"Così questa è la fine?".
Due pellegrini avanzano camminando con la testa rivolta verso l'alto, lo sguardo ammirato di chi finalmente trova un tesoro ma stranamente fatica a realizzarlo. Si trovano proprio lì dove il lungo cammino durato settimane infine si conclude: la città del santo, Santiago de Compostela. Sono ormai nel cuore della metropoli che come un prezioso salone li accoglie, e le sue pareti sono tappezzate di chiese, santuari, monasteri. I due pellegrini superano un corto sottopassaggio e sbucano nella piazza immensa sorvegliata dall'altissima facciata della cattedrale. Si fermano. Osservano. Si guardano tra loro in silenzio. Posano gli zaini. Come animali sfiniti si lasciano cadere a sedere sul suolo duro. Sospirano. E mentre ogni cosa intorno a loro si muove, infine realizzano: "Questo è invece l'inizio!".
Due pellegrini avanzano camminando con la testa rivolta verso l'alto, lo sguardo ammirato di chi finalmente trova un tesoro ma stranamente fatica a realizzarlo. Si trovano proprio lì dove il lungo cammino durato settimane infine si conclude: la città del santo, Santiago de Compostela. Sono ormai nel cuore della metropoli che come un prezioso salone li accoglie, e le sue pareti sono tappezzate di chiese, santuari, monasteri. I due pellegrini superano un corto sottopassaggio e sbucano nella piazza immensa sorvegliata dall'altissima facciata della cattedrale. Si fermano. Osservano. Si guardano tra loro in silenzio. Posano gli zaini. Come animali sfiniti si lasciano cadere a sedere sul suolo duro. Sospirano. E mentre ogni cosa intorno a loro si muove, infine realizzano: "Questo è invece l'inizio!".
Tutto ebbe principio durante una notte dell'anno 813 d.C. nel corso della quale un eremita di nome Pelagio venne colpito da una miracolosa apparizione: vide scendere verso di lui dal cielo un angelo alato a mostrargli, come in un sogno ad occhi aperti, la visione di tantissime luci abbaglianti simili a stelle sospese sopra le pendici del Monte Libredon, in Galizia. La notizia della strana apparizione si diffuse tra il popolo fino a giungere all'orecchio di Teodomiro, vescovo della città romana di Iria Flavia: costui, incuriosito dall'insolito racconto, diede inizio a delle ricerche e si imbattè così in una tomba contenente tre corpi, uno dei quali presentava la testa mozzata. Si trattava della sepoltura di San Giacomo il Maggiore, uno dei 12 Apostoli di Gesù, e dei suoi due discepoli, Atanasio e Teodoro. Sul luogo della scoperta, successivamente, per decreto regio di Alfonso III re delle Asturie, venne eretto un tempio per custodire le spoglie del santo, ed intorno ad esso si venne a creare un villaggio a cui verrà attribuito il nome di Santiago de Compostela, nome derivante dal latino Sancti Jacobi attraverso lo spagnolo arcaico Sant Yago, cioè San Giacomo, e da campus stellae, vale a dire "campo di stelle", in richiamo alla prodigiosa visione avuta dall'eremita Pelagio (una seconda versione farebbe risalire il nome Compostela sempre dal latino ma da campus tellum, che significa "campo di sepoltura"). Nei secoli questo luogo divenne meta di pellegrinaggio di innumerevoli schiere di pellegrini desiderosi di visitare la tomba dell'apostolo.
Giacomo di Zebedeo, detto il Maggiore per distinguerlo dall'apostolo Giacomo di Alfeo conosciuto invece come il Minore, viene descritto nei Vangeli come personaggio passionale e dal carattere deciso: proverbiale fu la sua rabbia in occasione del rifiuto da parte di un villaggio samaritano di ospitare Gesù, il quale poi lo rimproverò duramente per l'indole impetuosa. San Giacomo aveva infatti chiesto al Maestro di provocare la distruzione del villaggio tramite la discesa dal cielo di un fuoco punitivo. Sincero e devoto, fu comunque, insieme al fratello Giovanni, tra i primi discepoli del Messia. Dopo la morte e la resurrezione di Gesù, San Giacomo intraprese un lungo viaggio missionario con lo scopo di evangelizzare i popoli lontani: arrivò così in Galizia dove prestò la propria opera di predicazione presso le popolazioni celtiche che abitavano quelle terre. Tornato in Palestina venne catturato, imprigionato ed infine ucciso per decapitazione su ordine del re Erode Agrippa nell'anno 44 d.C. La sua salma venne tratta in salvo dai suoi discepoli, trasportata al porto palestinese di Jaffa, quindi da qui nuovamente in Galizia, dove gli venne data sepoltura segreta per proteggerla dalle persecuzioni romane contro i cristiani. Dopo la scoperta del suo sepolcro, il luogo della sua sepoltura divenne meta di pellegrinaggio di fedeli da tutta l'Europa: i pellegrini erano soliti recarsi alla tomba del santo per chiedere il perdono da colpe incoffessabili o per trovare redenzione da una vita dissoluta ed aberrante. Oggi il Cammino di Santiago de Compostela è il terzo pellegrinaggio cristiano più importante e frequentato al Mondo, dopo quelli che conducono a Gerusalemme e a Roma, e dal 1985 il suo tracciato è stato dichiarato patrimonio dell'umanità da parte dell'UNESCO. Ogni anno più di 250.000 pellegrini lo compiono: un itinerario senza tempo, sacro e solenne, capace ancora oggi, come ieri, di cambiare vite.
Tappa 1: Leon
Arrivati a Leon in treno da Madrid, ci mettiamo subito in cerca della nostra prima accomodazione sul percorso del Cammino di Santiago. Ogni città disposta lungo il sentiero di pellegrinaggio offre al pellegrino sistemazioni agevolate per il pernottamento. Si tratta generalmente di strutture che offrono a prezzi vantaggiosi posti letto in dormitori più o meno affollati, alcuni aggiungendo per pochi spiccioli anche una colazione comunitaria, in taluni casi persino la cena. Molti di questi albergue sono a conduzione municipale o parrocchiale e sono gestiti da personale volontario, altri sono invece a regime privato sebbene con tariffe generalmente in linea con quelli istituzionali. Non c'è da aspettarsi ovviamente il lusso e la comodità, i bagni sono sempre condivisi e la pulizia spesso lascia un po' a desiderare, ma al termine di una giornata di marcia è quanto basta per trovare un po' di riposo e per avere un contatto pressochè totale con gli altri pellegrini. Del resto, dopo le prime tappe, è facile farsi subito un'esperienza che guidi alla scelta dell'albergue migliore. Ad ogni modo, per prendere posto in queste strutture basterà presentare la propria Credencial del Peregrino, una sorta di patentino con i dati del pellegrino sopra il quale, di volta in volta, vengono apposti i

Tappa 1: Leon
Arrivati a Leon in treno da Madrid, ci mettiamo subito in cerca della nostra prima accomodazione sul percorso del Cammino di Santiago. Ogni città disposta lungo il sentiero di pellegrinaggio offre al pellegrino sistemazioni agevolate per il pernottamento. Si tratta generalmente di strutture che offrono a prezzi vantaggiosi posti letto in dormitori più o meno affollati, alcuni aggiungendo per pochi spiccioli anche una colazione comunitaria, in taluni casi persino la cena. Molti di questi albergue sono a conduzione municipale o parrocchiale e sono gestiti da personale volontario, altri sono invece a regime privato sebbene con tariffe generalmente in linea con quelli istituzionali. Non c'è da aspettarsi ovviamente il lusso e la comodità, i bagni sono sempre condivisi e la pulizia spesso lascia un po' a desiderare, ma al termine di una giornata di marcia è quanto basta per trovare un po' di riposo e per avere un contatto pressochè totale con gli altri pellegrini. Del resto, dopo le prime tappe, è facile farsi subito un'esperienza che guidi alla scelta dell'albergue migliore. Ad ogni modo, per prendere posto in queste strutture basterà presentare la propria Credencial del Peregrino, una sorta di patentino con i dati del pellegrino sopra il quale, di volta in volta, vengono apposti i
