06 settembre 2016

CUBA – La Revoluciòn Immobile

Se vi dicessi che esiste un posto nel Mondo chiuso come i ricordi che conserviamo di un felice passato dentro una scatola di cartone, al riparo da ogni genere di influsso o logorio. Mi direte che è impossibile, vero? Se vi dicessi che esiste un posto sul quale la storia ha inferto un colpo talmente vigoroso da fermare tutti gli orologi all'interno di esso. Impossibile, no? Se vi dicessi che esiste davvero questo luogo contraddittorio, idealista, serenamente ignaro di tutto ciò che accade fuori ed intorno ad esso. Questo è davvero impossibile! Eppure esiste. Cuba è Cuba. Non esiste altro modo se non questo per descrivere l'isola maggiore dell'Arcipelago delle Antille, la Perla del Caribe: senza giri di parole, senza troppi virtuosismi verbali. Cuba è un miraggio, una visione, e se ovunque nel Mondo ci confrontiamo con una ben precisa idea di impossibile, qui ogni certezza viene meno.

Sbarchiamo all'Havana nel pieno di un'afosa notte estiva dopo 12 ore di volo aereo scalo compreso. Ad accoglierci al piccolo sbarco aeroportuale ci attende un taxi ed il suo conducente per accompagnarci nel cuore della capitale. Ma prima di tutto ci tocca il passaggio obbligato dalla CADECA (o Casa de Cambio) per procurarci la valuta corrente. E qui assaggiamo subito un pizzico di quel contraddittorio cubano che non può non manifestarsi in qualunque viaggio all'interno dell'isola: a Cuba vengono infatti impiegate due differenti valute, il Peso Cubano (CUP, chiamato anche Moneda Nacional) utilizzato dai cittadini cubani, ed il Peso Convertibile (CUC), cioè la moneta dedicata alle transazioni commerciali dei turisti. All'incirca 1CUC equivale ad 1US$, mentre sono necessari grossomodo 25CUP per comporre 1CUC. Questo doppio sistema di valuta deriva dall'informale impossibilità ad effettuare sull'isola transazioni in Dollaro Statunitense che al cambio viene tutt'oggi tassato del 10% (perciò, indirettamente, è praticamente bloccato l'utilizzo di questa valuta nel paese) come conseguenza degli storici contrasti politico-ideologici intercorsi tra Cuba e gli USA dopo la salita al potere di Fidel Castro, un silenzio diplomatico durato circa 60 anni e che solo oggi sta conoscendo un graduale disgelo. Ad ogni modo facciamo la fila davanti allo sportello della CADECA (è conveniente eseguire sempre i cambi valuta presso questi uffici statali in quanto offrono i tassi migliori, del resto ne troverete in ogni città) e terminata l'operazione ci insinuiamo quindi con il nostro autista tra le viscere dell'Havana. La fondazione della capitale cubana venne deliberata nel 1514 con il nome di Villa San Cristobal de la Habana dal conquistador spagnolo Diego Velazquez de Cuellar, vero pioniere dell'isola e fondatore delle prime 7 villas cubane. Il nome attuale della città, contrazione di quello nativo, deriverebbe, secondo la leggenda, da quello della figlia primogenita di un importante capotribù Taino, la popolazione indigena presente sull'isola già prima dell'arrivo degli spagnoli, appellativo che peraltro la popolazione stessa utilizzava per indicare il luogo dove poi sorse la capitale. Dopo diversi spostamenti del primo agglomerato urbano resi necessari da enormi infestazioni di zanzare, l'Havana trovò nel 1519 la sua attuale ubicazione lungo la costa, caratteristica che gli valse subito una discreta fortuna commerciale come porto strategico per il trasporto delle merci nei Caraibi (nome derivante dalla parola karibe, "uomo", utilizzata dai popoli indios), oltre che la nomina a capitale dell'isola succedendo in tale ruolo a Santiago de Cuba. Veniamo scaricati dall'autista del taxi in una sconnessa e buia strada laterale accanto a Plaza Vieja e ci dirigiamo, un po' intimoriti, verso l'ostello situato sulla piazza stessa. La nostra prima impressione di timore viene in breve tempo addolcita dalla sorridente accoglienza di Alberto, il gestore dell'ostello che ha atteso il nostro arrivo fino ad ora tarda aggirandosi per la piazza alla nostra ricerca. Posiamo gli zaini e ci dedichiamo ad un meritato riposo. La mattina successiva ci attende la prima autentica colazione cubana: la simpatica e gentile señora Maria con fare materno ci serve un magnifico piatto di fresca frutta tropicale composta da mango, papaya e guaiava (un piccolo frutto dalla polpa rosata ricca di semi che non avevo mai visto prima), il tutto contornato da buonissimo succo di mango e, a richiesta, da un'omelette calda. Caricati da cotanta bontà iniziamo la nostra visita della città.

Il cuore storico dell'Havana è costituito dal quartiere dell'Habana Vieja: è tra l'ingarbugliato intrico di strade che la compongono che questa città esprime il suo caratteristico aspetto decadente e malinconico, un vero marchio di fabbrica che colora tutti i ricordi dei viaggiatori passati da qui. Non è possibile attraversare l'Havana senza scontrarsi con il suo carattere quieto, sornione, compassato, e tra edifici cadenti che si direbbero sull'orlo del crollo da un momento all'altro, tra muri scrostati dal tempo sopra i quali rimangono ancora lievi le tracce di un vivace colore antico, ecco sorgere isole di luccicante splendore, colme di vitalità, tradizione ed antica bellezza. Una di queste isole è Plaza Vieja: questa piazza venne realizzata nel 1559 con il nome di Plaza Nueva e fu in origine luogo di residenza del nobile ceto creolo (termine coniato per indicare un individuo di origine europea nato nelle colonie, oggi designa invece un individuo di origine mista indios ed europea) che governava la città. Nel corso degli anni la sua funzione comprese quella di luogo adibito alle esecuzioni capitali pubbliche, all'effettuazione di manifestazioni religiose e allo svolgimento delle fiestas di origine spagnola nelle quali si esibivano celebri toreri. Quando successivamente vi si collocò uno dei più grandi mercati pubblici all'aperto il suo nome venne cambiato in Plaza del Mercado, fino a che il mercato venne trasferito altrove e la piazza assunse infine il nome attuale. Nel corso della prima metà del XX secolo, sotto la dittatura di Fulgencio Batista, vi fu costruito uno squallido parcheggio sotterraneo per automobili, bruttura alla quale venne posto rimedio solo nel 1996 con un'imponente opera di ristrutturazione, a dire il vero ben condotta, della quale oggi rimane memoria in alcuni scatti fotografici posti ad ogni angolo della piazza a documentare l'aspetto degli spazi e degli edifici prima e dopo il restauro. Un cambiamento davvero impressionante! Oggi i colorati edifici coloniali barocchi che si affacciano con bellissimi portici lungo tutto il perimetro forniscono davvero un piacevole fotogramma della più nobile storia havanera. Al centro dello spazio spicca il profilo di una bella fontana in marmo bianco decorata con le figure scolpite di quattro delfini: venne demolita nel 1930 quando il luogo venne adibito a parcheggio e ricostruita solo dopo la proclamazione della piazza, da parte dell'UNESCO, a monumento patrimonio dell'umanità. Ciò che però piacevolmente ricordo meglio di questo luogo è la musica lieve che ad ogni ora del giorno, e soprattutto della notte, ne permea l'aria. Una musica elegante e ritmata, una musica interamente cubana fino al midollo: si tratta del Son, una combinazione di chitarra classica, contrabbasso, bongos, tres (sorta di chitarra con tre gruppi di corde doppie), güira (corrispondente alle nostre maracas, il suo nome deriva da quello di un frutto tropicale che viene svuotato e fatto essiccare fino ad indurirne la scorza), ed infine güiro (strumento a percussione suonato facendo scorrere un bastoncino di legno lungo la superficie ruvida di un contenitore cavo, anch'esso ricavato dallo stesso frutto della güira per svuotamento, essiccazione ed indurimento dei frutti di maggiori dimensioni). Questa è la musica che vi deve venire in mente se ripensate a Cuba: se così non fosse, allora forse non avete vissuto Cuba abbastanza. Perchè Cuba è il Son, ed il Son è Cuba. Il suo ritmo riflette lo spirito allegramente tranquillo ma a tratti malinconico di ogni cubano, e ne riassume le origini nelle radici per metà folk spagnole e per metà tribali degli schiavi africani, ben riconoscibili queste ultime nelle percussioni. Del resto, ascoltarle il Son fuori da Cuba dà sempre un po' un'impressione di festa a tema mal riuscita, ma in terra madre assume significato di profonda espressione artistica e di sacra tradizione musicale. Se volete sentire il Son, allora andate in Plaza Vieja: ne troverete sempre e comunque. Lo suonano sotto il porticato della vistosa Cerveceria Factoria Plaza Vieja (alquanto scarsa come cucina e anche come birreria); lo suonano al vicino bar La Vitrola (il più colorato, allegro e chiassoso della Plaza); lo suonano sulle terrazze del Bar Plaza Vieja (vivamente sconsigliato: due bottiglie di acqua 8CUC). Ve lo assicuro: questo suono sarà quello che vi accompagnerà ripensando a Cuba sulla via del ritorno a casa.

Da Plaza Vieja prendendo Calle San Ignacio in pochi minuti si raggiunge Plaza de Armas, la piazza più antica dell'Havana. Qui ogni giorno si tiene un mercatino di libri usati disposto lungo tutto il perimetro della piazza nel quale vengono venduti libri ispirati alla Revoluciòn, tra cui soprattutto le raccolte dei discorsi del lìder maximo Fidel Castro e numerose biografie del comandante "Che" Guevara. Questa piazza venne realizzata nel 1520 con il nome di Plaza de Iglesia in quanto vi sorgeva la Iglesia Parroquial Mayor. In seguito, nel punto in cui sorgeva la chiesa demolita nel '700, venne costruito il Palacio de los Capitanes Generales, imponente costruzione barocca realizzata in pietra calcarea e dotata di un magnifico patio alberato centrale, destinata ad ospitare dapprima il governatorato coloniale spagnolo, successivamente i governatori statunitensi, quindi il Presidente della Repubblica Cubana ed infine l'alcalde della città. Attualmente è sede del Museo de la Ciudad. Accanto a questo palazzo, all'angolo della piazza, sorge un'altra istituzione dell'architettura barocca cubana: il Palacio del Segundo Cabo, datato XVIII secolo, ospita oggi l'Instituto Cubano del Libro dopo essere stato sede, nel passato, di un ufficio postale, del Senato della Repubblica Cubana, della Corte Suprema, ed infine dell'Accademia delle Arti e delle Lettere. I due palazzi rappresentano sicuramente due esempi dell'incredibile versatilità cubana! Ma Plaza de Armas è innanzitutto celebre per essere stato il leggendario luogo della fondazione dell'Havana: lo testimonia il Templete, un piccolo edificio in stile neoclassico la cui facciata è curiosamente scolpita sul modello dei templi greci, con tanto di colonnato dorico e timpano decorato, il quale troneggia solenne sul lato orientale della piazza. Si tramanda che nel preciso punto dove venne eretto nel 1828 il tempietto fu celebrata nel 1519 la prima messa a cui assistette l'Havana, evento che segnò anche ufficialmente la fondazione della città: la celebrazione si tenne sotto un albero di Ceiba, in seguito estirpato per far posto alla Colonna Cagigal la quale sorregge ancora oggi la statua della Madonna del Pilar, patrona dei navigatori, posta proprio davanti alla facciata del Templete. Una nuova Ceiba venne ripiantata accanto alla colonna solo nel 1959, dopo la vittoria della Revoluciòn. La tradizione vuole che ogni anno, nella notte tra il 15 ed il 16 novembre, data precisa della fondazione dell'Havana, gli abitanti della città si rechino sul luogo per compiere tre giri intorno alla Ceiba, rituale che si dice porti molta fortuna.

Sul lato di Plaza de Armas rivolto verso il mare ed accanto al Templete si incontra un'altra importante testimonianza della storia havanera: il Castillo de la Real Fuerza venne eretto come piccola fortificazione difensiva tra il 1558 ed il 1577, e costituisce la roccaforte militare più antica della capitale cubana. La necessità di difendere l'Havana dagli attacchi di assalitori esterni fu dettata, all'epoca, dai numerosi saccheggi che la città subì nel corso del XVI secolo ad opera dei pirati caraibici, primo fra tutti il francese Jacques de Sores, il quale nel corso della sua ultima incursione diede alle fiamme il vecchio fortino in legno che precedette, nello stesso luogo, la costruzione dell'attuale roccaforte. La nuova fortificazione venne costruita in pietra ma si dimostrò presto inefficace dal punto di vista difensivo data la sua posizione troppo interna nella Bahìa de la Habana. Oggi questa antica costruzione militare ospita il Museo de Navegacion e soprattutto, sulla cima della propria torre di vedetta, la Giraldilla, banderuola segnavento di bronzo simbolo della città intera: la leggenda narra che la statuetta che compone il corpo della Giraldilla venne scolpita sul modello di doña Isabel de Bobadilla, consorte del governatore spagnolo Hernando de Soto, la quale era solita, ogni giorno, osservare per ore l'orizzonte in attesa del ritorno del coniuge quando costui era in avventura per mare. La storia, presa ad esempio di fedeltà e devozione dallo scultore spagnolo Geronimo Martin Chaffinch, portò alla creazione della Giraldilla, il cui nome invece deriva dalla torre campanaria della cattedrale di Siviglia detta appunto Giralla: Siviglia era infatti la città natale dell'artista. Inizialmente creata come opera scultorea semplice, la statua di doña Isabel de Bobadilla venne convertita in banderuola e posta sulla torre di vedetta del Castillo de la Real Fuerza da Juan Viamonte, successore al governo di Hernando de Soto.

Il verdeggiante spazio centrale di Plaza de Armas, denominato Parque Cespedes, alberato ed ombreggiato, conferisce un piacevole e temporaneo momento di respiro dall'afa estiva cubana: al centro del piccolo parco troneggia la statua di Carlos Manuel de Cespedes, eroe dell'indipendenza cubana il cui nome ritornerà ancora lungo la nostra strada. Originariamente la statua esposta era quella del sovrano spagnolo Ferdinando VII di Borbone che venne in seguito relegata in un angolo della piazza, posto che ancora oggi occupa, dopo il raggiungimento dell'indipendenza cubana. Da Plaza de Armas basta attraversare la strada per trovarsi lungo le sponde della Bahìa de la Habana, l'insenatura che costituisce il porto della città. Uno dei più affascinanti scorci dell'Havana si può sicuramente trovare qui: lasciandosi alle spalle lo sferragliare delle vecchie macchine d'epoca, si può osservare, attraverso lo stretto spazio della baia e sulla riva opposta, il Cristo de la Habana, scultura in marmo di Carrara alta 20m, datata 1958, opera della scultrice cubana Jilma Madera. La statua venne benedetta da papa Pio XII che in realtà benedì solo i blocchi di marmo in partenza da Roma e non vide mai la scultura ultimata; il Cristo venne poi consacrata una seconda volta dal cardinale Manuel Arteaga y Betancourt che conferì la benedizione contro la propria volontà ed obbligato sotto minaccia dal dittatore Fulgencio Batista, con il quale era apertamente in contrasto e che desiderava accattivarsi la simpatia del popolo valorizzando solennemente un'opera religiosa.

Subito accanto alla statua del Cristo de la Habana si estende come un lungo e possente animale addormentato la Fortaleza de San Carlos de la Cabaña: si tratta della fortificazione di dimensioni maggiori ed anche di realizzazione più recente presente all'Havana, costruita tra il 1763 ed il 1774 sulla cresta esposta ad est lungo il porto della città che costò una pesante sconfitta all'esercito coloniale spagnolo governante su Cuba. Nel 1762, infatti, la Spagna strinse una delicata alleanza con la Francia nell'ambito della Guerra dei Sette Anni: per l'intricata trama di alleanze in corso tra le potenze europee dell'epoca, ciò contrappose l'Inghilterra alla Corona Spagnola. Gli inglesi non perdettero tempo e aprirono il fronte con la Spagna anche lungo le colonie caraibiche, teatro di importanti interessi commerciali. Fu in questo modo che una flotta di sei navi da guerra inglesi capitanate dall'ammiraglio George Keppel occupò la Bahìa de la Habana ed installò le proprie bocche da fuoco sulla cresta sopra la quale oggi sorge la fortezza. Da lì cannonò senza pietà sulla città sbaragliando in meno di due mesi le male organizzate difese spagnole. La resa incondizionata della Spagna arrivò senza troppi sforzi da parte della marina inglese, decimata più dalla febbre gialla che dai cannoni iberici. Ebbe così inizio un periodo di dominazione inglese sull'isola durato 11 mesi, al termine dei quali gli spagnoli riacquisirono Cuba scambiandola con la colonia americana della Florida di cui gli inglesi avevano disperato bisogno per fare fronte alle nascenti guerre indipendentiste statunitensi. Fu da questa disfatta che gli spagnoli trassero una profonda lezione di tattica militare e, ripreso possesso dell'isola, re Carlo III dispose la costruzione di un'imponente fortezza militare proprio nel punto dal quale era nata la sconfitta. La nuova opera venne chiamata Fortaleza de San Carlos de la Cabaña in onore del sovrano che ne ordinò la realizzazione ed in virtù del fatto che sul luogo in precedenza si trovavano solo alcune capanne in legno. Nessuno riuscì più ad assediare con successo l'Havana dopo la sua costruzione: misura 700m in lunghezza e copre uno spazio complessivo di 10 ettari. Dopo l'indipendenza cubana venne utilizzata prima come prigione, quindi come quartier generale del comandante Ernesto "Che" Guevara che qui risiedette con i propri uomini per un certo periodo dopo la vittoria della Revoluciòn. Oggi la struttura ospita il Museo de Fortificaciones y Armas.

Poco più in là sorge l'ultima delle tre grandi fortificazione che custodiscono la Bahìa de la Habana: il Castillo de los Tres Reyes del Morro, comunemente chiamato dai cubani El Morro, è precedente come costruzione alla Fortaleza de San Carlos de la Cabaña e di dimensioni sensibilmente minori, ma è anche delle tre fortezze portuali la più pittoresca, disposta com'è sull'ultima asperità rocciosa (chiamata Punta Barlovento) sul limite tra la baia e le acque aperte sul Golfo del Messico, all'ingresso del porto. Venne progettata da un architetto italiano di nome Giovan Battista Antonelli e fu talmente ben congegnata per difendere la città che per 150 anni assolse egregiamente alla sua funzione, anche grazie alla batteria di 12 cannoni battezzati con i nomi dei 12 Apostoli, la Bateria de los Doce Apostoles, che ancora oggi può essere ammirata lungo le mura del forte. La fine della sua gloriosa storia coincise con il già citato conflitto anglo-spagnolo che mise in ginocchio l'Havana e frantumò, tra le altre, anche le difese del Morro. Oggi la fortezza restaurata risplende meravigliosamente al Sole dei Caraibi regalando un piacevole scorcio ai turisti che spingono lo sguardo verso il mare. Ciò che contraddistingue il profilo del Morro è sicuramente lo splendido faro di cui è dotato, alto 25m e costruito nel 1589. Per raggiungerlo prendiamo al volo uno dei numerosi ed affollatissimi bus che fermano lungo Avenida del Puerto, attraversiamo il tunnel che ci proietta sotto la baia sulla sponda opposta, ed in pochi minuti siamo all'ingresso del castillo. Pochi attimi per ammirare il panorama della città che si estende in tutto il suo splendore sotto i nostri sguardi e ci dirigiamo all'ingresso della fortezza: dopo un corto stretto camminamento dotato di numerose feritoie che serviva ai soldati come via di fuga in caso di sconfitta, oltrepassiamo l'ombreggiato portale di accesso e ci troviamo nel cuore del castello. Al centro del suo cortile interno troneggia uno squadrato edificio in pietra che assolveva alla funzione di dormitorio, cucina e sala comune per le guarnigioni. La parte meglio conservata della costruzione però ospita una minuscola cappella, collocata all'interno di una stretta stanza dalle pareti in pietra e dal basso soffitto, la quale ancora oggi sorprendentemente mantiene la stessa funzione attribuitale secoli fa'. Aggiriamo la costruzione centrale e, salita una ripida rampa, raggiungiamo le mura di vedetta rivolte verso il mare: il caldo intenso non ci toglie la voglia di goderci una vista aperta sulle acque azzurrissime del Golfo del Messico secondo la migliore tradizione dei viaggi caraibici. Percorriamo poche decine di metri lungo il cammino di ronda costellato di cannoni ed arriviamo ai piedi del faro. La curiosità si fa strada nella nostra immaginazione e, raccolte le ultime forze disponibili, ne varchiamo la soglia e cominciamo la salita lungo le ripide scale a chiocciola. Arrivati in cima incontriamo un uomo che, rivolto di spalle, è chino su una scrivania: il suono della radio che stava ascoltando ci era arrivato già pochi gradini più in basso e la musica riempie ora la stanza. Si gira verso di noi stupito ed in spagnolo ci informa che il faro è chiuso al pubblico. Poi, dopo una breve pausa, sorridendo ci fa segno di venire avanti: ci spiega che il faro venne illuminato per molti anni dopo la sua costruzione tramite focolai accesi su una piattaforma rotante; l'illuminazione artificiale elettrica venne introdotta solamente ad opera di alcuni ingegneri francesi nel 1845. Con orgoglio ci mostra che il meccanismo attuale è quello originale montato dai francesi circa 200 anni fa': è lui che ogni notte, solo in cima al faro, con la sola compagnia della sua gracchiante radio, lo fa funzionare e ne conosce i segreti. Ammirati come se avessimo vissuto una favola che fino a quel momento avevamo solo sentito raccontare, lanciamo un ultimo sguardo alle alte vetrate coperte durante il giorno da logore e finissime tele bianche, salutiamo il gentile guardiano e iniziamo la discesa. Il caldo e la fatica ci impongono un attimo di sosta che ci prendiamo sedendo all'ombra accanto a dei vasi in terracotta inseriti nella pietra e che servivano originariamente a contenere l'olio di colza necessario a far ardere il focolare che costituiva l'illuminazione in cima al faro. Mentre rifiatiamo all'impercettibile brezza del mare il nostro sguardo si volge alla riva opposta della Bahìa de la Habana: lì il Castillo de San Salvador de la Punta si specchia nel Morro e con esso presidia simbioticamente l'ingresso alla città dell'Havana. Queste due fortezze erano in origine collegate attraverso lo spazio della baia tramite una pesante catena di acciaio della lunghezza di 250m che veniva tesa sulle acque quando venivano avvistate imbarcazioni nemiche, di modo da impedire l'accesso al porto. Come due sorelle unite dallo stesso destino, le due fortificazioni subirono la stessa sorte ed andarono incontro ad una clamorosa devastazione in seguito all'assedio inglese del XVIII secolo, dopo decenni di difesa impenetrabile. Oggi il Castillo de San Salvador de la Punta offre un prezioso punto panoramico dal quale osservare il mare al tramonto...se riuscite a resistere al caldo tropicale.

A bordo del solito affollato bus facciamo ritorno in città. Scendiamo in Parque Martires del '71 e ammiriamo la possente statua equestre del generale Maximo Gomez, eroe dell'indipendenza cubana. Ad un'estremità dello spiazzo, il Parque de los Enamorados, decisamente più piccolo, offre il Monumento a los Estudiantes de Medicina, memoriale in marmo costruito intorno ad un frammento delle antiche mura di cinta cittadine presso il quale otto studenti della facoltà di medicina vennero fucilati nel 1871 dalle truppe coloniali con l'accusa di aver profanato la tomba di un giornalista spagnolo. E' proprio presso il Parque Martires del '71 che incontriamo Antonio, un giovane un po' cubano un po' italiano, che ci regala consigli su dove e come comprare buoni sigari e buon Rum a Cuba. Ci accompagna così presso il Palacio de la Artesania, un palazzo coloniale il cui patio è stato convertito per ospitare negozi di ogni genere. Entriamo in una rivendita presso la quale Antonio ci consiglia di acquistare i nostri sigari. Ne esistono di ogni tipo, varietà e dimensioni: ancora non iniziati pienamente all'arte della fabbricazione dei sigari cubani decidiamo di acquistare un Cohiba, varietà prediletta da Fidel Castro che sembra voler fumare solo questa marca, apparentemente quindi una di quelle dalla qualità migliore. Il nome Cohiba deriva dal termine usato dagli indigeni Taino per indicare lo strumento da loro usato per fumare il tabacco, usanza pertanto più antica di quanto si pensi e già in uso nelle società precoloniali. Prima di abbandonare il negozio ci soffermiamo ad osservare un'anziana señora nell'atto di confezionare un sigaro: scopriamo così che ogni elemento è composto da foglie intere di tabacco arrotolate (non come pensavamo da tabacco tritato finemente) e che le foglie vengono tenute insieme attraverso un collante che può essere miele o una sorta di resina estratta dalla pianta stessa di tabacco; ogni sigaro viene chiuso ad un'estremità da una specie di cappuccio ottenuto dagli avanzi delle foglie di tabacco usate per confezionarlo e che deve venire tagliato per mezzo di uno strumento chiamato guillottina prima di fumare. La maestria e la pazienza dei lenti gesti dei torcedores come l'abile señora, non so spiegare come, ma mi ha subito trasmesso la magica sensazione di secoli e secoli di tradizione ed abilità.

Non fumiamo subito il sigaro appena acquistato: vogliamo aspettare il momento adatto. Così salutiamo il nostro amico Antonio e ci dirigiamo verso la vicina Plaza de la Catedral: questa è forse la piazza havanera più ricca di storia, arte e cultura, sicuramente una delle tre piazze più rappresentative dell'Habana Vieja insieme a Plaza de Armas e a Plaza Vieja. Inizialmente denominata Plaza de la Cienaga in quanto vi sorgeva prima della sua realizzazione una palude, acquisì il nome attuale con la costruzione nel 1788 della Catedral de la Virgen Maria de la Concepcion Inmaculada (chiamata anche Catedral de San Cristobal dal nome dell'arcidiocesi), l'edificio più prestigioso della piazza, tesoro del barocco centroamericano. Questa cattedrale venne costruita in pietra corallina estratta dal Golfo del Messico grazie alla sinergia degli forzi di due differenti ordini religiosi: la sua realizzazione fu infatti iniziata dai monaci gesuiti i quali cedettero il posto per la sua ultimazione ai frati francescani dopo che l'ordine fu bandito nel 1767 dal sovrano spagnolo Carlo III di Borbone. Per molti decenni la chiesa ospitò le spoglie di Cristoforo Colombo, il quale scoprì l'isola di Cuba nell'ottobre del 1492 nonostante fosse convinto dopo lo sbarco di trovarsi sul suolo di una penisola del continente asiatico. La leggenda vuole che Colombo fu accolto da una tribù Taino che lo condusse nel villaggio di Cubanacan, che significa "centro dell'isola", e da questa località derivò successivamente il nome di Cuba. La tomba di Cristoforo Colombo venne traslata nella città di Siviglia nel 1898 dopo il raggiungimento dell'indipendenza cubana. La peculiarità della cattedrale risiede nella curiosa circostanza di possedere due torri campanarie asimmetriche poste ai lati della facciata, caratteristica necessaria in fase di progettazione a determinare un particolare ed efficiente sistema di drenaggio delle acque piovane che ne evitava l'accumulo nella piazza ed ai piedi della costruzione convogliandole invece verso il mare. L'interno, al contrario, appare spoglio ma dotato di splendidi ed appariscenti lampadari vitrei, di un'alta volta monumentale dalle linee ricercate e di un altare adornato da affreschi copiati da soggetti tratti da Rubens. Sicuramente la cattedrale è uno dei patrimoni architettonici più affascinanti della capitale cubana.

