggiando la valle del Rio Mendoza ed il vecchio tracciato della Ferrocarril Transandina, la linea ferroviaria che collegava Mendoza al Cile oggi caduta in disuso, la strada si addentra all'interno della Cordillera de los Andes, la catena montuosa più lunga del Mondo, offrendo vedute mozzafiato su paesaggi che davvero si trovano solo in questo angolo del Mondo. Si sale fino a 2.700m s.l.m. oltrepassando piccoli villaggi come Upsallata (dove il prodotto tipico è la cioccolata), fino alla località Los Penitentes, uno dei più importanti centri sciistici di tutta l'Argentina in prossimità del quale si trova proprio il Puente del Inca. Prima di fare ritorno verso Maipù, infreddoliti dal gelido vento che qui soffia costantemente, volgiamo lo sguardo all'orizzonte lungo la strada che prosegue più avanti: poco oltre finisce l'Argentina e comincia il Cile, ed alto a sormontare tutto questo sorge sullo sfondo il profilo del Cerro Aconcagua, la vetta più alta delle Ande con 6.962m, concedendoci un'ultima emozione con la sua vetta innevata.

Percorrere le strade dell'Argentina è come attraversarne la storia, la tradizione e quella enorme ricchezza costituita da luoghi, paesaggi, ambienti. Oltrepassando villaggi, pianure e colline ci si accorge di come questa grande abbondanza di tesori naturali si accompagni senza entraci in conflitto con uno stile di vita semplice, modesto, tranquillo, senza lussi ed essenziale, ed è grazie a questo che si realizza presto come non possa esistere solo una ricchezza puramente materiale, ma che il benessere passi invece anche attraverso l'equilibrio degli elementi e la salute dell'ambiente in cui si vive. Percorrere l'Argentina on the road però, consente anche un tuffo nelle sue superstizioni e credenze: provateci e vi accorgerete di alcuni piccoli altari decorati con fiocchi rossi che a cadenza continua punteggiano i lati delle carreggiate. La leggenda del Gauchito Gil è una delle più diffuse nel paese e narra la storia di un fuorilegge gentile che combatteva dalla parte del popolo e difendeva i poveri: si dice che il Gauchito rubasse ai ricchi per fare carità agli indigenti, che tutelasse gli interessi degli umili e sfoderasse la spada per gli indifesi. Su di lui pendevano grosse taglie per rapine e per aver disertato la chiamata alle armi nell'esercito, ma la lista delle sue imprese lo resero in breve tempo un idolo protetto dal popolo. Fino a quando, braccato dalla polizia e caduto in un'imboscata, venne catturato e condannato a morte per decapitazione: persino gli agenti temevano di guardarlo negli occhi per paura di venirne stregati. Prima di morire il Gauchito regalò una profezia al proprio carnefice: quando sarebbe tornato al villaggio dopo aver eseguito la condanna costui avrebbe trovato nel proprio letto il figlioletto malato di una grave malattia. Fatto ritorno a casa dopo aver portato a termine il proprio cruento compito, il soldato si stupì nel vedere che la profezia del Gauchito era vera, così tornò sul luogo della condanna e pregò l'anima del bandito per la guarigione del figlio, il quale miracolosamente, dopo qualche giorno, ritrovò la salute. I piccoli altari, fatti dei più svariati ed umili oggetti, che oggi si trovano lungo le strade un po' dappertutto in Argentina segnano la forte devozione del popolo per questo patrono fuorilegge mai riconosciuto da nessuna religione: i fiocchi rossi che li decorano richiamano il vermiglio panno che l'eroe portava sempre allacciato al collo.
Questa leggenda va di pari passo con un'altra che possiamo definire il corrispettivo femminile della storia del Gauchito Gil. La Difunta Correa era una pia donna vissuta in Argentina e sposata con un importante ufficiale dell'esercito. Dopo essere diventata madre, la Correa venne però costretta precocemente a separarsi dal coniuge, il quale venne chiamato alle armi. Tuttavia, in pensiero per la sorte del marito, la donna decise di seguirlo insieme al figlioletto, di nascosto, passo per passo, dalla distanza, nelle varie tappe della campagna militare, in tutto segreto e senza farsi vedere da nessuno. Ma la campagna si rivelò più lunga e dura del previsto e la Correa, rimasta ormai senza acqua e senza viveri, andò infine incontro alla morte per sete. Ma fu proprio la sua dipartita a realizzare un grandioso miracolo: dal seno della donna esanime continuò a prodursi il nutrimento con il quale il neonato che aveva portato perennemente con sè, scampato alla sete, riuscì a sopravvivere per giorni e settimane. Ed in virtù di questo prodigio, oggi la Difunta Correa viene venerata dagli argentini tramite la creazioni di piccoli altari eretti ai lati delle strade ai quali i fedeli portano bottiglie di plastica piene di acqua. Ad un primo sguardo possono sembrare cumuli di immondizia abbandonati lungo le vie, invece sono luoghi tra i più sacri di tutta l'Argentina.