Sellos, vale a dire i "timbri" delle varie località che si attraversano nelle varie tappe lungo il Cammino di Santiago. Arriviamo a Leon con la nostra Credencial già in tasca: ce la siamo procurata in Italia prima della partenza, partecipando ad una solenne cerimonia presso la Chiesa di San Cristoforo a Milano in occasione della quale vengono consegnate le credenziali ai pellegrini cogliendo l'occasione per recitare un rosario in latino. Ogni secondo martedì del mese, infatti, la Confraternita di San Jacopo di Compostella, dal 1989 riconosciuta dalle autorità ecclesiastiche come riferimento italiano per i percorsi di pellegrinaggio jacobeo, conduce una cerimonia di investitura caratterizzata da una formula risalente all'epoca medievale ed utilizzata fin da quest'epoca dalle autorità pontificie per consacrare i pellegrini in partenza: oggi come secoli fa', i membri del capitolo lombardo della confraternita, bardati con pesanti tuniche di color rosso vinaccia decorate da inserti dorati e dai simboli della Croce di San Giacomo con delle conchiglie pendenti lungo le maniche e sul petto, recitano questa antica formula di investitura facendo reggere al candidato, fermo in piedi davanti ad un altare, un bastone ed una bisaccia. Sono questi i simboli millenari del pellegrino: il bardon, vale a dire il "bastone" di legno che sostiene nella fede il cammino, spesso sormontato da una calabaza, una sorta di piccola borraccia ricavata da una zucca svuotata e legata sulla cima del bastone, e lo zurron, cioè una bisaccia di pelle necessaria a contenere la forza di volontà tanto indispensabile al pellegrino per compiere il viaggio. La cerimonia di consegna della Credencial del Peregrino comunque è completamente gratuita e viene richiesta un'offerta pecuniaria solo a chi volesse donarla. In alternativa ovviamente è possibile reperire la Credencial direttamente lungo il Cammino di Santiago generalmente presso le città di maggiori dimensioni. Siamo quindi pronti ad esibire la nostra patente del pellegrino per la prima volta con lo scopo di riposare il più possibile prima di cominciare a camminare il giorno successivo: per pernottare a Leon abbiamo scelto l'Albergue del Monasterio Benedectino de Santa Maria de Carbajal, una struttura recettiva per pellegrini gestita da volontari e ricavata nei locali di un antico monastero abitato ancora oggi da una comunità di monache benedettine: grandi camerate divise in scomparti comunicanti da circa 20 letti ciascuno, locali puliti, personale gentile, colazione comunitaria in un piccolo cucinino angusto dove si mangia tutti insieme gomito contro gomito. Il luogo ideale per calarsi subito nell'atmosfera del Cammino di Santiago! Dopo aver vagato a vuoto per circa un'ora in cerca del nostro albergue incontriamo Shanade, giovane irlandese che ci rivela essere una veterana del Cammino di Santiago: lo ha già compiuto per intero ed ora sta ripercorrendo alcune tappe per godersi meglio i luoghi che ha attraversato. Grazie a lei troviamo finalmente l'albergue, abbandoniamo lo zaino e dedichiamo la serata a curiosare per le vie della città.
Consumiamo la nostra cena in un'onesta locanda affacciata su Plaza Santa Maria del Camino, chiamata anche Plaza del Grano in quanto qui si teneva anticamente un mercato all'aperto in cui veniva venduto il frumento. La piazza, una delle meglio conservate della città, ospita al centro una bella fontana raffigurante due bambini abbracciati, allegoria del Rio Bernesga e del Rio Torio che presso Leon confluiscono l'uno nell'altro. Dietro la fontana sorge una piccola croce di pietra utilizzata in antichità come berlina presso la quale venivano esposti al pubblico scherno criminali e malfattori; inoltre racconti popolari narrano di una miracolosa apparizione della Vergine Maria nei suoi pressi. Sul fondo della piazza sta infine la Iglesia Parroquial de Nuestra Señora del Camino (o Iglesia de Nuestra Señora del Mercado sempre in richiamo all'antica funzione assunta dalla piazza). L'ora è però già tarda e ci apprestiamo quindi a fare ritorno all'albergue, posto proprio su un lato del piazzale che abbiamo appena visitato. L'eccitazione per l'imminente partenza a piedi programmata per la mattina successiva si fa già sentire, ma non facciamo in tempo ad avvertirla che veniamo colti da un'inaspettata sorpresa: la nostra attenzione viene infatti richiamata da un forte suono di tamburi proveniente dalle vie attigue alla piazza. Incuriositi ci dirigiamo a scoprirne il mistero e davanti ai nostri occhi appare uno spettacolo insolito, meraviglioso, a tratti inquietante: una lunga processione di personaggi in costume, vestiti di tuniche nere e con il volto coperto da appuntiti cappucci dello stesso colore, un fiume di persone che avanzano in schiere ordinate e geometriche, alcuni sostenendo il peso di pesanti crocifissi che vengono lentamente trasportati attraverso una folla di persone vestite in abiti comuni raccolta sui lati della via ad assistere all'evento. Il suono cupo e solenne di numerosi tamburi scandisce il passo dei fedeli, di tanto in tanto una melodia ricamata da strumenti a fiato spezza la cadenza monotona delle percussioni. Lo scenario viene interrotto qua e là da massicci altari ornati da paramenti sacri e sormontati da imponenti sculture riccamente decorate raffiguranti immagini sacre della Passione di Cristo, sostenuti dagli stessi fedeli incappucciati i quali ritmicamente fanno oscillare l'altare in un perfetto movimento coordinato, quasi a rendere viva l'immagine posta sulla sommità. Rimaniamo a bocca spalancata davanti al fiume nero di persone di ogni età, persino bambini e giovani ragazzi, che ci sfilano davanti con naturalezza. Non è difficile immaginare che ad un primo approccio lo stupore suscitatoci dalla scoperta si è mischiato ad un pizzico di timore nello scorgere il sinistro aspetto dei processuanti. Fortunatamente incontriamo Carmen, una gentile señora ferma come noi ad assistere alla processione, la quale comincia a spiegarci il significato dell'evento: si tratta della Procesion de la Pasion che si tiene nel corso della Semana Santa, vale a dire della Settimana Santa, cioè la settimana che precede la Pasqua, e Leon è celebre in tutta la Spagna per i sacri festeggiamenti che in quest'occasione vengono da secoli messi in atto. In città esistono infatti 16 cofradias, vale a dire "confraternite", ognuna con i propri simboli e la propria livrea, seppure tutte ammantate di colore nero. In occasione della Semana Santa ogni componente delle cofradias fa voto di profonda dedizione sfilando per le strade della città, insieme con gli altri membri della confraternita, con il volto coperto in segno di profonda umiltà verso il sacrificio di Cristo, alcuni addirittura scalzi come penitenza per colpe o mancanze commesse. Ogni cittadino leonense, senza distinzione di estrazione sociale, genere o età, ha la possibilità di entrare a far parte di una cofradia su candidatura e dietro pagamento di un contributo pecuniario annuale. All'interno di ciascuna confraternita esiste una struttura gerarchica necessaria per consentire l'ordinato svolgimento degli eventi religiosi: la guida della cofradia è l'Abad, solitamente ben riconoscibile a causa della tunica ornata da inserti dorati e del pesante bastone di metallo che tiene in mano; ci sono poi i Papones, coloro che organizzano ed ordinano la schiera degli altri membri della confraternita durante la processione, gli unici che è possibile vedere separarsi dall'ordinata e squadrata colonna di fedeli per dirigersi a suggerire silenziosamente consigli ed indicazioni dove è necessario; i Seises sono invece coloro che danno il passo ed ordinano il ritmo con il quale la colonna procede; infine ci sono le Manolas, vale a dire le donne, in abiti più comuni ma sempre vestite completamente di nero, con la mantilla, vale a dire uno scialle posto sulle spalle, ed un alto copricapo ricamato chiamato peineta. Ma il pezzo pregiato di ogni cofradia è il paso, cioè il "carro", al quale i membri della confraternita lavorano tutto l'anno in quella che sembra una specie di gara mai riconosciuta a chi realizzi l'opera più sontuosa e realistica.
Mentre il fiume nero scorre inarrestabile davanti a noi, Carmen ci informa che le tre cofradias che abbiamo appena visto sfilare sono anche le più antiche, sorte per prime nel XVI secolo: la Cofradia de Nuestra Señora de las Angustias y Soledad, la Cofradia del Dulce Nombre de Jesus Nazareno, e la Real Cofradia de Minerva y Veracruz. Ringraziando la fortuna che ci ha concesso la possibilità di ammirare una delle tradizioni più antiche, originali e preziose della cultura religiosa spagnola, facciamo ritorno al nostro albergue dove ci attende una nottata affollata e densa di rumori molesti, ma con il suono regolare dei tamburi che affievolendosi accompagna lentamente il nostro sonno.