Ma la ricchezza di Plaza de la Catedral non si ferma qui. Il perimetro della piazza è infatti costellato da edifici coloniali perfettamente conservati: primo fra tutti, di fronte alla cattedrale stessa, il Palacio de los Condes de Casa Bayona (1720), residenza nobiliare dalle porte e finestre colorate di una vivace tonalità di blu, costruita per la figlia del governatore spagnolo Luis Chacon data in sposa al conte di Bayona. Oggi ospita il Museo de Arte Colonial. Su uno dei lati della piazza si trova poi il Palacio del Conde de Lombillo (1746), anticamente residenza di un nobile commerciante spagnolo di zucchero, di fronte al quale troneggia una statua del ballerino spagnolo di Flamenco Antonio Gades. Attiguo a questo sta il Palacio de los Marqueses de Arcos, costruito per il nobile spagnolo Ignacio de Peñalver y de Cardenas nominato marchese per il servizio prestato nella guerra tra Spagna ed Inghilterra, lungo la parete del quale si trova ancora oggi un'antica buca per le lettere di età coloniale essendo stato il palazzo, nel passato, un ufficio postale. Sul lato opposto, infine, sorge il Palacio de los Marqueses de Aguas Claras, il più elegante con il suo magnifico terrazzo, costruito nella seconda metà del XVIII secolo per l'alcalde Sebastian Penalver y Angulo e successivamente passato al marchese di Aguas Claras che gli donò anche il nome, ospita oggi il raffinato ristorante El Patio. Stare al centro del quadrilatero formato da questi edifici è un po' come trovarsi proiettati in un'epoca lontana trecento anni. Ma basta fare qualche passo più in là per immergersi invece nella parte più mondana e godereccia dell'Havana: in una via laterale accanto alla cattedrale si incontra la celeberrima Bodeguita del Medio, il locale dell'Habana Vieja storicamente frequentato da personaggi famosi del passato, i quali tramite foto, firme alle pareti, graffiti ed oggetti di vario genere, hanno lasciato qui il segno indelebile del proprio passaggio: Fidel Castro, Salvador Allende, Pablo Neruda, ma soprattutto lo scrittore Ernest Hemingway, che qui era solito sedere al bancone a sorseggiare un fresco Mojito. La storia narra che il locale venne fondato come negozio di viveri da un immigrato ungherese, tale Sepy Dobronyi, fu successivamente acquistato nel 1942 dallo spagnolo Angel Martinez che trasformò il negozio in un ristorante nel quale venivano serviti piatti tipici cubani. Dopo la Revoluciòn, Martinez introdusse un nuovo cocktail, il Mojito, a base di Rum, zucchero di canna, succo di lime, menta e acqua gasata, che divenne poi un simbolo del bar ed uno dei più tipici cocktail cubani. Il nome Bodeguita del Medio invece deriverebbe dal fatto che i locali di questo tipo erano solitamente posizionati agli angoli delle strade, mentre questo si trova invece nella parte centrale della via. Seguendo il consiglio del nostro amico Antonio evitiamo di consumare qui il Mojito, a sua detta troppo costoso e di scarsa qualità, ma non rinunciamo a lasciare la nostra firma sulla parete esterna del locale, letteralmente coperta di centinaia di dediche e frasi lasciate da decine e decine di passanti. Quindi ci facciamo largo tra la folla accalcata davanti alla soglia e, accompagnati dal ritmo del Son proveniente dall'interno, proseguiamo la nostra visita.

La seconda istituzione dei cocktail-bar all'Havana è il Floridita, locale distante poche decine di metri dalla Bodeguita del Medio ma più raffinato ed ordinato, meno rumoroso e consumato. E' famoso per essere la Cuna del Daiquiri, la culla del famoso cocktail a base di Rum, ghiaccio tritato, sciroppo di zucchero di canna e succo di lime, che è stato effettivamente inventato proprio qui. Nello spazio oggi occupato dal Floridita venne in origine aperto, già nel 1817, un locale chiamato La Piña de Plata. Quasi un secolo dopo il nome venne cambiato in Florida con il proposito di attrarre più clienti statunitensi, anche se rimase poi conosciuto con il diminutivo Floridita. Nel 1914 il locale passò sotto la proprietà del catalano Costantino Ribalaigua: a lui viene accreditata l'invenzione del cocktail Daiquiri negli anni '30 dello scorso secolo. I celebri frequentatori del Floridita furono moltissimi: Spencer Tracy, Gary Cooper, Jean-Paul Sartre, ma soprattutto, ancora, Ernest Hemingway, il quale coniò la frase poi divenuta proverbiale, quasi un comandamento per i viaggiatori di passaggio all'Havana, "My Mojito in La Bodeguita, my Daiquiri in El Floridita". Un'occasione che non ci lasciamo sfuggire è quindi quella di gustare uno squisito Daiquiri in amichevole compagnia del celebre autore statunitense, la cui statua a grandezza naturale sta in un angolo della sala e lo ritrae appoggiato al bancone, sorridente e con lo sguardo rivolto ai frequentatori del bar: per un ammiratore del grande scrittore americano come me sicuramente uno dei momenti più curiosi dell'intero viaggio a Cuba. Se si cerca invece un pasto rapido ma decente in zona, nel caso in cui tutto quest'alcool vi abbia fatto venir fame, in una via laterale dietro Plaza de la Catedral si trova la tavola calda El Paso: tranci di pizza non male e soprattutto una buonissima lemonada.

Se mai avrete modo di trovarvi all'Havana sicuramente vi stupirete nel vedere quanti e quali mezzi di trasporto i cubani utilizzino per spostarsi in città. A Cuba solamente dal 2011 è stato liberalizzato il mercato dell'automobile nell'ambito del ciclo di riforme attuate da Raul Castro, succeduto nel 2006 al fratello maggiore Fidel ormai troppo anziano per guidare il paese. I due fratelli nacquero da una relazione extraconiugale tra il ricco proprietario terriero e coltivatore di canna da zucchero Angel Castro y Argiz e la cuoca che lavorava presso la sua residenza, che peraltro successivamente sposò. Fidel è stato il lìder maximo, il condottiero indiscusso di Cuba per quasi cinquant'anni: si dice di lui che possedesse un'acuta ed irruente intelligenza, tanto da eccellere nelle classi scolastiche che via via frequentò. Alcuni raccontano che sia anche stato un promettente giocatore di baseball, e che addirittura in gioventù declinò un ricco contratto professionistico offertogli dalla squadra di Washington, circostanza che sconfina però nella leggenda. Poco più che un bambino, condusse il suo primo sciopero sollevando alcuni operai contro gli interessi del proprietario terriero che dava loro lavoro: si trattava di suo padre. Ancora adolescente decise di scrivere una lettera al Presidente degli Stati Uniti per chiedergli in dono una banconota da 10$, in quanto non ne possedeva ed era curioso di vederne l'aspetto: ricevette un secco rifiuto da Roosevelt in persona e sono in molti a far risalire a questo episodio il precoce inizio dei dissidi tra Castro e la superpotenza americana. Si laureò con pieni voti in giurisprudenza e si interessò, ancora studente, al panorama politico cubano, fino a candidarsi alle elezioni del 1952 con il Partito Ortodosso: le elezioni vennero però cancellate dal colpo di stato di Fulgencio Batista, il quale sfruttò il vuoto di potere nella politica cubana di quel periodo per insinuarsi prima ed imporsi poi con la forza ai vertici della politica divenendo di fatto il dittatore che dal 1933 al 1959 dispose delle sorti dell'isola. Il golpe di Batista fu la miccia che fece esplodere il focoso carattere di Fidel Castro, il quale da quel momento cominciò a concepire una nuova ed ambiziosa idea: la chiamò Revoluciòn. Da subito al suo fianco fu il fratello Raul che oggi, come detto, guida il paese attraverso una difficile riforma politica, sociale, ed economica: solo dal 2008 infatti ai cubani è stata concessa la possibilità di possedere telefoni cellulari privati ed apparecchi elettronici, dal 2011 hanno acquisito la libertà di comprare o vendere la propria casa e di viaggiare all'estero, inoltre nel 2012 il governo cubano ha proceduto ad una delicata operazione di riqualificazione del settore pubblico licenziando quasi mezzo milione di lavoratori statali per incentivare il settore privato con 400.000 nuovi impiegati. Una riforma colossale per un paese fermo su tutti i livelli e chiuso tra i propri confini da più di mezzo secolo. Ciò è evidente anche nello spazio più metropolitano e moderno dell'isola, l'Havana, dove è possibile veder circolare macchine americane degli anni '50 uscite dalle catene di montaggio all'epoca della dittatura di Batista e fino al 1959, anno del trionfo della Revoluciòn e della successiva chiusura diplomatica con gli USA, i quali procedettero ad imporre a Cuba un pesantissimo embargo che ancora oggi grava sull'economia e sulla società cubana, di fatto ferme a quel periodo. Buick, Cadillac, Chevrolet: automobili pesanti ma eleganti che siamo ormai abituati a vedere solo nei film americani e nei telefilm di "Happy Days" ma che qui a Cuba sono diventati un marchio, un tratto distintivo, una vera attrazione per i turisti.

Il luogo migliore per osservare questi gioielli d'epoca su quattro ruote si trova, paradossalmente, nella parte più moderna dell'Havana: il Paseo de Martì (chiamato anche Paseo del Prado) è la via più celebre e frequentata della città con il suo passaggio pedonale centrale sul quale alla fine del XIX secolo l'alta società cubana si recava per sfoggiare abiti alla moda e per fare incontri. Venne progettato nel 1772 dall'architetto francese Jean-Claude Nicolas Forestier.

Percorrendo il Paseo partendo da Parque Martires del '71 si giunge, in pochi minuti a piedi, al Parque Central, piccolo ma gradevole parco abbellito dalla statua in marmo di Josè Martì, la prima ad essere realizzata delle moltissime raffiguranti l'eroe dell'indipendenza presenti all'Havana. In un angolo di questo spiazzo un folto gruppo di cubani trova tregua dal caldo intrattenendosi con danze e musica all'ombra dei 28 alberi che circondano lo spazio del parco a simboleggiare il giorno della nascita dello stesso Martì (il 28 gennaio 1853). Dietro la statua dell'eroe invece si erge la bella facciata del Gran Teatro de la Habana, costruito nel 1838 con il nome di Teatro Tacon per ospitare un centro sociale per immigrati galiziani: acquisì il nome attuale nel 1925 ed oggi è uno dei teatri più grandi del Mondo, sede del Ballet Nacional de Cuba. E' davanti alla sua entrata che ad ogni ora del giorno si raccoglie una variopinta varietà di macchine d'epoca di ogni marca e tipo, oltre ad innumerevoli cocotaxi (minuscolo veicolo motorizzato, di forma sferica e dal tipico colore giallo, che all'Havana si trova un po' dappertutto). Accanto al teatro si trova l'Hotel Inglaterra, l'albergo più antico della città e luogo presso il quale Josè Martì, prima dell'esilio, pronunciò un memorabile discorso in favore dell'indipendenza di Cuba.

Raggiungiamo questa zona a bordo di un bicitaxi, un risciò a pedali molto usato per trasportare i turisti: l'anziano conducente, di nome Narciso, dimostra di sopportare molto meglio di noi il caldo caraibico e la fatica, e senza fare una piega ci trasporta fino al Parque Central, dove ci saluta con un sorriso che difficilmente potremo dimenticare. Lungo la strada ci fermiamo solo per vedere il Museo de la Revoluciòn posto proprio dietro Parque Martires del '71 a dominarne lo sfondo con la sua alta facciata. Al suo interno sono custoditi cimeli, oggetti, documenti e testimonianze della Revoluciòn cubana. Non abbiamo purtroppo tempo per visitarlo ma ne osserviamo almeno l'elegante aspetto esteriore: il palazzo che ospita il museo fu costruito nel 1920 ed adibito, prima di essere destinato alla funzione attuale, ad ospitare la residenza del Presidente della Repubblica Cubana. Inoltre davanti al suo ingresso è possibile ammirare i resti di un carro armato SAU-100 utilizzato dalle truppe di Castro nella battaglia della Bahìa de Cochinos, la Baia dei Porci, in occasione della quale il presidente USA J.F. Kennedy, nel pieno della Guerra Fredda, tentò, con un'azione militare goffa e maldestra, di rovesciare il regime socialista di Castro reclutando, nel 1960, 1.400 soldati cubani in esilio addestrati dalla CIA e facendoli sbarcare sulla Baia dei Porci appunto, dove Castro, precedentemente venuto a conoscenza della missione che avrebbe dovuto invece rimanere segreta, li stava spettando con il proprio esercito schierato. La vicenda si tramutò in una delle più pesanti sconfitte militari statunitensi e contribuì ad inasprire i rapporti tra i due paesi. Sul retro del museo poi, in uno spazio aperto ma protetto da un porticato in metallo e da una teca in vetro, è possibile ammirare il Pavillon Granma: un vero pezzo autentico della storia cubana. Dopo il colpo di stato condotto da Batista, Fidel Castro non perse tempo ed organizzò subito un tentativo di rovesciamento della dittatura appena instaurata. Radunò 119 guerriglieri e tentò un assalto alla Caserma Moncado di Santiago de Cuba: era il 26 luglio 1953. Il tentativo fallì, si dice, a causa dell'autista che guidava la colonna di ribelli, il quale sbagliò strada perdendosi nel dedalo di vie del centro cittadino e mandando così in fumo l'effetto sorpresa dell'attacco. Il manipolo di ribelli fu sterminato, Castro si diede alla macchia sulle vicine montagne ma venne arrestato poco più tardi: il comandante Pedro Sarria Tartabull, incaricato da Batista in persona di scovarlo e di ucciderlo sul posto, però una volta trovatolo si rifiutò di giustiziarlo pronunciando, rivolto alle proprie truppe, il monito: "Non sparate, non si possono uccidere le idee". Castro venne così imprigionato, processato e condannato a morte, salvo poi essere graziato sul patibolo dallo stesso Fulgencio Batista, bisognoso di consensi per sedare il malcontento pubblico che dilagava dopo il massacro dei cubani ribelli. Castro rimase così in carcere per due anni e fu liberato solo nel 1955. Una volta tornato in libertà fondò il Movimento 26 de Julio, abbreviato M-26-7, le cui bandiere rosse e nere sventolano ancora oggi ovunque in ogni città cubana: la disfatta della Caserma Moncado divenne l'inizio di una campagna rivoluzionaria trionfale. Castro fuggì in Messico dove radunò un esercito di guerriglieri e fece ritorno a Cuba via mare insieme ad 81 compagni a bordo di uno yacht di 18m, battezzato Granma in onore della nonna defunta del proprietario statunitense da cui lo acquistò. Quella stessa barca oggi è protetta come un monumento nazionale e si trova nella teca di vetro sul retro del Museo de la Revoluciòn. Ciò che mi sono chiesto, mentre osservavo l'imbarcazione dalla strada attigua, è cosa proverebbe Fidel Castro, a distanza di 60 anni e dopo tante lotte, nel vedere ancora questa modesta e misera imbarcazione che fu l'inizio di un successo glorioso e che per sempre rimarrà impresso nelle pagine della storia dell'uomo.

Per consumare un buon pasto, se capitate nei paraggi, andate nel vicino Bar Monserrate, proprio dietro Parque Central, in Avenida Belgica: ottimi hamburgers e buona musica dal vivo. Io personalmente non scorderò mai la voce dell'abile cantante che con le sue güiras accompagnava il nostro pasto a ritmo di Son. Oppure, se siete di fretta, soffermatevi sotto i portici di fianco al Paseo per un veloce spuntino a base di Cangrejitos, dolci fritti ripieni di marmellata dalla forma somigliante a quella di un piccolo granchio (da cui il nome). Ma non attardatevi troppo: l'Havana ha ancora molto da offrire.

Il Capitolio Nacional costituisce uno degli edifici più solenni della capitale cubana. Venne costruito nel 1929 sotto la presidenza di Gerardo Machado, esponente politico di chiare idee filoamericane, circostanza che spiega perfettamente la curiosa somiglianza dell'imponente edificio con il Campidoglio di Washington. La sua cupola di 62m di diametro è di fatto diventata uno dei simboli della città, nonostante il palazzo sia passato dall'ospitare il Senato Cubano a divenire sede del Ministerio de Ciencia, Tecnologia y Medio Ambiente. La sua facciata luminosa e neutra contrasta stranamente con gli intensi colori metallizzati delle auto d'epoca parcheggiate proprio di fronte all'edificio in attesa di turisti bisognosi di un trasporto. E' collocato tra il Gran Teatro de la Habana, situato a poche decine di metri lungo il Paseo, e, poco più in là, il Parque de la Fraternidad, piccola area verde posta nel cuore dell'Havana e progettata dallo stesso architetto francese ideatore del Paseo, Jean-Claude Nicolas Forestier, realizzata in celebrazione della VI Conferencia Panamericana tenutasi nel 1928 proprio a Cuba. Il parco ospita i busti di alcuni capi di stato latinoamericani dell'epoca, oltre (circostanza più unica che rara) al busto di Abraham Lincoln, unico Presidente USA raffigurato in virtù delle lotte da lui condotte contro la schiavitù in Nordamerica. Al centro del rigoglioso ed ombreggiato spazio verde, invece, è posto un maestoso albero di Ceiba, pianta considerata sacra dagli schiavi di origine africana. Infine, lungo uno dei suoi lati, in uno spazio più piccolo chiamato Parque de la India, si trova la Fuente de la India, una fontana in marmo bianco scolpita dall'italiano Giuseppe Gaggini nel 1837, raffigurante la primordiale mitica india havanera e posta nello stesso luogo in cui si trovava, in precedenza, una statua del re spagnolo Carlo III di Borbone rimossa in seguito al raggiungimento dell'indipendenza cubana.

Sul lato opposto del Parque de la Fraternidad invece, attraversata la strada, si incontra la Real Fabrica de Tabacos Partagas, una delle fabbriche di sigari cubani più celebri al Mondo, fondata dal commerciante catalano Jaime Partagas nel 1845. Dopo la Revoluciòn e la morte dei proprietari, la fabbrica venne nazionalizzata ed ancora oggi appartiene al governo cubano, destino comune a praticamente tutte le proprietà private che dopo la salita al potere di Fidel Castro vennero espropriate ed acquisite a titolo gratuito dal nascente stato socialista: ancora oggi gli agricoltori cubani possono vendere i frutti della propria terra unicamente allo stato, così come i responsabili dei pochi negozi sono obbligati a far capo per quanto concerne la propria attività commerciale sempre e solo al governo cubano. La centralizzazione dei beni voluta da Castro nell'ambito della riforma socialista da lui messa in atto coinvolse anche le proprietà del lìder maximo stesso, nonchè quelle della sua prima moglie Mirta Diaz-Belart, conosciuta durante gli studi universitari e sposata prima delle lotte rivoluzionarie, la quale dopo gli espropri non ebbe altra scelta che rifugiarsi in asilo politico in Florida con il figlio.

Castro si sposò successivamente una seconda volta con Dalia Soto del Valle, di estrazione sociale più modesta e attualmente ancora al fianco del lìder. Da una relazione extraconiugale con la nobile havanera Naty Revuelta, invece, Castro ebbe una figlia, Alina Fernandez Revuelta, oggi divenuta una delle attiviste anti-Castro più conosciute al Mondo. Si narra che all'alba dei moti rivoluzionari contro Batista, Naty Revuelta, sposata allora con un ricco chirurgo dell'Havana, fu subito affascinata dall'indole decisa di Castro e convinse il marito, ideologicamente vicino ai discorsi da lui pronunciati, ad ospitare clandestinamente le riunioni del M-26-7 presso la propria abitazione, concedendo addirittura un mazzo di chiavi a Castro stesso. Il resto, ovviamente, vien da sé. Concludiamo la nostra prima giornata all'Havana approcciandoci alla cucina locale con una cena a base di Brochetas, vale a dire corti spiedini di carne suina o bovina.

Il secondo giorno all'Havana è per noi il giorno della macchina d'epoca. Consapevoli che non ci ricapiterà in nessun altro posto del Mondo di viaggiare su un'automobile americana originale degli anni '50, non vogliamo farci sfuggire l'occasione: ci dirigiamo in Parque Central e cerchiamo subito l'auto che fa per noi. Ma non una qualunque: nei nostri desideri la vogliamo scoperta e rossa fiammante. Dopo aver tentato di contrattare il prezzo senza successo troviamo ciò che fa per noi: una stupenda Buick del '55. Il nostro autista Ricardo ci promette un itinerario che non ci deluderà, così ci accomodiamo sui confortevoli e spaziosissimi sedili posteriori di pelle bianca e ci mettiamo subito in marcia. Attraversiamo il Barrio Chino, il quartiere cinese dell'Havana singolarmente caratterizzato dalla quasi totale assenza di cinesi, giunti qui a metà del XIX secolo per colmare il vuoto lasciato dal declino della tratta degli schiavi africani ma fuggiti dall'Havana dopo la salita al potere di Castro: se di comunismo si doveva parlare, tanto valeva farlo in patria. Attraversiamo il suo portale eretto in perfetto stile asiatico ed in poche centinaia di metri ci addentriamo nel quartiere Vedado: Ricardo ci spiega che questo è il quartiere più ricco e moderno dell'Havana. In effetti le sue abitazioni, quasi tutte ville singole in muratura, si presentano più spaziose e moderne rispetto a quanto abbiamo potuto vedere nel resto della città. In origine infatti il Vedado era abitato dall'aristocrazia havanera, quel ceto politico e militare che governava la capitale negli anni precedenti alla Revoluciòn. In seguito a quest'ultima, Fidel Castro espropriò tutte le case del quartiere e le riassegnò ai seguaci della rivoluzione. Ancora oggi la zona è abitata dagli esponenti più ricchi dell'Havana.

Dal Vedado arriviamo al luogo simbolo cubano per eccellenza nell'immaginario di ogni viaggiatore: Plaza de la Revoluciòn si presenta come un enorme spiazzo aperto e libero, ampio 12km², utilizzato per adunare folle immense in concomitanza di eventi e manifestazioni nazionali. Sul suo sfondo sono stati addirittura realizzati degli spalti permanenti in pietra, riservati probabilmente alle personalità più importanti della società cubana. E dietro ad essi sorge solenne ed allo stesso tempo moderno il Memorial a Josè Matrì, l'edificio più alto dell'Havana con i suoi 139m, una torre di forma pentastellata davanti alla quale si trova una statua dell'eroe indipendentista in marmo bianco.

L'impressione stupefacente suscitata dall'imponente costruzione è completata da un costante e fitto stormo di Auras Tiñosas, rapaci saprofiti dall'ampia apertura alare e dal capo colorato di rosso, che costantemente sorvola la cima dell'edificio. Ma il simbolo di questa piazza si trova sul lato opposto dove sopra la facciata del Ministerio del Interior si trova la celebre effige del "Che" ricamata in ferro dallo scultore Enrique Avila Gonzalez nel 1993: l'immagine originale da cui venne tratto il soggetto venne scattata all'Havana il 5 marzo 1960 dal fotografo cubano Alberto Korda che la intitolò "Guerrillero Heroico". L'immagine collocata lungo la parete del grigio palazzo governativo ritrae il volto di Ernesto Guevara sopra la celebre frase "Hasta la Victoria Siempre" da lui pronunciata in occasione delle celebrazioni del funerale per le circa cento vittime causate dall'esplosione della nave militare francese Coubre avvenuta nel 1960 mentre il bastimento, attraccato al porto dell'Havana, stava stivando un carico di munizioni. Fidel Castro sostenne sempre che si trattò di un atto di sabotaggio da parte degli USA, i quali invece negarono ostinatamente ogni coinvolgimento.

Accanto al Ministerio del Interior l'effige di Guevara fa il paio, sulla parete del vicino Ministerio de Comunicaciones, con quella di Camilo Cienfuegos, altro glorioso comandante della Revoluciòn e braccio destro di Castro, il cui volto, scolpito nello stesso stile di quello del "Che" ma installato solo nel 2009, sta sopra le parole "Vas Bien Fidel" pronunciate da Cienfuegos a Castro dopo la conquista dell'Havana da parte delle truppe rivoluzionarie. Il tempo di una veloce fotografia e ritorniamo alla Buick dove Ricardo ci aspetta: oltrepassata Plaza de la Revoluciòn costeggiamo il Cementerio Colon, il camposanto più vasto dell'America Latina e l'unico dedicato allo scopritore dell'America Cristoforo Colombo. Sono molte le storie romantiche, i miti e le leggende che riguardano questo cimitero: la tomba più popolare e la più visitata è sicuramente quella di Amelia Goyri de la Hoz, una gran dama nota oggi come La Milagrosa, vale a dire "la miracolosa". Doña Amelia, morta nel 1903 a soli 23 anni, visse infatti una vita da romanzo: dovette attendere la morte di suo padre per potersi sposare con l'uomo che amava, ma la sua felicità fu di breve durata perché morì un anno dopo le nozze durante il parto. La donna fu seppellita con il bambino, nato morto lui pure, collocato ai suoi piedi, ma la leggenda narra che aprendo la tomba molto tempo dopo la sua morte si trovò che il bambino giaceva miracolosamente tra le braccia della madre. L'infelice vedovo, di nome José Vicente, impazzito per il dolore, non poté fare a meno di recarsi ogni giorno al cimitero presso la tomba dell'amata a battere colpi sulla lapide di bronzo della consorte defunta gridando "Amelia svegliati, Amelia svegliati!", e lo fece ogni giorno sino a quando morì 17 anni dopo. Questa storia di sofferenze ha fatto divenire la dama romantica un'immagine venerata: decine di persone si recano in visita dalla Milagrosa a chiedere protezione, la benedizione della maternità, oppure aiuto in faccende amorose. Il cerimoniale da sempre vuole che si colpisca la lapide come faceva il povero vedovo; andandosene i visitanti camminano all'indietro per non voltare le spalle all'effige di Amelia.

Con il vento tra i capelli il nostro itinerario accompagnati dal simpatico Ricardo prosegue nel Bosque de la Habana, una piccola (circa 6 ettari) macchia di foresta tropicale sopravvissuta lungo la parte occidentale della città, ultima testimonianza del paesaggio primitivo del luogo che ospitò la capitale prima che questa venisse fondata dagli spagnoli. La sensazione è a dir poco stupefacente: nel giro di un attimo si viene proiettati dalle strade trafficate del centro urbano ad uno scenario completamente immerso nel verde con alti alberi da fusto, rampicanti ed una rigogliosa vegetazione. Oltrepassiamo un vecchissimo ponte in pietra sospeso sul Rio Almendares e facciamo una breve sosta per goderci la frescura dell'ombra, la quiete dell'ambiente ed i suoni della Natura, a due passi dal caos della metropoli. Proseguendo quindi all'interno della macchia verde si penetra nella sua parte meglio conservata e più nobile: il Parque Almendares prende il nome dal fiume che lo attraversa per gettarsi, poco più su, nelle acque del Golfo del Messico. Di passaggio Ricardo ci indica, al suo interno, un antichissimo albero da fusto che a suo dire risalirebbe a 300 anni fa', uno dei più antichi presenti sull'isola: un vero spettacolo osservarne il fitto intrecciarsi delle radici, il tronco massiccio ed i rami rampicanti che si espandevano fino a coprire i fili dell'alta tensione posizionati nelle vicinanze. Il parco venne istituito nel 1959 e successivamente, tra i suoi confini, fu creata una più piccola riserva naturale protetta chiamata Isla Josephina, dal nome della precedente proprietaria dei terreni sui quali sorse, vale a dire l'aristocratica doña Josefa Juana Gabriela de Embil Quesada che qui risiedette in una ricca dimora di cui oggi rimangono solo le affascinanti rovine. In generale, questa è stata la più bella sorpresa del nostro soggiorno all'Havana! Se riuscirete ad evitare i rami pendenti che attentano alla vostra vita durante il viaggio in automobile attraverso questo bellissimo bosco lussureggiante, sbucherete all'improvviso ancora tra le ingombre strade della capitale cubana.