San Carlos de Bariloche - Lasciataci alle spalle Maipù, voliamo a sud verso San Carlos de Bariloche. Questa città è uno dei centri vacanzieri più celebri di tutta l'Argentina e richiama ogni anno una folla di turisti sia stranieri sia argentini, soprattutto studenti che tradizionalmente festeggiano a Bariloche la chiusura dell'anno scolastico. In effetti questa deliziosa cittadina appare proprio così: curata fin nei particolari, pulita, sempre affollata e fornita di negozi di ogni tipo. L'aspetto è del tutto differente dai villaggi e dalle città viste da noi finora e l'atmosfera che si respira si avvicina molto al clima di villeggiatura dei tipici centri vacanzieri diffusi anche lungo le nostrane mete sciistiche italiane. Insomma, la sistemazione si rivela meno originale ma più confortevole sicuramente rispetto alla posada nella quale abbiamo trascorso i giorni precedenti. San Carlos de Bariloche venne fondata nel 1895 dall'emigrato tedesco Carlos Wiederhold, il quale donò il proprio nome di battesimo alla neonata città. Costui vi si stabilì formando qui una colonia austro-tedesca della quale divenne la guida. Aprì un negozietto di merce varia nel centro cittadino ed iniziò a scambiare con regolarità una corrispondenza con i suoi contatti in Cile, dal quale proveniva, tra le righe delle quali veniva erroneamente chiamato San Carlos al posto di don Carlos, appellativo che si trasferì successivamente anche al nome delle città. Il nome Bariloche invece deriverebbe da una parola della lingua dei Mapuche, la popolazione indigena locale, che letteralmente significa "quelli che stanno dall'altra parte", titolo attribuito dagli indios alle persone che vivevano oltre la Cordillera de los Andes in Argentina.
In effetti passeggiando per le vie del centro di Bariloche sembra di percorrere le strade di una cittadina svizzera o tedesca: basse case appuntite dalle facciate bianchissime con travi di sostegno in legno a vista, imposte alle finestre sempre in legno, tetti tutti uguali in cotto scuro, aiuole verdissime e dalla precisione maniacale. Il Centro Civico, piazza principale, ospita una statua equestre del presidente argentino Julio Roca e, sullo sfondo, il municipio abbellito con un'austera torre dell'orologio con meccanismo a carillon, tipico dei paesi sassoni. La vista da questa piazza leggermente sopraelevata sul panorama sottostante, è meravigliosa, con uno scorcio dominato dalle sculture in legno degli Enamorados del Lago sul Lago Nahuel Huapi e sul Puerto San Carlos che regala un'immagine da cartolina davvero gradevole. Dal Centro Civico, attraverso un corto sottopassaggio, si intraprende il cammino sull'Avenida Mitre, la via del turismo di Bariloche fornita di ristoranti, negozi e taverne nelle quali gustare i piatti tipici locali come la carne di cervo o la Cazuela, piatto a base generalmente di carne servita in un particolare recipiente che dona il nome al piatto stesso. Poco sotto questa via affollatissima invece si trova la Catedral de Nuestra Señora de Nahuel Huapi, la cattedrale di Bariloche: costruita in chiaro stile centroeuropeo, non mancate di visitarla anche all'interno dove si possono ammirare delle bellissime incisioni in legno rappresentanti la passione di Cristo ad ogni stazione della via crucis.
Il centro della città è sempre trafficato e vivace, e di sera assistiamo anche ad un piccolo gruppo di persone intento a ballare la Zamba, danza popolare argentina che raffiugura il corteggiamento nella quale le donne agitano fazzoletti colorati muovendosi intorno ai loro uomini. Ma la fama della città deve la sua grandezza a ben altre circostanze: Bariloche balzò agli onori della cronaca in seguito alla vicenda relativa all'arresto ed all'estradizione in Italia dell'ex ufficiale delle SS Erich Priebke, responsabile tra gli altri della tremenda strage delle Fosse Ardeatine che segnò per sempre la storia di Roma e dell'Italia intera durante la II Guerra Mondiale. Il gerarca nazista venne trovato qui ormai ultraottantenne dopo aver condotto una vita tranquilla: fu processato e condannato in Italia per i crimini commessi durante la guerra ma morì pochi anni dopo la condanna alla veneranda età di 90 anni. Secondo molte teorie però, quella relativa ai rifugiati del regime nazista sarebbe una vicenda legata con doppio nodo a Bariloche: sono molti gli storici a sostenere che numerosi furono i gerarchi che trovarono rifugio in Argentina, ed in particolare in questa città, grazie all'attività dell'operazione segreta ODESSA creata dagli ufficiali delle SS per la fuga dei capi nazisti verso paesi sicuri. Racconti che sconfinano nella leggenda tramandano anche la presenza persino del führer Adolf Hitler e della compagna Eva Braun, scampati alla cattura e con connotati differenti ma molto somiglianti alle immagini da noi conosciute, in alcuni alberghi di Bariloche, circondati da una schiera di seguaci come figure reali di una corte. Non sapremo mai se questi racconti siano veri, ma certo è che ogni 20 aprile, in una taverna poco fuori dal centro di Bariloche, una piccola comunità di emigrati tedeschi festeggia in mezzo a canti e fiumi di birra la data della nascita di Hitler. San Carlos de Bariloche possiede anche una caratteristica a dir poco peculiare: è l'unica città dell'Argentina a sorgere completamente all'interno di un parco nazionale, il Parque Nacional Nahuel Huapi. Questo fu il primo parco naturale costituito nel paese, nel 1934, in seguito alla donazione di 7.000 ettari di suolo da parte dello scienziato Francisco Moreno che a sua volta li aveva ottenuti come retribuzione per aver risolto la delicata questione dei confini tra Cile e Argentina, la quale risultava tanto spinosa da far quasi scoppiare una guerra: il Cile proponeva di mantenere come linea di frontiera quella determinata dal percorso dei fiumi, ma Moreno dimostrò che queste linee potevano essere facilmente modificate dalla mano dell'uomo alterando così il decorso dell'acqua, e propose invece di assumere come confine una linea immaginaria che collegasse tutte le cime più alte della Cordillera de los Andes. Il Parque Nacional Nahuel Huapi oggi comprende 70.000 ettari di territori, con oltre 60 laghi, una reserva natural accessibile solo ai guardaparco, ed una reserva estricta di 75.000 ettari inaccessibile all'essere umano. Il nome del parco deriva da quello del suo lago maggiore, il Lago Nahuel Huapi, nome che nella lingua degli indios Mapuche significa "isola del ghepardo": questo termine deriva a sua volta dall'isola più grande del lago (oggi chiamata Isla Victoria) un tempo designata dai Mapuche con il nome oggi in dotazione al parco in virtù della popolazione indigena che la abitava, conosciuta come rivale violenta, feroce e coraggiosa.
Quella relativa ai laghi ed ai corsi d'acqua è una costante della zona, tanto da soprannominare la provincia del Rio Negro, che comprende Bariloche e dintorni, come la regione dei laghi. Il luogo migliore dal quale ammirare tutto il panorama offerto dal Parque Nacional Nahuel Huapi è sicuramente il Cerro Campanario, piccola collina situata alla periferia di Bariloche. Al costo di 60AR$ una corta seggiovia vi trasporterà sulla cima di questa bassa altura dalla terrazza di forma circolare della quale (il cosiddetto Punto Panoramico) potrete ammirare il paesaggio a 360°: proprio per questo motivo il Cerro Campanario viene paragonato nel nome ad un campanile. Il panorama è davvero emozionante e non esagero nel dire che guardando verso la valle sottostante sembra quasi di guardare verso uno scenario che pare uno scorcio di paradiso. Dall'alto i laghi sembrano tantissime pozzanghere di puro blu disseminate sopra un rigoglioso prato di bosco. Il cielo si specchia nell'acqua realizzando un sottosopra che sembra magia. In lontananza le cime innevate delle Ande osservano come attenti guardiani questo tesoro di perfezione ed armonia. E guardare tutto ciò dona veramente l'impressione di osservare un luogo terrestre incontaminato prima che la mano dell'uomo arrivasse a sconvolgerne i tratti.