Tappa 2 (21km): Leon - Villar de Mazarife
Svegliati di buon'ora da un hospitalero che percorre il corridoio del dormitorio battendo rumorosamente un mestolo su una lastra di metallo, consumiamo la nostra colazione in compagnia degli altri pellegrini. Prima di partire veniamo salutati da un'hospitalera con dei baci sulla guancia (gesto che mi è sembrato così strano all'esordio del Cammino di Santiago, ma non sarà più così alla fine del pellegrinaggio) accompagnati all'augurio "Buen Camino" che migliaia di volte sentiremo nelle settimane che verranno, e subito portiamo i nostri passi sul sentiero. Abbiamo deciso di iniziare il Camino Frances, uno dei percorsi di pellegrinaggio jacobeo (non l'unico!) che attraverso la Spagna conducono a Santiago de Compostela, partendo da Leon, cioè circa dalla metà del percorso complessivo e non dal principio presso Saint Jean Pied de Port in Francia sui Pirenei, non per nostra volontà ma per mancanza di tempo: ci troviamo a 320km dalla meta. Il percorso all'interno di Leon è segnalato da conchiglie dorate incastonate lungo la superficie del selciato, preziosa variante rispetto alle tipiche frecce gialle tracciate con colpi di vernice che incontreremo costantemente nelle tappe a venire: seguendo questi aurei segnali arriviamo in breve in Plaza San Marcelo dove sorge la Casa Botines, edificio in stile neogotico progettato nel 1892 dall'architetto catalano Antoni Gaudì. La sua realizzazione si deve ai mercanti di tessuti Simon Fernandez e Mariano Andres Luna, dipendenti dell'imprenditore catalano Juan Francisco Ramon Homs y Botines (da cui il nome dell'edificio), i quali detenevano rapporti commerciali con l'industriale Eusebi Güell: costui aveva potuto ammirare la straordinaria abilità di Gaudì nella realizzazione della futuristica vetrina progettata dall'architetto per la guanteria di Esteve Comella a Barcellona, e consigliò quindi ai soci in affari il suo nome per la costruzione dell'opera nascente. Il progetto proposto da Gaudì prevedeva l'impiego della ghisa per la composizione della struttura portante, caratteristica che incontrò lo scetticismo degli ingegneri i quali, a causa della pesantezza del materiale, previdero un inevitabile crollo della costruzione...crollo che ovviamente non avvenne mai. La facciata dell'edificio, fine ed elegante, è arricchita da una statua alta 3m raffigurante San Giorgio, copia dell'opera originale rimossa dal sito a causa del deterioramento dovuto all'esposizione agli agenti atmosferici.
Accanto a Casa Botines si trova il Palacio de los Guzmanes, palazzo rinascimentale costruito nel 1560 su progetto dell'architetto Rodrigo Gil de Hontañon (riconosciuto oggi come uno dei migliori architetti spagnoli esistiti) come residenza per il vescovo Juan Quiñones y Guzman. Proseguiamo su Calle Ancha, una delle vie più affollate della città, ricca di negozi, ristoranti e locande, e raggiungiamo Plaza de Regla: qui sorge la Catedral de Santa Maria de Regla, la cattedrale di Leon, manifesto esemplare del gotico spagnolo, uno dei templi più prestigiosi di Spagna e d'Europa, conosciuta fin dall'antichità come la Pulchra Leonina, letteralmente "bella leonense", a causa della sua bellezza sottile, raffinata e fragile. La sua costruzione risale al XIII secolo, fu commissionata da Alfonso X re di Castiglia, e venne originariamente intrapresa sopra la struttura di un precedente tempio romanico sorto a sua volta sui resti di antiche terme romane: le rovine di queste costruzioni antecedenti sono ancora oggi visitabili presso la Cripta Arqueologica, raggiungibile attraverso una corta scalinata posta di fronte al lato sud della chiesa. Nel silenzio della piazza deserta favorito dall'ora davvero precoce, rimaniamo ammirati ad osservare la facciata principale della cattedrale composta da due torri diverse, quella nord alta 65m e chiamata Torre de las Campanas, quella sud alta 68m e chiamata Torre del Reloj a causa del piccolo orologio a meccanismo posto lungo la sua superficie. Entrambe le torri sono collegate al corpo principale da sottili contrafforti che disegnano nel vuoto curve di granitica leggerezza. Il portale principale, conosciuto come Puerta de la Virgen Blanca, è sorretto da una colonna scolpita con un busto della Vergine Maria conosciuto per l'appunto come la Virgen Blanca: questa statua costituisce il venerato palladio della città, pertanto quella esposta è ovviamente una copia mentre l'originale è conservato al riparo all'interno della cattedrale. Sopra il portale un imponente rosone completa la forma davvero particolare ed insolitamente leggera di questa meravigliosa facciata. I portali laterali, finemente scolpiti, posti a lato di quello principale, sono intitolati infine a San Francesco ed a San Giovanni.
Elemento di spicco della cattedrale sono le sue fantastiche vetrate, tra le più preziose e grandi d'Europa con ben 17.000m² di estensione complessiva distribuita in tre rosoni e 135 finestre: si tramanda che la tecnica con cui vennero realizzate derivi da un'antica tradizione araba di lavorazione del vetro tramandata attraverso i secoli. Fu infatti intorno a questa città che nacque, nel X secolo d.C., il Regno di Leon, uno dei regni più importanti dell'Europa medievale e baluardo della Reconquista cristiana in una terra, quella della Penisola Iberica, fino ad allora occupata e dominata dal popolo arabo. Oggi come ieri Leon, con i suoi 135.000 abitanti, fondata come castrum romano dalla legione Victrix VI prima e dalla legione Gemina VII poi (dal termine latino legio, che significa "legione", deriverebbe il nome Leon), successivamente insediamento visigoto, costituisce un faro luminosissimo di spiritualità e solennità. Approfittando della vicinanza con Plaza de Regla, ci dirigiamo a dare un'occhiata anche a Plaza Mayor, risalente al XVI secolo, la sesta piazza più antica di Spagna nonchè primitivo centro economico della città di Leon in quanto in questo luogo si teneva in passato un grande mercato all'aperto. Siamo nel Barrio Humedo, il Quartiere Umido, così chiamato in quanto in antichità qui sorgevano numerose locande e botteghe alle quali i cittadini leonensi si recavano ad acquistare vino sfuso da consumare a domicilio: era uso comune travasare il vino in grandi cesti foderati di gomma per trasportarlo all'abitazione, e nell'operazione inevitabilmente parte del vino veniva versato andando a bagnare la superficie delle vie, rendendola in questo modo proverbialmente umida. In Plaza Mayor sorge la Antigua Casa Consistorial, sede del primo ayuntamento locale.