La nostra fermata successiva coincide con il Parque John Lennon: all'interno di questo piccolo giardino pubblico, seduta su una panchina, si trova una statua a grandezza naturale del compianto musicista a cui il luogo è dedicato, circostanza strana se si pensa che la musica dei The Beatles, nel corso degli anni '60 e '70 dello scorso secolo, venne ufficialmente bandita a Cuba in quanto simbolo del consumismo occidentale. Fu addirittura proprio Fidel Castro in persona a proibire la musica dei Fab Four con decreto governativo ufficiale nel 1964. Trentasei anni dopo lo stesso Castro presenziò all'inaugurazione della statua di Lennon, divenuto ai suoi occhi, dopo la sua tragica morte, un simbolo della dissidenza e della ribellione verso la società ed i costumi dell'Occidente. Come si suol dire, solo gli stupidi non cambiano mai idea. La particolarità di questa statua, comunque, è che originariamente era dotata anche dei classici occhiali rotondi indossati abitualmente da Lennon, ma dato che l'accessorio non era saldato al volto della scultura, bensì solo incastrato, venne ripetutamente rubato. Oggi per le stradine sterrate del parco circola così una corpulenta signora che custodisce gli occhiali ponendoli sulla statua solo qualora qualche passante o turista si soffermi a fotografarla. Onestamente ero incredulo quando Ricardo ci ha spiegato la curiosa circostanza, ma quando ho visto avvicinarsi la donna nell'atto di estrarre dalla tasca gli occhiali, beh, sono letteralmente rimasto a bocca aperta ed alquanto divertito dalla situazione. Ci rimettiamo in viaggio sulla Buick e superiamo il Monumento a las Victimas del Maine, memoriale eretto dagli statunitensi in onore dei marinai che morirono nell'affondamento della nave militare USS Maine ad opera degli spagnoli nel 1898. L'episodio, tutt'oggi avvolto nel mistero visto che il relitto della nave venne successivamente inabissato cancellando di fatto i segni dell'accaduto ed impedendo così l'identificazione dei responsabili, segnò l'ingresso degli USA nel conflitto tra spagnoli ed indipendentisti cubani, circostanza che influenzò in maniera determinante l'esito degli scontri nonchè la storia dei successivi decenni sull'isola: grazie all'intervento statunitense i cubani riuscirono infatti a dare un colpo fatale all'esercito spagnolo, vincendo così la battaglia per l'indipendenza. Ma al tavolo delle trattative, tenutosi successivamente a Parigi, inspiegabilmente non furono ospitati diplomatici cubani. Furono invece gli americani a dettare le regole, ponendo di fatto le basi per la propria futura, totale ed indiscussa autorità sulla politica cubana: gli accordi stabiliti comprendevano la possibilità di intraprendere azioni militari sull'isola in caso di necessità ed in maniera del tutto arbitraria, nonchè l'occupazione militare di parte del suolo cubano presso Guantanamo che ancora oggi persiste con il famoso carcere di massima sicurezza balzato all'attenzione della cronaca negli ultimi decenni. Ciò, unito alle naturali difficoltà di una neonata nazione, determinò presto un vuoto di potere politico a Cuba che persistette per 50 anni, fino al colpo di stato di Fulgencio Batista (manovrato nell'ombra sempre dalla potenza USA che ne favorì l'ascesa al potere) e più tardi alla Revoluciòn condotta da Castro. Tornando a noi, di fronte al Monumento a las Victimas del Maine, affacciato sul mare, svetta affilato e tagliente il profilo dell'Hotel Nacional, fino a mezzo secolo fa' il tempio del gioco d'azzardo cubano e che si dice ospitò, nel 1946, la Conferencia de la Habana, un incontro segreto e clandestino tra i principali boss della malavita statunitensi, tra i quali Lucky Luciano, Vito Genovese e Frank Costello, organizzato dall'intermediario della mafia a stelle e strisce Meyer Lansky sotto la copertura di un concerto di Frank Sinatra. L'hotel fu anche teatro nel 1933 di un golpe tentato dallo stato maggiore dell'esercito cubano in rivolta contro l'illegittima salita al potere di Fulgencio Batista: alcuni soldati si barricarono nelle stanze dell'albergo sperando di ottenere l'appoggio dell'ambasciatore USA che vi risiedeva, ma vennero stanati e brutalmente uccisi dalle truppe regolari dopo che costui abbandonò l'albergo rifiutandosi di concordare loro l'aiuto richiesto. Fidel Castro chiuse il casinò dell'Hotel Nacional nel 1960 ed oggi la struttura gode di una fama meno avventurosa e più tranquilla. La nostra corsa a bordo della fiammante e sferragliante Buick decappottabile termina lungo il Malecon, la strada costiera protagonista di quasi tutte le cartoline provenienti da Cuba raffiguranti un mare burrascoso immortalato al tramonto mentre proietta spettacolari spruzzi di schiuma bianchissima lungo la stretta scogliera posta tra la strada ed il mare. Troviamo lo scenario molto diverso e decisamente meno poetico: il mare è calmo ed il cielo grigio minaccia pioggia. Decidiamo ugualmente di fermarci e salutiamo Ricardo e la sua Buick. Ormai agli sgoccioli della nostra visita all'Havana decidiamo di celebrare il successo del nostro soggiorno in città assaporando un buon Mojito e fumando il nostro Cohiba seduti lungo la scogliera. Attorniati da uno strano contesto composto da una bellissima vista sulle acque del mare e, lungo lo sfondo, da palazzi decadenti e decrepiti che sussurrano però un passato di antico splendore nel lamento di una romantica malinconia, accendiamo il nostro sigaro e assaporiamo l'intenso sapore del tabacco cubano. Per pochi minuti però, perché un violento e fugace temporale, fenomeno atmosferico frequente nei mesi estivi a Cuba, ci costringe a rifugiarci sotto i polverosi porticati. Qui scopriamo che i sigari vanno fumati lentamente e non tutti in una volta: nel giro di dieci minuti, infatti, abbiamo già fumato più della metà del sigaro e cominciamo ad avvertire alcuni capogiri, pur essendo stati avvisati che il fumo del sigaro non si aspira come quello delle sigarette ma semplicemente si gusta rigirandolo nella bocca. Cediamo ciò che ne resta ad un simpatico cubano che, poco prima, ci ha aiutato ad accenderlo vedendoci un po' in difficoltà e strappandoci così alcune bramose boccate.

Sotto una pioggerella rinfrescante facciamo ritorno a piedi in Plaza Vieja passando per Calle Obispo, la via pedonale più frequentata dai turisti e quella più fornita di negozi e rivendite. La strada fu realizzata nel 1519 e da allora non ha subito grosse modifiche. Fu battezzata con il nome attuale in onore dei vescovi (obispo in spagnolo) Jeronimo de Lara, che vi abitò nel XVII secolo, e Pedro Agustin Morell de Santa Cruz, il quale era solito percorrerla dalla sua abitazione situata nelle vicinanze. Successivamente fu una delle prime strade asfaltate (se non addirittura la prima) della città. Nel percorrerla vediamo ad un angolo nei pressi dell'entrata di un lussuoso albergo un fitto capannello di persone intento a consultare maniacalmente il proprio smartphone: a Cuba la connessione da mobile è possibile solo in vicinanza degli hotel più grandi, presso i quali è comunque necessario acquistare una sorta di carta di accesso per connettersi alla rete wi-fi. Connessione che, se non si è ospiti dell'hotel stesso, è possibile solo dall'esterno della struttura, fuori sulla strada nei pochi punti dove la rete arriva. Ci fermiamo a prelevare del contante (leggerete di tutto sui forum in internet, ma le carte VISA sono di sicuro funzionanti per i prelievi dagli ATM delle banche presenti in tutte le città cubane) e facciamo ritorno al nostro ostello. Salutiamo l'Havana con una prelibata cena a base di aragosta nella Taberna del Pescador, dietro Plaza Vieja, con una sorprendente consapevolezza: la città, come del resto tutto il paese, è simile ad una fotografia, un'istantanea, qui ed ora. Due ragazzi appoggiati ad un muro lungo una strada buia di periferia, uno sguardo triste ed un sorriso docile; due amanti persi senza meta nel buio della notte tra i marciapiedi della città; una barba candida ed un sigaro ardente; una bambina sui tacchi e l'incedere sensuale delle donne, tenace e sfacciatamente irriverente; un braccio rilassato, quasi rassegnato, appoggiato sul bracciolo di una poltrona nascosta dietro inferriate arrugginite; un bassotto immenso e padrone della via deserta, solitario e con gli occhi stanchi; le risa dei bambini ed i tonfi delle corse sui pavimenti; una donna affacciata sul terrazzo che si trucca nello specchietto da borsa; un uomo cubano che balla con scarpe, cintura e cappello bianchi; la musica. Questa è Cuba. Questa è l'Havana.

La mattina successiva inizia la giornata in assoluto più complicata del nostro viaggio cubano. Di buon'ora ci rechiamo all'Hotel Sevilla, elegante albergo di lusso posto all'estremità dell'Havana Vieja, costruito nel 1908 e celebre per essere stato negli anni '30 il covo della malavita cubana che qui teneva il proprio quartier generale. Abbiamo noleggiato un'automobile con l'operatore statale cubano ViaCar del gruppo Transgaviota e l'appuntamento per il ritiro è alle ore 09:30. Arriviamo in anticipo, pieni di tutto l'ottimismo possibile, davanti all'ufficio di noleggio trovandolo ancora chiuso. Passa il tempo e davanti all'ingresso si accumula una piccola folla in attesa, come noi, di ricevere un'automobile. L'ufficio apre con la lentezza che contraddistingue ogni gesto cubano e per noi inizia lo psicodramma: l'ora indicata per il ritiro dell'auto passa inesorabilmente e ci vediamo passare davanti tutta la folla di persone giunta sul posto dopo di noi. Con innocente candore ci viene spiegato che dobbiamo aspettare perché non siamo accompagnati da una guida turistica, cosa di cui sono invece provvisti tutti i gruppi che ci precedono. Ma manteniamo la calma ed aspettiamo. Quando ormai la folla si è dissolta proviamo a farci avanti chiedendo quando arriverà il nostro turno: i due impiegati, a dire il vero l'uno più acuto dell'altro, ci guardano con disprezzo, ci rivolgono poche secche parole in spagnolo (dopo che abbiamo precisato di preferire l'inglese), prendono visione del nostro voucher e ci impongono di aspettare. Alle nostre domande insistenti ci rispondono che non ci sono più macchine disponibili in rimessa e che non sanno quando l'auto per noi arriverà, si spera nell'arco della giornata. A partire da questo momento comincia per noi un impressinante accumulo di rabbia e frustrazione causato dall'assurdità della situazione (un noleggio auto senza auto!!!) e dalla maleducazione degli impiegati. Nelle cinque ore successive si realizza uno scenario degno dei migliori film tragicomici di Stanlio e Ollio: una guida turistica impietosita ci offre il suo aiuto e telefona da una cabina telefonica all'ufficio centrale della ViaCar per fare pressioni sotto anonimato per non farsi riconoscere visto che ufficialmente non siamo suoi clienti. Nulla. Sconsolato ci dice: "I cubani sono brave persone ma non hanno nessun rispetto per il tempo altrui". Ce ne siamo certamente accorti. Proviamo allora a chiamare l'operatore italiano che ha organizzato per noi il noleggio: si tratta della Cubapoint, agenzia associata all'ambasciata cubana a Milano (assolutamente da evitare!). Spendiamo una fortuna in telefono (a Cuba la tariffa è di 3€ al minuto per le chiamate all'estero) ma riceviamo solo picche e ci viene sbattuto il telefono in faccia. Proviamo ad insistere con i due impiegati ma riscuotiamo solo imperturbabili cenni del capo e sgradevoli "Non so". Ormai disillusi e sfiduciati ci abbandoniamo sui nostri zaini a consumare i nostri bocadito (così chiamano i panini a Cuba) conditi con jamon y queso, consolati solo del fatto che siamo in buona compagnia e che altre persone si trovano nella nostra medesima situazione. Le possibilità di farsi valere sono pari a zero: a Cuba le agenzie di noleggio auto sono tutte a conduzione statale, motivo per cui le tariffe sono altissime e la qualità del servizio pessima. Non sperate pertanto di trovare agenzie internazionali: qui non esistono. Consapevoli di essere nelle mani non molto premurose degli impiegati statali cubani, apprendiamo da chi attende come noi che situazioni di questo tipo sono la regola sull'isola e che le automobili da noleggiare non sono mai abbastanza per coprire tutte le prenotazioni. Pensiamo così di spostarci in un'altra succursale ma ci viene detto che tutti gli uffici della compagnia si trovano nella stessa condizione. Quindi gli unici consigli che posso avanzare sono: noleggiare l'automobile con anticipo, possibilmente ritirarla accompagnati da una guida, munirsi di molta pazienza. Poi finalmente, alle due del pomeriggio, ecco arrivare la nostra auto: una berlina cinese sgangherata e tutta segnata che probabilmente ha già conosciuto i suoi giorni di gloria. Ma ci accontentiamo, riceviamo le scuse, non so quanto sincere, dell'impiegato e scappiamo dalla prigione dell'Havana.

La nostra tappa successiva è Santa Clara, la città in cui riposa il "Che". La vicenda di Ernesto Guevara, a discapito della sua nazionalità argentina, è quella del più venerato, idolatrato, idealizzato eroe cubano: dopo la vittoria della Revoluciòn, a cui contribuì con un ruolo da protagonista, ricoprì per Cuba l'incarico di comandante delle forze armate e di ambasciatore, ricevendo la cittadinanza onoraria già nel 1959. Ma il richiamo alla lotta rivoluzionaria fu troppo forte per questo tormentato guerrigliero la cui personalità si sviluppò tra luci e molte ombre: forse a causa di un'indole irrequieta, violenta ed impetuosa, forse a causa di dissidi sopraggiunti tra lui e Castro dopo la conquista del potere, nel 1965 Guevara si allontanò da Cuba per esportare, in solitudine, la Revoluciòn prima in Congo ed in Sudafrica (dove peraltro diede il proprio contributo nella lotta contro l'apartheid), poi in Bolivia. Qui tra il 1966 ed il 1967 venne arrestato, torturato, mutilato delle mani, ed infine ucciso: la sua salma venne esposta al pubblico scherno e quindi occultata in un luogo segreto. Nelle vicende legate alla sua morte le voci complottiste assicurano il coinvolgimento della CIA e persino di Castro stesso, entrato secondo molti in contrasto con il temperamento indomito del "Che". Il luogo della sua sepoltura venne scoperto solo nel 1997 da una spedizione di antropologi cubani ed argentini: il suo corpo fu ricondotto a Cuba dove gli venne concordato un funerale di stato in Plaza de la Revoluciòn all'Havana al quale parteciparono migliaia di persone. Oggi il suo volto è rappresentato ovunque sull'isola, dalle pareti delle modeste case dei contadini a quelle di caserme e scuole, ancor più di quelli di Fidel e Raul Castro. E nel proseguire il viaggio penso a come la leggenda di "Che" Guevara sia rimasta l'unica in grado di alimentare la fantasia piena di desiderio di indipendenza di un popolo che quotidianamente vive una povertà non subita in seguito alla penuria di risorse ma conseguenza di un imposto regime politico e sociale. E' forse ciò che più si avvicina, per i cubani, ad un'idea concreta di libertà. Oggi la salma del "Che" giace, insieme a quelle di sei compagni caduti insieme a lui in Bolivia e di quattordici combattenti rivoluzionari uccisi in Guatemala, presso il Mausoleo del "Che" Guevara (ufficialmente Conjunto Escultorico-Memorial Comandante Ernesto "Che" Guevara), un maestoso complesso monumentale posto in un'ampia area aperta, silenziosa, tranquilla e verdeggiante, alla periferia di Santa Clara. La tomba è dominata da una statua alta quasi 7m del condottiero ritratto nella posa di chi lancia lontano lo sguardo mentre tiene un fucile stretto in mano: accanto ad essa, su un'alta stele di pietra, sono finemente scolpite le gesta di Guevara nei combattimenti presso la Sierra Maestra, mentre sulla superficie del suo piedistallo è riportata una delle ultime lettere scritte da Guevara a Castro nella quale il "Che" spiega al lìder maximo le motivazioni del suo allontanamento da Cuba. Ciò che fa riflettere su quanto detto circa la figura di Ernesto Guevara è il fatto che i 200.000 abitanti di Santa Clara contribuirono con più di 400.000 ore di lavoro volontario alla costruzione di questo complesso scultoreo, iniziato nel 1982 e terminato solo sei anni più tardi.

Ma Santa Clara non è famosa solamente per questo monumento: qui, nel 1958, si tenne la battaglia decisiva che sancì la vittoria dei barbudos rivoluzionari contro le milizie regolari comandate da Batista. Quest'ultimo infatti, preso alla sprovvista dalla strenua resistenza e dalla caparbia lotta messa in atto dai guerriglieri ribelli, decise di spedire un considerevole contingente di 350 soldati a Santa Clara, dove Guevara e Cienfuegos erano penetrati infliggendo pesanti sconfitte all'esercito regolare e costringendolo alla ritirata. Ma la notizia trapelò e giunse alla conoscenza del "Che", il quale radunò i propri uomini, 18 persone in tutto, confiscò un piccolo bulldozer e con questo, nottetempo, sollevò i binari della ferrovia nel passaggio all'interno della città. Il convoglio, complice l'oscurità della notte, non riuscì ad arrestare la propria corsa per evitare la trappola e deragliò. I soldati ribelli appostati nelle vicinanze completarono l'opera aprendo subito il fuoco e catturando i superstiti. Questo episodio pose di fatto fine all'azione militare condotta da Batista per stroncare la ribellione castrista: il dittatore si diede alla fuga ed andò in esilio prima in Portogallo e poi in Spagna, dove morì 15 anni dopo gli avvenimenti di Santa Clara. Oggi il bulldozer utilizzato da Guevara ed i resti di alcuni vagoni deragliati (su uno dei quali ancora si trova un pesante mortaio) costituiscono il Monumento a la Toma del Tren Blindado, un minuscolo parco storico liberamente accessibile a tutti ed impreziosito dalle sculture dell'artista cubano Josè Delarra, tra i fautori della creazione di questo memoriale. La cura impeccabile del complesso monumentale, privo dei graffiti e delle incurie tipiche di molti nostri importanti siti culturali, è davvero impressionante se si pensa alla povertà di questo popolo ed alla facile accessibilità al sito da parte di chiunque, ma scopriremo anche in seguito che la cura per il patrimonio storico sarà una costante di ogni luogo che visiteremo sull'isola: nessun rifiuto abbandonato in prossimità di memoriali o mausolei, niente fuori posto vicino a palazzi istituzionali o musei, tutto rispettato, conservato ed in ordine. E pensare che sul seggiolino di quel bulldozer giallo ci sia stato uno dei guerriglieri più famosi della storia moderna fa davvero venire un po' di pelle d'oca.

A circa 40km da Santa Clara, verso il mare, si incontra la piccola cittadina di Remedios: in assoluto la più bella scoperta del nostro intero viaggio a Cuba. Basse case coloniali dai colori variopinti, strade strette a formare un lineare labirinto di vie, poche automobili, persone sedute sul ciglio delle strade davanti agli ingressi delle case oppure affacciate sulla via dagli enormi finestroni sempre aperti degli antichi edifici squadrati. E poi i suoni di un posto fermo nel tempo, con il rumore delle ruote dei carretti trainati dai cavalli ed i trilli di campanello delle biciclette che sfrecciano a memoria lungo le strette viuzze, le voci degli abitanti che si salutano al passaggio o chiedono permesso per entrare nelle case. Se cercate la Cuba più originale, genuina e spontanea non potete non passare da qui: posti di questo tipo non sono frequenti sull'isola. Una pregevole sintesi di bellezza storica e di spontaneità nei costumi e nei comportamenti. Tutto questo è Remedios. Al termine del lungo viaggio che ci ha portato qui dall'Havana, veniamo ospitati nella Casa Particular Yohn: il modo migliore per conoscere Cuba ed i cubani, infatti, non è quello di frequentare i ricchi hotel (tra l'altro presenti solo all'Havana) o i comuni ostelli e pensioni (molto rari su tutta l'isola), bensì di soggiornare ospitati da vere famiglie cubane con la possibilità di vivere direttamente a fior di pelle le loro tradizioni, i loro costumi e modi di fare. Questa formula si chiama casa particular: in pratica si viene ospitati in quella che non è una struttura alberghiera vera e propria ma piuttosto l'abitazione di una persona comune che mette a disposizione una stanza o una parte della propria casa per i viaggiatori di passaggio. Una formula davvero vincente a mio avviso, soprattutto alla luce dell'esperienza fatta. Ogni casa particular deve essere autorizzata dal governo cubano che rilascia una licenza ad ospitare viaggiatori, concedendo l'esposizione sulla facciata della tipica insegna composta da un simbolo blu con due archi ricurvi uniti da un tratto verticale e dall'intestazione "Arrendador Divisa": è necessario accertarsi sempre della presenza dell'insegna se si vuole evitare di incappare in problemi. La nostra casa particular a Remedios si è poi rivelata la migliore di tutto il viaggio: i proprietari, un architetto e sua moglie, si sono rivelati gentili, disponibili e sempre sorridenti, le camere erano spaziose ed abbastanza pulite, l'abitazione un vero gioiello dell'architettura coloniale. Il posto giusto dove riposarsi dopo un lungo viaggio.

Il giorno successivo abbiamo troppa voglia di mare per soffermarci a gustare i tesori della città: rimandiamo la visita ad un momento successivo e ci dirigiamo verso la costa. I nostri anfitrioni ci consigliano di spostarci verso Cayo Santa Maria, una delle piccole isole coralline (indicate appunto con il termine cayo) che costellano tutta la costa di Cuba, appartenente, nello specifico, al piccolo arcipelago Jardines del Rey, distante poco meno di 50km da Remedios. Per raggiungerla percorriamo la corta distanza che ci separa dalla costa e imbocchiamo il Pedralpen, stretta e dritta strada lunga 48km che collega il litorale a Cayo Santa Maria, stendendosi in mezzo alle acque oceaniche della Bahìa de Buena Vista. La sua costruzione venne conclusa nel 1988. Percorrerla è quasi come planare sulle acque dell'Oceano Atlantico che circondano da vicino entrambi i lati della carreggiata, larga solo pochi metri. Sembra quasi di essere immersi in una vasta distesa di infinito turchese, un'esperienza davvero curiosa. La strada incrocia in questo modo dapprima Cayo Las Brujas, sul quale sorge uno scalo aeroportuale, quindi il minuscolo Cayo Ensenachos, ed infine giunge a Cayo Santa Maria: forti dei consigli avuti dai proprietari della nostra casa particular, ne percorriamo l'intera estensione fino a raggiungerne l'estremità orientale. Ci addentriamo all'interno del Refugio de Fauna Cayo Santa Maria, un'area naturale protetta posta sulla superficie del cayo, ed abbandoniamo l'auto all'accesso custodito del Sendero Playa las Gaviotas: paghiamo la necessaria quota di ingresso di 4CUC a persona e ci incamminiamo lungo il sentiero che ci porterà alla spiaggia. La camminata, davvero gradevole e non molto lunga (complessivamente circa 100m), si snoda all'interno di una magnifica macchia di vegetazione, oltrepassa il piccolo bacino palustre chiamato Cuna del Mar sopra strette passerelle di legno, e sbuca su una spiaggia bianchissima e davvero meravigliosa. Playa Las Gaviotas è probabilmente una delle spiagge più belle di tutta la costa settentrionale cubana: la sabbia bianchissima ed un panorama mozzafiato aperto a perdita d'occhio sulle acque celesti dell'Oceano Atlantico è difficile che trovino altrove rivali degni di un confronto alla pari. Non ci sono strutture alberghiere direttamente affacciate sulla spiaggia, solo centinaia di metri di litorale libero e paradisiaco. Ci sono invece minuscole capanne dismesse che possono liberamente essere occupate da chiunque, ma che sono comunque troppo poche ed è un peccato perché costituiscono l'unica possibilità d'ombra in una spiaggia completamente esposta al caldo Sole caraibico. Ma tant'è, ci accomodiamo vicino alla battigia decisi a goderci lo spettacolo. Presto però scopriamo che qualcosa trama crudelmente contro di noi: a poche ore dal nostro arrivo, scure nubi temporalesche si addensano minacciosamente all'orizzonte ed in breve la pioggia scroscia sulla spiaggia. Non essendoci, come detto, ripari sotto cui rifugiarsi siamo costretti alla ritirata. Lanciamo un ultimo sguardo al mare spettacolarmente incoronato dalle plumbee tinte del temporale e, soddisfatti comunque di aver potuto vedere questo bellissimo luogo, facciamo ritorno alla nostra automobile. Ripercorriamo a ritroso il Pedralpen fermandoci ad un piccolo chiosco posto davanti all'aeroporto di Cayo Las Brujas, dove gustando un gelato confezionato facciamo compagnia al solitario gestore che ci spiega di non avere avventori da quando lo scalo aeroportuale è stato chiuso dal governo al fine di modernizzarlo e renderlo più funzionale al collegamento aereo con l'Havana. Nel frattempo trascorre da solo le sue giornate con l'unica compagnia della radio e di qualche curioso viaggiatore che di tanto in tanto si ferma a chiacchierare con lui. Ci rimettiamo in viaggio ed in breve giungiamo al checkpoint di ingresso al Pedralpen, costantemente presidiato da militari e presso il quale è obbligatorio il pagamento di 2CUC ad ogni transito, sia in entrata sia in uscita. E' proprio uno dei soldati di pattuglia presso il posto di blocco a farci notare che la nostra automobile ha una ruota a terra, contrattempo che ci obbliga ad una sosta forzata presso una vicina stazione di servizio per correggere il guasto: un'ulteriore prova, nel caso ce ne fosse stato bisogno, della scarsa prestanza del nostro mezzo di trasporto.

Il maltempo ci regala la possibilità di visitare con più calma il centro storico di Remedios: la città, il cui nome per esteso sarebbe San Juan de los Remedios in onore del santo patrono San Giovanni Battista, fu originariamente fondata sulla costa agli inizi del XVI secolo, ma in seguito ad un incendio causato da un'incursione pirata venne presto spostata nell'entroterra alla ricerca di una maggiore protezione. In realtà le sue origini sono tutt'oggi oscure e misteriose: si fa risalire la sua fondazione ad un periodo compreso tra il 1513 ed il 1524 ad opera del nobile spagnolo e possessore terriero Vasco Porcallo de Figueroa, il quale mantenne il villaggio da lui fondato segreto e nascosto alla Corona Spagnola per evitare il pagamento di dazi e tasse al governo coloniale. Ma l'agglomerato urbano crebbe inaspettatamente molto in fretta e presto Figueroa dovette ammetterne l'esistenza. Purtuttavia il villaggio venne ufficialmente dichiarato città solo dopo la morte di Figueroa, visto che venne assemblato da quest'ultimo intorno ad un vasto appezzamento di terreno ricevuto in concessione come area coltivabile dal governatore dell'isola e pertanto, secondo la legge spagnola, l'abitato doveva essere considerato fino alla morte del proprietario un feudo e non una città vera e propria. Nelle decadi successive l'economia di Remedios si sviluppò soprattutto nelle coltivazioni di tabacco, caffè e zucchero, e nell'allevamento di bovini dei quali la città divenne il primo fornitore alla colonia spagnola della Florida. Nel 1689 un importante contenzioso sorse tra gli allevatori locali a causa del religioso Gonzalez de la Cruz, il quale sostenne che le forze sataniche avevano preso possesso del luogo: ciò spinse la Corona Spagnola ad emanare un regio decreto datato 29 gennaio 1684 nel quale si ordinava di trasferire l'insediamento in un luogo diverso. Solo 13 famiglie lasciarono la città per trasferirsi, il 15 luglio 1689, nel nuovo villaggio che diventò la città di Santa Clara. Il piccolo e raccolto centro storico di Remedios cela così ancora oggi al suo interno sorprese incredibili ed unicità preziosissime. La piazza principale, Plaza Martì, è l'unica piazza cubana sulla quale sorgono contemporaneamente due chiese, separate tra loro solo da antichi edifici coloniali e da un vasto piazzale alberato: la chiesa principale è la Iglesia Mayor de San Juan Bautista, la cui leggenda racconta di come in seguito ai numerosi attacchi corsari cui la città venne sottoposta in antichità (principalmente ad opera del pirata François l'Olonnais) gli elementi d'oro in essa contenuti venne completamente celati ricoprendoli con uno spesso strato di vernice bianca. Molto tempo dopo, nel 1944, il ricco filantropo cubano Eutimio Falla Bonet giunse a Remedios sulle tracce del proprio albero genealogico, scoprendo che proprio uno dei suoi antenati era stato uno dei fondatori della città: iniziò a ristrutturare le principali costruzioni del luogo, tra le quali, ovviamente, anche la chiesa, riportando così alla luce i preziosissimi arredi dorati. Oggi l'interno della chiesa custodisce un meraviglioso altare decorato e la copia perfetta della Virgen del Buen Viaje, una statuetta della Vergine Maria il cui destino è invece legato direttamente alla seconda chiesa che si affaccia su Plaza Martì. Si tratta della Iglesia de Nuestra Señora del Buen Viaje ed oggi si trova purtroppo in stato di abbandono e trascuratezza, dissestata e cadente come la osserviamo. La leggenda narra che in un cupo giorno di pioggia dell'ottobre 1600 un pescatore uscì insieme a due amici con la propria barca a pescare nel tratto di mare antistante la città di Remedios. I pescatori vennero sorpresi da una violenta tempesta e proprio mentre si stavano preparando a tornare indietro avvistarono in mezzo alle onde, alla deriva, una scatola di legno lunga poco meno di un paio di metri, la quale con forza colpì la loro imbarcazione: sorpresi dal ritrovamento inaspettato i tre pescatori decisero di raccoglierla per salvarla dai flutti, non senza sforzo e con il rischio di sprofondare nelle acque. Una volta in salvo a terra, aprendo la cassa trovarono un'immagine della Vergine Maria scolpita in legno. "Abbiamo fatto un buon viaggio, un buon viaggio, sì!", ripetè il pescatore agli altri due: essi convennero di chiamare l'immagine Virgen del Buen Viaje. In quell'epoca, all'angolo dell'attracco presso il quale erano sbarcati i pescatori abitava un uomo che viveva lui stesso di pesca: i tre amici decisero di affidargli temporaneamente la statua della Vergine Maria. Il giorno successivo, venuto a sapere del ritrovamento, il sacerdote della città fece visita alla casa dell'uomo e, una volta giunto, gli disse che l'immagine sacra a lui consegnata apparteneva alla Chiesa e che quindi sarebbe dovuta essere posta sull'altare della Iglesia Mayor de San Juan Bautista. E così fu disposto. Ma la mattina seguente il prete, entrato nella chiesa per la preghiera mattutina, vide che la statua era sparita e che era miracolosamente tornata da sola nella casa del pescatore. Si decise così di costruire una seconda chiesa nel luogo presso il quale sorgeva l'abitazione dell'uomo poiché, si diceva, la Vergine Maria aveva scelto il proprio posto in città per vivere: nacque così la Iglesia de Nuestra Señora del Buen Viaje. Purtroppo, successivamente nel XVIII secolo, durante un rogo che colpì la chiesa la statua della Virgen del Buen Viaje venne irrimediabilmente danneggiata ed andò perduta, ma ci si adoperò per creare una copia perfetta dell'opera che da allora risiede al sicuro in una teca nella Iglesia Mayor de San Juan Bautista. In compenso sulla Iglesia de Nuestra Señora del Buen Viaje si impresse il segno della mano del tempo: cadde in disuso a favore della dirimpettaia, utilizzata regolarmente dalla cittadinanza per le celebrazioni religiose e quindi meglio conservatasi nel tempo. Oggi non è comunque difficile cogliere la gloria e lo splendore che la chiesa conobbe un tempo, soprattutto nel profilo dello splendido campanile e nel pregiato soffitto in legno. E la lunga attesa degli abitanti di Remedios per l'arrivo di fondi stanziati per la ristrutturazione del prezioso tempio religioso si dice essere ormai agli sgoccioli. Un luogo comunque intriso di storia e leggenda ben percepibili mentre si cammina tra le sue volte buie. La religione del resto è un po' il filo conduttore di questa tranquilla e modesta cittadina: Remedios è infatti famosa a Cuba per le Parrandas, festeggiamenti carnevaleschi atti a celebrare la vigilia del Natale. La festa venne inizialmente promossa nel corso del XVI secolo da padre Francisco Vigil de Quiñones, il sacerdote della città, il quale era preoccupato per la scarsa presenza dei parrocchiani alla Misa del Gallo, la messa di mezzanotte di Natale. Ebbe così l'idea di incoraggiare i bambini a scendere in piazza a svegliare gli abitanti con fischietti, corni e lattine, in modo che essi non avessero altra scelta che svegliarsi e partecipare alla messa. Quell'iniziativa singolare e rumorosa ottenne grande richiamo tra la popolazione, generando di fatto la festa più popolare del paese. Secondo la tradizione, quando le campane della Iglesia Mayor de San Juan Bautista suonano nella notte del 24 dicembre, due quartieri rendono pubblica la loro creatività e gli sforzi fatti durante tutto l'anno per partecipare alla festa: nel corso delle Parrandas (termine che si riferisce ad una danza popolare spagnola, usato in senso lato per indicare i festeggiamenti) un concorso feroce si svolge tra il Barrio de San Salvador (rappresentato dai colori rosso e blu, ed un gallo come simbolo) ed il Barrio El Carmen (rappresentato dal colore marrone e un globo come simbolo), al ritmo di musica ed attraverso la realizzazione di carrozze, costumi e scenografie che vengono allestite in Plaza Martì. Ma a parte ciò, Remedios è un tesoro tutto da scoprire: intorno alla piazza le vie sembrano formicai in continuo movimento e le strade non sono mai deserte. Accogliamo il tramonto seduti in una biblioteca del centro storico intenti a giocare, tra cubani, una partita di scacchi. Passeggiare per le vie di Remedios, in conclusione, è davvero un piacere: una tappa immancabile, posso dire con certezza ora che ci sono stato, per chiunque voglia organizzare il proprio viaggio a Cuba. Salutiamo questo luogo nascosto e spesso, fortunatamente, fuori dalle rotte delle masse di turisti con una prelibata aragosta preparateci dalla nostra squisita padrona di casa, il tutto accompagnato da fagioli, verdura, frutta fresca, riso bianco e dell'ottimo succo di mango. Pasto abbondante e sopraffino. Capiamo subito che cenare nelle casas particulares è un vero affare: si mangia benissimo e si spende pochissimo (canonicamente 10CUC a persona).