A dominare la vista è sicuramente il Lago Nahuel Huapi, il lago più grande del parco: una leggenda racconta che tra le sue acque si nasconda un mostro mitologico chiamato Nahuelito, ma finora nessuno è ancora riuscito ad avvistarlo. In lontananza, verso destra, San Carlos de Bariloche costituisce l'unico grande centro urbano di tutta l'area, mentre sullo sfondo della veduta si intravede la Peninsula Huemul, chiamata così in onore dell'animale simbolo della regione, vale a dire un cervo di medie dimensioni. Davanti a questa e sull'altra riva del lago si estende invece la Peninsula San Pedro, di dimensioni molto più piccole, e poco più in qua, proprio alla base del Cerro Campanario e separata da esso dal Brazo Campanario (uno dei sette bracci del Lago Nahuel Huapi), si colloca la Laguna El Trebol, così chiamata per la sua forma che richiama quella di un trifoglio. Procedendo verso sinistra, lo sguardo non può far altro che incontrare l'Isla Victoria, l'isola più grande sulla superficie del Nahuel Huapi. Quindi appare in tutta la sua magnificenza la Cordillera de los Andes con la cresta dell'Inca Dormido, una formazione rocciosa somigliante al profilo del volto di un Inca disteso nell'atto di dormire. Percorsi già 180° di veduta basta spostarsi sul lato opposto della terrazza per completare una vista davvero meravigliosa: il panorama si apre sul Lago Moreno, sul Cerro Catedral, dalle cime appuntite che sembrano altrettante guglie di una cattedrale, sul Cerro Otto, primo insediamento urbano nella zona raggiunto per la prima volta dal pioniere tedesco Otto Goedecke e che oggi ospita un osservatorio ed un prestigioso centro sciistico, e sull'Isla Huemul, piccola e stretta isola dispersa nel lago. Infine l'itinerario panoramico si chiude ancora su San Carlos de Bariloche appena sotto il Cerro Otto, e più lontano il Rio Limay, l'emissario del Lago Nahuel Huapi e affluente, assieme al Rio Neuquen, del Rio Negro.
Scesi dal Punto Panoramico sempre a bordo della seggiovia, il nostro tour prosegue visitando prima la Bahìa Lopez, pittoresca rientranza del Brazo Tristeza del Lago Nahuel Huapi, sormontata dal Cerro Lopez che le dona il nome e dal Cerro Capilla il cui profilo richiama il contorno di una cappella religiosa; poi la Peninsula Llao Llao, situata lungo le rive del Lago Moreno ed il cui nome deriva da una varietà di fungo diffuso nei dintorni. Oggi questa penisola costituisce un centro alberghiero di lusso e ospita l'Hotel Llao Llao: 3.000US$ a notte per una camera. Il piccolo itinerario che abbiamo fin qui seguito viene chiamato Circuito Chico: è il più breve, il più rappresentativo e frequentato del parco. Copre una distanza di 65km e sono molti i turisti che decidono di percorrerlo, a differenza nostra che utilizziamo un'automobile, noleggiando una bicicletta.
Il giorno successivo partiamo di buona mattina per una visita ad un'altra grande attrazione della regione: il Cerro Tronador, cima vulcanica spenta, è la vetta più alta del Parque Nacional Nahuel Huapi con un'altezza di 3.554m ed il suo nome è ispirato al rumore maestoso e terribile simile a colpi di tuono causato dal frequente crollo di blocchi di ghiaccio dal suo picco innevata. Per raggiungerlo ci addentriamo nel cuore del parco: costeggiamo il Lago Gutierrez, contorniamo la riva inferiore del Lago Mascardi e oltrepassiamo la porta di accesso al parco dopo aver pagato il biglietto d'entrata di 120AR$. Un itinerario di 3 ore in automobile, tutte su strada sterrata, ci accompagnerà alla base del Cerro Tronador. La prima parte del tragitto è caratterizzata dalla presenza sporadica di piccole aree adibite a campeggio poste in mezzo alla folta vegetazione: la guida che ci accompagna ci spiega che sono aree riservata agli studenti universitari per svolgere progetti di ricerca ed al personale religioso della Chiesa Cattolica. In effetti la storia di questi luoghi è fortemente contrassegata dalle opere del frate gesuita Nicolò Mascardi che giunse qui per evangelizzare gli indios Mapuche importando anche nuove colture come quella delle mele: rimase a stretto contatto per anni con questo popolo isolato dal resto del Mondo, compiendo opere di carità, insegnando la lettura e la scrittura, divenendo vero tutore degli indios, ma quando decise di fare ritorno alla civiltà, per paura che svelasse i percorsi sicuri per raggiungere i villaggi sulle Ande, venne ucciso dai Mapuche stessi. Il lago che abbiamo superato prima di entrare nel parco è intitolato oggi al suo nome. Proseguendo il nostro faticoso viaggio giungiamo alla Playa Negra, una spiaggetta di ghiaia con uno scorcio suggestivo sul Brazo Tronador del Lago Mascardi. Poco oltre iniziamo ad affiancare il corso del Rio Manso, fiume dalle acque tranquille tanto da ispirarne anche il nome, fino alla località Los Rapidos dove per un piccolo tratto il fiume produce delle leggere rapide proprio davanti ad una fattoria. Quando il parco venne istituito esistevano già nelle aree limitrofe dei poderi abitati dove si praticava l'allevamento e l'agricoltura: oggi quei poderi sono stati inglobati nei confini del parco, sottostanno alle sue regole (non possono per legge essere venduti a terzi ma solo tramandati per eredità), e sono l'unica presenza umana residenziale nel contesto del parco stesso.
Superate le rapide dopo una breve sosta ci addentriamo nel folto della vegetazione dove dominano le Lengas, arbusti simbolo della regione, ed in prossimità dei bacini d'acqua le Coihues. Una corta fermata ci consente di osservare da una bassa scogliera la Isla Piuque, dalla peculiare forma a cuore. E superato il territorio pianeggiante della Pampa Linda giungiamo alla base del Cerro Tronador ed al principio del sentiero che conduce alla gola chiamata Garganta del Diablo: percorse poche centinaia di metri lungo questa pista leggermente in salita potrete, avvolti da roccia e vegetazione, dal centro di una spettacolare gola, ammirare le cime montuose ascoltando il suono di numerose sottili cascate che dalle vette innevate si gettano nel torrente sottostante. Il tempo di un pasto veloce e di uno Strudel acquistato nell'area ristoro gestita dalla famiglia austriaca che abita la zona e ci incamminiamo verso la meta finale della nostra lunga escursione.
La sorgente del Rio Manso ci appare di un particolarissimo colore verde che la guida ci indica come color Mate cocido. Lungo la superficie delle acque qua e là spuntano piccoli blocchi di ghiaccio che galleggiano. La fonte è sormontata dalla cima del Cerro Tronador e dal Glaciar Manso, il ghiacciaio che ne occupa la vetta e che dà origine, sciogliendosi più a valle, all'omonimo fiume. Tra il ghiacciaio e la fonte una corta distesa di quella che sembra terra ci viene spiegato essere in realtà un ghiacciaio scuro, il Ventisquero Negro, zona di passaggio tra il ghiacciaio e l'acqua dove il ghiaccio bianco si mischia con la terra bruna assumendo un colore nerastro. L'insieme di questi elementi forma uno spettacolo davvero completo e meraviglioso e consente di osservare la Natura all'opera nella sua lenta magica evoluzione. Fino a circa 30 anni fa' il letto della sorgente e quindi del fiume, corrispondente alla caldera del vuncano estinto, era ricoperta interamente dal ghiacciaio in ritirata; oggi il confine estremo dei ghiacci ha risalito il versante della montagna fino quasi alla sua cima, lasciando sul fondo le acque che hanno poi generato il Rio Manso. Questa è vera storia della Natura tangibile con mano!
Qest'escursione che noi abbiamo compiuto in giornata si è rivelata particolarmente faticosa, con lunghi tratti in automobile e continui sobbalzi dovuti alla carreggiata dissestata. La strada nel parco è molto stretta e quindi risulta percorribile in un senso fino alle ore 16:00 e nel senso opposto solo dalle ore 16:00 in poi: quindi non aspettatevi di tornare presto in albergo. Tuttavia consiglio quest'esperienza a tutti coloro che si trovano a Bariloche: consente di allontanarsi un po' dai circuiti prettamente turistici per gustare una fetta più originale di paesaggio locale. Se poi come noi avrete la fortuna di trascorrere parte dell'escursione sorseggiando del Mate (la bevanda tradizionale argentina ottenuta dall'infusione dell'erba Mate e bevuta calda nella tradizionale coppa, o porongo, con la bombilla, una corta cannuccia in metallo) offerto da un compagno di viaggio, allora il gioco è fatto. Del resto, anche se alcune recenti teorie conferiscono rischi cancerogeni a questa bevanda non è chiaro se ciò sia in virtù del fatto che venga bevuta bollente oppure a causa delle proprietà intrinseche dell'erba stessa, ed inoltre rifiutare una tazza di Mate qui è considerato gesto di inimicizia.
El Calafate - Arriviamo ad El Calafate dopo un breve tratto aereo a sorvolare i picchi innevati della Cordillera del los Andes durante il quale ci viengono serviti Alfajores, il biscotto dolce con ripieno di Dulce de Leche tipico dell'Argentina. Facciamo l'ingresso in città a bordo di un'automobile presa a nolo in aeroporto. El Calafate è una piccola cittadina (solo 21.000 abitanti) fondata nel 1927 nel cuore della Patagonia: originariamente costruita come base di appoggio per i commercianti di lana della zona, si è sviluppata esponenzialmente solo dopo l'istituzionalizzazione dell'importante patrimonio ambientale che la circonda, divenendo importante centro di turismo in virtù della sua vicinanza con parchi e punti di interesse naturalistico. Il suo nome deriva da un piccolo arbusto dai fiori gialli diffuso nell'area, il Calafate: si dice che chiunque mangi le sue bacche contrarrà una malattia terribile ed incurabile, cioè una forte nostalgia per la Patagonia che lo costringerà a rimanevi a vivere.
Percorriamo la centralissima Avenida Libertador, oltrepassiamo Plaza de los Pioneros abbellita da un vecchio carro di legno in stile Far West, e raggiungiamo il nostro ostello. El Calafate nel complesso offre poche attrazioni al visitatore, e oltre Avenida Libertador, traboccante di negozi di souvenir e ristoranti di poche pretese, c'è davvero poco o quasi niente. Gli edifici tutto intorno sono costituiti solo da basse abitazioni e la località ha in sè quasi nulla di argentino: risulta invece evidente come il rapido sviluppo cui la città è andata progressivamente incontro grazie ad un turismo spropositato gli abbia conferito un che di commerciale, come in tutte le mete turistiche del Mondo, ma senza le attrazioni e le bellezze particolari delle grandi città. Posati i nostri zaini ci dirigiamo al confine nord della cittadina per osservare il paesaggio offerto da una piccola riserva naturale che sorge alle porte di El Calafate: raggiungibile a piedi dal centro, la Reserva Ecologica Laguna Nimez costituisce una piccola area palustre in una rientranza del Lago Argentino dove è possibile osservare un panorama bellissimo con la piccolissima Isla Solitaria sullo sfondo, oltre alla presenza di fenicotteri rosa che placidi popolano le sue basse acque. Da qui ci dirigiamo quindi fuori città per visitare un altro luogo simbolo di El Calafate. A pochissimi chilometri fuori dal centro abitato sorge, su una bassa collina, il Glaciarium, un museo nel quale sono raccolti importanti reperti e notizie circa i signori di questa regione: i ghiacciai.
Percorriamo il sentiero sterrato che conduce al suo ingresso e prima di entrare ci fermiamo un attimo per gustare un'ottima veduta del sottostante Lago Argentino, il lago più esteso di tutta la nazione: il colore di questo vasto bacino d'acqua è davvero indescrivibile, con i raggi del Sole che si riflettono sulla sua superficie per proseguire lungo la valle circostante e sopra la vicina città di El Calafate disposta nella rientranza della Bahìa Redonda del Lago Argentino stesso. L'ingresso al museo costa 200AR$ ma il costo del biglietto, anche se non proprio economico, vale comunque la visita: all'interno vengono fornite interessanti notizie circa la formazione dei ghiacciai e la loro storia. Viene raccontata la vita dell'esploratore Francisco Moreno, riconosciuto da tutti perito, vale a dire "esperto", per la sua sapienza: a cavallo della seconda metà del XIX secolo fu scienziato, archeologo e tra i primi esploratori di questa parte della Patagonia; numerose furono le sue opere e moltissimi i luoghi che portano il suo nome, tanto da conferirgli fama di eroe nazionale. Il Glaciarium concede anche la possibilità di osservare immagini dei ghiacciai patagonici e contiene persino una sala cinema 3D dove vengono proiettate immagini davvero suggestive dei parchi più importanti della Patagonia. Nel complesso ho trovato la visita molto piacevole ed interessante. Ed oltre alle immagini meravigliose che lasciano davvero a bocca aperta, mi è rimasta particolarmente impressa nella memoria una notizia: la Patagonia è la terza riserva di ghiaccio più grande della Terra, dopo l'Antartide e la Groenlandia. I suoi ghiacciai sono complessivamente in lenta remissione anche se non tutti, forse e secondo molti studiosi anche in virtù del surriscaldamento globale, nonostante la loro vita naturale conosca ciclicamente fasi di avanzata e periodi di ritiro. Il ghiaccio in queste zone, in effetti, costituisce l'elemento dominante del paesaggio, il minimo comun denominatore di questi ambienti, e rappresenta un'entità viva ed in continua evoluzione: nella mia testa assumono il ruolo corrispettivo dei leoni quali re della foresta nella Savana africana. I ghiacciai millenari costituiscono il motivo che spiega l'enorme flusso turistico ad El Calafate, città in effetti più vicina a queste meraviglie della Natura. Ed una visita al Glaciarium il giorno prima di un'escursione sui ghiacciai costituisce per me il modo ottimale per avvicinarsi a questo elemento per cominciare a comprenderlo. Prima di lasciare il museo non perdiamo l'occasione di bere un drink a base di Fernet (a quanto pare un'istituzione gastronomica locale) nel Glaciobar sottostante le sale d'esposizione: si tratta di un bar costruito interamente con pareti e superfici di ghiaccio (persino il bancone) dove per pochi minuti si può sostare, coperti da pesanti pellicce fornite dal personale, per assaporare una bevanda a temperature sotto zero. Divertente anche se l'ingresso è separato da quello del Glaciarium e costa 140AR$.