Facciamo ritorno in Plaza de Regla, un ultimo sguardo alla facciata della meravigliosa cattedrale, il tempo di una rapida preghiera presso una cappella laterale (la Catedral non apre al pubblico prima delle 09:30 e l'ingresso costa 6€) ed è tempo di mettersi in cammino. Prima di proseguire incontriamo sulla piazza Adrian e Janet, due simpatici coniugi inglesi non più giovanissimi che ci fermano per chiederci informazioni su dove procurarsi la Credencial del Peregrino a Leon: sono come noi al primo giorno di cammino, li incontreremo nuovamente lungo il sentiero. Ci rimettiamo come segugi sulla pista delle conchiglie dorate. Da Plaza de Regla in breve veniamo proiettati al cospetto della Real Colegiata Basilica de San Isidoro posta in Plaza de San Isidoro: la seconda chiesa più importante di Leon, nonchè una delle più antiche, mirabile esempio del romanico spagnolo, venne realizzata nell'XI secolo su commissione di Ferdinando I e Sancha I, sovrani di Leon. Il tempio sorge sul luogo in cui precedentemente erano collocate una chiesa intitolata a San Giovanni Battista ed un monastero consacrato a San Pelagio, martire spagnolo ucciso ancora bambino per mano dei musulmani dopo essersi rifiutato di rinnegare il credo cristiano. Questo piccolo eroe della fede venne catturato insieme allo zio, Ermogio vescovo di Tui, che stava accompagnando in un viaggio episcopale, e fu imprigionato per tre anni presso la corte del califfo Abd-al-Rahman III a Cordoba: lo zio vescovo venne liberato lasciando come cauzione proprio il nipote. San Pelagio venne così brutalmente torturato, sottoposto a bieche tentazioni tra le quali, si racconta, persino lusinghe sessuali, infine venne assassinato per smembramento. Presso il monastero leonense a lui intitolato era collocata una comunità di canonici e soprattutto l'Infantado Leonino, antica istituzione monastica dell'età medievale costituita per ospitare a vita monacale le principesse aristocratiche rimaste nubili: creato in principio per Elvira Ramirez, figlia di Ramiro III re di Leon, l'Infantado venne poi trasferito, a distanza di duecento anni dalla fondazione, alla località di Carbajal de la Legua. L'edificio attuale della basilica è il risultato di un'opera di ricostruzione e ristrutturazione dopo che la chiesa originaria ed il monastero vennero rasi al suolo durante l'attacco alla città guidato dal califfo Almanzor nel 988 d.C. Il tempio ospita oggi i resti di San Isidoro, vescovo di Siviglia, evangelizzatore dei popoli visigoti, dottore della Chiesa Cattolica, importante conservatore e compositore di opere enciclopediche tanto da venire nominato da papa Giovanni Paolo II patrono della rete internet nel 2002. Il feretro contenente il corpo di San Isidoro venne traslato a Leon, all'interno della basilica, nel 1062 con il fine di aumentare il prestigio della città. Durante le invasioni napoleoniche la tomba venne però profanata dalle truppe francesi ed i resti di San Isidoro vennero quindi spostati all'interno di un'urna celata sotto l'altare maggiore sullo sfondo del quale si trova oggi una pregevole pala realizzata da Lorenzo de Avila e da Juan de Borgoña nel XVI secolo. Sul lato sinistro dell'abside un corto camminamento conduce alla Capilla de la Trinidad, santuario dello stile artistico ispano-fiammingo, realizzata nell'XI secolo dal canonico Santo Martino con lo scopo di ospitare le numerose reliquie raccolte durante i viaggi che l'autore era solito compiere, nonchè per accogliere le sepolture dei canonici locali. In effetti la Real Colegiata Basilica de San Isidoro ospita oggi uno dei più ricchi musei di reliquie ed oggetti sacri di tutta la Spagna, radunati per la maggior parte dai fondatori Ferdinando I e Sancha I. Al suo interno è inoltre collocato il Panteon Real, luogo di sepoltura dei reali di Leon. Infine fu tra le mura di questa basilica che si tennero le prime Cortes de Leon, primitivi organi parlamentari nei quali si riunirono per la prima volta istituzioni reali, aristocratiche, clericali e popolari per deliberare circa le sorti della città.
Usciamo da questo luogo intriso di storia e ci soffermiamo un ultimo istante ad osservarne la facciata, con la Puerta del Cordero, il portale principale dedicato al sacrificio di Isacco, affiancata dalla Puerta del Perdon, il portale di accesso utilizzato storicamente dai pellegrini, il tutto sormontato dalla Torre del Gallo, la torre campanaria, così chiamata in virtù della banderuola a forma di gallo che sorge sulla sua sommità, nello spessore della quale sono inglobati i resti delle antiche mura del primordiale agglomerato urbano di epoca romana. Ci lasciamo alle spalle anche Plaza de San Isidoro e ci apprestiamo ad abbandonare i confini di Leon, ma non prima di aver incrociato un altro luogo ricco di tradizione: si tratta dell'Antiguo Convento de San Marcos, importante e monumentale complesso costruito nel XII secolo come rifugio per pellegrini, successivamente ospitò anche una comunità di Gesuiti e fu sede dell'Ordine dei Cavalieri di San Giacomo, antico ordine monastico-militare medievale fondato nel XII secolo su iniziativa di Ferdinando II re di Leon con lo scopo di difendere dagli attacchi saraceni la città di Caceres nella regione dell'Estremadura. In seguito l'ordine assunse la regola agostiniana e si votò alla protezione dei pellegrini in cammino verso Santiago de Compostela: il simbolo dei cavalieri membri era costituito dalla Cruz de Santiago, la Croce di San Giacomo, una croce rossa il cui braccio minore ricorda l'elsa di una spada ed il braccio maggiore una lama. Quest'ordine cavalleresco incredibilmente esiste ancora oggi, conta 35 cavalieri e vi sono ammessi solo nobili di alta discendenza, anche se non credo che vadano ancora in giro vestiti con armature e brandendo spade. L'Antiguo Convento de San Marcos assunse poi nei secoli la funzione di carcere (vi fu imprigionato per quattro anni, nel corso del XVII secolo, lo scrittore spagnolo Juan de Queveda accusato di aver composto testi contro la Corona Spagnola), caserma militare, scuola veterinaria, e fu anche utilizzato come campo di prigionia per detenuti politici durante la Guerra Civile Spagnola (vi furono reclusi circa 6.700 dissidenti antifranchisti). Oggi ospita un albergue a cinque stelle per pellegrini.
Abbandoniamo Leon superando il Puente San Marcos, ponte romano posto sul Rio Bernesga poco oltre la sagoma dell'Antiguo Convento de San Marcos. Da qui attraversiamo una brutta zona periferica urbana che ci sembra non finire mai, valichiamo la ferrovia percorrendo una stretta passerella di ferro verde, quindi ci addentriamo in un'anonima area industriale dal paesaggio impietoso. Dopo circa 7km arriviamo alla cittadina di Virgen del Camino, piccolo centro abitato il cui nome deriva dalla leggenda secondo la quale nell'anno 1505 la Vergine Maria apparve miracolosamente in prossimità di un piccolo eremo posto presso questa località, che era nota in precedenza con il nome di El Humilladero, ad un pastore di nome Alvar Simon Fernandez, mentre costui era intento a far pascolare il proprio bestiame. Lo Stato Pontificio nominò la figura mariana protagonista dell'apparizione Virgen del Camino in virtù del passaggio in quest'area del Cammino di Santiago. L'eremo preesistente fu ampliato fino a diventare, nel XVIII secolo, un santuario abitato in pianta stabile da una comunità di monaci domenicani. All'interno di Virgen del Camino sorge oggi la Basilica de la Virgen del Camino, eretta recentemente nel XX secolo (e ordinata basilica solo nel 2009 da papa Benedetto XVI), su progetto del frate domenicano ed architetto Francisco Coello, nello stesso luogo in cui sorgeva precedentemente il santuario domenicano caduto nei secoli in rovina. Il tempio attuale detiene una curiosa particolarità: la sua costruzione venne infatti finanziata in parte da Pablo Diez, proprietario di una famosa marca multinazionale di birra messicana...Quando si dice che il sacro si mischia al profano. Ad ogni modo la facciata della basilica, opera dello scultore contemporaneo Josep Maria Subirachs, appare davvero meravigliosa, moderna, dotata di una peculiare forma squadrata senza guglie o pinnacoli, di una semplicità disarmante, con uno sfondo bianco che sembra ricamato ed alte figure bibliche scolpite in metallo quasi a popolare una sorta di immaginario palcoscenico. Su un lato un'alta croce bianca e scarna sembra armonizzarsi perfettamente con le ossute figure scolpite.