Lasciamo quasi a malincuore Remedios per dirigerci verso la nostra tappa successiva: ci attende un lungo viaggio di quasi 600km fino a Santiago de Cuba. Subito ci rendiamo conto che quanto abbiamo visto finora in termini di viabilità non vale per la parte dell'isola all'interno della quale ci stiamo addentrando. Dall'Havana a Santa Clara abbiamo infatti percorso l'Autopista Nacional, un'autostrada a due carreggiate e a tre corsie ciascuna che ci ha permesso di arrivare a destinazione in fretta ed in maniera abbastanza agevole. Poco più avanti di Santa Clara, l'Autopista si arresta continuando in strade di portata minore: da qui in poi la regola è costituita da strade strette a carreggiata unica e a due corsie, ingombre di carretti trainati da cavalli o buoi, decine di persone in bicicletta, improbabili motocicli che procedono a passo d'uomo, sidecar instabili che tengono l'intera larghezza della strada, bicitaxi, camion dell'anteguerra fermi all'epoca in cui il filtro antiparticolato era pura fantascienza e che riversano nubi dense e nere dallo scarico su chiunque si trovi a tiro, carri bestiame della stessa epoca che al posto di animali trasportano persone. E poi ancora galline, vitelli, cavalli, asini, cani, gatti, pecore, capre e chi più ne ha più ne metta. Strade che, tra l'altro, attraversano regolarmente i centri abitati. Ovunque si trovano cartelli propagandistici ai lati delle carreggiate ad affermare "Patria o Muerte" o "Fidel Siempre Entre Nosotros". Decine e decine di autostoppisti ad ogni angolo ed incrocio. Autobus sgangherati che sostano a fermate disperse nel deserto della campagna cubana. Insomma, tutto ciò che potete immaginare possa rallentare il viaggio di un'automobile. Inoltre occorre sempre fare attenzione alle condizioni dell'asfalto che in un punto sembra a posto e centro metri più in là si apre in pericolose voragini che mettono a repentaglio l'integrità del mezzo di trasporto su cui viaggiate. Niente semafori. Segnaletica stradale pressochè inesistente. In altre parole, guidare per le strade di Cuba non è semplice e richiede costante attenzione: fare poche decine di chilometri può rivelarsi tanto faticoso quanto farne centinaia. L'unica cosa che aiuta è la semplicità dei percorsi: le strade sono poche e portano in genere tutte negli stessi luoghi. Inoltre c'è da dire che si trovano stazioni di servizio un po' ovunque, anche nel più piccolo dei villaggi sperduti di campagna, di modo che il pericolo di rimanere senza carburante, almeno, è scongiurato.

Imbrocchiamo la Carretera Norte e ci fermiamo subito a Yaguajay, piccolo villaggio disperso nella parte centrale di Cuba. Qui acquistiamo un casco di banane al costo equivalente di pochi centesimi di Euro: ci viene spiegato che ogni cubano, di qualunque estrazione sociale, ricco o povero che sia, ogni mese riceve un quantitativo prestabilito di viveri e beni di prima necessità dietro presentazione di una tessera sociale ai rivenditori. Questi prodotti vengono venduti da modesti dispensari o in piccoli mercati al prezzo di pochissimi CUP. Acquistare qualcosa presso queste rivendite è impossibile con i CUC di cui dispongono gli stranieri, ma può capitare che gli esercenti scambino i CUC con i propri CUP ed allora si ha la possibilità di procurarsi alimenti, frutta o qualsiasi altra cosa troverete, a prezzi rasenti lo zero, essendo applicate qui le tariffe ufficiali per i cittadini cubani. Cambiare ed acquistare in CUP, in generale, è la cosa più conveniente a Cuba. Compriamo quindi il nostro casco di banane e dedichiamo pochi minuti a visitare l'unico sito monumentale presente nel villaggio. Qui infatti, presso il Museo Nacional Camilo Cienfuegos, si trova un memoriale dedicato all'eroe della Revoluciòn che proprio qui ottenne una delle sue vittorie in battaglia più gloriose contro le milizie di Fulgencio Batista. Il monumento dedicato a Cienfuegos appare molto simile a quello del "Che", anche se di dimensioni più modeste, ed infatti una statua dell'eroe con il suo tipico cappello da cowboy domina, come per la tomba di Guevara, l'intero complesso. Il monumento di Yaguajay però non ospita la salma di Cienfuegos, il quale morì in circostanze misteriose nel 1959 precipitando con il proprio aeroplano mentre sorvolava la regione di Camagüey. Il suo corpo, così come il velivolo sul quale viaggiava, non fu mai ritrovato. Sono in molti a dire che il disastro fu architettato da Castro che in Cienfuegos cominciava ad intravedere un concorrente alla detenzione del potere. Davanti al memoriale si trova la caserma che egli conquistò in combattimento alla guida di un piccolo carro armato, il Dragon I, attualmente installato come un monumento davanti all'entrata della caserma stessa, oggi divenuta invece un ospedale.

Riprendiamo il viaggio: abbiamo appena cominciato a percorrere la lunga strada che ci attende. Giunti a Moròn ci dirigiamo a sud per ricongiungerci alla Carretera Central, cosa che facciamo all'altezza della città di Ciego de Avila, il capoluogo di provincia più moderno di tutta Cuba (venne fondato solo nel 1840). Questa cittadina deve il proprio nome ad un mercante locale, Jacomè de Avila, al quale nel 1538 fu assegnato dalla Corona Spagnola lo sfruttamento di un vasto terreno nella zona. La piccola radura (ciego in spagnolo) da lui governata divenne poi, con il tempo, importante crocevia per viaggiatori e commercianti. A Ciego de Avila consumiamo un poco soddisfacente pasto a base di bocadito presso una sorta di tavola calda che a Cuba chiamano El Rapido...in verità, come potevamo immaginare, di rapido ha solo il nome. Ci rimettiamo in viaggio lungo la Carretera Central e maciniamo ancora chilometri su chilometri. Raggiungiamo la cittadina di Florida, nulla di più lontano dall'omonimo stato USA. Oltrepassiamo Camagüey ed arriviamo a Las Tunas, città celebre più per essere la capitale del turismo sessuale cubano piuttosto che per il suo patrimonio culturale. Ci fermiamo quindi per bere qualcosa di fresco: a proposito, Cuba è forse l'unico luogo al Mondo dove non esiste Coca-Cola o Pepsi, vendono invece delle bevande zuccherate molto simili che chiamano refrescos e che sono commercializzate dalla ditta statale Ciego Montero, la quale fornisce anche una delle pochissime marche di acqua in bottiglia disponibili sull'isola. Mentre sorseggiamo le nostre bibite ci rendiamo improvvisamente conto che la giornata volge già al termine: abbiamo guidato per quasi sei ore dalla mattina presto e la strada che dobbiamo coprire è ancora molta. Non ci lasciamo prendere dal panico e decidiamo di rischiare: depenniamo Santiago de Cuba dall'itinerario e stabiliamo di dirigerci alla più vicina Santo Domingo, che peraltro avremmo dovuto raggiungere il giorno successivo da Santiago de Cuba coprendo ancora un numero impressionante di chilometri. Correggiamo l'errore nel nostro itinerario e ci rimettiamo in marcia. Dopo Las Tunas abbandoniamo la Carretera Central e ci spostiamo ancora più a sud lungo la Carretera 152, oltrepassando un'area rurale molto ricca di ranchòn, vale a dire delle specie di agriturismi cubani un po' fattorie ed un po' ristoranti. Attraversiamo infiniti campi coltivati a canna da zucchero ed arriviamo a Bayamo con ormai addosso la stanchezza di un viaggio in auto infinito: questa città è celebre per essere stata la prima in cui venne cantato l'inno nazionale cubano. Da Bayamo la Carretera 4, dismessa e piena di buche, conduce al villaggio chiamato Bartolomè Masò addentrandosi nella più isolata campagna cubana. Da Bartolomè Masò si dipana una strada da incubo, tutta buche, saliscendi e dossi, che si addentra tortuosa nella parte più selvaggia di Cuba fino a raggiungere il villaggio di Santo Domingo: ripensandoci ancora oggi, percorrerla è stata un vero supplizio. Prima di raggiungere il centro abitato una ripida salita a pendenza vertiginosa mette in seria difficoltà ogni automobile che si trovi a passare da qui. Santo Domingo è una sola strada e poche modeste case immerse nella foresta tropicale, una scuola, un ambulatorio medico, e l'Hotel Villa Santo Domingo che abbiamo prenotato per il giorno successivo: speriamo che possa ospitarci una notte in più dato che ritornare indietro, ora che è calata la sera, è assolutamente impossibile. Non siamo fortunati: l'albergo è al completo. Ma la gentile receptionist ci indica una vicina casa particular posta dietro l'hotel e sulle rive del Rio Yara, il torrente che costeggia tutto il villaggio. Guadiamo il fiume in secca e veniamo così ospitati nella Casa Particular Sierra Maestra che fortunatamente ha una camera libera per noi. Il successo del nostro cambio di programma viene però letteralmente sconvolto da un avvenimento imprevisto: la nostra automobile ci ha abbandonato non appena abbiamo messo piede nel parcheggio dell'hotel e ad ogni nostro tentativo di riavviarla non dà segni di vita. Considerate di trovarvi in mezzo al nulla, dove non esistono negozi o servizi, tanto meno un'officina. Considerate che l'unico vostro collegamento con la civiltà sia un'auto che non parte e che l'agenzia che ve l'ha noleggiata ha dato prova di non essere proprio tra le più professionali (infatti nessuno ci ha risposto al servizio di assistenza H24 indicatoci al momento del noleggio). Cosa fareste? Semplice! Chiedete ai cubani e nulla sarà impossibile. Il simpatico e bonario padrone della casa particular, di nome Ulyses, ci presenta suo figlio il quale ci dà appuntamento alla macchina per la mattina successiva. Rinvigoriti di speranza stemperiamo lo stress con un'ottima cena a base di zuppa di pollo e cerchiamo di ricaricare le pile con una notte riposante. Lo stress della giornata appena trascorsa svanisce magicamente quando, di ritorno dal parcheggio al quale ci siamo recati per controllare un'ultima volta l'automobile, alzando lo sguardo al cielo veniamo investiti da un mare di stelle che sembrano caderci addosso: non avevo mai visto un cielo simile! In assoluto è questo uno dei ricordi sorprendentemente più intensi di tutto il viaggio, e distogliere lo sguardo dalla volta celeste, percorsa come un nastro da una grandiosa Via Lattea, è stato davvero, davvero, difficile. La mattina successiva Aleksej, il nostro uomo, ci attende all'automobile pronto ad aiutarci: apre il cofano, formula la diagnosi. I morsetti della batteria sono allentati e vanno stretti. Chiama a gran voce un amico di passaggio in quel momento per la strada e tutti insieme ci dirigiamo ad una vicina baracca; qui l'amico tira fuori la propria cassetta degli attrezzi ed in quattro e quattr'otto il guasto è riparato. Meravigliato scopro che i nostri salvatori non vogliono compenso per l'aiuto prestatoci. Questo è il vero spirito della gente di Cuba, semplice ma dalla generosità infinita.

La parte sudorientale di Cuba appartiene indiscutibilmente alla Natura. Qui a dominare è il paesaggio della Sierra Maestra, la catena montuosa più imponente del paese, distesa tra le provincie di Granma e Santiago de Cuba a costituire il Gran Parque Nacional Sierra Maestra, l'area naturale tutelata più imponente di tutta l'isola. Noi, dispersi come uno spillo in mezzo ad un enorme e rigoglioso prato verde, ci siamo proprio dentro: Santo Domingo è in effetti uno dei centri abitati più grandi (ben 50.000 abitanti) presenti sui territori del parco, incastrato in una stretta valle silvestre lungo il decorso del Rio Yara. Qui l'attrazione principale è rappresentata dall'incredibile distesa verde di foresta tropicale nella quale non si può non avere l'impressione che l'essere umano sia solamente un ospite: per quanto mi riguarda, uno dei paesaggi più impressionanti e stupefacenti che abbia mai potuto vedere. Partiamo da Santo Domingo subito dopo esserci occupati del guasto all'automobile per addentrarci, oltrepassando la cancellata del Centro de Informacion de Flora y Fauna, nella parte più selvaggia ed incontaminata di questo ambiente. Accompagnati dalle guide dell'agenzia Ecotur (il cui ufficio si trova nella hall dell'Hotel Villa Santo Domingo) ci inerpichiamo a bordo di potenti e moderne vetture 4x4 lungo ripidissime salite, fortunatamente asfaltate, che registrano un dislivello complessivo di 750m in soli 5km di distanza. Raggiungiamo così la località Alto del Naranjo, ad un'altezza di 950m s.l.m., un piccolo belvedere dal quale si ha già la possibilità di godere di una bellissima vista sulla foresta circostante. Da qui si diramano due distinti sentieri: il primo conduce, in circa tre giorni di cammino, alla vetta più alta della Sierra Maestra (il Pico Turquino, 1.974m), mentre il secondo, più breve, porta alla Comandancia de la Plata.

Prima di intraprendere quest'ultimo cammino è necessaria una piccola digressione storica. Dopo la scarcerazione ottenuta tramite grazia, Fidel Castro lasciò immediatamente Cuba per rifugiarsi in Messico: i suoi progetti, nonostante la disfatta subita nell'assalto condotto a Santiago de Cuba, erano ben lungi dall'abbandonare le sue radicate idee rivoluzionarie. In terra straniera cominciò così a radunare un piccolo esercito di combattenti e ad impiegare tutto il proprio denaro per acquistare dal mercato statunitense armi e munizioni: con il senno di poi, è incredibile osservare come il cinico commercio non guardi davvero in faccia a nessuno! Tra i guerriglieri idealisti da lui radunati si trovava anche un giovane medico argentino, giunto in Messico dopo aver percorso in motocicletta l'intero Sudamerica e chiamato con uno strano soprannome a causa della parola che utilizzava costantemente come intercalare nei suoi discorsi: si chiamava Ernesto Guevara, detto il "Che", e Castro lo ingaggiò con il ruolo di sanitario. Non poteva immaginare che sarebbe diventato, a breve, l'icona più potente della Revoluciòn da lui architettata. Tra gli altri c'era anche Camilo Cienfuegos il quale, invece, fu arruolato come l'ultimo nelle gerarchie dei guerriglieri in quanto si dice fosse l'unico di loro a non possedere un addestramento militare. Diventerà poi noto come il Comandante del Pueblo. Una curiosità nostrana: tra i guerriglieri di Castro si trovava anche un italiano, Gino Donè Paro, ex partigiano in Italia durante la II Guerra Mondiale e, dopo essere emigrato a Cuba, militante dello stesso Partito Ortodosso al quale apparteneva originariamente anche Castro. Nel 1956 Fidel ed i suoi 81 uomini si imbarcarono così con viveri, munizioni, armamenti e scorte di carburante sul Granma alla volta delle coste cubane. Sbarcarono nelle regioni della Sierra Maestra grazie all'intermediazione di Frank Pais, giovane rivoluzionario cubano fedele al M-26-7. Ma l'esercito di Batista, informato della partenza della spedizione ribelle, venne schierato per tempo lungo il litorale in attesa dello sbarco: il risultato fu una carneficina. La milizia di Castro fu decimata e lo stesso Fidel fu costretto a darsi alla fuga insieme a due compagni. Si nascose per quattro interminabili giorni all'interno di una grande piantagione di canna da zucchero, nutrendosi solo del succo di questa pianta, muovendosi continuamente accovacciato tra le fronde per sfuggire ai soldati che costantemente gli davano la caccia e dormendo con un fucile puntato alla testa per evitare, nel caso, di essere catturato vivo. Ormai stremato dalla fatica e quasi abbandonata la speranza di trovare una via d'uscita, riuscì infine a raggiungere i crinali della Sierra Maestra e a darsi alla macchia tra la sua folta vegetazione. Convinto di essere incappato in un'altra disastrosa sconfitta, Castro scoprì invece inaspettatamente di non essere l'unico sopravvissuto dello sbarco. Radunò i dispersi e dispose ai suoi seguaci di creare molteplici campi base militari dislocati tra le impenetrabili profondità della foresta tropicale, sui versanti della Sierra Maestra, in attesa di ricevere rifornimenti, viveri ed armamenti. In tale direzione fu fondamentale l'aiuto dei campesinos della regione, i quali clandestinamente cominciarono ad ospitare e ad aiutare i guerriglieri ribelli fornendo loro cibo e acqua. Nel 1957 il lìder maximo realizzò una mossa inaspettata ed a suo modo geniale dal punto di vista tattico: Castro concordò un'intervista con il giornalista statunitense Herbert Matthews dal suo nascondiglio segreto nella Sierra Maestra. Il fine era quello di farsi pubblicità positiva, accattivarsi simpatie internazionali e ricevere di conseguenza aiuti a sostegno della lotta clandestina. Cosa inevitabile in quella che balzò subito agli onori della cronaca come la replica moderna della lotta tra il gigante cattivo Golia ed il piccolo ed ambizioso Davide. Sostenuti in tal modo e attuando azioni militari isolate e fugaci, i ribelli barbudos inflissero dapprima piccole sconfitte alle milizie regolari, sottraendo ad ogni successo armi e munizioni, quindi sconfitte via via di portata sempre maggiore: fu questo l'inizio della rivoluzione più grande e disperatamente di successo della storia dell'umanità. Fidel Castro, dopo anni trascorsi a spostarsi continuamente all'interno della foresta tropicale per non farsi scovare, si stabilì infine presso quella che diventerà la Comandancia de la Plata: un complesso di poche capanne nascoste dalla macchia tropicale i cui resti oggi costituiscono un vero museo a cielo aperto. Da qui coordinava, tramite una fitta rete di messaggeri, le operazioni degli altri numerosi avamposti dispersi all'interno della Sierra Maestra. Da qui partirà una trionfale marcia verso una vittoria insperata e mai ripetuta nel corso della storia
Tornando a noi, ci mettiamo in cammino da Alto del Naranjo verso la Comandancia de la Plata in compagnia di un piccolo gruppo di italiani e di una guida silenziosa. Il sentiero devo ammettere non essere dei più panoramici: per la quasi totalità risulta infatti immerso in una specie di tunnel di vegetazione e gli scorci sulla vallata sono davvero rari. Ma come si dice: pochi ma buoni! La distanza totale da percorrere per arrivare ai resti dell'accampamento ammonta a circa 3km, ma già a metà strada si incontra un significativo luogo che merita una sosta: sopra un piccolo altopiano aperto su un bellissimo panorama schiuso sulla vallata sottostante giacciono i resti di quella che in passato fu Casa Medina. Questa residenza, che doveva essere una magnifica abitazione, apparteneva ad Osvaldo Medina, un ricco possidente terriero, e di fatto fu ed è ancora oggi il luogo abitato più prossimo alla Comandancia di Castro: si dice che il sostegno materiale di Medina a Fidel fu fondamentale e che da qui passassero tutti i rifornimenti, le armi e le informazioni che dovevano arrivare alla base clandestina. Medina fu quindi una pedina fondamentale per la guerriglia rivoluzionaria: non rivelò mai la posizione di Castro e dei suoi, ed alla sua morte, nel 1992, la sua abitazione divenne parte del sito storico della Comandancia stessa. A poco più di 1km da qui una recinzione di filo spinato annuncia l'entrata nell'area dei resti del campo militare e la guida ci informa che da questo punto in poi non è più possibile scattare fotografie se non dietro pagamento di un compenso di 10CUC. Rinunciamo e cerchiamo anzi di goderci fino in fondo il luogo. La Comandancia de la Plata venne abitata da Fidel Castro e da 25 dei suoi uomini per sette mesi nel 1958 e fu l'ultimo nascondiglio di Castro nella Sierra Maestra. Guevara e Cienfuegos non abitarono mai nello stesso campo in cui risiedeva Fidel, ma piuttosto occuparono altri avamposti nelle vicinanze, sempre all'interno della foresta: il rischio di un'imboscata da parte delle milizie regolari era troppo grande ed almeno uno dei tre grandi condottieri doveva sopravvivere. Ad ogni modo, la precisa collocazione della Comandancia non venne mai scoperta e, di conseguenza, il luogo non fu mai messo direttamente sotto attacco dall'esercito cubano. Gli accampamenti clandestini all'interno della Sierra Maestra vennero infine abbandonati con l'avanzata dei guerriglieri ribelli, che a partire dal 1958 costrinsero progressivamente alla ritirata l'esercito regolare. Dal 1958 al 1991 la Comandancia de la Plata, l'unico accampamento ribelle risalente a quell'epoca rimasto conservato, cadde in un trascurato stato di abbandono e subì gravi danni. In questo periodo l'area venne nominata riserva naturale e l'accampamento fu dichiarato avamposto militare d'emergenza presso il quale trovare nuovamente rifugio solo in caso si fossero concretizzate gravi ed inevitabili minacce politiche o militari nel paese. Per tale motivo non fu abitato e rimase chiuso a qualsiasi tipo di visita. Nel 1986 venne intrapreso un progetto di rimodernamento che condusse alla costruzione della ripida strada asfaltata che collega Santo Domingo all'Alto del Naranjo. Solo dopo il 1991 gli edifici della Comandancia vennero ristrutturati ed aperti al pubblico, ed a partire da tale data venne previsto un servizio guida per accompagnare viaggiatori e turisti a visitarne i luoghi. La prima costruzione che si incontra una volta superato il recinto di filo spinato è il Postal n°1, una piccola capanna in legno con il soffitto di foglie di palma essiccate che serviva come postazione di controllo, sorvegliata giorno e notte da soldati armati assegnati alla verifica di tutto ciò che entrava o usciva dall'accampamento. Poco più su si giunge ad una radura aperta che la guida ci spiega essere stata appositamente creata nel 1978 disboscando la vegetazione presente per creare una pista di atterraggio per elicotteri: l'occasione fu la visita che Castro fece alla Comandancia circa 20 anni dopo averla abbandonata. In un angolo di questa radura si trova una capanna museo contenente la fotocronostoria degli eventi legati a questi luoghi, oltre a cimeli originali dell'epoca, tra cui la macchina da scrivere usata dai ribelli per scrivere dispacci e messaggi, la macchina fotografica a soffietto utilizzata per scattare molte delle fotografie che documentano ancora oggi quegli anni di lotta, e la cucitrice adoperata dalle donne per confezionare o riparare le divise all'interno dell'accampamento. Quella delle donne è stata in effetti, sorprendentemente, una presenza fondamentale per i ribelli, persino all'interno dei campi militari: la più celebre fu Celia Sanchez, segretaria personale di Fidel e vero simbolo della Revoluciòn al femminile, la quale risiedette con Castro ed i suoi 25 compagni all'interno della Comandancia de la Plata partecipando materialmente alla lotta clandestina. Accanto al piccolo museo si colloca la lapide che contrassegna la tomba del capitano Geonel Rodriguez, ferito a morte durante i combattimenti a Santo Domingo e trasportato alla Comandancia per essere medicato. Morì e fu seppellito all'interno del campo. Circostanza alquanto singolare in quanto la guida ci spiega infatti che i feriti non venivano mai trasportati all'interno della Comandancia, dove risiedevano solo Castro e la sua scorta, ma venivano condotti in un piccolo ospedale da campo posto più a valle, di modo che, nel caso fossero stati sorpresi e catturati dall'esercito, non avrebbero potuto conoscere e rivelare l'esatta posizione dell'accampamento del lìder maximo. Di fronte alla tomba si trova la Casa Almacen, un piccolo magazzino dentro il quale venivano stivate le provviste: all'esterno è ancora presente un largo contenitore di legno coperto da una tettoia destinato a contenere le scorte di patate dolci. Dallo spazio aperto della radura è possibile osservare anche la cima montuosa circondata da vegetazione sopra la quale sorgeva la vecchia stazione radiofonica da cui trasmetteva Radio Rebelde, la radio propagandistica rivoluzionaria: ci viene spiegato che la radio emanava soprattutto notizie relative agli scontri militari, brevi resoconti di battaglie e messaggi propagandistici, e serviva soprattutto come mezzo di comunicazione per le truppe ribelli dislocate lungo la Sierra Maestra. Trasmetteva solo di notte, per poche ore ed in orari sempre diversi, di modo da non essere mai intercettata. Pensare che in un ambiente tanto inospitale e selvaggio sia stato possibile portare clandestinamente un generatore elettrico ed un apparecchio per la trasmissione radio mi ha davvero sorpreso: sicuramente i ribelli cubani dovevano essere davvero decisi nei propri intenti per poter sopportare fatiche simili. La salita alla postazione radio è troppo ripida ed il tempo troppo poco: ci accontentiamo di osservarla da lontano e proseguiamo la visita. Superata la radura, addentrandosi ancora nella folta vegetazione, si raggiunge l'edificio della Cocina: all'interno del campo il rancio veniva cucinato solo di notte per non rivelare la propria presenza al nemico attraverso i fumi che inevitabilmente venivano prodotti dalla cottura dei cibi. Nell'edificio adibito a refettorio mi sono stupito di vedere anche una sorta di bancone da bar predisposto in legno grezzo: immagino che il Rum fosse indispensabile nella vita militare in clandestinità. Infine, poco sotto la Cocina, si trova la Casa de Fidel, la capanna abitata dal lìder maximo: si tratta di una spaziosa baracca dal tetto in foglie di palma e dalle pareti fatte di assi di legno consumato che probabilmente è anche la meglio conservata di tutte quelle finora visitate. Possiede la bislacca caratteristica di avere le pareti sollevabili, precauzione voluta da Castro in persona che in caso di attacco avrebbe così avuto a disposizione molteplici vie di fuga: l'accesso all'abitazione è infatti possibile solo per mezzo di una bassa scaletta tramite una sola minuscola porta. Al suo interno ancora oggi si può osservare il letto originale utilizzato da Fidel, la sua scrivania ed il tavolo al quale probabilmente il lìder maximo consultava mappe e disponeva ordini. La visita si conclude oltrepassando la latrina nonchè l'anonimo e visibilmente rinnovato edificio originariamente deputato ad ospitare gli uffici amministrativi dell'accampamento. Nel complesso, comunque, una visita interessante. I lavori di ristrutturazione che hanno però coinvolto le varie capanne del complesso hanno fatto perdere, a mio avviso, parte della vissuta autenticità del luogo: gli edifici sono stati restaurati in stili disomogenei e a volte poco rispettosi dell'aspetto originale. Forse solo la Cocina e la Casa de Fidel meritano uno sguardo un po' più attento. Ad ogni modo, un'escursione assolutamente da fare, quantomeno per il valore storico del sito. La fatica della salita dopotutto non è eccessiva, consiglio tuttavia di equipaggiarvi bene con un adeguato paio di scarpe in quanto il sentiero appare spesso sconnesso e fangoso. Sulla strada del ritorno ci attardiamo con il capo spedizione del gruppo italiano, un dinamico settantenne dalla vivace parlantina di nome Nino, che tra una pausa e l'altra ci racconta affascinanti storie di viaggi avventurosi intorno al Mondo. Nessuno dei suoi compagni di viaggio lo ha aspettato lungo il sentiero e la guida che ci accompagnava si è letteralmente volatilizzata. Siamo rimasti solo noi insieme a lui e non ce la siamo sentita di abbandonarlo. La scelta ci ripaga di un'esperienza davvero singolare: è strano rendersi conto che sono alla fine i momenti più inattesi di un viaggio quelli a cui pensi con un inconsapevole sorriso una volta fatto ritorno a casa. Fare quei pochi chilometri insieme a Nino è stato per noi davvero un onore. Ridiscendiamo a Santo Domingo che è ora di pranzo e riserviamo il resto della giornata ad un meritato riposo. Soggiorneremo stavolta presso l'Hotel Villa Santo Domingo, un albergo dotato di bungalows nel quale riponevamo grandi aspettative. In realtà si dimostra ben presto estremamente deludente: la cucina è pessima, la pulizia delle camere è da carcere a vita, il bar sempre deserto. Solo il personale alla reception ci è sembrato cordiale ed educato, avendoci aiutato, tra l'altro, anche a programmare la prossima tappa del nostro itinerario. In generale però possiamo affermare con certezza di esserci trovati infinitamente meglio nella più modesta ma meglio tenuta casa particular presso la quale abbiamo pernottato il giorno precedente. Desiderosi di trovare solo un po' di relax, passiamo la notte in preda al prurito ed alle morsicature di insetti invisibili rigirandoci nel letto.

