Immagino alcuni uomini a bordo di corte canoe fatte di paglia e legno mentre attraversano l'Oceano Pacifico. Li immagino percorrere centinaia di chilometri con la sola forza delle loro braccia, navigare giorno e notte senza sosta. Li immagino seminudi, vestiti con poco, a piedi scalzi. E mi immagino la loro carnagione bruna, lo sguardo affilato, il naso dritto e corto, la pelle coperta dai tatuaggi tradizionali delle tribù. Provo ad immaginare la fatica che hanno provato, forse persino la disperazione che ad un tratto hanno potuto avvertire. Tento di capire cosa li abbia tenuti in vita e cosa li abbia spinti a proseguire. Ma fatico ad immaginare tutto ciò. Questi uomini sono partiti dalla Polinesia ed hanno raggiunto le coste di quella che sarà poi conosciuta come l'Isola di Pasqua: un tragitto lungo 2.500km. Come abbiano potuto compiere una simile impresa agli albori dell'XI secolo d.C., senza mezzi tecnologici e senza disporre di carte nautiche, rimane tutt'oggi inspiegato.
Questo non è l'unico mistero che circonda la storia dell'Isola di Pasqua, tuttavia rimane uno degli aspetti di quest'isola ancora oggi più controversi e discussi. La teoria attualmente più accreditata fa risalire la sua popolazione ad un flusso migratorio proveniente dalle isole polinesiane. In effetti gli abitanti del luogo ancora oggi possiedono tratti somatici molto simili a quelli sudasiatici, senza spartire molto invece con i tratti tipici cileni, più indios e tipicamente sudamericani, pur appartenendo l'Isola di Pasqua proprio ai territori nazionali del Cile. Tale circostanza diventa ancora più curiosa se si pensa che quest'isola risulta più vicina all'arcipelago polinesiano di Pitcairn, distante poco più di 2.000km, rispetto alla costa cilena, lontana invece ben 3.200km. Ed è proprio il mistero ad attirarci sull'Isola di Pasqua, piccolo residuo di terra largo appena 24km disperso nell'oceano, uno dei luoghi più remoti al Mondo. Sbarcati all'Aeropuerto Internacional Mataveri dopo un volo interminabile, veniamo inglobati da una folla che accoglie i nuovi arrivi ponendo al collo collane di fiori. Uscendo dall'aeroporto con la nostra collana floreale mi chiedo come un'isola tanto piccola ed un terminale aviario così minuscolo possano avere una pista d'atterraggio enorme come quella che ho visto delinearsi dietro di me scendendo dalla scaletta dell'aereo. In realtà l'Aeroporto Mataveri venne costruito dalla NASA nel 1965 come scalo d'emergenza per velivoli in difficoltà in rotta lungo l'Oceano Pacifico, in seguito venne utilizzato persino per l'atterraggio di apparecchi aerospaziali americani. Solo successivamente la struttura venne concessa in gestione al governo cileno per farne uno scalo turistico. L'unica grande area urbana dell'Isola di Pasqua, il pueblo come viene designato in spagnolo il centro abitato, è costituita dalla cittadina di Hanga Roa, nome che in lingua polinesiana significa "grande baia": ospita circa 3.000 abitanti e l'87% dell'intera popolazione dell'isola, numero sorprendente se si pensa che ogni anno giungono qui circa 90.000 turisti. Una manciata di strade, casupole basse e semplici, l'Iglesia Catolica de Santa Cruz, la cui facciata riporta ancora simboli e segni della locale tradizione pagana, e pochi negozi raggruppati tutti nella sua via principale, Avenida Policarpo Toro.