Il tempo di una veloce pausa, il sole comincia a farsi caldo, ed è già tempo di rimettersi in marcia. Superata Virgen del Camino un sentiero a destra si addentra su percorso sterrato nei paesaggi della regione della Castiglia (composta dalla Comunità Autonoma di Castiglia e Leon, dalla Comunità Autonoma di Castiglia-La Mancia, e dalla Comunità Autonoma di Madrid): da qui è possibile intraprendere due vie, la prima attraverso la località di San Martin del Camino costeggiando la Carretera Nacionl 120 fino a Villadangos del Paramo; la seconda, denominata Percorso Alternativo, più tranquilla, sicura, silenziosa e naturalistica, anche se più lunga, verso Villar de Mazarife. Scegliamo ovviamente quest'ultima. Tenendo la sinistra proseguiamo sull'ondulante sentiero di terra rossa battuta, incrociamo per un breve tratto l'autostrada (qui è necessaria molta attenzione in quanto seppure il traffico non sia intenso il camminamento è collocato direttamente sulla carreggiata senza separazioni) e sfociamo sull'asfalto della via che attraversa il villaggio impalpabile di Fresno del Camino. Da qui i tratti in salita si fanno più ripidi e frequenti, e questo, in aggiunta al sole di mezzogiorno che si fa davvero insistente, non ci permette di spingerci oltre il villaggio di Oncina de la Valdoncina: dobbiamo riposare le gambe e mangiare qualcosa. E' solo il primo giorno di cammino ed il fisico ha bisogno del proprio tempo per adattarsi alla fatica. Ci sediamo presso un punto ristoro esposto completamente al sole (pagheremo l'azzardo a fine giornata con una bella insolazione) e qui incontriamo Elia e Valentina, due giovani italiani fermi come noi a consumare il pasto: sono partiti da Saint Jean Pied de Port ed ormai è circa un mese che sono in cammino, ci suggeriscono di prendere il sentiero con calma arrivando dove riusciamo e ci spiegano che, a loro dire, dopo una settimana di sofferenza fisica l'organismo comincia a sopportare meglio la fatica adattandosi allo sforzo. Rincuorati da questa notizia, ci gustiamo con più tranquillità i bocadillos che abbiamo precedentemente acquistato. Prima di ripartire i nostri nuovi amici ci avvisano infine di non tardare troppo a rimetterci in cammino visto che il sole peggiore, a parer loro, è quello del primo pomeriggio: ce ne accorgeremo con gli interessi. Partiamo poco dopo di loro, ma raggiunta la cima di una breve salita, davanti a noi già non riusciamo più a scorgerli. Di fronte ai nostri occhi si apre ora l'enorme distesa pianeggiante dell'Alto del Paramo, altopiano caratterizzato da vasti territori alluvionali interessati da un'intensa attività agricola, esteso tra la Cordillera Catnarabica e la confluenza del Rio Orbigo con il Rio Esla. La vista si allarga all'infinito, gli alberi si contano sulla punta delle dita. Sole, sole, sole e ancora sole. Ci trasciniamo lungo il sentiero di terra rossa che si addentra nelle profondità di questo ambiente. Intorno a noi non scorgiamo anima viva, finchè, improvvisamente, dinnanzi a noi vediamo un anziano signore intento a spingere, nel mezzo del nulla più totale, una giovane ragazza su una sedia a rotelle: li salutiamo sbanfando di fatica e nel giro di pochi minuti ci hanno già nuovamente distanziato di alcune decine di metri. Capiamo subito che lungo il Cammino di Santiago tutto è relativo e gli ordini razionali delle cose sono spesso completamente sovvertiti.
Dopo 5km circa l'Alto del Paramo abbandona la sua stretta afosa su di noi e fradici di sole raggiungiamo il villaggio di Chozas de Abajo, poche case, poche strade, pochi minuti di sosta. La strada si fa quindi pianeggiante e sul suo asfalto rovente ci dirige serpeggiando in una verde campagna verso la meta di questa tappa: il sentiero è ancora lungo e ad ogni metro lo zaino si fa più pesante, ma l'animo è sollevato da un paesaggio tranquillo e sornione che concilia lo spirito ed alla fine sostiene le gambe. Percorriamo altri 5km prima di arrivare a Villar de Mazarife, piccolo villaggio di 400 abitanti che deve il proprio nome a Mazaref, capostipite di un illustre casato mozarabo (termine indicante i cristiani vissuti tra l'VIII ed il XV secolo nei domini musulmani della Penisola Iberica: venivano governati da magistrati propri e gli era concessa una certa libertà di culto religioso, oltre alla detenzione di proprietà private, tuttavia gli era proibito portare armi; dall'arabo musta'rib, "arabizzato") che tra il IX e l'XI secolo, su incarico ufficiale dei regnanti di Leon, ripopolò quest'area precedentemente disabitata: infatti, nel luogo in cui sorge Villar de Mazarife venne collocato inizialmente un insediamento romano noto come Vallarta (da cui il nome Villar), fondamentale svincolo per importanti città come Asturica, Bilbilis e Casaraugusta (l'odierna Saragozza). Con il declino della civiltà romana il sito perse progressivamente di importanza e venne abbandonato, recuperando prestigio solo con la ripopolazione condotta da Mazaref ed il collocamento nei suoi pressi del passaggio del Cammino di Santiago, il quale originariamente non transitava per questi luoghi ma proseguiva verso Villadangos del Paramo lungo la via che, subito dopo Virgen del Camino, abbiamo evitato di percorrere. Il luogo di maggior importanza a Villar de Mazarife è costituito dalla Iglesia Parroquial de Santiago Apostol, posta al centro del villaggio, datata XVI secolo, eretta in stile povero ed essenziale, a navata unica, con le pareti costruite di fango e rivestite di intonaco grezzo: un vero tesoro della spiritualità contadina. Il campanile posto a lato del corpo principale della chiesa è di epoca successiva (XVIII secolo) ed è costruito in pietra, ospita due campane oltre ad un voluminoso nido di cicogne, circostanza comune a molti edifici sacri castigliani.
Villar de Mazarife ci accoglie umile ma vitale: ci stabiliamo nell'Albergue Casa de Jesus, spazioso, con un piccolo patio interno sul quale si affaccia un accogliente bar, le camere si situano invece al piano superiore lungo una balconata che percorre tutto il perimetro del patio. E con immensa felicità scopriamo che nella camerata da quattro posti nella quale siamo stati collocati ci siamo solamene noi, non condivideremo la stanza con nessun altro pellegrino per stavolta. Una regola che vale per tutto il Cammino di Santiago è quella di evitare i mesi estivi per compierlo: non risparmierete solo tanto caldo, ma eviterete anche molta folla. Trascorriamo la parte restante del pomeriggio in compagnia degli altri pellegrini che troviamo raccolti sul prato antistante l'albergue: qui incontriamo nuovamente Elia e Valentina che ci hanno preceduto all'arrivo. E' la prima volta che ci aggreghiamo ad un gruppo di pellegrini dopo aver camminato tutto il giorno: la fatica ci rende simili, lo stesso scopo accomuna i nostri pensieri, ci sentiamo parte di qualcosa di grande e la sensazione assomiglia quasi ad una piacevole liberazione. Chiacchieriamo in decine di lingue diverse, nessuna ovviamente corretta, con persone provenienti da tutto il Mondo, tra cui un pedante sloveno incontenibile nell'esposizione delle sue teorie complottiste ed una coppia di coniugi australiani di mezza età, Lynn e Dave, che ci dimostreranno che il Cammino di Santiago è questione di fisico ma soprattutto questione di mente, un vero esempio di affiatamento di coppia. Conosciamo anche Mateo, spagnolo della regione di La Rioja, la cui immagine, nella mia mente, si staglia fin da subito come l'emblema perfetto del pellegrino: è silenzioso, riflessivo, ponderato nei discorsi, sempre tranquillo, il suo modo di fare trasmette la sicurezza dei caratteri forti ma mai orgogliosi, sorridente quando incontra lo sguardo altrui, socievole ma capace di comprendere appieno i silenzi. Non lo rivedremo mai più, e ripensando all'incontro più volte successivamente mi sembrerà di percepirlo quasi come uno spirito vagante sulle vie del Cammino di Santiago.