Al risveglio decidiamo di modificare ancora una volta il nostro itinerario: ci dirigiamo verso Manzanillo. Ma non prima di aver visitato un altro luogo significativo e dal fascino molteplice. Il Parque Nacional Desembarco del Granma è un'ampia area ecologica di circa 25.000 ettari (di cui il 73% sono terrafarma e la restante parte superficie marina) che trae il proprio nome dallo sbarco degli 82 ribelli barbudos imbarcati sullo yacht Granma, i quali, dopo 7 giorni di navigazione (due in più del previsto), rimasti ormai senza combustibile ed alla deriva, attraccarono presso la vicina Playa Las Coloradas per dirigersi successivamente più ad est lungo le pendici della Sierra Maestra. Il parco, nominato riserva naturale protetta nel 1985, ricevette nel 1999 il riconoscimento di patrimonio dell'umanità da parte dell'UNESCO. Prima della nomina a riserva l'area fu abitata da contadini e pescatori che ne coltivavano la terra ed in parte la disboscavano per procurarsi combustibile. Ci siamo arrivati percorrendo la strada che, passando per il villaggio di Media Luna (luogo natale di Celia Sanchez), da Bartolomè Masò conduce alla cittadina di Niquero, e da qui all'ingresso del parco ci sono da percorrere altri 20km. L'accesso al Parque Nacional Desembarco del Granma è costituito da una fatiscente capanna posta impercettibilmente al lato della carreggiata: difatti rischiamo, al passaggio, di non accorgerci del donnone in tenuta militare che ci sventola davanti una paletta rossa intimandoci di fermarci. Inchiodiamo immediatamente e scopriamo che la donna altri non è che la guida che accompagna i visitatori all'interno del parco. Paghiamo gli 8CUC a persona di ingresso, carichiamo sull'auto la guida e ci addentriamo nel parco passando accanto alla copia perfetta dello yacht Granma, identico all'originale che abbiamo visto all'Havana, posto su un piedistallo all'ingresso del Museo del Granma, centro espositivo nel quale sono raccolte testimonianze dello sbarco avventuroso di Castro e dei primi 81 rivoluzionari cubani. In pochi minuti arriviamo a destinazione. Siamo giunti fin qui per percorrere il Sendero Arqueologico Natural El Guafe, un interessantissimo sentiero naturalistico che è anche il tempio solenne della Natura cubana: qui è infatti possibile osservare molto del paesaggio e delle caratteristiche dell'ecosistema cubano. Il termine guafe, invece, in spagnolo viene usato per indicare un piccolo molo sul mare, tanto per variare il tema dello sbarco del Granma in questa regione. Il sentiero è percorribile anche in totale autonomia ma sconsiglio vivamente di farlo: il percorso non è ben segnalato e c'è la concreta possibilità di perdersi al suo interno. Inoltre la nostra guida ci offre l'opportunità di conoscere meglio alcuni bellissimi tesori della flora e fauna cubana.

Addentrandoci nelle profondità del parco ci vengono indicati alcuni degli alberi più diffusi sull'isola, come il Palo do Brasil, molto diffuso in Brasile che da questo arbusto prende il nome, la Tuna, pianta usata dagli indios per ricavare la pittura decorativa da applicare sul corpo, l'Arbol del Turista, peculiarmente caratterizzato da un tronco desquamante che ricorda nell'immaginario comune la pelle dei turisti che si sono esposti troppo al Sole, oltre ad alcune specie di ficus strette nel cosiddetto abrazo mortal a stritolare letteralmente gli alberi attigui. Camminiamo su speroni appuntiti di roccia chiamati Dientes de Perro e tra una fertile terra resa rossa come il sangue dall'alto contenuto di ferro, interrotta qua e là da superfici di colore più scuro in prossimità delle aree disboscate ed incendiate in passato dagli agricoltori. Apprendiamo che la vasta area sulla quale si snoda il Sendero Arqueologico Ntural El Guafe millenni fa' era completamente ricoperta dalle acque marine. Ci vengono illustrati numerosi arbusti e radici utilizzati fin dall'antichità come erbe medicinali per curare reumatismi, ulcere gastriche o indigestioni, e apprendiamo notizie circa la medicina alternativa cubana che ci viene raccontato avere ottenuto importanti successi nella cura del cancro utilizzando un estratto di veleno di scorpione nero. Rimedi quasi sciamanici! Avvistiamo bellissime farfalle dai colori variopinti: in questo ecosistema ne vivono circa 100 specie ma le più diffuse sono la Phoebis Avellaneda, di colore giallo ed il cui nome deriva da quello di un celebre poeta cubano, e la Parides Gundlachianus, di colore nero e dal nome discendente da quello di un importante naturalista tedesco. Infine osserviamo le specie di uccelli più rappresentative di Cuba (in questa riserva protetta se ne contano circa 170 diverse), tra cui il Tocororo, l'uccello simbolo dell'isola in virtù dei suoi colori blu, bianco e rosso che sono gli stessi della bandiera cubana, lo Zun Zun piccolo uccello simile ad un colibrì, il Cartacuba dai colori vivacissimi, il Negrito, completamente nero, ed il Carpintero Verde, una varietà di picchio. E poi ancora ammiriamo il fusto impressionante di un cactus vecchio 500 anni chiamato Viejo Testigo, cioè il "vecchio testimone", divenuto nei secoli un microecosistema in grado di ospitare decine di specie animali e di insetti. Ed infine scorgiamo granchi giganti dalle chele enormi e tantissimi paguri di varie dimensioni. Ma la ricchezza del Sendero Arqueologico Natural El Guafe non si ferma qui: nelle sue profondità si snoda un fitto intrico di grotte e cunicoli che qua e là emergono in superficie andando a costituire piccole caverne. In tempi antichissimi queste cavità erano abitate dagli abitanti originari dell'isola, gli indios Taino: questa popolazione abitò soprattutto la parte orientale di Cuba vivendo di caccia e di agricoltura. Subirono uno sterminio con l'arrivo dei colonizzatori spagnoli che li schiavizzarono e li impiegarono come manovalanza nelle ricerche aurifere, oro di cui il suolo cubano è peraltro estremamente povero. In breve questo popolo, di indole pacifica e di costituzione molto fragile (probabilmente anche a causa dei costumi promiscui e delle frequenti unioni tra consanguinei) venne decimato dalle malattie infettive importate dall'Europa, dal duro lavoro e dalle violenze perpetrate dai colonizzatori. Molti, privati della libertà, si tolsero la vita ingerendo grossi quantitativi di piante allucinogene. In breve scomparvero quasi completamente da Cuba, sostituiti dai più robusti schiavi africani che gli spagnoli cominciarono a deportare dalle coste nigeriane per procurarsi nuova manodopera. Oggi dei Taino rimangono poche sperdute comunità nella parte est dell'isola, mentre il sangue degli schiavi nigeriani è ormai indissolubilmente unito a quello degli abitanti cubani tanto che si utilizza correntemente il termine mulato per definire chiunque abbia, tra le proprie discendenze, parentele provenienti dall'Africa. Il Sendero Arqueologico Natural El Guafe è sicuramente il luogo migliore per avvicinarsi alla perduta cultura Taino: qui si trovano i resti perimetrali di una capanna chiamata Caney abitata secoli fa' da individui appartenenti a questo popolo, ed a poca distanza i resti archeologici di un focolare presso il quale probabilmente venivano cucinati i cibi, tra i quali il più consumato era il Casabe de Yuca, una sorta di pane ottenuto dalla cottura di un estratto di radici di tubero. Nei pressi furono trovati anche i resti dei tipici vasi in terracotta usati dai Taino ed ottenuti dall'argilla rossa che qui domina ovunque il paesaggio. Ci viene raccontato dalla guida che gli indios praticavano uno sport simile al baseball, il Bate, e che erano soliti danzare un ballo celebrativo chiamato Areita. Ma la testimonianza più vivida si trova proprio in quelle grotte di cui il sentiero è disseminato: una di queste, la Cueva del Idolo del Agua, ospita una scultura raffigurante una divinità femminile scolpita in una stalagmite calcarea, posta presso una piccola sorgente d'acqua dolce a simboleggiare la dea Atabeira, patrona delle acque. Le teorie più avanzate affermano che la statua sia meno recente di quanto si possa pensare: sul capo sembra portare, infatti, un velo, circostanza che richiamerebbe la Vergine Maria e che daterebbe quindi la rappresentazione ad un'epoca successiva all'arrivo degli spagnoli. Ancora oggi molti praticanti di riti pagani, tra i quali l'Espiritismo (culto di derivazione africana che crede nell'esistenza di entità spiritiche governanti la realtà) si riuniscono in luoghi come questi per celebrare le proprie cerimonie. Il mistero che circonda questa raffigurazione nella pietra è ancora oggi affascinante: l'idolo viene illuminato dalla luce solare solamente un giorno all'anno, il 22 dicembre, caratteristica che tuttora non trova spiegazione ma che probabilmente si ricollega a qualche perduta credenza o rito della civiltà indios. Visitiamo altre due grotte che ci viene spiegato essere luoghi di sepoltura utilizzati dai Taino: nella prima vennero ritrovati resti di tombe modeste, poco decorate e di piccole dimensioni, cosa che fece pensare che il luogo fosse dedicato alla tumulazione delle persone comuni; la seconda invece ci appare più ampia e le tombe ritrovate risultarono più ricche e meglio decorate, cosa che indicò con tutta probabilità che qui venissero deposti i personaggi più influenti della tribù. All'entrata di quest'ultima grotta troviamo le sculture di Macocael e di Maquetaure Guayaba, i due guardiani dell'aldilà, scolpiti sempre lungo stalagmiti calcaree sulla soglia della caverna. Osservare più da vicino di così la storia più antica ed intrisa di mistero di Cuba, credetemi, è impossibile!

Dopo circa tre ore di cammino, la guida ci riporta al punto di partenza all'ingresso del sentiero e ci propone di spingerci poco più in là per ammirare un altro luogo speciale della zona. Saliamo tutti in auto e ci dirigiamo più a sud verso la costa. Percorsi pochissimi chilometri arriviamo a Cabo Cruz, una piccola comunità di pescatori che costituisce l'unico insediamento umano abitato (circa 500 persone) rimasto tra i confini dell'area protetta del Parque Nacional Desembarco del Granma. Il villaggio sorge su un pittoresco promontorio roccioso presso il quale Cristoforo Colombo attraccò durante uno dei suoi viaggi nel Nuovo Mondo: una targa scolpita nella pietra ricorda l'avvenimento mentre noi ci gustiamo la vista del mare agitato che con onde schiumose attende una tempesta in avvicinamento. Poco distante dalla riva la guida ci spiega sorgere una delle Barriere Coralline più belle, intatte ed estese del Nordamerica. Peccato non poterla ammirare più da vicino! In lontananza scorgiamo il profilo di un faro costruito in ruvida pietra, il Faro Vargas, così chiamato in memoria del brigadiere Carlos de Vargas Machuca, comandante del distaccamento orientale dell'esercito al tempo della sua costruzione. La guida ci illustra che il faro, alto 33m e costruito nel 1871, possedeva in origine un innovativo, unico nel suo genere, meccanismo a corda appositamente progettato dagli ingegneri cubani per permettere alla luce posta sulla sua cima di girare ed illuminare la baia. Nel passato, infatti, il tratto di mare antistante Cabo Cruz fu teatro delle scorribande di numerosi pirati i quali diverse volte saccheggiarono il piccolo villaggio. Ne è testimonianza il fatto che un piccolo tratto di costa poco al di fuori del centro abitato viene tutt'oggi chiamato Punta del Ingles in onore dello spietato pirata inglese John Hawkins. Si provvide così, insieme al faro e proprio ai piedi della sua torre, anche alla costruzione di una caserma militare presidiata costantemente da una pattuglia dell'esercito cubano. Oggi la caserma è caduta in rovina dopo che nel 2005 l'uragano Dennis spazzò via buona parte del villaggio: il governo cubano provvide subito alla ricostruzione delle abitazioni, questa volta realizzandole tutte in pietra, e dando in dotazione ad ognuna di esse un'antenna parabolica che consentisse agli abitanti di rimanere costantemente aggiornati sulle notizie e gli allarmi relativi agli uragani, estremamente frequenti sull'isola nel periodo che va da settembre a novembre. Anche la fauna del vicino Parque Nacional Desembarco del Granma subì importanti modificazioni in seguito all'evento atmosferico: in particolare tutte le specie di pappagalli presenti nell'area morirono o migrarono altrove ed ancora oggi è impossibile trovarne nella zona. Giunti ai piedi del faro la guida ci indica un piccolo ristorante proprio lì vicino, il Restaurante El Cabo, consigliandocelo sia per la qualità del cibo sia per i costi estremamente contenuti. Decidiamo di fidarci e facciamo bene: un piatto di squisiti gamberi, un'aragosta succulenta, riso, fagioli, verdure e frutta, e del pesce grigliato che offriamo gentilmente alla nostra simpatica guida, tutto al modico prezzo di 5CUC. Il ristorante accettava solo CUP ed al cambio ci abbiamo guadagnato decisamente. La nostra escursione termina con questo delizioso pasto. Carichiamo il nostro accompagnatore in auto e facciamo ritorno al punto di ingresso del parco. Nel tragitto la guida coglie l'occasione di chiederci un passaggio per un amico che scorge seduto, in attesa di un trasporto, sul ciglio della strada: ci ritroviamo così in compagnia, nella stessa automobile, di un giunonico donnone ammiratore sfrenato delle canzoni di Rita Pavone che canta per l'intera durata del viaggio, e di un enigmatico vecchietto silenzioso e pacifico, con una barba lunga fino all'ombelico, i vestiti logori ed un voluminoso copricapo, che comunica a gesti e sembra non soffrire la loquacità dell'amica.

Scarichiamo i nostri ospiti al punto stabilito e ci dirigiamo a visitare la vicina Playa Las Coloradas, in verità più celebre per lo sbarco del Granma, che avvenne proprio lungo le sue rive, piuttosto che per la sua reale bellezza: la spiaggia prende il nome dai vivi colori delle mangrovie rosse che vi si trovano sullo sfondo. Ma il tempo minaccia pioggia, così decidiamo di rinunciare al bagno in mare per dirigerci subito verso la meta finale della giornata. Ma prima ripassiamo a prendere la guida che ci ha accompagnato nella visita della mattinata e che ne ha approfittato per chiederci un passaggio fino a Niquero: con nostra grande sorpresa, prima di partire, ci mostra l'album fotografico che custodisce gelosamente e che ritrae la sua figlia diciottenne. Un momento davvero strano, ma che ripensandoci mi ha fatto stranamente davvero piacere. Nel tragitto che ci separa da Niquero ci racconta di avere due fratelli, entrambi medici, e che la sanità è davvero il fiore all'occhiello di Cuba: cure mediche e scuola sono infatti servizi gratuiti offerti a tutti i cubani. Scopriremo in seguito, da altri incontri, che le cure mediche sono gratuite solo in concomitanza con i ricoveri ospedalieri e che l'educazione scolastica è sì garantita, ma al temine del percorso educativo è lo stato ad assegnare le carriere lavorative sulla base dei voti ottenuti, fornendo all'interessato una limitata possibilità di scelta. Oltrepassata Niquero, e abbandonata lì la nostra esuberante compagna di viaggio, ci fermiamo a visitare, poco oltre, il Museo Historico La Demajagua: il luogo, dall'importantissimo significato storico, sorge all'interno dell'antica dimora appartenuta a Carlos Manuel de Cespedes, l'iniziatore delle prime grandi lotte indipendentiste cubane. Costui era un ricco possidente terriero che viveva di rendita grazie alle vaste piantagioni di canna da zucchero nelle quali impiegava i propri schiavi. Di animo generoso e di spirito visionario, egli era tuttavia contrario alla schiavitù ed usufruiva della manodopera dei suoi schiavi con un rispetto anacronistico per l'epoca, mettendo in atto metodi a basso impegno produttivo e coltivando solo tre dei 16 ettari sui quali si estendevano i propri terreni. Il suo pensiero rifletteva le convinzioni che condurranno, in quegli anni, ad uno dei più importanti cambiamenti mai messi in atto, a livello globale, nella storia dell'umanità: già nel 1791 infatti, sull'isola di Haiti una violenta rivolta degli schiavi condusse alla fuga di molti ricchi proprietari terrieri presenti in questa colonia francese. Haiti riformò per sempre la propria struttura sociale e perse il titolo di possedimento coloniale più ricco dei Caraibi, titolo che venne assunto successivamente proprio da Cuba, ribattezzata in quegli anni come la Perla delle Antille. Ma i venti della rivolta giunsero inevitabilmente anche qui, unendosi all'insofferenza di molti cubani nei confronti del dispotico strapotere spagnolo. L'ideologia progressista di Cespedes sfociò così ben presto, nel 1868, in una rivolta degli schiavi da lui stesso capeggiata contro il potere coloniale: i suoi seguaci crebbero in breve tempo dalle iniziali 147 unità a più di 17.000 individui. Da questa sommossa partirono le due successive guerre di indipendenza condotte dai comandanti Antonio Maceo e Maximo Gomez (quest'ultimo di nazionalità cubana ma di nascita dominicana), oltre che dall'eroe della patria Josè Martì. Questi rappresenta una sorta di Garibaldi cubano: non esiste città, villaggio o sobborgo in tutta Cuba che non ospiti un monumento, una piazza, o non possieda una via a lui intitolata. Nel leggerne la storia mi colpisce il fatto che il principio della sua resistenza contro il governo coloniale spagnolo coincise con la chiusura disposta dai governanti iberici della scuola professionale d'arte e scultura che frequentava. A seguito della protesta che ne scaturì, ancora sedicenne, Martì venne successivamente arrestato con l'accusa di alto tradimento verso la Corona Spagnola, quindi incarcerato e dopo alcuni anni di reclusione esiliato in Spagna. Viaggiò in Francia, Argentina, Stati Uniti, e solo più di 20 anni dopo, alla guida del clandestino Partido Revolucionario Cubano da lui stesso fondato, fece ritorno a Cuba per condurre le lotte a favore dell'indipendenza. Morì in battaglia due mesi dopo il suo ritorno sull'isola in una disperata avanzata contro l'esercito nemico schierato, assumendo in tal modo e per sempre l'aura mitica del martire. Tutto ciò ebbe però inizio dalla rivolta organizzata da Cespedes il cui simbolo divenne la campana suonata nel cortile della sua piantagione per radunare gli schiavi e che lo stesso Cespedes suonò per dare simbolicamente inizio alla prima grande battaglia per l'abolizione della schiavitù. Decenni dopo, nel 1947, un giovane Fidel Castro prese "in prestito" la medesima campana e con essa percorse le strade dell'Havana suonandola e gridando la propria denuncia contro la corruzione che contaminava la politica cubana. Quella campana originale si trova ancora oggi nel bel cortile in pietra ben ristrutturato del Museo Historico La Demajagua. Di fronte ad essa giacciono gli ingranaggi, anch'essi originali, impiegati nell'ingenio (cioè lo zuccherificio) appartenuto a Cespedes. Infine, dietro le alte bandiere nazionali che celebrano giustamente la solennità del luogo, una palma isolata viene descritta come quella trasportata, nel corso del suo viaggio nel cosmo, dal finora unico astronauta latinoamericano della storia, il cubano Arnaldo Tamayo Mendez, che nel 1980 partecipò ad una missione spaziale condotta dall'Unione Sovietica. Consiglio vivamente una breve sosta in questo Museo a chiunque si trovi di passaggio nei paraggi: ne vale la pena!

Arriviamo a Manzanillo al tramonto di questa magnifica giornata. Veniamo accolti nella Casa Particular Adrian y Tonia, in assoluto la migliore in termini meramente strutturali tra quelle frequentate durante tutto il viaggio: pulizia impeccabile, camera enorme accessoriata di cucina privata (con un frigorifero stracolmo di bibite) ed un meraviglioso terrazzo dal quale godersi la vista verso la vicina Bahìa de Yara oltre che sopra l'intera città. Di fronte al nostro alloggio ci viene indicata per la cena un'intima casa paladar: a Cuba i ristoranti veri e propri sono rari, in compenso, analogamente alla regola già descritta per le casas particulares, esistono abitazioni private che aprono le proprie porte per offrire gustosi pasti a viaggiatori e passanti. Ci godiamo la nostra cena fatta in casa a base di pesce grigliato e di Tostones, vale a dire banane schiacciate e fritte che sinceramente mangerei a vagonate. La gentile padrona dell'attività ci spiega che quest'ultima specialità culinaria deve essere cucinata con Platanos Machos, varietà di banane di dimensioni maggiori e dal colore più verde, e non con quelle di cui ci siamo cibati finora, più piccole e mature, che a Cuba chiamano Platanos Frutas. Terminato il pasto, mentre percorriamo la breve strada che ci separa dalla nostra camera, percepiamo un suono che attira la nostra attenzione: dalla lontananza sembrano arrivare colpi ritmati di tamburi. Seguiamo il richiamo e ci troviamo in mezzo ad una festa di strada organizzata dalla gente del quartiere: una falange di percussionisti che suonano timpani di ogni tipo, dimensione e genere, mentre ai lati della via la gente danza, si muove, sta al ritmo, chiacchiera e si diverte. Questa musica è la Conga. L'informale orchestra, formata da persone comuni, comprende individui di tutte le età, dai bambini di una manciata d'anni con in mano i loro minuscoli tamburelli agli anziani disposti sullo sfondo a condurre il ritmo. Mi rendo improvvisamente conto che per questa gente, chiusa a chiave nella propria realtà e con nessuna possibilità di uscirne, bloccata in una quotidianità di stenti e di fatica, in un paese in cui la libertà di parola è limitata e circoscritta, eventi come questi sono le uniche possibilità d'espressione. Come un lampo questa consapevolezza mi attraversa da parte a pare e quasi mi commuovo nell'osservare l'impegno che questi improvvisati ma abili suonatori mettono, tutti sudati e con il fiatone, nel suonare il proprio strumento nella calura della sera, regalando la propria musica a chi è come loro. Senza dubbio posso dire oggi che è questo il ricordo più intenso di tutto il mio viaggio a Cuba. Pochi istanti e lo spettacolo si dissolve. Rimaniamo incantati ad assaporare l'attimo prima di ritirarci.

Il mattino successivo decidiamo di visitare le poche attrazioni che Manzanillo, fondata solo nel 1784, offre al viaggiatore. La prima è la Escalinata de Celia Sanchez, una monumentale scalinata scolpita in intensa pietra rossa, decorata con delicate forme e ceramiche dipinte, dedicata alla celebre pasionaria della Revoluciòn. Tra gli elementi raffigurati colpiscono l'immaginazione i disegni del fiore preferito da Celia Sanchez, la delicata e candida Mariposa, coronati da fucili e cannoni. Vale la pena percorrerla. Poco più in là, il centro storico è costituito da Parque Cespedes, la piazza principale con al centro una Glorieta dai bellissimi mosaici moreschi e dalle splendide forme arabeggianti. Sullo sfondo svetta la Iglesia Parroquial de la Purisima Concepcion con la sua meravigliosa facciata.

Ma è già tempo di rimettersi in viaggio. Abbandoniamo Manzanillo e risaliamo in auto la Carretera Central arrivando a Camagüey, la città delle chiese, dell'arte e dei tinajones. Questi ultimi sono grandi otri in terracotta introdotti dagli spagnoli in epoca coloniale per raccogliere l'acqua piovana, date le numerose e frequenti siccità che colpivano periodicamente la regione: oggi sono diventati un simbolo della città e vengono usati per decorare spesso gli angoli di vie e piazze. Il nucleo originario di Camagüey, fondato nel 1514 da Diego Velazquez de Cuellar con il nome di Santa Maria del Puerto de Principe, sorgeva inizialmente presso la Bahìa Nuevitas, più a nord, ma per difenderlo dagli attacchi dei pirati nel 1528 venne spostato nell'attuale posizione, più difendibile e riparata. Il nome attuale, invece, lo si deve al cacique (il capo tribale delle popolazioni Taino) di nome Camaguebax, il quale prima dell'arrivo dei colonizzatori europei governava il territorio dove fu successivamente stabilita Camagüey. Una seconda teoria fa risalire il nome all'albero chiamato Camagua, considerato sacro dai Taino in quanto da esso sarebbero discese tutte le forme di vita presenti sulla Terra. Oggi Camagüey è la terza città cubana per dimensioni (circa 300.000 abitanti) dopo l'Havana e Santiago de Cuba, ma è l'unica capace di dare sfoggio di sé in una maniera tutta differente ed originale: offre probabilmente uno dei patrimoni artistici, storici, architettonici e culturali più ricchi di tutta l'isola. E' una città più moderna, vissuta, curata, intellettuale, pur mantenendo quel fascino malinconico e a tratti decadente tipico della cultura cubana. Il risultato è semplicemente splendido. Giunti in città fermiamo l'auto davanti alla nostra casa particular e ci prepariamo a scaricare i bagagli. Veniamo avvicinati da un losco figuro che ci consiglia di parcheggiare nella via retrostante visto che in quel punto sussiste il divieto alla sosta per le automobili. Accettiamo il consiglio e ci spostiamo. Non contento l'individuo ci segue in sella alla propria bicicletta e appena ci fermiamo ne approfitta per consigliarci di fare molta attenzione ai malintenzionati, assicurandoci che la casa particular che abbiamo scelto è davvero buona visto che il proprietario, il cui aspetto fisico ci descrive nei minimi particolari, è un suo carissimo amico. Un po' sorpresi dal suo comportamento lo salutiamo e ci incamminiamo verso l'edificio in cui pernotteremo, ma qualcosa comincia a non quadrarci: non ci eravamo accorti che davanti alla facciata era appoggiata un'alta scala a pioli. Non facciamo in tempo a rendercene conto che dal portone ci viene incontro un giovane ragazzo somigliante in tutto e per tutto alla descrizione che abbiamo appena ricevuto: si presenta come il proprietario, chiude la porta, non ci dà il tempo di parlare e ci informa che la struttura è inagibile in quanto sottoposta a ristrutturazione, porgendoci nel frattempo le sue scuse più sincere per il disguido. Ci propone quindi gentilmente di accompagnarci a trovare un'altra casa particular. Accettiamo e ci rimettiamo in auto insieme a lui. Veniamo guidati dapprima ad un'abitazione che scopriamo essere vuota, quindi ad una seconda fatiscente. Ormai disillusi decliniamo l'offerta e salutiamo il nostro amico che nel giro di pochi secondi si dissolve nel nulla. A Cuba li chiamano jineteros, letteralmente "fantini", e di professione truffano i turisti spacciandosi per i proprietari di una casa particular, che regolarmente dichiarano inagibile, e dirottandoli su strutture differenti: se il turista ci casca sarà costretto a pagare un sovrapprezzo per il servizio prestato. Il metodo in verità mi è apparso subito abbastanza maldestro: sono bastate poche domande per far cadere il nostro simpatico amico in un clamoroso errore. Facciamo ritorno all'origine ed entriamo nella casa particular che avevamo prenotato, il cui nome è CasAlta, dove troviamo lo scontroso proprietario, un professore di matematica di nome Orlando, che stranamente sembra divertito dalla nostra disavventura. Miracolosamente notiamo che la scala a pioli ora è scomparsa: sull'edificio, a quanto pare, non è in corso nessuna ristrutturazione.