Il giorno successivo è quello che aspettavamo dall'inizio del nostro viaggio. Un pullmino ci prende di buon mattino dal nostro ostello per accompagnarci in un'escursione nel Parque Nacional Los Glaciares. Istituito nel 1937 (dal 1987 è stato dichiarato patrimonio dell'UNESCO), questo parco costituisce il regno dei ghiacci in Patagonia. Occupa una superficie di 600.000 ettari e con un'estensione di circa 2.600km² di ghiacci ospita ben 47 ghiacciai. I ghiacci patagonici si estendono su due enormi formazioni continentali di ghiaccio: il Campo de Hielo Patagonico Norte, più piccolo ed interamente contenuto nella regione cilena di Aysen, ed il Campo de Hielo Patagonico Sur, più meridionale e più grande (circa 17.000km²), il quale contiene la maggior parte dei ghiacciai oltre al Parque Nacional Los Glaciares. Il 30% di questo parco è occupato da ghiacci, la restante parte è occupata da una meravigliosa foresta subantartica costituita per lo più da Lengas e Nires dai coloratissimi fiori rossi. A bordo del nostro pullman oltrepassiamo l'entrata del parco pagando il biglietto di 260AR$. Percorriamo le coste della Peninsula Magallanes, lembo di terra circondato dalle acque del Lago Argentino, fino ad arrivare al piccolo Puerto Bajo las Sombras dove ci prepariamo per imbarcarci su un piccolo battello per solcare le acque del lago. Navigando sul Brazo Rico del Lago Argentino ci avviciniamo alla meta della nostra escursione.

Il Glaciar Perito Moreno prende nome dall'esploratore Francisco Moreno: è il secondo ghiacciaio più esteso del Campo de Hielo Patagonico Sur (dopo solo il Glaciar Upsala) con 250km² di superficie totale. E' lungo 30km ed è alto circa 600m, di cui solo 60m si slanciano al di sopra delle acque lacustri. E' uno dei pochi ghiacciai al Mondo ad essere in avanzata, nonostante negli ultimi anni abbia conosciuto una fase di stazionamento: mediamente comunque avanza di 5m al giorno nella sua zona centrale di accumulo e di pochi millimetri nella sua zona di ablazione, la più periferica. Avvicinandoci ad esso a bordo del battello lungo le acque del Brazo Rico, è facile accorgerci della meraviglia di quest'opera gigantesca della Natura. Bianco, puro e perfetto il ghiaccio si innalza autoritario dando davvero l'impressione di essere qualcosa di vivo, qualcosa che possieda davvero un'anima. E incapaci di staccare lo sguardo da questo spettacolo, nonostante una fitta pioggia cada sul ponte del battello, improvvisamente avverto il pensiero che questo posto sia uno dei pochi nei quali il velo si fa sottile e sotto la pelle della realtà si percepisca la vita pulsante di una Natura possente ed immortale.

Sbarchiamo presso un rifugio sulla piccola spiaggia di fronte alla Peninsula Magallanes, percorriamo un corto tratto all'interno della foresta e ci prepariamo alla camminata sulla superficie del ghiacciaio. Dopo aver indossato i ramponi ed accompagnati da una guida andina, percorriamo un breve percorso di trekking, della durata di un paio d'ore, direttamente sul ghiaccio del Glaciar Perito Moreno. Incrociamo crepacci e canali che si addentrano nelle sue profondità. Saliamo lungo il versante laterale e ammiriamo le forme di guglie sottili e di pesanti blocchi di cristallo. Ammiriamo colori con sfumature di azzurro che credo esistano solo qui. Percepiamo la lenta e silenziosa danza dell'acqua che si fa strada attraverso la superficie ghiacciata scavando e dando forma a sculture perfette. Un'esperienza che non dimenticherò mai. Ho potuto anche bere l'acqua del ghiacciaio da una piccola pozza di liquido purissimo: non so se era la realtà o solo la magia del momento, ma devo ammettere che l'acqua mi sembrava avere davvero un sapore diverso.
Lungo il lato del ghiacciaio si alza la cima del Cerro Moreno, vetta più alta della regione con 1.600m. Prima di concludere la nostra escursione le guide ci offrono un bicchierino di whisky, servito con il ghiaccio del Glaciar Perito Moreno, per ravvivare un po' le viscere. Scesi dal ghiacciaio e consumato un pasto al sacco (in questa parte del sito non ci sono punti ristoro ma solo stretti rifugi riscaldati, per cui è necessario portarsi il cibo da sè ed è persino imposto di gettare la spazzatura solo una volta usciti dal parco), ripercorriamo il breve tratto di navigazione sul Brazo Rico e ci dirigiamo a bordo del pullman verso le terrazze panoramiche, costituite da percorsi di passerelle in acciaio a diverse altezze, percorribili a piedi, affacciate sul versante nord del ghiacciaio.
La pioggia si fa più insistente ma non ci ferma. Percorriamo le passerelle e ci godiamo un'altra veduta sullo spettacolo del ghiacciaio, che da qui appare, se possibile, ancora più grande ed imponente. A tratti un rumore assordante indica il distacco di piccolissimi frammenti di ghiaccio dalla parete nelle acque del lago sottostante: è incredibile notare come frammenti che sembrano così minuscoli generino un suono così intenso.
Sotto la parete del ghiacciaio, su tale versante, scorre invece il Canal de los Tempanos, uno stretto canale del Lago Argentino così chiamato in quanto nelle sue acque si accumula la maggior parte degli iceberg staccatisi dal Glaciar Perito Moreno. Più a sud questo canale prosegue attraverso un'angusta comunicazione nel Brazo Rico: tale strettoia viene gradualmente, nel corso degli anni, riempita interamente dal ghiaccio del Glaciar Perito Moreno in avanzata, il quale, completata l'opera, arriva infine a separare completamente il canale dal lago. Le acque di questi bacini progressivamente scavano poi la base del ghiaccio creando una sorta di ponte a cavallo della strettoia, fino a quando la perdita di ghiaccio ad opera dell'acqua non è più in grado di sostenere la volta del ponte che perciò crolla con gran fragore. Questo costituisce un evento unico in Natura ed atteso a livello mondiale da turisti ed esperti, carico quindi di un'aspettativa enorme: l'ultimo crollo di ghiaccio si è verificato nel 2013 e solitamente si verifica con una cadenza di 2-4 anni. Ci riscaldiamo al centro turisti collocato davanti alle passerelle e facciamo quindi ritorno ad El Calafate per trascorrere la serata. Ceniamo a base di Milanesa, pietanza corrispondente alla nostrana Cotoletta alla Milanese, altra testimonianza del forte influsso italiano sulla cultura gastronomica argentina, e di notte sogniamo le bianche pareti del Glaciar Perito Moreno.