Questo non è l'unico mistero che circonda la storia dell'Isola di Pasqua, tuttavia rimane uno degli aspetti di quest'isola ancora oggi più controversi e discussi. La teoria attualmente più accreditata fa risalire la sua popolazione ad un flusso migratorio proveniente dalle isole polinesiane. In effetti gli abitanti del luogo ancora oggi possiedono tratti somatici molto simili a quelli sudasiatici, senza spartire molto invece con i tratti tipici cileni, più indios e tipicamente sudamericani, pur appartenendo l'Isola di Pasqua proprio ai territori nazionali del Cile. Tale circostanza diventa ancora più curiosa se si pensa che quest'isola risulta più vicina all'arcipelago polinesiano di Pitcairn, distante poco più di 2.000km, rispetto alla costa cilena, lontana invece ben 3.200km. Ed è proprio il mistero ad attirarci sull'Isola di Pasqua, piccolo residuo di terra largo appena 24km disperso nell'oceano, uno dei luoghi più remoti al Mondo. Sbarcati all'Aeropuerto Internacional Mataveri dopo un volo interminabile, veniamo inglobati da una folla che accoglie i nuovi arrivi ponendo al collo collane di fiori. Uscendo dall'aeroporto con la nostra collana floreale mi chiedo come un'isola tanto piccola ed un terminale aviario così minuscolo possano avere una pista d'atterraggio enorme come quella che ho visto delinearsi dietro di me scendendo dalla scaletta dell'aereo. In realtà l'Aeroporto Mataveri venne costruito dalla NASA nel 1965 come scalo d'emergenza per velivoli in difficoltà in rotta lungo l'Oceano Pacifico, in seguito venne utilizzato persino per l'atterraggio di apparecchi aerospaziali americani. Solo successivamente la struttura venne concessa in gestione al governo cileno per farne uno scalo turistico. L'unica grande area urbana dell'Isola di Pasqua, il pueblo come viene designato in spagnolo il centro abitato, è costituita dalla cittadina di Hanga Roa, nome che in lingua polinesiana significa "grande baia": ospita circa 3.000 abitanti e l'87% dell'intera popolazione dell'isola, numero sorprendente se si pensa che ogni anno giungono qui circa 90.000 turisti. Una manciata di strade, casupole basse e semplici, l'Iglesia Catolica de Santa Cruz, la cui facciata riporta ancora simboli e segni della locale tradizione pagana, e pochi negozi raggruppati tutti nella sua via principale, Avenida Policarpo Toro.









Sulla via del ritorno verso la città, siti interessanti sono rappresentati da Ana Kai Tangata, una piccola grotta aperta sull'oceano dove si trovano disegni rupestri originali (il popolo nativo dell'Isola di Pasqua elaborò infatti una scrittura propria, il Rongorongo, oggi solo parzialmente decodificata), e più avanti l'Ahu Riata, piccolo altare con un unico Moai posto appena fuori Hanga Roa. Infine, degna di grande attenzione è Hanga Piko, una delle baie più pittoresche e belle dell'Isola di Pasqua. Per chi volesse mangiare, trovandosi nella zona, consigliamo invece la piccola locanda a conduzione familiare Mara Pika: due tavoli ed un locale che a nostro parere nelle ore lontane dai pasti viene abitato dai gestori come residenza. Comunque cibo buono e prezzi onestissimi.
Poi, nel nostro viaggio irrompe Moi! Lo incontriamo sul marciapiede intento ad illustrare ad alcuni passanti, su una mappa esposta fuori dalla sua agenzia, gli itinerari offerti dalla sua attività di guida locale: petto nudo, pantaloni corti a dir poco consumati, barba incolta, pancia da alcolizzato, bastone di legno massiccio intagliato, collana di denti di cavallo e soprattutto copricapo di piume alto direi almeno 60cm. Non so cosa ci abbia fatto fidare di lui, fatto sta che accettiamo la sua offerta e ci diamo appuntamento per la mattinata successiva. Lo troviamo l'indomani addormentato dentro un furgoncino parcheggiato davanti all'agenzia le cui porte sono chiuse e mostrano la bandiera dell'Isola di Pasqua raffigurante il Rei Miro, l'antico pettorale di legno a forma di canoa indossato dai guerrieri nativi. Ci saluta nascosto dietro scuri occhiali da sole e si rimette a dormire: capiamo che non è ancora il momento e andiamo a sederci lungo il porto. Passati 40 minuti ci ritroviamo con quelli che saranno i nostri due compagni di escursione, una coppia di coniugi argentini di mezza età, nel luogo pattuito ad attendere la partenza: Moi scende dal pulmino visibilmente scosso. La notte precedente si è tenuto in città uno spettacolo di danza tradizionale, sia maschile sia femminile, chiamata Sau Sau: anche noi vi abbiamo assistito divertendoci molto e trovando lo spettacolo molto interessante, a tratti anche provocante e sensuale (gli uomini vestivano abiti tradizionali molto succinti). Moi ci dice di aver partecipato in qualità di cantante e capiamo che la serata per lui è proseguita all'insegna del divertimento. Intuiamo subito che tipo sia quando ci racconta di essere un discendente di un capotribù, circostanza che gli consente di vestire il suo svolazzante copricapo dal quale non si separa mai. Mette in mostra una profonda e a mio avviso sincera ostilità verso il governo cileno che dipinge come despotico ed intollerante verso le tradizioni dei nativi. Ci mostra anche un documento di identità cileno sul quale si è rifiutato di mettere la firma sostituendola con disegni stilizzati di omini che si tengono per mano. Ripresosi dal trauma del risveglio ci accompagna dapprima ad Aka Anga, dove sorgeva un villaggio antico presso le rovine attuali del quale coglie l'occasione di mostrarci una piccola grotta, spiegandoci che queste cavità rocciose erano usate come luoghi rituali dai popoli indigeni...Poi prosegue raccontandoci le sue conquiste amorose concluse con una chitarra ed una bottiglia di vino proprio dentro caverne come quella. Quindi, ci dirigiamo verso il Rano Raraku dove, dopo una breve assenza, si ripresenta vestito di un pareo giallo, con ginocchiere di foglie secche, a petto nudo e con il solito copricapo piumato. Infine ci accompagna presso l'Ahu Tongariki, l'altare più grande dell'Isola di Pasqua con ben 15 Moai, luogo imperdibile per ogni visitatore.