Lasciataci alle spalle la disavventura ci addentriamo subito nella visita della città. Da Calle Cisneros, nella quale risiediamo, al centro storico il passo è davvero breve. Raggiungiamo in pochi metri Parque Agramonte, la piazza principale intitolata all'eroe dell'indipendenza Ignacio Agramonte la cui statua troneggia al centro: su un lato della piazza si colloca la Catedral de Nuestra Señora de la Candelara, tempio dedicato alla patrona cittadina e sul cui campanile svetta una statua di Cristo che rappresenta il palladio della città. La cattedrale venne ricostruita sulle rovine della costruzione originaria, datata 1530, distrutta da un incendio nel 1616, ed è stata recentemente restaurata nel 1998 grazie ai fondi messi a disposizione da papa Giovanni Paolo II che la visitò nello stesso anno. Sul lato opposto della piazza, invece, si trova la Casa de Arte Jover, un atelier artistico ospitato in un'antica casa coloniale le cui pareti interne conservano ancora parte di un antico affresco originale e dentro la quale sono esposte le opere dell'artista Joel Jover e della moglie Ileana Sanchez, due dei pittori viventi più importanti di Cuba. Attraversiamo la piazza e percorriamo un breve tratto di Calle Independencia sul selciato della quale si trovano ancora i binari un tempo utilizzati per il trasporto urbano su tram, oggi caduto in disuso a favore del trasporto pubblico su autobus. In un angolo di questa via si apre Plaza Maceo e da qui, sul lato opposto, ha inizio Calle Maceo, una via pedonale ricca di negozi, bar, tavole calde e dallo stonato stile europeo così dissonante rispetto ai dintorni.

Calle Maceo termina in Plaza del Gallo il cui nome deriva dal fatto che qui sorgeva, un tempo, un grosso dispaccio commerciale con animali da allevamento: la piazza è oggi chiamata anche Plaza de la Solidariedad. Il patrimonio di Camagüey è contraddistinto soprattutto dalla presenza, nel giro di poche centinaia di metri, di numerosissime chiese, la principale delle quali (ma non l'unica) è la già citata cattedrale. In Plaza del Gallo sorge invece la Iglesia de Nuestra Señora de la Soledad: costruita nel 1776, la leggenda della sua creazione narra la storia di alcuni mercanti intenti a trasportare, sopra un carretto e lungo una strada fangosa, delle casse di legno. Ad un certo punto il carretto si impantanò e non fu più possibile proseguire. I commercianti scaricarono le casse per liberare il carretto e con sorpresa scoprirono che era solo una di quelle a rendere estremamente pesante il carro, tanto che furono necessari quattro uomini per scaricarla. Quando aprirono la cassa vi trovarono una bellissima immagine della Virgen de la Soledad e fecero voto di costruire in quel luogo una chiesa a lei dedicata. La facciata della Iglesia de Nuestra Señora de la Soledad, coloratissima, fa coppia con l'immagine del gallo scolpita in ferro battuto, simbolo del luogo tanto da donargli il nome, disposta sullo sfondo della piazza.
 
Da Plaza del Gallo parte Avenida Agramonte, la via celebre per le numerose gallerie d'arte e per il Museo Casa Natal de Ignacio Agramonte, il luogo di nascita del padre della patria e primo redattore della costituzione cubana. Ma questa via è celebre anche per essere stata protagonista di un ambizioso progetto culturale che si poneva come obiettivo quello di valorizzare l'arte cinematografica cubana: parte della sua estensione infatti è conosciuta come Calle de los Cines, e vi si affacciano numerose sale cinematografiche antiche recentemente ristrutturate e rimesse in funzione. Accanto alle sale sono sorti numerosi bar e ristoranti a tema, molti chiamati con i celebri titoli del cinema italiano. Tutto bellissimo. Peccato che il cinema non sia davvero una forma d'arte libera ed incondizionata a Cuba: nel 1968 il regista Nicolas Guillen Landrian, nipote del celebre poeta cubano Nicolas Guillen, venne dapprima incarcerato e poi esiliato in seguito alla realizzazione di un lungometraggio dalle velate tonalità satiricamente politiche. Ancora oggi la produzione cinematografica nazionale cubana è pari pressoché a zero. Al termine di Avenida Agramonte si apre Plaza de los Trabajadores che fu teatro di importanti manifestazioni e proteste operaie nel periodo postrivoluzionario, tanto da trarre da questi avvenimenti il proprio nome: ospita la Iglesia de Nuestra Señora de la Merced la cui origine miracolosa viene fatta risalire alla comparsa dal nulla, per azione divina, di una piccola cappella, poi divenuta l'attuale chiesa, nel luogo in cui sorgeva una palude e presso il quale gli abitanti locali credevano dimorassero degli spiriti in quanto dalle sue buie profondità, ogni notte, si udivano provenire grida strazianti e un pianto inconsolabile.

Una seconda leggenda narra invece le vicende del costruttore di questa chiesa il quale fu costretto a vendere la propria anima al demonio per portare a termine l'opera architettonica. Nella Iglesia de Nuestra Señora de la Merced è oggi collocato il Santo Sepulcro: si tratta di un'opera religiosa laminata in argento patrocinata da frate Manuel de la Virgen, monaco nato in povertà ma allevato dal ricco possidente terriero don Manuel Agüero y Ortega. Divenuto adulto egli si recò con il fratellastro all'Havana per studiare legge e qui i due fratelli si innamorarono della stessa donna: in seguito ad un duello mortale il fratello adottivo uccise il figlio legittimo di don Manuel, quindi, datosi alla fuga, come penitenza prese i voti monastici. Una volta ottenuta la propria parte di eredità costruì con essa il Santo Sepulcro in memoria del fratello assassinato. Da Plaza de los Trabajadores la passeggiata in circolo ci ricongiunge nuovamente a Calle Cisneros. Ma il tesoro di Camagüey non finisce qui: in Calle Hermanos Agüero, una via traversa di fianco al centro storico, si trova la Casa Natal de Nicolas Guillen, il poeta più famoso di tutta Cuba. Poco più in là, in Calle Cristo, si trova invece la Casa Natal de Carlos Finlay, lo scienziato scopritore del meccanismo di trasmissione della febbre gialla e pioniere della medicina cubana. La via che ne ospita la casa natale termina in Plaza del Cristo con l'antichissima e consumata Iglesia de San Cristo del Buen Viaje: uno degli angoli più storicamente significativi e (permettetemi il termine) cubani della città. Questo silenzioso e tranquillo luogo è costeggiato, a breve distanza, dalla piazza più frequentata e battuta di tutta Camagüey: si tratta di Plaza del Carmen e sorge nello stesso luogo in cui, in origine, si collocava il pozzo dal quale attingevano l'acqua tutti i contadini della regione. Ospita la Iglesia de Nuestra Señora del Carmen: contraddistinta dalla presenza di due campanili gemelli, impreziosita da bellissime vetrate animate da mille vividi colori, questa chiesa inizialmente costituiva un complesso comprendente anche un convento gestito da monache orsoline, il Monasterio de las Ursalinas, oggi divenuto una scuola. Su Plaza del Carmen si affaccia anche la Galeria Martha Jimenez Perez, lo spazio espositivo appartenente all'artista cubana vivente più conosciuta ed incentivata a livello mondiale, insignita per la propria arte del riconoscimento UNESCO nel 1997. Nella galleria è possibile ammirare gratuitamente alcune delle sue opere più famose, contrassegnate da numerosissimi simbolismi allegorici, tra cui soprattutto il dipinto con protagoniste le chismosas, le "pettegole", il più celebre, oltre ad una curiosa fontanella satirica ed allo studio di lavoro dell'artista stessa posto sul fondo dello stretto e verdeggiante patio. Martha Jimenez Perez realizzò nel 2002 anche alcune sculture in ferro raffiguranti vari personaggi generici della vita quotidiana della città, esposte oggi permanentemente nello spazio offerto da Plaza del Carmen: un contadino che spinge una carriola, due innamorati seduti ad una panchina, le tre immancabili pettegole ed un anziano señor intento a leggere il giornale. Avvicinandoci a quest'ultima statua notiamo un uomo che ci dice di chiamarsi Norberto, seduto nella stessa posa della statua e con in mano uno sgualcito quotidiano: ci racconta di essere il modello su cui venne scolpita l'opera, essendo stata sua moglie molto amica dell'artista. La somiglianza effettivamente si percepiva, ma non sapremo mai se l'uomo, che dopo averci narrato la sua storia ci chiede in cambio qualche spicciolo, posò effettivamente mai come modello.

L'ultima piazza che visitiamo è Plaza San Juan de Dios, il luogo storicamente più conservato di tutta Camagüey: vi sorge il Convento-Hospital San Juan de Dios, costruito nel 1728, convertito fino agli anni '70 del secolo scorso in scuola di medicina ed oggi sede del Museo de San Juan de Dios. La leggenda narra che qui venne ricoverato in tempi antichi il corsaro francese Jean Laffitte dopo essere stato arrestato dalle truppe spagnole: fingendo una malattia venne trasferito dal carcere all'ospedale del convento, dal quale a breve riuscì a fuggire. All'interno dell'antico nosocomio, poi, operò il monaco conosciuto come padre Olallo, divenuto poi primo santo cubano della Chiesa Cattolica, il quale dedicò tutta la propria vita alla cura degli infermi ed allo studio della medicina. Un'altra storia intrisa di leggenda narra che fu proprio questo frate ad accogliere il corpo senza vita di Ignacio Agramonte, il ricco allevatore locale che nel 1869 condusse una serie di battaglie ribelli contro il potere coloniale spagnolo dando così un fondamentale contributo alle lotte per l'indipendenza nella regione. Morì nel 1873 e divenne uno dei fondatori della nazione cubana: ancora oggi si dice che gli spagnoli, i quali lo avevano catturato ed ucciso, temessero a tal punto il suo spirito combattivo da consegnare la sua salma all'ospedale più vicino, e fu in tal modo che il corpo di Agramonte fu accolto da padre Olallo. Oggi la sua tomba riposa nel camposanto attiguo alla Iglesia de San Cristo del Buen Viaje. Anche se l'ora è ormai tarda, un gentile custode ci fa sgattaiolare di soppiatto sulla soglia del meraviglioso patio interno del convento dove ammiriamo lo splendore della struttura nobile dell'edificio, oggi in fase di ristrutturazione. Per il resto Plaza San Juan de Dios è davvero incantevole, soprattutto nelle ore serali: il campanile della Iglesia de San Juan de Dios appare solenne e di un'antichità aristocratica, e la piazza sfoggia un fascino davvero suggestivo alla penombra delle poche luci. Da vedere!

Ma l'incanto di Camagüey lo si apprezza solo nell'insieme di tutte le sue bellezze: perdersi nel labirinto di vie di questa città è un'esperienza davvero imperdibile per il viaggiatore che attraversa Cuba. Lo facciamo anche noi e ci ritroviamo davanti ad una piccola galleria d'arte accanto a Plaza San Juan de Dios. Qui incontriamo Eduardo, un vivace pittore, ed Antonio, il suo coltissimo collaboratore. Ci avventuriamo con loro in una piacevolissima conversazione. E' la prima volta da quando siamo giunti sull'isola che percepiamo in un dialogo curiosità e voglia di sapere: ci chiedono notizie dall'Italia e dall'Europa, e ascoltano le nostre risposte con un'attenzione viva e quasi infantile. Ci chiedono persino di tradurre alcuni brevi testi scritti in italiano in loro possesso. In cambio ci raccontano interessanti storie della città, inedite per qualsiasi guida turistica. Ascoltiamo così la leggenda della principessa Tinima, figlia del cacique degli indios Taino che governava l'area di Camagüey, la quale si tolse la vita per sfuggire ai violenti spagnoli che volevano rapirla ed imprigionarla: si gettò in un fiume che successivamente prese il suo nome. Oggi anche la birra nazionale cubana (introvabile negli esercizi commerciali frequentati dai turisti) si chiama Tinima in suo onore. Ci vengono mostrate opere d'arte realizzate da Eduardo sulla superficie delle foglie della palma reale, qui chiamata Yagua, raffiguranti riproduzioni di antiche pitture rupestri Taino rinvenute poco fuori da Camagüey, in un luogo noto come Comunidad Caridad de los Indios dove ancora oggi vive una piccola comunità indigena di circa 200 individui: in queste pitture, curiosamente, gli spagnoli sono rappresentati quasi come creature divine simili a centauri, per metà uomini e per metà cavalli, immagine risalente alla cultura Taino non avvezza a cavalcare animali e quindi portata ad assegnare tratti soprannaturali ai guerrieri europei a cavallo. Ci narrano la storia degli italiani che si unirono alle lotte cubane per l'indipendenza. Insomma, un incontro davvero prezioso che ha enormemente arricchito il nostro soggiorno in città. Concludiamo le nostre giornate a Camagüey con un'ottima cena a base di carne presso il Restaurante 1514: il locale è generalmente frequentato da cubani ed accetta pertanto solo CUP. Al di là del prezzo vantaggioso, qui abbiamo la possibilità di assaggiare la birra Tinima, oltre al vero Rum cubano. E quale posto migliore per farlo se non a Camagüey, città più volte in passato presa di mira dai pirati, proverbiali consumatori del pregiato liquore estratto dalla canna da zucchero? Si dice addirittura che il suo intricato dedalo di vie sia stato congegnato per rendere l'orientamento dei bucanieri più difficoltoso in caso di assedio. Fatto sta che anche noi assaggiamo l'osannato Rum cubano, si dice il più buono del Mondo, moderna evoluzione del più antico e non raffinato liquore chiamato Aguardiente (tradotto alla lettera "acqua di fuoco") bevuto dai marinai delle colonie spagnole ed ottenuto secondo il processo di distillazione ideato originariamente da don Facundo Bacardì Massò, a buon diritto il primo inventore del Rum. Costui fu però costretto all'esilio dopo la salita al potere di Fidel Castro e pertanto è oggi impossibile gustare a Cuba un Rum che porti impresso il suo marchio. Se volete assaggiare del buon Rum (in spagnolo si dice Ron), comunque, ordinate la marca Santiago oppure la marca Legendario: una garanzia!

Per chi volesse godersi un po' di mare durante il soggiorno a Camagüey, il posto più consigliato è Playa Santa Lucia, sulla costa settentrionale, nei pressi della Bahìa de Nuevitas. Devo ammettere però che i 115km di strada che separano la città dalla spiaggia non valgono molto la visita: il luogo, frequentato soprattutto da cubani e da pochissimi turisti, appare infatti sporco e trascurato. Il mare è gradevole e dal colore turchese, ma nei dintorni non si trova alcun tipo di attività commerciale, tavola calda, punto ristoro. La zona, in precedenza un'importante località di villeggiatura, è da anni caduta in stato di abbandono, e lo si nota benissimo nelle strade praticamente deserte e nella trascuratezza della spiaggia. Oggi ciò che rimane è un minuscolo villaggio di pescatori ed una zona paludosa, chiamata Canal de la Boca, posizionata dietro il litorale ad ospitare stormi di fenicotteri rosa. Insomma, se siete curiosi andateci pure, ma non aspettatevi un paradiso terrestre: qui c'è davvero poco.

Da Camagüey ci dirigiamo verso ovest sempre percorrendo la Carretera Central. Inciampiamo così quasi per sbaglio nella città di Sancti Spiritus: un vero tesoro nascosto che molti viaggiatori sottovalutano, ma che invece si propone come una gradevole novità lontana dagli affollati percorsi turistici di cui la zona è ingolfata. Si tratta di una delle sette villas originarie volute da Diego Velazquez de Cuellar e fondata nel 1514, sebbene la primitiva collocazione del centro urbano venne spostata nella sede attuale solo successivamente, nel 1522, a causa dei numerosi attacchi pirati cui la città fu sottoposta, circostanza che peraltro non scoraggiò i banditi del mare visto che continuarono a saccheggiarla fino al 1660. Più attraversiamo i territori di Cuba e più ci sembra di vivere i fantasiosi racconti pirateschi che eravamo abituati a trovare solo nelle favole raccontate ai bambini o tra le pagine scritte da R.L. Stevenson. In effetti la Filibusteria, la maggiore associazione piratesca mai fondata (i pirati caraibici venivano chiamati bucanieri, termine derivante dalla parola francese boucanier che indicava i cacciatori di frodo), nacque proprio in questa parte del Mondo: il termine per indicarla deriverebbe dall'inglese freebooters, letteralmente "saccheggiatore". Da non confondere con i corsari che erano sì pirati ma al soldo di autorità governative o di personaggi di potere, i quali consegnavano loro una lettera di corsa, vale a dire un mandato. Se vi piace il genere vi regalo un'altra curiosità: la famosa bandiera dei pirati, il Jolly Roger, un teschio sopra due tibie incrociate su sfondo nero, deriva dal Jolie Rouge, termine con il quale i francesi chiamavano il vessillo completamente rosso dei corsari spagnoli, considerati i più spietati e violenti di tutti i mari, e che successivamente venne storpiato in Jolly Roger dalla pessima pronuncia degli inglesi i quali attribuirono il nome anche al più conosciuto stendardo nero. Ma torniamo a Sancti Spiritus: nonostante i numerosi saccheggi subiti questa città offre oggi un tesoro inestimabile in termini di arte ed architettura. Scegliamo così di concederle una possibilità e ci fermiamo qui per consumare il pranzo.

Il simbolo della città è costituito dal Puente Yayabo, un pittoresco ponte a schiena d'asino costruito sulle acque dell'omonimo Rio Yayabo: venne realizzato dagli spagnoli nel 1815 grazie alla manodopera prestata dai galeotti condannati ai lavori forzati ed al finanziamento da parte della Chiesa Cattolica che contribuì con ben 30.000 Pesos. La leggenda narra che le pietre utilizzate per erigerlo siano tenute insieme da una miracolosa mistura di sabbia e latte di asina, una formula mai più ripetuta in seguito. Fatto sta che questa costruzione, forse anche grazie a questo speciale collante, è ancora oggi in piedi e costituisce attualmente il ponte più antico ancora in funzione a Cuba. Il quadro paesaggistico costituito dal suo bel profilo sulle acque tranquille del Rio Yayabo, insieme a quelli delle belle case coloniali tutto intorno, devo ammettere aver dato una gradevole nota di tranquillità alla nostra sosta. Consumiamo infatti il pasto presso la Taberna Yayabo, posta sulle rive del fiume proprio accanto al ponte, sicuramente il posto migliore se cercate il luogo ideale dal quale godervi appieno la vista. Il caldo pomeridiano è davvero insistente ma non ci lasciamo scoraggiare e, incuriositi da questa prima inaspettata scoperta, ci addentriamo tra le vie del centro storico. Incontriamo così, a poca distanza, il Teatro Principal, la cui facciata blu cielo è davvero uno spettacolo: venne fondato nel 1876 su iniziativa di un gruppo studentesco ed ospitò successivamente le riunioni clandestine dei ribelli indipendentisti attivi nella zona.

Più avanti troviamo la Iglesia Parroquial Mayor del Espiritu Santo, con un'altrettanto bella facciata dello stesso blu luminoso del teatro, affacciata sul piccolo spazio di Plaza Honorato: fu costruita in legno nel 1522 e successivamente ristrutturata in pietra nel 1680, per cui si dice sia la più antica chiesa di Cuba tuttora integra sulle proprie fondamenta originali. Infine giungiamo in Parque Serafin Sanchez, l'elegante piazza principale, dove rimaniamo colpiti dai vivaci colori delle facciate dei palazzi e veniamo sorpresi dalla perfezione delle linee e degli spazi: pulita e luminosa, è stata davvero una piacevole scoperta. Da qui imbocchiamo Calle Independencia Sur, chiamata anche El Bulevar, via pedonale coloratissima ed affollata sempre da decine di passanti che camminano tra alcune statue dei personaggi più celebri vissuti in città, immortalati anch'essi nell'atto di passeggiare. Ma Sancti Spiritus è famosa nel Mondo per un motivo ben diverso e che esula, in senso stretto, da tutte queste meraviglie: qui infatti fu inventata la guayabera, la celebre camicia con i caratteristici ricami verticali e dotata di molteplici tasche che trae il proprio nome dal frutto tropicale guaiava. Infatti, in origine, la camicia venne congegnata dalle donne di Sancti Spiritus per i propri uomini con lo scopo di creare un indumento che permettesse il trasporto di oggetti e frutti per il pasto. Oggi in città, all'interno della Quinta de Santa Elena, una villa ristrutturata con un ampio patio che ospita anche un bar ed un ristorante, si trova la Casa de la Guayabera, un museo nel quale sono esposte le camicie di molti personaggi famosi della storia, tra i quali molti eroi della Revoluciòn, l'attuale presidente Raul Castro, Evo Morales (capo di stato boliviano), Hugo Chavez (dittatore venezuelano), lo scrittore Gabriel Garcia Marquez, e persino Fidel Castro. La guayabera a lui appartenuta e qui esposta venne indossata dal lìder maximo in occasione di un vertice di capi di stato latinoamericani tenutosi a Cartagena, in Colombia, e che prevedeva come dress code obbligato proprio la tipica camicia. Al costo di pochi CUC una guida vi accompagnerà nella visita al museo spiegandovi le caratteristiche del capo di abbigliamento e raccontandovi la storia delle varie camicie esposte. Sarà inevitabile chiedervi come stareste voi vestiti in quel modo.

Ci lasciamo alle spalle Sancti Spiritus soddisfatti di averla incrociata sul nostro cammino. Procedendo verso la destinazione di questa tappa ci addentriamo quindi nella Valle de los Ingenios, la valle degli zuccherifici: la vasta regione di 270km² compresa tra Sancti Spiritus e Trinidad, composta in realtà da tre valli distinte (Valle de San Luis, Valle de Santa Rosa e Valle Agabama-Meyer), fu in un recente passato il regno della canna da zucchero. Vi sorgevano circa 70 diversi zuccherifici nei quali lavoravano più di 30.000 schiavi, importati per la quasi totalità dall'Africa. Solo nel 1817 infatti, la Spagna dichiarò illegale la tratta schiavista, ma l'impiego degli schiavi continuò ugualmente a Cuba anche successivamente grazie al sistema delle encomiendas, vale a dire alla possibilità legalizzata di godere gratuitamente dell'usufrutto di un territorio e della manodopera che vi si trovava (di fatto uno schiavismo chiamato in modo diverso), e la Valle de los Ingenios prosperò così fino all'epoca della guerra ispano-americana dopo la quale conobbe una progressiva decadenza. In questa regione, dichiarata oggi patrimonio dell'umanità dall'UNESCO in virtù del suo inestimabile valore storico, sono rimasti pochi attualmente i centri di produzione dello zucchero di canna in funzione e la quasi totalità degli antichi zuccherifici sono ormai inattivi. L'intera area costituisce di fatto la dolorosa e più forte testimonianza del periodo schiavista cubano. Percorsi 56km da Sancti Spiritus a bordo della nostra malandata automobile, giungiamo infine alla Manaca Iznaga: questo sito ospita i resti dello zuccherificio antico più conosciuto di tutta Cuba. Ci arriviamo nella luce del tardo pomeriggio e veniamo accolti, al suo ingresso, dalla surreale visione di uno stretto acciottolato in salita sui lati del quale sono distesi ad asciugare al Sole decine di panni bianchissimi che si muovono lentamente con il vento. Il quadro contribuisce a proiettarci con una rapidità prodigiosa nello spirito agrodolce e rustico del luogo. Al termine del viale si apre la meravigliosa casa padronale: la struttura, una spaziosa residenza coloniale, fu fino al 1795 di proprietà del nobile spagnolo Pedro Josè Iznaga y Borrell, commerciante di schiavi e produttore di canna da zucchero, mentre oggi ospita al suo interno un ristorante. Ciò che colpisce maggiormente è l'ampio porticato posto lungo la facciata e dietro un elegante colonnato, abbellito da alcune sedie a dondolo in legno che concorrono a calare l'osservatore in un'atmosfera davvero suggestiva. Davanti all'hacienda troneggia ancora la grande campana che veniva suonata, nel periodo di attività dello zuccherificio, per radunare gli schiavi nel cortile all'inizio della giornata di lavoro. Di fronte a questa si trovano invece i resti originali dei grandi contenitori di metallo utilizzati nei processi di lavorazione della canna da zucchero.

Ma l'elemento che caratterizza meglio questo sito è sicuramente la Torre Iznaga: si dice che fu il fratello minore di don Pedro, Alejo Maria Iznaga y Borrell, ad ordinare la costruzione di questa torre alta 44m per confinarci la consorte infedele ed adultera. Al di là dei racconti popolari e delle superstizioni fantasiose, comunque, la torre venne nel tempo utilizzata per la sorveglianza degli schiavi durante il lavoro nelle piantagioni: intorno ad essa e dietro l'hacienda, infatti, i terreni coltivati interamente a canna da zucchero degli Iznaga y Borrell si estendevano a perdita d'occhio ed il punto di veduta aperto dalle altezze della torre consentiva di tenere costantemente sotto controllo l'attività ed il ritmo degli schiavi al lavoro. Oggi la Torre Iznaga è una dei siti storici sicuramente più interessanti di tutta Cuba: è possibile salire sulla sua cima al modico prezzo di 1CUC. Il panorama aperto sulla valle sottostante, dall'alto delle varie piattaforme che si susseguono durante la salita, è grossomodo lo stesso di 300 anni fa', epoca in cui i sorveglianti armati ne battevano costantemente la superficie tenendo senza sosta sott'occhio le piantagioni sottostanti, dove impotenti schiavi non potevano in nessun modo sottrarsi alla vista dei propri carnefici. Era proprio sulla cima della Torre Iznaga che era posta la campana che scandiva i tempi del lavoro nei campi e che abbiamo osservato poco prima più in basso nel cortile. Fu grazie a questi spietati metodi che don Pedro divenne, di fatto, uno dei commercianti più ricchi oltre che uno degli uomini più spietati di tutta l'isola.

Sul fondo del territorio un tempo occupato dalla piantagione si intravede ancora oggi il profilo dei binari di una ferrovia che si addentra nel verde della valle: dal 2001, infatti, è stato ripristinato a scopo turistico il corto convoglio ferroviario, composto da una vecchia macchina a vapore con alimentazione a petrolio e da due vetture a terrazzini aperti, che percorreva la distanza tra la Manaca Inzaga e la città di Trinidad per trasportare il raccolto estratto dalle piantagioni. La circostanza curiosa è che il trasporto su ferrovia arrivò prima a Cuba che in Spagna. Complessivamente questo luogo è sicuramente tra quelli imperdibili e rappresenta, a mio avviso, uno di quei pochi posti antichi e decadenti, ma ancora dotati di un'anima, presenti sull'isola. La Valle de los Ingenios, comunque, costituisce soprattutto una meraviglia naturalistica: il modo migliore per osservarla in tutto il suo splendore è raggiungere il Mirador de la Loma del Puerto. Il parcheggio vi costerà 2CUC ma la vista dalla terrazza di questo belvedere sopraelevato ad un'altezza di 192m s.l.m. è davvero superlativa, forse la migliore di tutto il nostro viaggio.