Puerto Natales - Il giorno successivo ci attende un viaggio di 300km per raggiungere la città di Puerto Natales oltre il confine cileno. La strada che percorriamo ci mette ancora di fronte all'immensità dei paesaggi di questa parte di continente attraversando le profondità della Patagonia. Questa regione è caratterizzata da infinite pianure steppiche alle quali si susseguono bassi altipiani contraddistinti da distese ciottolose prive di vegetazione. Il paesaggio è dominato da grandi laghi che occupano le valli e che donano un aspetto davvero bellissimo a questo strano contesto. Per il resto, strade dritte che più dritte non si può, polvere e nevischio nei tratti più sopraelevati, qualche casupola sparsa qua e là, enormi pascoli popolati da animali che si intuiscono come tanti puntini neri, e minuscoli villaggi dispersi nel nulla, tappe forzate se non si vuole rimanere senza benzina. Percorrere la Patagonia in automobile più che guidare assomiglia a navigare su un mare tranquillo che continuamente va su e giù. Il nome Patagonia deriva dal termine usato dal portoghese Ferdinando Magellano, il primo navigatore a raggiungere queste terre, che chiamò con l'appellativo Patagoni gli indigeni Tehuelche che abitavano queste regioni e che lui scambiò per giganti: il nome da lui utilizzato derivava infatti da una parola usata per riferirsi alle calzature indossate dai giganti e significava letteralmente "grandi piedi". Lanciati lungo la mitica Rura 40 che corre per 5.194km dalla Bolivia alla Terra del Fuoco attraversando tutto il Sudamerica, mito per tutti i viaggiatori on the road del pianeta, oltrepassiamo i villaggi di Esperanza e di Rio Turbio, dove peraltro si trova un importante centro minerario carbonifero, ultimo avamposto argentino prima di entrare in Cile.
Arriviamo alla piccola cittadina cilena di Puerto Natales dopo un viaggio di 6 ore e dopo aver oltrepassato la frontiera argentina. La piazza principale di questa città è Plaza Arturo Prat, modesta ma gradevole come il resto del centro abitato dove si possono trovare piccoli ristoranti in cui mangiare un piatto onesto. Sul retro della piazza il Mural Pueblos Originarios rende omaggio con un dipinto a muro alle tradizioni degli antichi popoli indios locali. La città in verità offre poco, ma segnalo comunque l'Avenida Costanera, la via costiera lungo lo stretto Seno de la Ultima Esperanza generato dall'Oceano Pacifico, dove si trovano tra l'altro alcune sculture interessanti oltre alla statua del Milodonte, il dinosauro che è anche il simbolo di tutta la città.
L'hotel che ci ospita è davvero meraviglioso, con una vista panoramica sulle acque dell'oceano sormontate dalle Ande. Ma la nostra curiosità è ancora tanta e ci mettiamo subito sulle tracce del dinosauro che secoli fa' popolò queste valli. Il Milodonte assomigliava ad un enorme bradipo preistorico erbivoro; vissuto 5.000 anni fa' era alto fino a 2m e ricoperto di un fitto manto bruno, con un muso allungato e grandi artigli per difendersi dai predatori. I suoi resti vennero scoperti da Charles Darwin a Bahìa Blanca durante il suo viaggio in Patagonia nel 1832. A 24km da Puerto Natales, invece, si trova il tempio sacro di questo enorme mammifero preistorico: il Monumento Natural Cueva del Milodon è un complesso di caverne primordiali dentro una delle quali sono stati rinvenuti fossili riconducibili proprio al Milodonte. Le caverne vennero scoperte in un'epoca successiva al ritrovamento di Darwin, solo nel 1895, ad opera del navigatore tedesco Hermann Eberhard, che fu anche tra i primi esploratori ed abitanti di questa parte del Cile. Si ritiene che inizialmente, circa 14.000 anni fa', la valle nella quale si localizzano le caverne fosse completamente sommersa dalle acque dell'oceano. Successivamente, con il sopraggiungere dell'Era Glaciale, l'acqua si tramutò in ghiaccio e lentamente, nel corso di decenni, il ghiaccio cominciò a ritirarsi scavando ed erodendo la terra al proprio passaggio. Venne così modellato un complesso di caverne rivestite di materiale sedimentoso simile ad un ghiaione spesso e compatto, le quali andarono ad ospitare, terminata la glaciazione, grandi mammiferi come il Milodonte e persino l'uomo, i cui resti preistorici sono stati rinvenuti nelle vicinanze.

Nel contesto del Monumento Natural Cueva del Milodon esistono oggi diversi sentieri percorribili che conducono a diverse caverne e punti di interesse. Il più battuto è il Sendero Cueva Grande, che conduce alla caverna più spaziosa e che visto il poco tempo a nostra disposizione è anche quello che scegliamo di percorrere. Superata la Plaza Megafauna dove su un piccolo spazio erboso tra gli alberi sono riportate le sagome dei principali animali che popolavano queste aree nel periodo preistorico, percorsi 350m di distanza si giunge infine alla Cueva Grande, la maggiore del complesso. Mettere piede in questa grotta vi assicuro che suscita davvero l'impressione di fare un salto indietro nel tempo di 14.000 anni. Il luogo appare come qualcosa di intatto ed originale, con il basso soffitto ad arco (alto nel punto più ampio solo 30m) e l'interno dalle pareti grezze che lentamente scendono incurvandosi fino ad incontrare ad angolo acuto il terreno. La caverna è percorribile a piedi su un sentiero tracciato lungo tutta la sua profondità di circa 200m, ed una volta al suo interno non è difficile immaginarsela popolata da strane creature preistoriche che qui trovavano rifugio dai pericoli e dalle asperità della Natura. Nonostante in molte recensioni venga screditata e svalutata, personalmente ho avuto buone sensazioni nel percorrerne l'interno. Arrivati alla fine del sentiero, dopo aver compiuto un giro circolare della caverna, si giunge ad una piccola area disposta proprio sotto l'ingresso a volta dove sono esposti una riproduzione a grandezza naturale del Milodonte ed alcuni reperti archeologici ritrovati dentro la grotta, tra i quali si distingue addirittura un frammento di pelle ancora ricoperto di pelo del Milodonte, rinvenuto da Eberhard e che ispirò l'incipit del celebre romanzo di Bruce Chatwin "In Patagonia" nel quale l'autore narra il proprio viaggio in questa regione sulle tracce proprio del Milodonte. Pensare che quel pelo lucente abbia circa 5.000 anni sinceramente mi ha suscitato qualche brivido. Nella Cueva Grande non sono mai stati ritrovati resti preistorici di tipo umano ma numerosi furono i cacciatori di tesori che dopo Eberhard setacciarono la caverna in cerca di reperti preziosi: a testimonianza di ciò la parte centrale della grotta, composta di sabbia ad ulteriore testimonianza del fatto che molto tempo fa' qui si trovava l'oceano, mostra numerose buche scavate nel terreno dai predatori di reliquie e mai ricoperte. Usciti dalla caverna ci incamminiamo lungo il sentiero per raggiungere il Mirador Paleolago, un punto panoramico in cima ad una breve salita e a cavallo proprio della Cueva Grande. Il sentiero non è difficile ma abbastanza impervio. Raggiunta la fine del percorso si apre davanti ai nostri occhi tutto il panorama circostante. Da qui è possibile notare che la costa cilena rivolta all'Oceano Pacifico si scompone in tantissimi piccoli fiordi tra i quali si insinuano le acque oceaniche. La nostra vista dal punto panoramico giunge così al Seno de la Ultima Esperanza, al Fiordo Eberhard e allo sfondo chiuso dalle vette innevate del Cerro Rotundo e del Cerro Ballena, lungo la Cordillera. Alle nostre spalle le Ande cilene accompagnano nel loro corso le acque del Lago Sofia, mentre il Cerro Benitez, nello spessore del quale è contenuto l'intero complesso di grotte del Monumento Natural Cueva del Milodon, non riesce a proteggerci da un vento intenso ed insistente.