Tappa 3 (20km): Villar de Mazarife - Santibañez de Valdeiglesias
La luce dell'alba appena sorta ci rivela l'aspetto migliore di Villar de Mazarife, illuminando di uno stupefacente arancione caldo le pareti della Iglesia Parroquial de Santiago Apostol in un appassionato e fraterno abbraccio con l'ombra del mattino precoce, mentre un silenzio insolito asseconda il nostro graduale risveglio. Rimaniamo immobili davanti a questo spettacolo mentre i primi pellegrini intenti a cominciare la giornata di cammino ci superano salutandoci solo con cenni delle mani, quasi a rispettare la quiete che avvolge ancora il villaggio addormentato. Pochi minuti di contemplazione per realizzare che il Paradiso in Terra esiste veramente e si può trovare anche nel più umile dei luoghi, quindi ci avviamo anche noi ad affrontare il cammino: il primo tratto del sentiero che si allontana da Villar de Mazarife corre su una monotona strada carraia asfaltata, stretta e pianeggiante, la quale si addentra nella campagna tra verdi campi coltivati e prati recintati popolati da bestie al pascolo. Ogni tanto incontriamo piccole casupole isolate, raro segno di vita in questo paesaggio agreste assieme al ruvido gracidare delle rane numerose nei canali di irrigazione. Il fisico sembra aver recuperato bene la fatica del giorno precedente, così percorriamo questo tratto abbastanza in fretta mentre piano piano veniamo comunque superati gradualmente dagli altri pellegrini che la notte precedente hanno pernottato nel nostro stesso albergue, qualcuno avanzando con passo deciso ma zoppicante ci saluta sorridente con un cenno del capo. Arrivati nei pressi del villaggio di La Milla del Paramo, la nostra via incrocia una strada di maggiore portata: la attraversiamo senza incontrare traffico ed imbocchiamo una modesta stradina sterrata. E' a questa altezza che incontriamo Tomas, arzillo vecchietto intento a passeggiare in solitudine per dare libera espressione alla propria passione di sempre, vale a dire fotografare volatili. Non facciamo in tempo a chiedergli poche semplici indicazioni circa la direzione da seguire che subito e spontaneamente si profonde per noi in un impetuoso racconto: ci rivela che il sentiero sterrato sul quale ci troviamo, seppure dismesso ed apparentemente anonimo, possiede un incommensurabile valore storico. E' sulla sua superficie, infatti, che due secoli prima le truppe francesi guidate da Napoleone Bonaparte marciarono alla volta di Astorga, ed è per la stessa via che fecero ritorno in seguito dopo aver rimediato una cocente sconfitta inflitta per mano della tenace resistenza spagnola. Nel 1793 la Spagna entrò per l'appunto in guerra contro la Francia, la quale proveniva dai recenti avvenimenti della Rivoluzione Francese che avevano portato alla decapitazione di re Luigi XVI di Borbone e della sua consorte, la regina Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena, e quindi alla proclamazione della repubblica: in seguito alla sconfitta spagnola sul campo nel contesto dei conflitti di potere che seguirono a tali eventi, la Francia concesse un trattato di pace nel quale la Spagna veniva riconosciuta come stato indipendente ma sottoposto al potere francese. Nel 1807, tuttavia, le truppe francesi guidate da Napoleone invasero i confini spagnoli con il pretesto di voler conquistare il Portogallo, occupando di fatto i territori di Spagna e costringendo all'abdicazione il re spagnolo Carlo IV di Borbone. Venne nominato nuovo re di Spagna il fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte, già re di Napoli: da qui ebbe inizio la Guerra di Indipendenza Spagnola, condotta dal popolo attraverso lotte clandestine contro il potere imperiale francese, che condusse nel 1814 alla sconfitta ed alla ritirata degli invasori grazie anche all'intervento nel conflitto dell'Inghilterra, nemica giurata dell'impero napoleonico, quindi alla proclamazione del nuovo re spagnolo Ferdinando VII di Borbone. Fu pertanto proprio nei territori sui quali ci troviamo ora che uno dei condottieri più abili della storia, Napoleone Bonaparte, conobbe una delle sue poche sconfitte, inflittagli da modesti contadini improvvisatisi soldati, troppo orgogliosi ed attaccati alla propria libertà per arrendersi alla tirannia. Tomas ci racconta poi di come al sentiero che stiamo percorrendo, durante gli anni della dittatura franchista, venne affiancata una via alternativa del Cammino di Santiago che, attraverso la grossa strada asfaltata che abbiamo incrociato poco prima, passa per San Martin del Camino in un'alternativa più moderna, ma sicuramente meno suggestiva, rispetto alla via tradizionale più lunga. Infine ci viene spiegato anche che presso La Milla del Paramo sorgeva un antico monastero abitato da monache ed un prolifico insediamento rurale raccolto intorno ad un villaggio conosciuto con il nome di San Mesmes: entrambi furono devastati da una violenta epidemia di peste nera che colpì quest'area circa nove secoli fa', la regione rimase disabitata ed il monastero cadde in rovina fino a scomparire. Salutiamo Tomas dopo aver percorso in sua compagnia un brevissimo tratto di strada. Lo lasciamo alla sua passione fotografica e proseguiamo lungo il sentiero sterrato fino a raggiungere il villaggio di Villavante, al quale accediamo costeggiando una piccola fattoria ed attraversando un cortile ingombro di numerose balle di fieno: abbiamo percorso già 10km e decidiamo di fermarci qui per dissetarci e riposare un po' le gambe. Il nome di questo piccolo centro abitato deriverebbe dalla parola latina villa, che significa appunto "piccolo insediamento", unita al nome del primo fondatore dell'agglomerato urbano moderno, probabilmente un mozarabo di nome Abanto (oppure Aventi) che ripopolò l'area dopo l'abbandono susseguente al declino della civiltà romana. Ai tavolini di un piccolo bar ritroviamo gli stessi pellegrini che avevamo incontrato il giorno prima a Villar de Mazarife e che ci hanno preceduto lungo il cammino. Ripartiamo per ultimi accompagnati da Jocelyn, un'impacciata insegnante statunitense proveniente dallo stato dell'Ohio che abbiamo incontrato seduta al bar: abbiamo scambiato poche parole ed era inevitabile proseguire insieme, cosa che a dire il vero non può che farci piacere. Abbiamo infatti capito presto che il miracolo del Cammino di Santiago si compie nel continuo incrociarsi dei sentieri dei vari pellegrini: alcuni li incontri una sola volta e mai più, altri continuano sorprendentemente a seguirti lungo il percorso, in un inarrestabile, tacito e mai espresso patto di alleanza e condivisione che accoglie tutti, senza pregiudizi o limitazioni, tutti i pellegrini diretti a Santiago de Compostela, alla stessa meta, sopportando la stessa fatica, attraversando gli stessi luoghi. Tappa dopo tappa il miracolo si compie, e come quei famosi dodici che in principio seguirono il Cristo, come la Chiesa millenaria, ecco il prodigio della creazione della comunità, fatta di uomini ognuno con il proprio intento, la propria fede, le proprie motivazioni. Chi compia questo prodigio decidetelo voi, ad ogni modo percorrere il Cammino di Santiago non è solo rendere grazia e lode al divino, ma anche comprendere di non essere mai soli. Accompagnati da Jocelyn oltrepassiamo così la Iglesia de Nuestra Señora de la Purificacion, il simbolo di Villavante, costruita nel XVII secolo e con il campanile posto peculiarmente lungo la facciata sud. Villavante è infatti celebre in Spagna per essere il luogo in cui annualmente si tiene il più grande raduno nazionale di campanari: la Escuela de Campaneros de Villavante, vera e propria università per campanari, è una delle più prestigiose della nazione.