Se pensate al luogo più celebre e conosciuto di tutta Cuba, allora inevitabilmente vi verrà in mente Trinidad. E' una delle sette villas originarie fondate nel 1514 da Diego Velazquez de Cuellar ed oggi ospita una popolazione di circa 75.000 abitanti. Soprattutto ne troverete sicuramente le immagini su tutte le guide turistiche ed i depliant riguardanti Cuba disposti sugli scaffali delle agenzie di viaggio, visto che ogni anno folle smisurate di turisti la visitano per fotografare le coloratissime facciate delle famose case coloniali di cui il centro storico è disseminato. Insieme alla vicina Valle de los Ingenios, del resto, la città rientra nel patrimonio dell'UNESCO dal 1988 (dopo essere stata proclamata monumento nazionale già nel 1965) ed il suo retaggio storico è probabilmente il più importante e meglio conservato di tutti i Caraibi. Il nome con il quale venne fondata fu Villa De la Santisima Trinidad, successivamente sincopato solo in Trinidad, e conobbe un rapido e fiorente sviluppo grazie alle attività commerciali legate alla coltivazione della canna da zucchero ed alla tratta degli schiavi che si svolgevano nella valle attigua. Oggi la voce principale dell'economia di questi luoghi è tuttavia costituita dal turismo. In effetti il valore storico e culturale della città non si può discutere, ma voglio permettermi di dire che Trinidad, tra quelle visitate, è stata per me la città più turistica, commerciale, forse persino artefatta. Certo è inevitabile trascorrerci qualche giorno per apprezzarne le vie ancora non asfaltate mantenute nell'originale acciottolato ed i colori sgargianti dei meravigliosi edifici coloniali. Vivere nel cuore di Trinidad è in effetti come vivere gli spazzi di cinque secoli fa', anche se il traffico, le folle di visitatori armati di macchine fotografiche ed i numerosi ristoranti e negozi di souvenirs collocati un po' ovunque comunicano ben poco dell'autentica Cuba. Perciò non è il caso di fermarsi qui per più di un paio di giorni. Arriviamo in città e capiamo subito dal viavai che congestiona le strade di essere giunti in un posto strano rispetto agli standard cubani. Veniamo ospitati nella Casa Particular Colonial 1830: personale cordiale, stanze senza infamia e senza gloria, cucina passabile. In città non esistono parcheggi, così la nostra automobile, posteggiata lungo il ciglio della strada, ci viene assicurato che verrà custodita a vista da un arzillo vecchietto al modico costo (si fa per dire!) di 5CUC a notte. Abbandonati i bagagli ci dirigiamo a visitare il centro storico: l'anima della città si trova in Plaza Mayor, la piazza principale, circondata da edifici storici coloniali appartenuti ai ricchi mercanti di zucchero e di schiavi vissuti qui tra il XVIII ed il XIX secolo. Fu con la decadenza di questo genere di commercio, dopo il raggiungimento dell'indipendenza cubana e la conseguente abolizione della schiavitù, che Trinidad divenne una località remota e poco battuta, motivo per cui rimase nel tempo così ben conservata nell'aspetto originale. Nella piazza, piccola di dimensioni, si trova la Iglesia Parroquial de la Santisima Trinidad, la chiesa principale, costruita nel 1892 nel sito in cui sorgeva precedentemente una cappella più piccola rasa al suolo da un ciclone. La chiesa ospita la statua del Cristo de la Vera Cruz, creata originariamente a Trinidad per poi essere trasferita in Messico: il bastimento che la trasportava però dovette fare ritorno al porto di partenza, a Trinidad, per ben quattro volte a causa delle avverse condizioni atmosferiche. Questo fatto venne interpretato come volontà divina e la statua rimase in città.

Su Plaza Mayor si affaccia anche il Museo de Arquitectura Colonial, dalle vivaci pareti blu, originariamente abitazione di nobili commercianti di zucchero appartenenti alla famiglia Iznaga. Altre due costruzioni coloniali di grande importanza storica sono il Palacio Brunet, antica residenza coloniale dal bel porticato appartenuta al conte Nicolas de la Cruz Brunet y Muñoz e oggi sede del Museo Romantico (in esposizione oggetti appartenuti alla famiglia Brunet), ed il Palacio Ortiz, la cui meravigliosa balconata spicca sullo sfondo della piazza e che ospita attualmente una galleria d'arte. Arriviamo in Plaza Mayor percorrendo Calle Simon Bolivar ed incontrando, lungo il suo percorso, il Palacio Cantero, antica abitazione del medico Justo German Cantero y Owar-Anderson e oggi sede del Museo Historico Municipal: la macabra storia relativa al suo antico proprietario narra di come costui si fosse appropriato di vaste piantagioni da zucchero avvelenando un vecchio mercante di schiavi e sposandone la vedova, anch'ella morta poi prematuramente. Attraversiamo la piazza e giungiamo in un piccolo spiazzo accanto alla Iglesia Parroquial de la Santisima Trinidad dal quale una scalinata sale verso la Casa de la Musica, un rumoroso locale affollato ad ogni ora della giornata e sempre animato dalla vivace musica cubana. Da qui inizia Calle Echerri ed al principio di questa si trova la Casa de los Conspiradores, un'antica abitazione il cui balconcino in legno domina lo spiazzo accanto alla chiesa e presso la quale, nel periodo della Cuba indipendentista, si tenevano le riunioni segrete della società nazionalista clandestina La Rosa de Cuba. E' curioso notare come le più grandi imprese spesso nascano nei luoghi più piccoli. Oggi l'edificio ospita un ristorante ed una galleria d'arte nella quale l'attuale proprietaria, Yami Martinez, espone curiose sculture raffiguranti delle caffettiere.

Sul lato diametralmente opposto di Plaza Mayor, invece, si colloca la Iglesia y Convento de San Francisco de Asis, che oggi ospita il Museo de la Lucha Contra Bandidos dedicato ai ribelli seguaci di Batista rifugiatisi, all'inizio degli anni '60 e dopo la vittoria della Revoluciòn, nella vicina Sierra Escambray per organizzare una lotta di resistenza, durata poi sei anni, contro Fidel Castro ed il suo governo. In precedenza la struttura, costruita nel 1813, ospitò prima una congregazione di frati francescani, poi una caserma per le truppe spagnole. Oggi il suo campanile color giallo pastello domina magnificamente il piccolo parco antistante la chiesa. Concludiamo la nostra camminata per le vie di Trinidad con un'esperienza davvero singolare: in Calle Martinez Villena, poco lontano da Plaza Mayor, sorge la Casa Templo de Santeria Yemayà, uno dei più conosciuti luoghi di culto santeri della città. La Santeria è la religione di origine africana più diffusa sul territorio cubano: detta anche Regla de Ocha, questo culto nacque dalla commistione tra il cristianesimo spagnolo ed i riti sciamanistici degli schiavi provenienti dalle coste nigeriane, appartenenti soprattutto all'etnia Yoruba. Infatti, una volta deportati con la forza sull'isola per fornire forza lavoro nelle piantagioni, gli schiavi subirono una violenta opera di conversione religiosa da parte dei colonizzatori, i quali imposero loro la professione della fede cristiana. Ma i tenaci schiavi, già privati della libertà, non rinunciarono facilmente ai propri riti ed alle proprie credenze, così, fingendo di convertirsi, proseguirono ad adorare le proprie divinità camuffandole da santi cattolici: sarebbe in questo modo parso ai colonizzatori che gli schiavi stessero adorando i santi cristiani, mentre, dietro i nomi dei patriarchi della Chiesa Cattolica, essi celavano i concetti e le identità legati ai propri idoli, ed in questo modo continuarono a celebrare i propri culti. Da questa circostanza nacque, negli anni, una nuova religione, la Santeria per l'appunto, la quale oggi venera, accanto alle figure di molti santi di provenienza cristiana (chiamate Orishas) anche numerose entità divine derivanti dai riti pagani quali ad esempio Obatalà, il creatore del pensiero, Yemayà, la dea della vita e dell'acqua, ed Elegguà, il dio protettore dei viaggiatori e creatore delle strade. Ma gli influssi cristiani si notano soprattutto nella divinità principale, riassunta nella triade costituita da Olofi, Olordumare e Olorun, rispettivamente dio della terra, dio creatore e dio dei cieli. Questo culto oggi a Cuba conta migliaia di fedeli e rappresenta una delle forme di religione più diffuse su tutta l'isola. Entriamo così nella Casa Templo de Santeria Yemayà ricchi di curiosità e rispetto: alle pareti notiamo alcuni simboli indicanti i quattro elementi naturali, mentre sul retro, in un angolo, scorgiamo una statua nera simile a quella della nostra Vergine Maria raffigurante invece la dea Yemayà. Sul lato opposto ci accoglie un santero, un sommo sacerdote, che fumando il proprio sigaro, con sufficienza, sgarbo e fastidio, ci illustra in spagnolo incomprensibili spiegazioni circa il culto della Santeria. Delusi dall'incontro davvero pessimo abbandoniamo il luogo chiedendoci quale dei nostri gesti abbia potuto provocare tanta scortesia nel sacerdote. Il pensiero non ci assilla più di tanto e non ci evita di goderci uno spuntino consumato per strada a base di un dolce farinoso locale chiamato Tortas e, più tardi, una buona cena a base di pesce sulla terrazza della nostra casa particular, dalla quale assaporiamo anche la gradevole vista sopra i tetti delle antiche case di Trinidad.

Il mattino successivo ci svegliamo di buon'ora per ripartire all'avventura. L'anziano custode ha fatto bene il proprio lavoro: la nostra automobile è dove l'avevamo lasciata. Ci dirigiamo ad ovest lungo il Circuito Sur costeggiando il litorale in vista del mare. Dopo aver percorso circa 50km, all'altezza del piccolo villaggio di El Negrito, ci immettiamo in una strada secondaria che conduce alla piccola cittadina di Cumanayagua, il cui nome deriva dalla lingua degli indios Taino e significa "luogo dei fiori della palma reale". Da qui parte una tortuosa e stretta stradina la cui sinuosità vale il detto "Tienes mas curvas de la carretera por Cumanayagua" pronunciato dai giovani cubani per sottolineare la bellezza sensuale delle chicas. Imbocchiamo la strada e ci addentriamo all'interno del Gran Parque Natural Topes de Collantes: questa è una riserva naturale protetta estesa per 200km² all'interno della Sierra Escambray, la terza catena montuosa per importanza di Cuba. In origine il nome attribuito a questa regione fu Sierra Guamuhaya dal nome della tribù indigena che abitava l'area prima dell'arrivo degli europei, ma successivamente alla colonizzazione dell'isola la popolazione indios venne sterminata, la zona venne destinata alla coltivazione del caffè ed il nome originario fu progressivamente dimenticato e quindi scambiato con quello attuale. Oggi la Sierra Escambray ospita solo poche comunità agricole e costituisce uno dei più grandi patrimoni naturalistici di tutta Cuba. La sua vetta più alta è il Pico San Juan (1.156m), mentre la sua porzione più pregiata e nobile è appunto il Parque Natural Topes de Collantes, il quale prende il proprio nome da una brutta località termale presente tra i suoi confini e fondata nel 1937 dal dittatore Fulgencio Batista per curare la propria consorte malata di tubercolosi: i venti umidi e caldi provenienti dall'Oceano Atlantico, infatti, fanno sì che all'interno di questa regione si sviluppi un ambiente salubre ed arricchito da una flora lussureggiante e rigogliosa. Uno spettacolo che di certo non ci possiamo perdere. Così, seguendo la strada celebre (come detto) per le proprie curve, da Cumanayagua percorriamo 18km di distanza intervallati solo dal minuscolo ed isolato villaggio agricolo di Crucecitas e giungiamo all'ingresso del percorso naturalistico Sendero Reino de las Aguas, il Sentiero del Regno delle Acque, una delle pochissime parti del Gran Parque Natural Topes de Collantes aperte alle visite del pubblico. Parcheggiata l'auto, paghiamo l'entrata al prezzo di 10CUC (non economico di sicuro, ma ne vale la pena) e intraprendiamo il percorso immerso nella Natura di circa 1,5km che si addentra nel meraviglioso paesaggio del parco.

Ben presto capiamo il perché del fantasioso nome dato al sentiero: superato un piccolo punto ristoro posto subito dietro l'ingresso, infatti, incontriamo dopo poche decine di metri la Poceta de los Enamorados, una bella piscina naturale balneabile che ci invita a rinfrescarci dal lungo viaggio in auto appena terminato. Il caldo è intenso ma decidiamo di non fermarci: la curiosità è troppa e vogliamo scoprire il resto del sentiero. Proseguiamo e superiamo un breve ponte in legno sospeso su uno stretto torrente prima di giungere a El Nicho, una spettacolare cascata che si apre in un intimo angolo disegnato dalla Sierra Escambray, completamente circondata dalle fronde della foresta, un'inarrestabile ed elegante getto d'acqua che cade a formare piccole piscine naturali dentro le quali è possibile immergersi. Ci prendiamo il tempo necessario ad ammirare questo piccolo gioiello nascosto osservandone l'affascinante movimento e ascoltandone il suono quasi musicale. Quindi, in silenzio, proseguiamo il cammino: da qui il percorso si fa in salita, anche se di certo non si può definire particolarmente difficoltoso. Ma la fatica è presto ripagata: percorse poche decine di metri, una minuscola terrazza panoramica offre una vista dall'alto sulle sottostanti cascate. E poco più su, lungo un sentiero laterale più stretto, si apre la Poceta de Cristal, la piscina naturale più grande dislocata lungo il percorso, posta più in alto rispetto a El Nicho e costituita da uno splendido, calmo e pulito bacino d'acqua balneabile impreziosito, sullo sfondo, dalla presenza di basse rapide che scendono dall'alto ad alimentare il bacino stesso per poi gettarsi nelle cascate sottostanti.

E' qui che ci fermiamo per goderci un po' di frescura a mollo nelle acque ombreggiate della piscina naturale: per me uno dei momenti più rilassanti e piacevoli di tutto il viaggio cubano. E' incredibile la serenità d'animo e la pace che si riescono a provare quando si è circondati dalla Natura più pura. Un vero spettacolo! Passiamo un paio d'ore in beata contemplazione e, quasi di malavoglia, ci alziamo per fare ritorno all'auto: completiamo la salita lungo il sentiero e raggiungiamo la sua vetta. Sulla cima si apre un pregevole belvedere, il Mirador Hanabanilla, con una vista stupenda sul paesaggio rigoglioso della sottostante Sierra Escambray. Da qui è possibile disperdere lo sguardo in un mare verde sconfinato sino all'orizzonte, sopra la superficie della valle attraversata dal Rio Hanabanilla, il fiume che dà origine alle cascate che abbiamo appena ammirato e che poco più in là, oltre la spettacolare vallata che osserviamo dal punto panoramico, va a gettarsi nel lago artificiale chiamato Embalse Hanabanilla. Questo belvedere offre sicuramente la vista migliore sulla Sierra Escambray che possiate trovare. Una vera meraviglia, anche se ciò rende questo luogo una delle mete più ricercate e frequentate dai turisti: effettivamente qui non c'è da aspettarsi intimità e silenzio, tuttavia la caratura del sito merita sicuramente il tentativo di sfidare la folla rumorosa per godersi il luogo.

Prima di fare ritorno a Trinidad decidiamo, rientrando dalla Sierra Escambray, di effettuare una piccola deviazione per trascorrere un po' di tempo al mare. Scegliamo inevitabilmente di dirigerci verso Playa Ancon, la spiaggia più vicina a Trinidad e la più osannata sulle guide turistiche, all'interno delle quali viene spesso dipinta come un vero paradiso terrestre. Così, invece di entrare in città, svoltiamo sul Paseo Agramonte, l'unica strada percorribile che conduce alla Peninsula Ancon, la piccola lingua di terra sulla quale sorge la spiaggia.

L'esperienza si rivela quasi subito abbastanza deludente: vuoi la stanchezza dell'escursione effettuata nella mattinata, vuoi la grande folla di turisti che popolava la spiaggia, non siamo riusciti a ritrovare a Playa Ancon la stessa pacifica sensazione provata alla Poceta de Cristal. Sulla spiaggia si affacciano infatti alcuni grandi alberghi internazionali che in alta stagione ospitano centinaia di villeggianti: questa è infatti una delle mete balneari attualmente più ricercate di tutta Cuba. Di conseguenza la sensazione suscitataci dal posto è stata più simile ad un'improvvisa doccia fredda. Se non altro la battigia appare abbastanza pulita ed il mare è pressochè cristallino. Attendiamo il tramonto e facciamo ritorno a Trinidad e lungo la strada non ci passa inosservato il bellissimo scenario di un vecchio rimorchiatore abbandonato incagliatosi chissà quando sul fondale coperto d'acqua turchese della Bahìa de Casilda, posta proprio alle spalle di Playa Ancon, incorniciata come spesso capita per i paesaggi cubani estivi da nubi temporalesche in avanzata: una scoperta che quasi supera in bellezza quella della spiaggia stessa.

Il giorno successivo abbandoniamo Trinidad per dirigerci verso l'ultima tappa del nostro viaggio. Senza troppa fretta facciamo sosta a Cienfuegos, cittadina conosciuta come la Perla del Sur. Questa città venne fondata nel 1819 da una colonia di cittadini francesi fuggiti da Haiti in seguito alle violente rivolte degli schiavi che interessarono quest'isola. Tale circostanza si nota benissimo nell'architettura conferita al centro urbano, molto europeo, più moderno (di fatto Cienfuegos è una delle città più recenti di tutta Cuba), decisamente più aristocratico di ogni altro luogo cubano. Del resto, per intuirlo basta osservare il Paseo del Prado, la via più frequentata della città (tra l'altro è anche la via urbana più lunga di tutta Cuba), una strada a due carreggiate con spazio pedonale centrale la cui regolare alberatura laterale ricorda molto le rues parigine.

A confermare la raffinatezza di tale luogo, all'incrocio tra il Prado e l'Avenida 54 si trova poi la statua a grandezza naturale ritraente Benny Morè, un vero eroe per questa città: è stato uno dei musicisti più influenti dello scenario artistico cubano. Nato da una famiglia umile ma discendente da una nobile tribù congolese, maturò un talento fenomenale per la musica, dotato com'era di una voce stupenda, versatile e coinvolgente. Partì con il vendere frutta di seconda scelta per le strade e finì per esibirsi nei migliori teatri del Sudamerica e del Nordamerica, dal Venezuela agli USA dove cantò nel 1957 in occasione della cerimonia di consegna dei Premi Oscar cinematografici. Un traguardo davvero eccezionale per un cubano. Quando il "Principe del Mambo" (tale era il titolo attribuitogli dai suoi ammiratori) morì nel 1963, alle sue esequie parteciparono circa 100.000 persone. Oggi la sua città natale, Cienfuegos, celebra la sua memoria con questa particolare statua che lo ritrae nell'atto di passeggiare lungo il Paseo del Prado, avvolto nella sua ampia ed elegante giacca, con un voluminoso cappello a tesa larga sul capo e con il classico bastone da passeggio sotto il braccio. Da questo punto della via si snoda l'Avenida 54, detta anche El Bulevar, una bella passeggiata chiusa al traffico il cui manto stradale è composto da un particolare marmo color pastello che conferisce un senso di ordine e luminosità a tutto l'ambiente. Passeggiamo lungo la sua brillante superficie e ci stupiamo non poco nell'osservare i molti negozi all'interno dei quali alcuni giovani cubani sono intenti a fare shopping, oppure nello scorgere i laboriosi netturbini che con pesanti lucidatrici si impegnano a pulire i bei marmi della strada. Ci sembra all'improvviso di essere sbarcati in una realtà completamente diversa da quella che abbiamo vissuto nelle ultime settimane. Sicuramente Cienfuegos è uno dei centri urbani più benestanti e borghesi di tutta l'isola, e lo è fin dalla sua fondazione quando i pionieri francesi importarono da Haiti la coltura del caffè costruendo su questo commercio un'ingente fortuna economica. E si può dire che i francesi scelsero bene il posto in cui stabilirsi, lo stesso in cui oggi sorge la città, chiamato in origine dagli indigeni Taino che abitarono questi territori Cacicazgo de Jagua, che significa "bellezza". Infatti la bellezza di Cienfuegos divenne subito proverbiale e le sue ricchezze ben note, tanto che tra il XVI ed il XVII secolo fu vittima delle numerose scorribande dei pirati che la saccheggiarono numerose volte. Ma ciò non valse a privarla delle sue meraviglie e nel 2005 l'intera città fu dichiarata patrimonio dell'UNESCO. Al termine dell'Avenida 54 si apre la piazza principale, Parque Josè Martì, uno spazio ricco di storia e di particolarità uniche nel loro genere. Il bello spiazzo centrale sembra tratto, come il resto del centro storico, da una cartolina francese: ordinate aiuole alberate, esili panchine in metallo verde in stile liberty, ed al centro l'immancabile statua dell'eroe cubano al cui nome il luogo è intitolato. All'ingresso della piazza si incontra subito il Palacio de Gobierno, un sontuoso edificio che spicca nel piacevole contrasto tra il blu della sua facciata ed il rosso della sua cupola: qui ha sede l'amministrazione provinciale. Sul lato perpendicolare a questo palazzo sorge invece la Catedral de la Purisima Concepcion, il principale luogo di culto della città, costruita nel 1869 e dotata all'interno di coloratissime vetrate alla francese. Di fronte a questa si trova poi il Colegio de San Lorenzo, con la sua magnifica facciata neoclassica dotata di un meraviglioso colonnato, costruito negli anni '20 del secolo scorso grazie alle donazioni del ricco mecenate Nicolas Salvador Acea, il quale in punto di morte espresse come lascito la volontà di costruire questo edificio per ospitare una scuola maschile di artigianato ed una femminile di educazione domestica, entrambe dedicate all'istruzione dei poveri e degli indigenti. Al collegio si affianca il Teatro Tomas Terry, decorato con raffinati mosaici a foglia d'oro, costruito nel 1889 ed intitolato alla memoria dell'industriale venezuelano Tomas Terry, il commerciante più influente della storia di Cienfuegos. Sullo sfondo della piazza, infine, si colloca un basso Arco de Triunfo, anch'esso forte richiamo alla cultura francese, il quale possiede una particolarità: è l'unica struttura di questo tipo ad essere presente sul suolo cubano. La sua funzione è quella di simboleggiare la celebrazione dell'indipendenza cubana. In poche decine di metri, insomma, il Parque Josè Martì è in grado di sfoderare una varietà incredibile di attrazioni e curiosità. Abbandoniamo la piazza dopo aver passeggiato per il mercatino delle pulci in Calle 29, ammirando sullo sfondo la Bahìa de Cienfuegos, la terza più grande insenatura cubana: la città è ancora oggi un importante porto di pescatori e vi si pescano i gamberi più pregiati dell'isola.

Prima di lasciare la città, all'angolo tra l'Avenida 54 ed il Parque Josè Martì, ci fermiamo un istante ad ammirare la Casa del Fundador, l'antica residenza del fondatore di Cienfuegos: fu infatti un francese, tale Luis D'Clouet, a porre la prima pietra del centro abitato che inizialmente chiamò Fernandina de Jagua e che solo successivamente, in seguito ad un violento uragano che lo rase al suolo nel 1821 ed alla sua conseguente ricostruzione, assunse il nome di Cienfuegos in onore dell'allora governatore di Cuba. L'antica casa di D'Clouet, una lussuosa e grandissima abitazione coloniale con ampio porticato magnificamente conservata nell'aspetto esteriore, oggi ospita tristemente un negozio di cianfrusaglie per turisti: è questa l'unica circostanza a lasciarci perplessi di fronte allo spettacolo inaspettato regalatoci da Cienfuegos.

La strada che conduce alla nostra meta finale è ancora lunga, e terminata la nostra breve visita in città è subito ora di rimettersi in cammino. Da qui inizia il percorso più impegnativo tra tutti quelli seguiti in automobile nel corso dell'intero viaggio cubano. Dal Circuito Sur ci ricongiungiamo all'Autopista Nacional. La percorriamo abbastanza velocemente dato il poco traffico e le buone condizioni del fondo stradale, nonostante i frequenti venditori ambulanti appostati qua e là sul ciglio della carreggiata ad offrire frutta ai passanti. Raggiunta l'Havana ne costeggiamo il margine meridionale e ci immettiamo sull'Autopista Pinar del Rio che si addentra nella provincia omonima. Qui l'asfalto si fa più sconnesso e nonostante la viabilità ad alta velocità non è raro imbattersi in buche di grandi dimensioni che costringono a sbandate improvvise se non si vuole danneggiare irrimediabilmente l'automobile. All'altezza del villaggio di Jubaco usciamo dal tracciato autostradale e ci spostiamo su una strada secondaria, una carretera indecente tutta buche, curve e nulla cosmico, che conduce alla cittadina di Bahìa Honda. Percorrerla è stata una vera impresa e dopo 50km sembrava di averne percorsi almeno il doppio, costretti forzatamente a procedere a rilento a causa delle pessime condizioni della strada (a tratti addirittura sterrata). Al limite dell'esaurimento nervoso arriviamo comunque a destinazione: il piccolo porticciolo di Palma Rubia si trova al termine di una stradina immersa tra piantagioni di canna da zucchero intervallate da qualche casupola sparsa. Vi si trova un parcheggio custodito destinato alle auto (il costo è ad offerta libera da pagare direttamente al parcheggiatore) ed un bar all'aperto posto sotto una tettoia di legno. Ma soprattutto dall'unico molo di Palma Rubia partono ogni giorno i traghetti che conducono a Cayo Levisa. Siamo fortunati: arriviamo in tempo per prendere l'ultima imbarcazione in partenza verso l'isola. Infatti vengono effettuati solo tre viaggi in entrata e tre viaggi in uscita dal cayo ogni giorno, rispettivamente alle ore 10:00, 14:00 e 18:00, ed alle ore 9:00, 12:00 e 17:00. Così, dopo quasi nove ore di automobile e circa un'ora di attesa al molo, ci imbarchiamo sullo sgangherato traghetto per arrivare a destinazione. Il viaggio dalla terraferma al cayo dura circa mezz'ora ed occupiamo questo lasso di tempo conversando con un bizzarro marinaio giramondo proveniente dalle Isole Cayman e fermatosi a Cuba a causa di un guasto al proprio motoscafo che i pescatori del luogo lo stanno aiutando a riparare; nel frattempo trascorre il tempo della fermata forzata facendo compagnia ai marinai del traghetto che fa la spola tra le due rive e chiacchierando con i viaggiatori. Cayo Levisa è una piccola isola corallina disposta lungo la costa settentrionale di Cuba ed affacciata sulle acque del Golfo del Messico. E' lunga circa 4km, larga fino ad 1km e fa parte dell'Arcipelago de Los Colorados: le sue piccole dimensioni e l'isolamento nel quale è calata ne fanno il posto ideale per trovare relax e riposo, soprattutto dopo un lungo viaggio come quello che abbiamo appena vissuto. Vi sorge una sola struttura alberghiera, l'Hotel Cayo Levisa, un resort dotato di bungalows direttamente posti su una spiaggia di sabbia fine e chiara, a poca distanza dalla battigia. Per arrivarci attraversiamo, camminando sopra una passerella di legno, un breve tratto dell'impressionante foresta di mangrovie che occupa la porzione meridionale del cayo. Giunti alla hall del resort facciamo la conoscenza dell'antipatico receptionist e senza perdere troppo tempo ci dirigiamo al nostro alloggio. La struttura alberghiera, nonostante sia stata praticamente spazzata via da un violento uragano nel 2006, oggi appare tutto sommato ben tenuta e pulita, ed ai bungalow più vecchi sono state recentemente aggiunte cabañas più nuove e moderne. L'unico difetto che riesco a trovare in tutto il contesto (a parte l'antipatia del personale spesso mal disposto verso gli ospiti) è la pubblicizzazione di numerose attività di animazione esposta un po' ovunque ma che puntualmente non vengono mai effettuate. Il cibo poi è abbastanza buono: il resort possiede due ristoranti, uno al coperto ed uno posto sotto un bel porticato all'aperto dove il personale, più giovane e simpatico, è pronto a prepararvi su richiesta una buonissima aragosta.

Il mare è bellissimo, azzurro e limpido, dotato di una spettacolare Barriera Corallina che richiama qui decine di appassionati di immersioni subacquee. La spiaggia appare poco affollata e tranquilla, a parte nelle ore tra le 11:00 e le 16:00 quando è possibile che arrivino alcuni turisti dalla terraferma per visitare il cayo, ma non c'è da preoccuparsi visto che torneranno indietro con l'ultimo traghetto disponibile e prima del tramonto la spiaggia sarà di nuovo tutta per voi, concedendovi pertanto di godervi lo spettacolo del Sole calante in tutta tranquillità, magari con una fresca Piña Colada tra le mani. Per il resto Cayo Levisa è soprattutto Natura, una macchia verde tropicale all'interno della quale vi capiterà di scorgere ogni tanto qualche animale, in particolare granchi ed una specie di nutria che setaccia in cerca di cibo i prati dietro le cabañas soprattutto dopo il tramonto. Per i più avventurosi il cayo offre anche la possibilità di raggiungere Punta Arena, una piccola spiaggia isolata, poco frequentata (ma in cui troverete comunque uno spartano banchetto di legno presso il quale un improbabile barista vi preparerà ciò che desiderate) e dal paesaggio davvero unico, che si scorge in lontananza già durante il tragitto dalla terraferma a bordo del traghetto: per raggiungerla vi basterà superare il breve tratto di percorso che si addentra tra le mangrovie lungo un sentiero a dire il vero non sempre ben segnalato. Ma quando sbucherete sulla spiaggia dall'altra parte vi assicuro che la scoperta vale il piccolo rischio.