Scesi dal Mirador Paleolago abbandoniamo il luogo e facciamo volta verso l'hotel incrociando lungo la strada la formazione rocciosa nota come la Silla del Diablo, la Sedia del Diavolo: una leggenda narra che nelle notti più scure e senza Luna, colui che fosse deciso a trovare il demonio di passaggio da queste zone, lo avrebbe visto seduto su questa gigantesca roccia che assomiglia proprio ad un'enorme sedia.
L'indomani il viaggio ci porta sulla strada diretta verso il Parque Nacional Torres del Paine. Questo parco naturale viene considerato da molti il più bello del Sudamerica, sicuramente uno dei più visitati. Occupa una superficie di 242.000 ettari. Istituito nel 1959 dal governo cileno e dichiarato patrimonio dell'UNESCO nel 1978, detiene una ricchezza naturale che raramente si riscontra in altri luoghi: ospita infatti laghi, fiumi, importanti formazioni montuose, vallate immense, meravigliosi panorami ed alcuni ghiacciai. Attirati da questa incredibile varietà, ci immettiamo sulla Ruta CH-9 verso l'accesso al parco. Superato il Cruce a Torres del Paine, dove si trova anche una piccola area ristoro per i turisti, proseguiamo su una stretta via che in breve tempo diventa sterrata. E mentre procediamo a rilento a bordo della nostra automobile, ecco che sulla destra si apre la vista magnifica sul Lago Sarmiento de Gamboa. Questo lago costituisce uno dei maggiori bacini idrici del Parque Nacional Torres del Paine e detiene una caratteristica molto particolare: le sue acque possiedono una concentrazione salina maggiore rispetto agli altri laghi della zona in virtù del fatto che esso riceve una quantità d'acqua maggiore di quanta non ne ceda. Questo particolare microambiente salino rende possibile la formazione di piccole formazioni coralline che sono visibili lungo le rive del lago in una distesa bianca e regolare. Sullo sfondo di questo peculiare paesaggio svettano le tre Torres del Paine, alti e sottili monoliti granitici formati dall'affioramento di rocce ignee successivamente modellate dal tempo, dal ghiaccio, e dal vento, le quali conferiscono il nome all'intero parco. La Torre Central è la più alta delle tre con 2.800m e spicca al centro tra la Torre Norte e la Torre Sur. Questa veduta è ciò che spinge la maggior parte dei viaggiatori a visitare questo parco e devo ammettere essere davvero suggestiva con le sue forme ed i suoi colori davvero strani e bellissimi.

Riempiti gli occhi di questo spettacolo ci rimettiamo in viaggio e raggiungiamo l'accesso Porteria Sarmiento al parco. Paghiamo l'ingresso di 18.000 Pesos Cileni (CL$) e chiediamo informazioni ai guardaparco che ci accolgono. Il modo migliore per visitare il parco, ci viene suggerito, è a piedi impiegando 3 o 4 giornate, pernottando in tenda e organizzando il cammino in autonomia. In alternativa, per chi avesse meno tempo come noi, le strade sterrate del parco sono percorribili anche in automobile di modo da consentire di coprire lunghe distanze in un tempo più breve ed ammirare comunque nell'arco di una giornata le meraviglie di questo luogo. Superiamo così la Laguna Los Cisnes e raggiungiamo in auto il punto in cui il Lago Nordenskjöld si incontra con il Lago Pehoé a generare una bellisisma cascata chiamata Salto Grande.
Qui ci incamminiamo lungo il sentiero che da questo punto ha inizio. Ricordo oggi il cammino compiuto, lungo circa un'ora, come il più bello effettuato durante tutto questo viaggio, penso che lo ricorderò così per sempre. I paesaggi di questo parco sono davvero bellissimi, appaioni ai miei occhi come quelli che ero abituato a vedere nei quadri iperrealisti di fine '800 dell'arte paesaggistica generalmente anglosassone, puri, intonsi, perfetti, paradisiasi. Percorrere questo sentiero in effetti si è impresso nella mia memoria come una dimensione a sè stante, un viaggio dentro il viaggio che si è insinuato sornione ma piacevole dentro le mie sensazioni.

Costeggiando il Lago Nordenskjöld, la pista prosegue leggermente in salita attraverso una distesa di alberi secchi: una vasta area del parco, compresa questa, fu protagonista nel 2011 di uno spaventoso incendio che durò mesi e che distrusse una grossa parte della vegetazione. Fu probabilmente provocato dal fornello da campo lasciato acceso da un turista. E' strano pensare come una visione tanto possente come quella che concede questo parco sia allo stesso tempo altrettanto fragile. Lungo la camminata troneggia sopra ogni cosa il Cerro Paine, la vetta più alta del parco con 3.050m.
Sbuchiamo infine in un piccolo angolino sopraelevato con un panorama mozzafiato sul Lago Nordenskjöld e aperto sui tre Cuernos del Paine: da non confondere con le Torres del Paine, questi tre aguzzi picchi rocciosi sono chiamati corni in virtù della loro forma e si distinguono in Cuerno Principal, il più alto con 2.400m, Cuerno Este e Cuenro Norte. Ci stendiamo sull'erba del Mirador Cuernos, il punto panoramico che abbiamo raggiunto, e ci godiamo per un attimo il silenzio totale che avvolge ogni cosa, interrotto solo dai tuoni incredibili generati dai blocchi di neve che a tratti si staccano dalla cima innevata del Cerro Paine sollevando una nube di neve: il modo più diretto per ricaricare di positività l'anima e uno dei momenti che ricorderò di più dell'intero viaggio.
Facciamo ritorno in silenzio verso l'automobile percorrendo a ritroso il sentiero. Ma il Parque Nacional Torres del Paine è un luogo unico al Mondo anche per quanto riguarda la fauna, molto ricca nella zona. Qui è infatti possibile avvistare gruppi anche numerosi di Guanachi, specie di lama dal manto molto pregiato avvistabili un po' dappertutto già prima di raggiungere l'ingresso del parco, di Nandù, il piccolo struzzo patagonico, ma soprattutto il Condor Andino, il rapace simbolo nazionale di Argentina e Cile, la cui apertura alare può arrivare fino a 3m. Non è raro vederlo dalla distanza volare ad ali spiegate lungo le pareti rocciose, ma è difficile avvistarlo, come è accaduto a noi, a pochi passi di lontananza mentre si posa a terra. Il Parque Nacional Torres del Paine ci ha dato l'opportunità di osservare un'infinità di bellezze e tesori. Facciamo ritorno in hotel dove la sera ci viene servito un piatto a base...di carne di Guanaco.

Ushuaia - Il viaggio verso Ushuaia si dimostra essere una vera odissea. Ci svegliamo di buon'ora, prima dell'alba, per prendere il volo che ci attende ad El Calafate: lasciare l'automobile presa a noleggio in Argentina su suolo cileno costerebbe un occhio della testa. Partiamo da Puerto Natales in mezzo ad un fine nevischio che salendo di quota a mano a mano diventa una tormenta di neve. Arrivati alla frontiera cilena di Paso Dorotea però scopriamo che l'ufficio doganale apre alle ore 08:00...e sono solo le 06:30. Con stupore e un po' di rabbia ci chiediamo cosa dovrebbe scoraggiare i contrabbandieri ed i trafficanti dal compiere crimini nelle ore notturne. Decidiamo di fare ritorno a Puerto Natales per evitare che la tormenta di neve che nel frattempo ha ricoperto l'auto non faccia in modo che non riparta più. Per fortuna l'operatore turistico cui ci appoggiavamo in Italia è stato disponibile e sollecito: cambiamo il volo con quello successivo e partaiamo due ore dopo oltrepassando con qualche sospiro d'irritazione il confine con il Cile. Ancora oggi non mi capacito di questa circostanza che ripenso a distanza come qualcosa di surreale!