Proseguiamo oltre e nell'abbandonare il villaggio superiamo una piccola fattoria, quindi costeggiamo per un breve tratto i binari della ferrovia, infine un sentiero sterrato ci proietta innalzandoci al livello di un cavalcavia carraio che seguiamo per poche centinaia di metri ed abbandoniamo tenendo la sinistra addentrandoci in una brutta area periferica urbana. Oltrepassato un pericoloso passaggio su una rotatoria spazzata dal traffico automobilistico, facciamo il nostro ingresso ad Hospital de Orbigo, centro abitato di circa 1.000 abitanti situato lungo le rive del Rio Orbigo, fondato originariamente in epoca medievale con il primitivo nome di Puente de Orbigo successivamente cambiato con la denominazione attuale dopo che qui venne collocato un hopsital, oggi caduto in rovina, specializzato in cure sanitarie per i pellegrini malati. L'hospital venne fondato da alcuni membri dell'Ordine dei Cavalieri dell'Ospedale di San Giovanni (conosciuto anche come Ordine dei Cavalieri Ospitalieri), congregazione cavalleresca militare-religiosa creata nell'XI secolo da un mercante amalfitano che fu promotore della costruzione di un ospedale per pellegrini nei pressi di Gerusalemme: questo gruppo di cavalieri combattè dapprima nelle lotte crociate in Terra Santa, quindi si impegnò nella protezione dei pellegrini in cammino sui sentieri in Europa, infine si stabilì nel XVI secolo sull'isola di Malta, concessa all'ordine dall'imperatore Carlo V d'Asburgo, circostanza che fece cambiare il nome dell'ordine cavalleresco in Ordine di Malta con il quale in effetti esiste ancora oggi. Arrivati alla soglia di Hospital de Orbigo i nostri piedi ci chiedono pietà: decidiamo di fermarci a rifiatare e veniamo salutati da Jocelyn che ci comunica di non voler proseguire oltre e decide quindi di spingersi poco più avanti per trovare nel villaggio un albergue. Noi siamo invece intenzionati a proseguire, ma non prima di aver ammirato il tesoro celato all'interno del piccolo centro abitato che abbiamo appena raggiunto, il suo simbolo più celebre: ad Hospital de Orbigo infatti si trova il Puente del Paso Honroso, ponte medievale risalente al XIII secolo posto sulle acque del Rio Orbigo. Questo storico viadotto fluviale prende il proprio nome da un antico torneo cavalleresco che in antichità si svolse sulla sua superficie: nel 1434 il valoroso cavaliere leonense Suero de Quiñones diede inizio, con il beneplacito di Giovanni II di Trastamara, re di Castiglia, ad un'insolita competizione tra cavalieri. La regola della tenzone prevedeva infatti che ogni cavaliere che si trovasse di passaggio sul ponte fosse tenuto a scendere in contesa con i cavalieri seguaci di Suero per poterlo attraversare, ed in caso di sconfitta avrebbe dovuto deporre un guanto in segno di resa e costringersi a guadare il fiume sottostante evitando di percorrere il ponte. Il torneo sarebbe dovuto durare solo un mese, periodo nel corso del quale Suero si proponeva di vincere tutti i cavalieri che si fossero presentati al ponte fino a spezzare 300 lance in ragione di tre per cavaliere: raggiunto tale scopo avrebbe proseguito il proprio cammino fino a giungere pellegrino a Santiago de Compostela dove avrebbe deposto in segno di voto verso l'amata doña Leonor de Tovar l'anello che teneva costantemente appeso al collo come pegno d'amore. La giostra durò invece due mesi e terminò con il ferimento di Suero. Morì un solo cavaliere, tale Asbert de Claramunt, ad ogni modo il Torneo del Paso Honroso acquisì una fama straordinaria, tanto da richiamare grosse folle di persone dalle regioni vicine. Ogni giorno prima dell'inizio del torneo si teneva una messa solenne e dopo il termine dei combattimenti una festa grandiosa.
Oggi il ponte, bellissimo con le sue diciannove arcate, tramanda ancora questa incredibile storia degna del più avventuroso romanzo cavalleresco e capace di rendere Hospital de Orbigo, piccolo e sperduto villaggio castigliano, una località celebre in tutta la Spagna. La memoria dei cavalieri che parteciparono al torneo è immortalata in una stele con incisi i nomi dei valorosi campioni, posta nel 1951 lungo il ponte il cui luminoso splendore non è stato intaccato dalla distruzione che subì nel XIX secolo per mano degli abitanti del vicino villaggio che lo demolirono parzialmente per ostacolare l'avanzata delle truppe napoleoniche. Con il sole di mezzogiorno a picco sulla testa superiamo il Puente del Paso Honroso e penetriamo nel centro abitato, carino ed ordinato. Al centro del villaggio sta la Iglesia de San Juan Bautista, posta accanto al palazzo del municipio: la chiesa risale al XVIII secolo ed appartenne all'Ordine dei Cavalieri Ospitalieri, il cui stemma araldico campeggia ancora sopra il portale di accesso.
Da Hospital de Orbigo il sentiero si congiunge, quasi senza soluzione di continuità, alla località di Villares de Orbigo, storico centro produttivo agricolo della regione. Proseguiamo lungo una stretta stradina sterrata sulla
quale, dopo chilometri di pianura, si ha il primo assaggio di colline in
lontananza. La via prosegue in salita con una pendenza sempre maggiore, non senza fatica ne raggiungiamo la cima ed inaspettatamente si apre davanti a noi una valle sul fondo della quale è posto il villaggio di Santibañez de Valdeiglesias: planiamo verso il centro abitato camminando a lato di una tranquilla strada carraia, ne varchiamo il confine e ci addentriamo tra le sue vie deserte senza incontrare anima viva. Il luogo ci appare nel tardo sole pomeridiano come un villaggio fantasma, con le case tutte chiuse e le imposte alle finestre tutte serrate, le pareti degli edifici ci sembrano traspirare quasi un'epoca lontana, dimenticata, separata dal resto del Mondo. Giungiamo al centro del villaggio incrociando la Fuente Subterranea, una piccola e riparata fonte di acqua fresca e purissima raggiungibile percorrendo pochi gradini, un toccasana dopo i tanti chilometri percorsi. Poi improvvisamente la vita ci appare in tutta la sua vivacità non appena raggiungiamo l'Albergue Camino Frances presso il quale ci fermeremo per la notte: qui i pellegrini parlano, ridono, ascoltano musica. Incontriamo anche Elia e Valentina insieme a Lynn e Dave, i quali ci salutano seduti ad un tavolo intenti a gustare della birra gelata.
Abbandoniamo i nostri bagagli in albergue e, rigorosamente in ciabatte, ci dirigiamo ad osservare l'attigua Iglesia Parroquial de la Santisima Trinidad, tempio cattolico del XIX secolo abitato in origine da una comunità di monaci appartenenti all'Ordine della Santissima Trinità (da cui il nome della chiesa) i quali popolarono il villaggio con il fine di accogliere i pellegrini di passaggio: la sua facciata è dominata da un imponente campanile che svetta sopra il tetto piatto della navata principale ad ospitare due campane. Facciamo ritorno in albergue e veniamo sorpresi da una performance inaspettata: un enigmatico tedesco di Brema, dopo averci chiesto timidamente il permesso, comincia a strimpellare in dormitorio una piccolissima chitarra affermando di volersi esibire per noi, visto anche che in quel momento siamo le uniche persone presenti nella stanza. Riceviamo stupiti il dono inaspettato ed ascoltiamo lo strano intrecciarsi del suono delle corde goffamente pizzicate con le delicate melodie delle preghiere che attraverso un altoparlante vengono diffuse nell'aria dalla vicina chiesa. A cena assaggiamo la Tarta San Marcos, un dolce a base di pan di Spagna e crema tipico di Leon.
Tappa 4 (21km): Santibañez de Valdeiglesias - Santa Catalina de Somoza
Ripartiamo da Santibañez de Valdeiglesias quando l'alba è spuntata da poco e ci incamminiamo aggregandoci ad una folta colonna di pellegrini che come noi iniziano un'altra giornata di cammino. Ci lasciamo alle spalle il villaggio decollando lentamente lungo una comoda salita su superficie sterrata: la magia della prima luce del sole, addensata in caldi toni arancioni dalla notte appena trascorsa, ci offre uno scorcio ancora più bello sulla piccola valle che ospita il centro abitato poco più in basso.
Camminiamo per un breve tratto in compagnia del pellegrino tedesco che il giorno precedente in albergue si era esibito per noi nella strampalata performance con la minuscola chitarra: ci racconta di essere un ingegnere e di occuparsi di fonti energetiche, poi con passo sicuro si proietta in avanti salutandoci con il più simpatico dei sorrisi. Ci approcciamo presto ad un tratto in continuo saliscendi per mezzo del quale il sentiero si addentra in una piccola macchia boschiva, silenziosa ed ombreggiata. Dopo 4km la via diventa nuovamente pianeggiante ed improvvisamente ci ritroviamo di fronte a quello che sarà senza ombra di dubbio uno dei luoghi più strani, inattesi e memorabili del nostro viaggio: presso le rovine di un'antica abitazione agricola, immersa nella più tranquilla campagna castigliana, troviamo la Casa de los Dioses, la Casa degli Dei, un punto ristoro presso il quale il pellegrino può trovare riposo, acqua, frutta fresca e persino una branda per trascorrere qualche ora di sosta, oppure un letto per tutta la notte. Il tutto viene offerto gratuitamente da David, il proprietario, vivace ragazzo proveniente da Barcellona e stabilitosi qui circa otto anni addietro per dare ospitalità ai pellegrini: da allora ha lavorato per rinnovare le rovine di questa sperduta costruzione abbandonata precedentemente dai proprietari e di cui non rimangono quasi nemmeno le pareti, collocandovi panchine di legno ricoperte da variopinti cuscini, riqualificando lo spazio centrale dell'abitazione in un cortile nel quale coltivare piccoli arbusti, sistemando lungo la via antistante un piccolo carretto sul quale riporre il cibo e le bevande offerte ai viandanti, posizionando alcune amache lungo i pezzi di muro superstiti che ha provveduto a ricoprire con tendaggi colorati di modo da farne piccoli giacigli. Proprio uno di questi viene utilizzato da David, abitante in pianta stabile di questo insolito luogo privo di acqua corrente, senza bagni e docce, senza cucina ed elettrodomestici: come si procuri ogni giorno gli alimenti che offre ai pellegrini non lo sapremo mai, ma David ci confida di avere l'abitudine di parlare continuamente con Manolo, così lui chiama Dio, e che da Lui riceve tutto ciò di cui ha bisogno; ci racconta anche di aver compilato una sorta di lista di richieste per la realizzazione delle quali prega Manolo ogni giorno, ed a mano a mano che le richieste vengono esaudite procede a scriverne sempre di nuove. Uno strano rapporto tra uomo ed ultraterreno che accende dentro di noi qualcosa finora rimasto silente: l'allegro racconto di David ha infatti l'inestimabile effetto, che mai riusciremo a ripagargli, di destare in noi la fiamma della fede.