Durante il tragitto ci racconta come l'Isola di Pasqua fosse stata avvistata per la prima volta dal pirata Edward Davis nel 1687. Il primo sbarco avvenne però solo 35 anni più tardi, nel 1722, ad opera del navigatore olandese Jakob Roggeveem: era il giorno di Pasqua, circostanza che donò il nome attuale all'isola. La prima rivendicazione di possesso fu invece spagnola nei decenni successivi: ma la posizione dell'isola (battezzata temporaneamente Isla San Carlos) era troppo remota e la Corona Spagnola perse interesse sul luogo. Furono quindi due mercanti, il francese Jean Baptiste Dutroux-Bornier e l'inglese John Brander, ad impossessarsi dell'Isola di Pasqua facendone un enorme pascolo per il proprio bestiame, stabilendosi sull'isola e confinando il popolo nativo in una piccola riserva delimitata. Alla morte di Dutroux-Bornier, Brander detenne la totalità dei territori, ma una rivolta degli indigeni condusse al suo assassinio e l'isola venne liberata. Nel 1888 l'Isola di Pasqua fu annessa ai territori del Cile, ma poco più tardi venne affittata alla Corona Inglese per farne dei pascoli per pecore e capre: ancora oggi, lungo la strada che porta ad Anakena, è visibile il vecchio ovile britannico abbandonato. Furono proprio gli inglesi a chiamare l'isola Rapa Nui, appellativo di provenienza polinesiana che significa "grande isola". Solo nell'era moderna il governo cileno, probabilmente accortosi del suo potenziale turistico, ne ha rivendicato completamente la potestà, e solo alla fine degli anni '60 del secolo scorso all'Isola di Pasqua furono concesse elezioni democratiche. Fa davvero impressione pensare come un turbine storico di tali dimensioni sia passato da un posto tanto piccolo e sperduto. Di fatto la popolazione nativa ha subito nel corso dei secoli il susseguirsi di tutti questi colonizzatori ed i discendenti di quel popolo oggi portano ancora dentro un rancore mai estinto verso le violenze e le costrizioni imposte ai loro avi. E così appare a noi anche Moi, al di là del suo aspetto bislacco e del suo comportamento eccentrico. L'unico uomo nella storia dell'Isola di Pasqua ad aver avuto a cuore il destino del popolo indigeno fu Sebastian Englert, missionario cappuccino tedesco giunto qui nel 1935, fondatore della prima scuola, di ricoveri sanitari, e primo valorizzatore della cultura originaria del popolo di Rapa Nui, oggi raccolta nel Museo Antropologico de Hanga Roa da lui fondato. La nostra escursione si conclude ad Anakena (dove torneremo in auto noleggiata il giorno successivo): qui Moi decide di offrirci un modesto pasto nei baracchini lungo il palmeto...peccato che il ristoratore non abbia mai ricevuto nessun pagamento dal nostro caro Moi. Facciamo ritorno ad Hanga Roa un po' in apprensione per la nostra guida che a tratti si addormenta al volante.
Decidiamo di spendere l'ultimo giorno sull'Isola di Pasqua noleggiando un'automobile. Scopriamo infatti che con patente italiana non ci è concesso noleggiare uno scooter...ma ci è tuttavia consentito prendere a nolo un quad: francamente una logica legislativa assurda! Vogliamo raggiungere la spiaggia di Anakena per goderci un po' di mare. Lungo la strada cogliamo l'occasione per visitare l'Ahu Akiwi, caratterizzato dalla peculiarità di essere perfettamente allineato con il Sole durante gli equinozi. Al tramonto ci dirigiamo invece all'Ahu Tahai, grande sito sacro dove si trova l'unico Moai "vedente" dell'Isola di Pasqua.




Il tempo di un ultimo Pisco Sour, liquore tipico cileno a base di succo di limone ed acquavite, nel bar del nostro resort ed è già tempo di fare ritorno verso casa. Ricordate: se dovesse capitarvi di viaggiare ovunque in Cile, fate attenzione a non perdere la Tarjeta Migratoria, una specie di scontrino che vi viene rilasciato alla dogana al momento del vostro ingresso nel paese. Dovrete esibirlo nuovamente alla dogana in uscita, e se lo smarrite allora sono problemi.
Mistero, magia, tradizione: tutto ciò è l'Isola di Pasqua, il luogo in cui i segreti sono ben custoditi dalla storia.