Ushuaia è il tipo di città che mi immaginavo di trovare nella Terra del Fuoco prima di partire per questo viaggio: fredda, silenziosa, inospitale e senza particolarità, fatta di edifici bassi e squadrati, e di strade che si incrociano in un disegno monotono. C'è poco da osservare in Ushuaia, anche se ogni anno migliaia di persone la visitano più che altro per avere la possibilità di navigare il Canal Beagle di fronte al quale la città si colloca. Avenida San Martin è il centro della cittadina, dove i turisti passeggiano in cerca di ristoranti e negozi: a metà del suo percorso si trova la Iglesia Nuestra Señora de la Merced, dalle pareti esterne di un particolare colore arancio-rosso ma dall'aspetto comunque un po' sinistro come ogni cosa nei dintorni. Parallela all'Avenida San Martin, l'Avenida Maipù è la via costiera che corre lungo il limite con le acque dell'oceano. Percorrendola si incontra Plaza Islas Malvinas, intitolata alla battaglia tra Argentina e Inghilterra per il possesso delle Isole Falkland (le Islas Malvinas per gli argentini): nel 1982 l'esercito argentino invase questo arcipelago di isole disperse nell'Atlantico al largo della costa sudamericana, fino ad allora amministrate dal Regno Unito, il quale scacciò facilmente l'invasore e riaffermò in breve il possesso del propio territorio. Da allora non esiste argentino che non consideri comunque le Islas Malvinas come parte del suolo nazionale. Proseguendo sull'Avenida Maipù si giunge davanti all'Antigua Casa de Gobierno, con alle spalle il municipio contemporaneo appuntito e tagliente, quindi al porto ed attiguo a quest'ultimo, in uno spiazzo posto proprio davanti alle acque dell'oceano, ad un cartello che indica Ushuaia come la città della Fin del Mundo. In realtà Ushuaia non è la città più australe della Terra, che invece è Puerto Williams, piccolo villaggio cileno situato un po' più a sud sulla punta della Tierra del Fuego.
Fu il navigatore portoghese Ferdinando Magellano a scoprire la regione della Terra del Fuoco, la quale più precisamente è un arcipelago costituito da una miriade di isole di piccole dimensioni la maggiore delle quali è la Isla Grande, sulla quale sorge proprio Ushuaia. Avvistando nelle ore notturne questa terra, Magellano vide tanti fuochi accesi lungo la costa: erano i falò creati dagli indigeni nativi Yamanà per riscaldarsi. Da qui il termine Tierra del Fuego. Magellano fu il primo esploratore a doppiare il limite meridionale del continente sudamericano e a trovre la prima comunicazione tra Oceano Atlantico e Oceano Pacifico che tutt'oggi porta il suo nome, lo Stretto di Magellano appunto, il quale separa la Terra del Fuoco a nord dalla terra continentale. Tre secoli più tardi, nel XIX secolo, fu un'altra spedizione capitanata dall'avventuriero inglese Robert Fitz Roy a bordo delle nave HMS Beagle a scoprire una seconda via di comunicazione interoceanica posta più a sud, tra l'Isla Grande e l'Isla Navarino, e che successivamente assunse il nome dell'inbarcazione che per prima la solcò, venendo così chiamata da allora Canal Beagle. Questa leggendaria nave solcò le acque del canale per tre volte, trasportando nelle sue spedizioni anche il naturalista Charles Darwin che qui compì importanti studi per una disciplina ai tempi agli albori, l'evoluzionismo. Durante la prima spedizione il capitano Fitz Roy fece un incontro con alcuni uomini delle tribù Yamanà: si trattava di un popolo indigeno di navigatori che viveva soprattutto di pesca e che affrontava l'inverno australe senza utilizzare indumenti. Alcune teorie affermano la provenienza di questa controversa popolazione dalle terre polinesiane ed i tratti somatici sembrerebbero suggerirlo anche se ancora non è stato possibile spiegare il modo con il quale hanno potuto attraversare la grande distanza tra la Polinesia e l'Argentina nell'Oceano Pacifico senza utilizzare grosse imbarcazioni ma solo utilizzando le piccole canoe di legno che gli Yamanà costruivano per pescare. Ad ogni modo, colpito dai costumi di questa gente, Fitz Roy rapì quattro giovani ragazzi Yamanà per condurli in Inghilterra: uno di essi morì di morbillo durante il viaggio ma gli altri tre raggiunsero la Gran Bretagna. Il più famoso di loro fu Jemmy Button, nome datogli ovviamente dopo il rapimento, il quale studiò i costumi europei, imparò a leggere e a scrivere, e frequentò la Corte Reale inglese. Pochi anni più tardi fece ritorno tra la propria gente con la seconda spedizione della HMS Beagle e lì rimase fino alla sua morte. Oggi la sua storia incredibile fa da esempio all'ignobile violenza a cui le tribù indigene sudamericane furono sottoposte ad opera dei colonizzatori europei e rappresenta uno degli esperimenti sociali forse più strani e stupefacenti nella storia dell'umanità. Negli anni successivi alla sua scoperta la Terra del Fuoco divenne meta di interesse soprattutto per le missioni religiose della South American Missionary Society, che qui fondò strutture d'accoglienza per istruire ed evangelizzare le popolazioni native. Più tardi, all'inizio del XX secolo, sbarcò infine nelle terre fuegine la marina argentina che colonizzò la regione, sterminò indirettamente gli Yamanà portando malattie fino ad allora sconosciute agli indigeni vissuti in isolamento dal continente, e vi stabilì un penitenziario di massima sicurezza, il Presidio de Ushuaia, rimasto attivo fino al 1947 ed intorno al quale si sviluppò poi il centro urbano della città. Oggi l'antico carcere, diventato Museo Maritimo y del Presidio, ospita una testimonianza viva della storia più recente di questa regione. Al suo interno il Museo Maritimo narra l'avvicendarsi delle spedizioni marine che si susseguirono ad esplorare la Terra del Fuoco.
Ma la parte più interessante è sicuramente il Museo del Presidio, dove in un raggio ristrutturato della prgione è possibile seguire la storia di quello che è stato il carcere più impenetrabile dell'Argentina, visitandone le celle nelle quali si trovano reperti originali e cartelloni espositivi. Viene anche raccontata la storia di alcuni detenuti illustri. Come Simon Radowitzky, giovane anarchico di origini russe colpevole di aver assassinato il capo della polizia di Buenos Aires, Lorenzo Falcon, ed il suo attendente Alberto Lartigau tramite il lancio di un ordigno esplosivo all'interno della carrozza nella quale stavano viaggiando: scampò alla pena di morte e venne condannato all'ergastolo solo grazie alla sua età che al momento dell'arresto era inferiore ai 21 anni necessari per il pronunciamento della pena capitale, età tra l'altro rimasta dubbia fino al provvidenziale intervento in aula durante il processo di un cugino lontano con certificato di nascita alla mano. Radowitzky fu anche uno dei pochi a tentare la fuga dal Presidio de Ushuaia, e ci riuscì salvo poi venir catturato qualche giorno dopo dalla polizia cilena appena oltre il confine argentino. Oppure come Carlos Gardel, soprannominato "Nano Orecchiuto", uno dei primi serial killer della storia, assassino, piromane, maniaco e uomo di follia inconcepibile. Oltre a ciò vengono raccontate le abitudini ed i costumi dei galeotti in un'esposizione davvero interessante e di valore. Ma la parte più emozionante, a mio parere, è il Pabellon 1, l'unico raggio della prigione rimasto completamente intatto e fedele agli ambienti dell'antico Presidio de Ushuaia. E' possibile percorrerne l'intera lunghezza tra pareti scrostate e passerelle di legno marcito. Le celle sono rimaste come erano per i prigionieri, buie, spoglie e grezze, con il pavimento in legno e le pareti coperte da graffiti ed incisioni, molti opera recente di vandali ma alcuni originali. In fondo al raggio si trovano, anch'esse visitabili, le docce ed i bagni del penitenziario, con al centro ancora i lavabi e le latrine poco più in là annerite dalla muffa e rigorosamente senza porte. Al centro del corridoio del raggio invece stazionano ancora due antiche stufe di metallo che servivano per riscaldare l'intero ambiente. Nel complesso questo luogo fa davvero venire i brividi, soprattutto visitare le celle ed i bagni, esperienza in grado di trasmettere senza filtri la memoria di un luogo di tristezza e sofferenza, tetro e senza speranza, dove decine di uomini hanno vissuto i loro giorni tra pensieri pressanti, rantolanti, insistenti ed idee sempre più deboli di libertà. Uno sguardo commovente su uno stralcio di storia vivido ed intenso, mentre con la mano accarezzavo le tacche scavate nel muro di una cella probabilmente da un prigioniero per il quale il tempo si era fermato per sempre.