Ma per viaggiatori come noi Cayo Levisa non può essere solo spiaggia tropicale e mare cristallino: ci capita infatti di incontrare un bislacco personaggio mentre siamo intenti ad assaporare lungo la battigia il nostro Cuba Libre, altro cocktail tipico cubano a base di Rum e cola che si dice essere stato inventato da un soldato cubano il quale negli anni delle guerre indipendentiste entrò in un bar americano dell'Havana richiedendo lo strano miscuglio e brindando al grido "Por Cuba libre!". Si presenta come il fratellastro cubano di un famoso comico italiano (la somiglianza in effetti era evidente ma non sapremo mai se la parentela fosse reale), svolge il ruolo di factotum all'interno del resort e dimostra subito di avere una parlantina niente male. Ci racconta così di come Cuba si trovi in uno stallo perenne dal quale non accenna ad uscire nonostante i grandiosi proclami che da vent'anni vengono annunciati circa l'apertura economica e culturale del paese. Cuba subisce di fatto ancora oggi il bloqueo, vale a dire l'embargo statunitense, ed è reduce da una crisi economica che dalla caduta dell'Unione Sovietica, circa 25 anni fa', è proseguita fino ad un'epoca recentissima. In questo lasso di tempo, chiamato dallo stesso Fidel Castro Periodo Especial, il paese conobbe una drammatica recessione economica, con conseguenti misure di austerità che impoverirono ulteriormente una popolazione già di per sé non certo ricca. A ciò si deve aggiungere che, fino al 1993, il governo cubano non accettò alcun tipo di aiuto umanitario, in particolare cibo e medicinali, provenienti dalla comunità internazionale. La ripresa, tuttora in corso, coincise con i rafforzamenti dei rapporti commerciali tra Cuba e la Cina, nonchè con l'apertura di nuovi accordi economici con l'alleato venezuelano Hugo Chavez riguardanti il mercato del petrolio: per questo non è raro scorgere lungo le strade cubane cartelloni propagandistici ritraenti il dittatore del Venezuela celebrato come "El Mejor Amigo de Cuba". Di certo oggi il processo di disgelo diplomatico con gli USA sembra essere più concreto rispetto al passato, con la riapertura delle ambasciate nelle rispettive capitali e la visita del presidente Barack Obama all'Havana nel 2016 in occasione della quale si è svolta anche una partita amichevole di baseball (lo sport nazionale sia cubano sia statunitense) tra le due rappresentative nazionali. Il nostro amico factotum comunque non sembra molto fiducioso per quanto riguarda un immediato mutamento, tuttavia ci assicura di non vedere l'ora che le cose a Cuba cambino. Nonostante tutto, ci racconta di dovere la vita della figlia più piccola al governo cubano che gli mise in mano 300.000US$ ed un visto di espatrio per consentire una delicata operazione chirurgica programmata a Madrid. Fortunatamente tutto andò per il meglio ed il nostro amico si presenta a noi oggi come il manifesto perfetto dei cubani: è sereno, sorridente, ma cela una malinconia ed una rassegnazione intima, e più in profondità custodisce una speranza invincibile. In uno slancio di intimità ci confida anche i suoi due sogni nel cassetto: toccare la Torre di Pisa ed acquistare un'automobile, ma per questo secondo desiderio ci rivela di non farsi molte illusioni. Un incontro davvero prezioso che si conclude con un sorprendente dono: la sua famiglia da decenni fabbrica sigari, ma non i sigari che si trovano nei negozi, bensì sigari di qualità Puro Habano, gli originali di Cuba. Ce ne regala dieci dall'intenso profumo di tabacco come non ne avevamo mai trovati, artigianali, imperfetti ma sicuramente di qualità migliore rispetto a quelli in vendita nelle tiendas cittadine. Imbarazzati ci salutiamo consapevoli che lui ci ha dato tutto e noi non abbiamo potuto regalargli nulla.

La nostra ultima escursione ci conduce nella Valle de Viñales, una piccola vallata (solo 150km²) situata nella parte ovest di Cuba, caratterizzata da una forte vocazione agricola e da un paesaggio dominato dalla bassa catena montuosa della Sierra de los Organos. L'elemento tipico di questa regione sono i Mogotes, in spagnolo letteralmente "mucchi di fieno", cioè piccole, ripide, tondeggianti, isolate colline circondate da pianure alluvionali e coperte da vegetazione. La loro formazione è dovuta alla combinazione della sedimentazione calcarea delle acque poco profonde che occupavano questi territori e del lento ma costante processo messo in atto dal fenomeno dell'elevazione tettonica, in associazione al successivo secolare lavoro di rimodellamento esercitato dal vento e dalle acque piovane. Originariamente quest'area ospitava gli indios Guahanatabey (una minoranza autoctona nomade precocemente estintasi a causa della scarsa resistenza e dell'indole debole e poco combattiva), ma dopo l'arrivo dei conquistadores venne civilizzata divenendo nel tempo un importante centro di coltivazione del tabacco, caratteristica che effettivamente mantiene ancora oggi. Il valore culturale e paesaggistico di questa valle ha fatto sì che tale regione venisse dapprima nazionalizzata sotto il nome di Parque Nacional Valle de Viñales, quindi proclamata patrimonio dell'UNESCO nel 1999. Al di là dell'importante valore naturalistico, comunque, questo territorio possiede anche interessanti e peculiari caratteristiche geologiche: in origine, infatti, si pensa che l'intera zona fosse più elevata di centinaia di metri rispetto ad oggi, e solo successivamente, in tempi preistorici (circa 100 milioni di anni fa'), l'attività carsica del sottosuolo portò alla formazione di un'enorme rete di cavità e cunicoli sotterranei all'interno dei quali scorrevano fiumi coperti. Fu in questo sistema di grotte che i Guahanatabey trovarono rifugio per secoli. Oggi le caverne più grandi sono invece aperte alle visite turistiche: ne approfittiamo anche noi e non perdiamo l'occasione di osservare da vicino questo stupefacente fenomeno.

Decidiamo di visitare la Cueva del Indio, una delle grotte più note e frequentate anche se non una delle più grandi. Prima di entrare, sullo spiazzo antistante l'ingresso ci fermiamo ad osservare alcune guide intente ad illustrare le fasi iniziali del metodo di lavorazione della canna da zucchero: si comincia con l'estrazione del succo dalla materia prima, cosa che viene ottenuta tramite una pressa meccanica che stritola letteralmente il frutto estraendone il dolce nettare chiamato nel gergo Guarapo. Questo viene successivamente versato in un contenitore metallico e centrifugato, quindi il preparato parzialmente solidificato è esposto al Sole per ottenerne la cristallizzazione e dunque la formazione dello zucchero vero e proprio. Assaggiamo il Guarapo appena estratto: niente male. Passiamo oltre e, superato un anziano signore impegnato a cantare imbracciando la propria chitarra seduto su uno sperone di pietra, oltrepassiamo la soglia della caverna e ci addentriamo nelle profondità della Terra. Il primo tratto del tragitto si snoda su un sentiero percorribile a piedi su una distanza di circa 200m: lo spettacolo è davvero difficile da descrivere, sembra quasi di trovarsi nello stomaco del Mondo, mentre le forme create nel corso di secoli dalle rocce, dolci e continue, danno più l'impressione di essere dentro un quadro astratto. Giunti al termine del sentiero si raggiunge un piccolo molo sopra un fiume sotterraneo, il Rio Vicente, e da qui partono a cadenza regolare piccole imbarcazioni a motore che accompagnano i visitatori nelle profondità della caverna lungo le acque tranquille. Durante il tragitto in barca la guida al timone illustra le forme delle stalattiti sparse lungo le maestose volte di pietra, assegnando loro nomi fantasiosi sulla base della somiglianza con oggetti o animali: si osserva così una foglia di tabacco distesa, un serpente che striscia lungo la parete rocciosa, un vorace coccodrillo nell'atto di spingersi in avanti con il proprio affilato muso, un maiale appeso per le zampe, il volto di un indios immortalato di profilo, un cavalluccio marino, la sagoma della chiglia delle tre Caravelle, e le orbite di un macabro teschio umano. Quella percorsa è comunque solo una minuscola parte della Cueva del Indio, la quale si estende per almeno 1km oltre il percorso aperto al pubblico. Ad ogni modo una visita breve ma davvero interessante.

Usciti di nuovo alla luce del caldo Sole cubano, ci rimettiamo in marcia ed in pochi minuti arriviamo al villaggio di Viñales, il centro abitato più grande della regione anche se occupato da soli 25.000 abitanti. In realtà, nonostante l'enorme richiamo turistico che la zona possiede, questa piccola cittadina è sorprendentemente riuscita a mantenere intatto il proprio originario carattere contadino e rurale: non è raro infatti incontrarvi alcuni guajiros, termine del dialetto locale coniato proprio in questa regione per indicare i contadini e significante letteralmente "uno di noi". Ciò è possibile grazie al fatto che la Valle de Viñales è ancora oggi una delle aree agricole più produttive di tutta Cuba e vi si produce canna da zucchero, caffè, ma soprattutto tabacco. Nella cittadina di Viñales di conseguenza c'è ben poco da vedere: il centro storico si riduce ad una stretta strada, Calle Cisneros, sulla quale si apre il sagrato della Iglesia del Sagrado Corazon de Jesù, la tipica chiesetta contadina, insieme alla Casa de la Cultura che ha sede in uno dei palazzi coloniali più antichi della città, sicuramente il più prestigioso. Ci incontriamo con la guida che ci accompagnerà nella nostra escursione proprio davanti all'ingresso della chiesa: si chiama Eduardo e ci avvisa subito di non essere una guida professionista. Ad accompagnarci infatti sarebbe dovuto essere suo fratello, morso però il giorno prima ad una gamba da un cane e quindi ancora in convalescenza. Decidiamo di fidarci ugualmente e ci incamminiamo con lui. Veniamo condotti nella zona più periferica di Viñales, tra baracche dismesse e fangose stradine sterrate. Il Sole cocente di mezzogiorno mette a dura prova la nostra resistenza, ma non possiamo mollare di fronte ad Eduardo che con passo sicuro, in jeans e camicia, ci precede fumando una quantità impressionante di sigarette senza avvertire apparentemente la fatica. Camminiamo per circa un'ora immersi nella campagna, sorpassando a ripetizione campi di canna da zucchero e mandioca, poi, quando già cominciavamo a disperare, vediamo in lontananza alcune persone che ci vengono incontro in sella a cavalli: capiamo che è il segno che siamo in dirittura d'arrivo e non molliamo. La fatica viene ripagata quando giungiamo a Coco Solo, una piccola piana nel cuore della Valle de Viñales che già al nostro arrivo ci mostra un panorama mozzafiato, con una vista aperta sulla macchia verde della vegetazione ad abbracciare tutto il paesaggio, interrotta qua e là da bassi Mogotes che si innalzano isolati dal suolo. Se la stavamo cercando, realizziamo che questa è la Valle de Viñales.

Coco Solo si colloca in effetti, e più precisamente, in quella che viene chiamata Valle del Silencio, un'area conosciuta per la propria quiete e tranquillità. Stremati e disidratati come poche altre volte, Eduardo ci concede una breve sosta presso un punto ristoro collocato sotto un porticato di legno al centro del sito. Quindi ci accompagna poco più avanti a visitare una vera Galera de Tabaco: Viñales è infatti celebre non solo a Cuba ma anche a livello globale per la produzione del tabacco più buono e di qualità migliore di tutto il Mondo, coltivato e raccolto ancora oggi con metodi completamente naturali e secondo l'antica tradizione giunta inalterata ai giorni nostri da secoli di pratica e conoscenza. La lavorazione della foglia del tabacco avviene per l'appunto in grandi edifici di legno, senza finestre, con il tetto composto di foglie essiccate, posti direttamente in mezzo alle piantagioni e che i cubani chiamano appunto galeras o casas de cura. Entriamo in una di queste strutture e apprendiamo stupefacenti nozioni circa la lavorazione del tabacco dal proprietario della piantagione, il quale abbandona la partita a carte in corso al centro dello stanzone per illustrarci i passaggi del proprio lavoro. Scopriamo in questo modo che il tabacco viene coltivato nelle piantagioni solo nel periodo tra febbraio e maggio, sopra terreni esclusivamente dedicati a questa coltura e sui quali, dopo la raccolta delle foglie e terminata la stagione fertile, può per legge essere coltivato solamente il mais, vale a dire l'unica coltivazione che non altera le caratteristiche del suolo e non necessita di additivi chimici per la crescita che avviene invece in modo spontaneo. Le piantagioni di tabacco necessitano di grandi quantitativi di acqua per il proprio sviluppo, acqua che non può derivare dalle piogge, la cui intensità potrebbe rovinare le foglie, ma deve giocoforza essere ricavata da sistemi irrigui artificiali. Le foglie di tabacco sono anzi talmente delicate e fragili che spesso sulla piantagione vengono stesi grandi panni di tela bianca per respingere i raggi del Sole, i quali altrimenti colpendo in maniera eccessiva la coltura renderebbero la foglia troppo spessa, mentre per ottenere un buon tabacco è necessario che la foglia rimanga sottile. Della pianta di tabacco le foglie dal sapore più intenso sono quelle più piccole poste sulla cima (tecnicamente detta corona), mentre le foglie più grandi del centro e della parte più bassa della pianta sono meno forti e dal gusto più leggero: ci viene spiegato come un buon sigaro sia costituito da una miscela perfetta di tutte queste parti. Per coltivare del buon tabacco sono sufficienti le cure ed il lavoro di un paio di guajiros, mentre al momento della raccolta vengono spesso assunti diversi lavoratori stagionali il più delle volte appartenenti alla stessa famiglia dei proprietari. Subito dopo la raccolta, le foglie di tabacco vengono stese su pali di legno ad essiccare all'interno delle galeras (che in effetti non sono altro che vasti e spogli stanzoni bui) per tre mesi consecutivi, quindi sono poste su teli in tessuto per venire aromatizzate con vari prodotti (tra cui Rum, miele, cacao e chi più ne ha più ne metta), infine avvolte da foglie secche di palma ed impilate dentro casse di legno rettangolari nelle quali rimangono per almeno due inverni. Al termine di questo processo la foglia è pronta e passa nelle mani dei torcedores che svolgono la fase di realizzazione vera e propria dei sigari. E' questo il modo in cui vengono prodotti i sigari più buoni del Mondo. Attualmente Eduardo ci dice che la varietà di tabacco più pregiata in circolazione è la Habana '92. Sfortunatamente, capitando a Cuba nei mesi estivi, non abbiamo la possibilità di osservare direttamente le foglie stese ad essiccare all'interno della galera, ma ascoltare dalla voce del produttore tutti i passaggi del complesso processo di lavorazione proietta comunque la nostra immaginazione in una dimensione di magia ed incantesimo.

Istruiti di cotanta sapienza proseguiamo la nostra escursione con Eduardo: costeggiamo le pendici di un Mogote e veniamo accompagnati a conoscere un altro importante elemento della cultura agricola di Cuba. Veniamo infatti introdotti in una piccola piantagione di caffè nella quale, accompagnati dal proprietario, ci viene mostrata la pianta stessa di caffè e ci viene illustrato il suo processo di lavorazione. Ci spiegano che il caffè di Viñales è uno dei migliori di Cuba e che nella valle crescono ben 46 varietà diverse di caffè, delle quali l'agricoltore che ci accompagna coltiva solamente l'Arabica, dalla bacca gialla e dal ramo più sottile, ed il Robusto, dalla bacca rossa e dal ramo più spesso. A suo dire la mescolanza di queste due varietà costituisce una miscela di caffè perfetta per sapore ed aroma. Ci viene poi raccontato di come la coltivazione della pianta di caffè si esegua nei mesi compresi tra settembre e dicembre. Dopo la raccolta le bacche di caffè vengono stese ad essiccare al Sole per due mesi, quindi vengono pestate manualmente in un pilon, una specie di mortaio, ed il chicco viene separato dal guscio facendo cadere il preparato dall'alto verso il basso, esponendolo così all'azione del vento che separa la crusca più leggera dal chicco più pesante. Infine il chicco così estratto viene tostato sulla fiamma per circa 30 minuti, dopodichè è pronto per la macinatura. Tornando dalla piantagione alla capanna dell'agricoltore ci viene mostrata anche la pianta dalla quale si estrae il cacao, che in realtà viene ottenuto dalla lavorazione della sostanza gelatinosa che compone la polpa posta intorno ai semi all'interno del frutto. Il cacao migliore però non viene coltivato a Viñales, bensì a Santiago de Cuba, la capitale cubana del cioccolato. Zucchero, caffè e tabacco: se volete conoscere ed assaporare la Cuba più spontanea e tradizionale occorre che vi mettiate sulle tracce di queste tre colture intorno alle quali ruota l'intera storia cubana. Vi assicuro che Viñales è il posto giusto per farlo. Terminata l'escursione Eduardo ci riaccompagna in città: lungo il tragitto ci racconta di essere un coltivatore di verdura destinata al consumo alimentare. Ci spiega anche di come tutta la terra a Cuba appartenga allo stato, mentre l'agricoltore che la coltiva la tiene in concessione ed è obbligato a venderne tutti i frutti al governo, il quale a sua volta li immette sul mercato nazionale. Questo vale anche per il tabacco ed il caffè, nonostante per queste due colture i commerci abbiano una portata internazionale. Ci racconta anche la sua storia personale e ciò ci lascia esterrefatti: è stato infatti investito da un'automobile alcuni anni prima e una delle sue gambe ha subito in quell'occasione danni permanenti. Ci chiediamo ancora una volta come abbia potuto sostenere la lunga camminata che abbiamo appena effettuato con tanta tranquillità e facilità. Infine ci racconta di come il villaggio di Viñales venne praticamente raso al suolo nel 2008 dal passaggio di due uragani consecutivi, Gustav e Ike: i segni della ricostruzione sono ancora oggi visibili e molti edifici appaiono ancora incompleti. Una volta di più però abbiamo la prova di come, tra mille difetti, il governo cubano tenti in situazioni di emergenza di dare un aiuto concreto ed immediato ai propri cittadini. Del resto, fino al conferimento del titolo di patrimonio dell'UNESCO, Viñales era un piccolo paese rurale senza troppe pretese anche se incastonato in uno dei paesaggi più belli di tutta Cuba, ma negli ultimi anni ha comunque conosciuto uno sviluppo esorbitante grazie all'aumento vertiginoso (e del tutto giustificato) dei percorsi turistici sorti nella zona. Concludiamo la nostra visita dirigendoci (stavolta in automobile) al Mural de la Prehistoria, un'imponente dipinto murale creato direttamente sulla superficie rocciosa del Mogote Pita, nella Valle de Dos Hermanos, vicino a Viñales, dall'artista cubano Leovigildo Gonzalez Morillo (discepolo del messicano Diego Rivera) nel 1961 su commissione dell'eroina nazionale Celia Sanchez. I lavori di realizzazione durarono cinque anni ed impegnarono fino a 18 persone alla volta. Questo affresco mastodontico, alto 120m e largo 80m, si mostra in modo davvero teatrale e suggestivo alla vista, posto com'è in un meraviglioso spazio raccolto e chiuso da alte pareti rocciose sul fondo di un largo prato verdissimo. I colori della raffigurazione sono davvero intensi e ciò fa di questa attrazione una delle più strane e sicuramente prive di imitazioni che io abbia mai potuto vedere. Il soggetto raffigura la teoria evoluzionista e la sua realizzazione venne ispirata dagli ideali rivoluzionari della lotta clandestina contro la dittatura e la corruzione del governo di Fulgencio Batista: come le figure di dinosauri e ominidi possano essere collegate a questi ideali sinceramente mi sfugge. Eduardo si è offerto di accompagnarci anche in questa visita seppure l'escursione da noi prenotata non lo prevedesse: ci racconta così che pochi anni prima un ricco gruppo alberghiero statunitense si offrì di acquistare l'intero sito in cambio di molti milioni di Dollari al fine di costruirci un lussuoso hotel, ricevendo in cambio un secco no da parte del governo cubano. Per fortuna! La dimostrazione di come non servano necessariamente ingenti ricchezze per amministrare bene il proprio patrimonio storico e culturale. Altra curiosità davvero assurda: il murale, costantemente esposto all'azione degli agenti atmosferici, viene regolarmente ristrutturato grazie ad una squadra di restauratori che ne rinnovano i colori ad intervalli ravvicinati. Salutiamo Eduardo a Viñales e ci sorprendiamo quando ci chiede solamente 20CUC in tutto per un'escursione durata praticamente mezza giornata.

Fatto ritorno a Cayo Levisa ci godiamo l'ultima serata nel resort con una cena a base di ottima aragosta e passeggiando lungo la battigia. Nell'oscurità della notte che avvolge la nostra camminata, veniamo salutati da una spettacolare tempesta di fulmini che all'orizzonte si abbate sulla superficie del mare in lontananza. Il giorno successivo comincia il rientro verso casa. Abbandoniamo Palma Rubia e ci dirigiamo verso l'Havana dove il giorno seguente ci attende il volo aereo per l'Italia. Date le pessime condizioni della strada incontrate all'arrivo decidiamo di cambiare percorso e facciamo bene. Ci dirigiamo a sud verso San Diego de Nuñez sopra una carreggiata in condizioni decisamente migliori rispetto a quella della carretera per Bahìa Honda. Ci addentriamo nelle profondità della provincia di Pinar del Rio, il cui nome originario era Nueva Filipina in richiamo alla grande presenza di cittadini filippini giunti qui per lavorare nelle piantagioni di tabacco, ma che venne sostituito nel 1778 con il nome attuale in riferimento probabilmente alle grandi foreste di pini che caratterizzano questa regione. Dispersa ed isolata in questo ambiente, più precisamente nel verdeggiante ecosistema della Sierra del Rosario, si trova Las Terrazas, un pionieristico villaggio ecologico fondato solo nel 1968 nell'ambito di un più vasto progetto di riforestazione riguardante i territori precedentemente occupati da vecchie piantagioni di caffè cadute in stato di abbandono. Questa cittadina costituisce oggi parte dell'unica riserva della biosfera tutelata dall'UNESCO presente sul suolo cubano. La sua popolazione di 1.200 abitanti, rappresentata soprattutto da artisti e coltivatori di caffè, pratica correntemente i principi dell'agricoltura sostenibile, dell'efficienza energetica, dell'educazione ambientale e dell'ecosostenibilità. Las Terrazas è, in poche parole, il tempio dell'ambientalismo cubano. Ci capitiamo quasi per caso e decidiamo di effettuare una piccola deviazione per visitarla: il centro abitato si sviluppa sulle rive di un piccolo lago, il Lago San Juan, costantemente solcato da barche a remi ed attraversato da un minuscolo ponticello che permette l'accesso al villaggio stesso. L'atmosfera che si respira è certamente molto anglosassone. Ad ogni modo Las Terrazas non offre molto altro, pertanto ci accontentiamo del paesaggio e ci rimettiamo in viaggio. Siamo infatti curiosi di visitare un altro importante luogo situato nelle vicinanze: Pinar del Rio era infatti storicamente la regione del caffè ed ospitava a metà del XIX secolo la bellezza di ben 54 cafetales (così vengono chiamate a Cuba le piantagioni di caffè). Oggi la maggior parte di questi è caduta in disuso e non è più attiva, sebbene il caffè venga ancora coltivato nella regione in quantità più contenute rispetto al passato. Decidiamo di visitare il Cafetal Buenavista, la più vecchia piantagione cubana di caffè, fondata nel 1801 da coloni francesi e recentemente riportata all'antico splendore grazie ad un'attenta opera di restauro. La raggiungiamo salendo con l'automobile lungo un dolce pendio sulla cima del quale si apre davanti a noi una meravigliosa vista sulla Sierra del Rosario.

All'ingresso del cafetal, subito dopo l'arco che ne segna l'entrata, si incontra sulla sinistra una massiccia costruzione realizzata in pietra grezza: era adibita ad immagazzinare il caffè raccolto in attesa di essere trasportato a dorso di mulo al porto di Mariel, inoltre ospitava colui che comandava gli schiavi, vale a dire il jefe. Il proprietario della piantagione invece non viveva all'interno della tenuta ma vi si recava solamente all'occorrenza per controllare i raccolti. Davanti a questo edificio principale si apre un piccolo spiazzo al centro del quale si innalza, sul sostegno di un esile e consumato palo di legno, la piccola campana usata per radunare gli schiavi all'inizio ed al termine della giornata di lavoro: pensare che la campana oggi esposta è la stessa che veniva suonata 200 anni fa' per costringere uomini e donne innocenti a lavorare contro la propria volontà fa effettivamente un certo senso. Dietro questo spiazzo si trovano invece i secadores, una serie di terrazzamenti presso i quali i chicchi di caffè venivano stesi ad essiccare al Sole, e sullo sfondo, sotto una piccola capanna, è posta la tajona, vale a dire la grossa macina a ruota di pietra usata per pestare le bacche al fine di estrarne i chicchi. Tutto intorno alla collina sopra la quale si colloca il complesso produttivo, dove oggi si osserva una vegetazione incolta, sorgevano ettari ed ettari di piantagioni di caffè, il cui limite con la piattaforma di lavoro è tutt'oggi segnato dai resti delle baracones nelle quali risiedevano gli schiavi (circa 120 persone), stesi per terra ed ammassati l'uno sull'altro nei microscopici spazi abitativi. Oggi il cafetal ospita un ristorante di buona qualità che offre piatti a base di carne e...del buon caffè espresso.

Arriviamo all'Havana nel tardo pomeriggio giusto in tempo a raccogliere una multa salata per aver contravvenuto al rigido codice stradale cubano (per la bellezza di 60CUC), ma decisi a non sprecare nemmeno un istante di questo bellissimo viaggio ci dirigiamo comunque verso il centro della città: quando due settimane prima l'abbiamo lasciata per iniziare il nostro itinerario attraverso Cuba avevamo messo da parte due cose in sospeso che ci eravamo ripromessi di recuperare prima del ritorno a casa. Perciò, prima di tutto, ci dirigiamo in Plaza San Francisco de Asis, la quarta istituzione urbanistica dell'Havana Vieja dopo Plaza De Armas, Plaza de la Catedral e Plaza Vieja. Situata proprio di fronte al porto, questa piazza, risalente al XVI secolo, ospitò originariamente un mercato, quindi, dopo la realizzazione della chiesa ed in seguito alle lamentele per il gran baccano, il mercato venne trasferito altrove.

Oggi questo spazio cittadino è dominato in maniera incontrastata dalla Iglesia y Monasterio de San Francisco de Asis: tale complesso religioso comprendeva in origine, oltre alla chiesa, anche un monastero di frati francescani. Costruito nel 1608 e riqualificato in stile barocco nel 1738, non svolge più alcuna funzione religiosa dal 1840 ed oggi i suoi ampi spazi sono adibiti alle funzioni di museo e di sala da concerto. Tuttavia la sua struttura in pietra grezza rimane ancora una delle più pregevoli della città, con l'alta e monumentale torre campanaria e la statua del frate francescano Junipero Serra posta lungo il lato della chiesa esposto sulla piazza. La storia di questo monaco spagnolo è quantomeno controversa: giunto nelle Americhe per evangelizzare i popoli indios, sono in molti a sostenere che contribuì al loro annientamento, sebbene nel 2015 sia stato proclamato santo dalla Chiesa Cattolica. Al centro di Plaza San Francisco de Asis, a completare la bella vista fornita dalla chiesa, si trova poi la Fuente de los Leones, un'elegante fontana in marmo bianco raffigurante quattro leoni, opera dell'italiano Giuseppe Gaggini che la scolpì nel 1836. Dietro a questa, lo spazio della piazza è chiuso dalla Lonja del Comercio, un moderno edificio a cupola, ex mercato delle materie prime, costruito nel 1909 e restaurato nel 1996 per ospitare gli uffici delle società straniere partner commerciali di Cuba. La curiosità bislacca legata a Plaza San Francisco de Asis però è legata ad una bizzarra statua situata davanti alla facciata della chiesa: è il Caballero de Paris e ritrae un viandante realmente esistito e ben noto tra la popolazione havanera degli anni '50, il quale era solito aggirarsi per le strade della città intrattenendo i passanti con discorsi filosofici riguardanti la vita, la religione o la politica. La sua effige, immortalata con vesti trasandate, una barba lunga ed incolta, lunghi capelli spettinati, e nell'atto di tenere tra le mani giornali, penne per scrivere, un cucchiaio ed altri strani oggetti, offre davvero uno spettacolo stravagante rispetto alla solennità degli edifici circostanti. La tradizione comunque recita che sfregare con le mani la barba della statua porti fortuna, cosa che puntualmente, infatti, fanno tutti i passanti.

La seconda attività in sospeso dalla nostra precedente visita all'Havana riguarda la Bodeguita del Medio: pur essendoci passati davanti non avevamo ancora assaggiato il suo famoso Mojito. E quale miglior modo di salutare Cuba se non assaporando un buon cocktail a base di Rum? Vogliamo brindare alla riuscita del nostro itinerario ed al novantesimo compleanno di Fidel Castro che cade il giorno successivo, proprio quello della nostra partenza. Così, dopo aver fatto uno spuntino a base di Chivirico (una sorta di frittella zuccherata) acquistato da un venditore ambulante, ci sediamo al bancone, ordiniamo i nostri drink e ne testiamo il gusto ispirati da grande curiosità visto che, come detto, il Mojito fu inventato proprio qui. A dire il vero, però, l'esperienza risulta un po' deludente: ma cosa potevamo aspettarci? Dopo quello che abbiamo visto e vissuto, a Cuba non c'è mica solo il Rum!

  1. Bravo, bravo davvero questo "curioso" viaggiatore!
    Nel suo diario di viaggio si può trovare tutto: memorie di storia e descrizioni di luoghi raccontate con sorprendente leggerezza, insieme a testimonianze personali e appassionate riguardanti personaggi conosciuti e anche consigli e suggerimenti pratici. Ma è soprattutto la cronaca della quotidianità narrata con tratto ora ironico ora struggente che fa di questo "CUBA - LA REVOLUCION IMMOBILE" un'esperienza di lettura emozionante e coinvolgente. Da non perdere.

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