Il nostro secondo giorno ad Ushuaia prevede un'altra avventura che ci riempiva di aspettativa e curiosità. La navigazione sul Canal Beagle con un operatore turistico scovato al porto ci è costata cara, circa 850AR$ a testa, ma non abbiamo resistito al richiamo del mare e abbiamo prenotato l'escursione. Le acque del canale lungo 240km e largo appena 5km nel suo punto più stretto sono storicamente inospitali per i naviganti che vi si avventurano: già al momento del nostro arrivo in aereo, sorvolandolo, abbiamo assistito allo spettacolo di acque agitate, tempestose, costantemente irrequiete ed ondose, favorite anche da un meteo non perfetto e sicuramente dal freddo antartico.

L'esempio palese di questa pericolosità è il relitto del Remolcador St. Christopher, rimorchiatore di costruzione statunitense impiegato nel Canal Beagle come nave di soccorso per le imbarcazioni in difficoltà e divenuto esso stesso vittima delle sue acque dopo un guasto al timone ed ai motori che lo ha fatto incagliare proprio davanti alla costa di Ushuaia, dove ancora oggi sta a monito di chiunque decidesse di avventurarsi verso sud. Il giorno della nostra escursione l'Oceano Pacifico è agitato ma non ci facciamo caso: paghiamo la tassa portuale di 20AR$ e ci imbarchiamo. Le onde in effetti sono alte ed è comprensibile la difficoltà per il capitano nel manovrare il piccolo traghetto pur essendo a poca distanza dalla costa. L'escursione prevede alcune tappe in prossimità delle quali la barca si avvicina a pochi metri dalla costa di alcune isole al largo di Ushuaia per osservare la fauna che su di esse vive in colonie.
Incrociamo così la Isla de los Pajaros, popolata da una colonia di Cormorani Imperiali, uccello dal comportamento peculiare in quanto è monogamo solo quando il maschio si dimostra abbastanza attento al nido ed ai piccoli, quindi l'Isla Alicia abitata da enormi Lobos, vale a dire i Leoni Marini, i cui maschi possono pesare fino a 350kg, avere fino a 15 femmine per ciascuno (queste conducono una gestazione di 11 mesi, e 10 giorni dopo aver partorito vengono nuovamente ingravidate) e che alla nostra vista lanciano il loro grido minaccioso.

Infine avvistiamo le Islas Lucas gremite di Cormorani Rubini, volatili caratterizzati da una striscia rossa sopra la testa. Il giro in barca si conclude alle Islas Bridges, dove effettuiamo una breve discesa a terra per osservare la flora, tra cui un basso cespuglio tipico delle aree ad altitudini superiore ai 4.000m e che qui cresce portato dal vento delle Ande grazie alle bassissime temperature. Con imbarazzo nascondo alla nostra guida di averne calpestato uno: crescono di pochi millimetri all'anno e una volta danneggiati non sono più in grado di ripararsi. Risaliamo a bordo del nostro traghetto e mentre sorseggiamo un té caldo per riprenderci dal freddo pungente il capitano ci informa che è impossibile proseguire oltre a causa del mare grosso, così dovremo rinunciare alla vista del Faro Les Eclaireurs che ci accontentiamo di vedere da lontanissimo, dal ponte dell'imbarcazione: la guida ci spiega che i colori alternati bianco e rosso che lo caratterizzano indicano ai naviganti la presenza di pericolo ad ovest e che ne eiste uno identico ma meno celebre con i colori invertiti lungo la costa cilena sull'ingresso opposto del canale.

Delusi per la grossa cifra spesa, per l'escursione rimasta incompleta e per la sua imprevista rapidità, facciamo ritorno al porto ed approfittiamo del tempo restituitoci per approfondire la nostra visita dell'ambiente fuegino. Ci dirigiamo verso il Parque Nacional Tierra del Fuego prendendo un piccolo minivan dalla stazione dei bus di Ushuaia vicino al porto: al modico (si fa per dire!) prezzo di 300AR$ il minivan ci accompagna all'interno del parco e garantisce il ritorno in città alla sua chiusura. Ci facciamo lasciare all'estremità più distante della parte visitabile del parco, il quale conta una superficie di 63.000 ettari di cui solo 2.000 ettari aperti al pubblico.
La flora qui è davvero maestosa, con ampie distese di foresta fuegina composta da arbusti e da licheni, come la Barba de Viejo la cui presenza sui rami degli alberi ci viene detto essere indice della buona salute dell'ecosistema. Ci incamminiamo sul sentiero e visitiamo la Laguna Negra, piccolo bacino palustre sulla superficie del quale crescono numerosi muschi che conferiscono un vivido colore rosso al paesaggio. A poca distanza si trova la Bahìa Lapataia, uno degli scorci più suggestivi del parco aperto su una baia azzurrissima lungo la quale volano stormi di Cormorani. La fauna del luogo è protagonista anche di una storia singolare: a metà del XX secolo il governo argentino decise di introdurre artificialmente nell'ecosistema del parco una colonia di Castori Canadesi. Lo scopo era quello di trarne pellicce da rivendere a buon prezzo sul mercato internazionale. Il risultato fu disastroso: i castori proliferarono esageratamente, dato il fatto che nel parco non sono presenti predatori naturali di questo animale, con stravolgimento del profilo idrografico e paesaggistico dell'ambiente. Ancora oggi una numerosa colonia di questi roditori popola questo luogo.
Il tempo corre veloce ed è già ora di fare ritorno per evitare di perdere il passaggio verso la città. Sulla via gettiamo lo sguardo sul Rio Lapataia, uno dei fiumi maggiori, e sul Cerro Vinciguerra, la cima più alta del parco con 1.400m. Il minivan si dimostra puntuale e ci avviamo di nuovo verso Ushuaia costeggiando il Lago Roca e incontrando lungo il tragitto la Estacion del Fin del Mundo, costruita nel contesto del parco prima della sua istituzione dai galeotti detenuti nella prigione di Ushuaia ed oggi divenuta mera attrazione commerciale: un treno turistico parte da qui tre volte al giorno per accompagnare i visitatori all'interno del parco attraverso un breve tragitto di 7km. Costa 500AR$ e secondo il mio personalissimo parere non ne vale davvero la pena.
Nel complesso, Ushuaia, utlima tappa del nostro itinerario argentino, mi è apparsa deludente, un po' spenta ed abbastanza modesta. Forse perchè perennemente immersa in una malinconia strana e misteriosa tipica del marinaio che pensa nostalgicamente alla propria casa lontana.
Percorrendo da nord a sud tutto il territorio dell'Argentina, assaggiando anche porzione del Cile, abbiamo visitato luoghi incredibili e città bellissime, ci siamo immersi nella sua storia e abbiamo respirato, mangiato e bevuto le sue tradizioni. Ma la ricchezza maggiore l'abbiamo avuta dall'incontro con le persone lungo la strada: dalla guida chiacchierona innamorata della Natura che ci ha offerto il suo Mate senza conoscerci, al gentile giramondo non più giovane divenuto ammiratore di Maurizio Crozza. Dall'ex marinaio brasiliano scampato al disastro della nave da crociera Costa Concordia, al gentlemen inglese che porterà la bandiera argentina in patria. Dalla giovane alpinista che vive la montagna sempre con il sorriso, all'eccentrico belga in cerca di fortuna e collezionista di Fiat 600. Dalla giovane famiglia scozzese emigrata nel deserto sudamericano maestra nel preparare l'Asado, all'autista germanicamente biondo appassionato di rock anni '80. Dalla giovane guida che difende gli animali dai turisti, ai due viaggiatori italiani che hanno girato mezzo Mondo e che incontri in una piccola trattoria alla Fin del Mundo. Dai due giovani tedeschi innamorati che ispirano fiducia e che segui nei momenti difficili, al vecchio capitano che guarda il mare come si guarderebbe un vecchio amico di cui non ci si fida mai fino in fondo. Fino al benzinaio che fatica ad arrivare alla fine del mese ma è collezionista di monete Euro da tutta l'Europa. Volti, sguardi, espressioni, parole in una lingua straniera. Piccoli tesori nascosti che il viaggiatore porta sempre con sè, ovunque vada.