Lasciamo la nostra offerta per il ristoro donatoci, poniamo il Sello della Casa de los Dioses sulla nostra Credencial per conservare sempre nel cuore il ricordo di questo prezioso incontro. Salutiamo Eliza, una giovane artista uruguayana il cui stile raffigurativo ritrae Dio metaforizzato in figure di uccelli volanti, mentre è intenta a creare un dipinto su una superficie di legno fornitale da David, e riprendiamo quindi la marcia. Poco più avanti il sentiero esce dal paesaggio agricolo e la vista si apre improvvisamente su un panorama indimenticabile: siamo sull'Alto del Crucero, collina posta ad un'altitudine di 900m s.l.m., e sotto di noi, a valle, lo sguardo spazia sul vicino villaggio di San Justo de la Vega e poco più in là sulla città di Astorga. Sopra questa altura, fin dal XVII secolo, sorgeva un eremo presso il quale le comunità monastiche delle città vicine solevano celebrare i propri riti solenni, successivamente caduto in rovina, scomparso e sostituito da un'alta croce di granito fatta erigere dal vescovo Antonio Caceres in memoria della trascorsa sacralità del luogo. Il Crucero de Santo Toribio sorge ancora sulla cima della collina alla quale conferisce anche il nome: la tradizione vuole che il punto esatto in cui si trova oggi la croce sia lo stesso in cui Santo Turibio salutò per l'ultima volta la città di Astorga. Questo santo italiano divenne vescovo asturicense dopo che il bastimento che lo stava conducendo in patria dalla Terra Santa, dove si era recato in pellegrinaggio, naufragò approdando casualmente lungo la costa spagnola. Vissuto nel V secolo d.C., si impegnò alacremente per combattere il diffondersi delle dottrine eretiche (soprattutto il priscillanesimo, dottrina che predicava la non carnalità di Cristo e la partecipazione attiva delle donne ai riti ecclesiastici), ma venne esiliato da Astorga dopo che questa fu assediata e conquistata dai barbari visigoti: proprio mentre abbandonava la città perseguitato dal nuovo re pagano Teodorico II, la storia narra di come si sia fermato ad ammirare per l'ultima volta dall'Alto del Crucero la città di Astorga e di come, scuotendo i propri sandali, abbia pronunciato le malinconiche parole "De Astorga, ni el povo", vale a dire "Di Astorga, nemmeno la polvere".
Scendiamo lungo una ripida stradina lastricata e superiamo una statua raffigurante un pellegrino nell'atto di dissetarsi da una borraccia, opera dello scultore locale contemporaneo Sendo Garcia Ramos. Veniamo quindi proiettati direttamente nel villaggio di San Justo de la Vega, piccola cittadina il cui nome deriverebbe dalla vicenda dei Santi Giusto e Pastore, martiri ispano-romani vissuti durante le persecuzioni contro i cristiani promosse dall'imperatore Diocleziano: avevano appena sette e nove anni quando, nell'anno 304 d.C., rifiutarono di rinnegare la fede cristiana venendo così giustiziati. Nonostante i loro resti vennero seppelliti in un luogo prossimo a Madrid, la leggenda di questi due santi bambini si diffuse rapidamente in tutta la Spagna fino a località come quella in cui ci troviamo ora, alla quale venne dato il loro nome associato al termine spagnolo vega per indicare la vicina pianura fertile intorno al Rio Tuerto. La devozione a queste due leggendarie figure sacre si riflette anche nella chiesa cittadina, la Iglesia de los Santos Justo y Pastor, edificio moderno eretto sui resti di un precedente tempio cristiano del XVI secolo di cui oggi rimane solo la torre campanaria: un interessante commistione tra antico e moderno evidente a chiunque osservi la facciata della chiesa.
Attraversiamo San Justo de la Vega che sembra non finire mai, stretta e lunga come la coda di un gatto. Abbandoniamo il centro abitato superando il Puente de la Molineria, ponte di epoca romana (oggi potenziato a passaggio carraio) sul Rio Tuerto così chiamato in quanto in sua prossimità sorgevano in antichità alcuni mulini. E svoltata una curva si estende davanti a noi una dritta strada asfaltata in discesa che ci collega in pochi chilometri ad Astorga. La via si dimostra comunque più lunga
del previsto: il sentiero si allontana dalla strada carraia e devia
sulla destra sopra una stradina secondaria che costeggia alcuni
casermoni agricoli, valica un minuscolo ponticello di pietra sopra un
ruscello, sorpassa un antico hospital per pellegrini diroccato,
prosegue su una tortuosa passerella di ferro verde che consente il
passaggio sopra i binari della ferrovia, ed infine, oltre una rotatoria
posta al termine della strada dritta che avevamo abbandonato per
seguire le indicazioni, conduce all'interno di Astorga. Fermi
davanti all'ingresso della città guardiamo indietro la strada breve e
semplice che abbiamo lasciato per seguire il sentiero domandandoci
perchè mai non l'abbiamo percorsa accorciando il tragitto. La città di Astorga
sorge arroccata sulle pendici di una bassa collina: le prime vie che
percorriamo all'interno del centro urbano sono pertanto in salita, cosa
che non ci aiuta vista la fatica appena compiuta. Prima di raggiungere
il centro cittadino, lungo una delle ripide strade che ci ritroviamo a
percorrere incrociamo una processione religiosa realizzata da una delle
otto cofradias che animano annualmente la Semana Santa asturicense:
ci fermiamo un istante ad osservare i processuanti, anche qui tutti
rigorosamente vestiti di nero e con i soliti cappucci appuntiti a coprire il volto, camminare con ordine, disciplina e metodo. Sebbene i festeggiamenti
possiedano minore portata e richiamo rispetto a quelli a cui abbiamo
assistito pochi giorni prima a Leon, le celebrazioni della Settimana Santa di Astorga
sono altrettanto importanti e conosciute in tutta la Spagna. Terminata
la lenta colonna della processione proseguiamo verso il cuore della città a cui
accediamo da Calle Puerta del Sol costeggiando il Convento de los Padres Misioneros Redentoristas: conosciuto in passato come Convento de San Francisco, la tradizione narra che fu fondato proprio da San Francesco, arrivato agli inizi del XIII secolo ad Astorga, pellegrino diretto verso Santiago de Compostela.
Secondo la leggenda giunse in città nottetempo e venne riconosciuto
dal vescovo locale, il quale gli propose di costruire un convento in città
in memoria del suo passaggio: San Francesco compì l'opera presso la
quale si radunò successivamente una comunità di frati francescani, i
quali vi rimasero fino alla Desamortizacion (processo
storico-politico attraverso il quale molti stati europei procedettero a
confiscare i possedimenti della Chiesa Cattolica nell'epoca dello
sviluppo in Europa della borghesia laica) promossa dal ministro Juan
Alvarez Mendizabal nel 1835. Cinquanta anni più tardi, nel 1883, il
vescovado di Astorga assegnò il convento ai monaci missionari redentoristi che lo ristrutturarono e vi si stabilirono. Oggi la
struttura ospita un museo, una casa di accoglienza per Redentoristi
anziani ed un collegio seminario. Attigua al convento si trova la Iglesia de Nuestra Señora del Perpetuo Socorro, opera degli stessi monaci missionari, lapidaria e formale. Ed accanto alla chiesa sorgono le rovine di epoca romana della Domus del Mosaico, villa patrizia del I-II secolo d.C. appartenuta probabilmente ad un ricco notabile di origini greche, ipotesi avvalorata dal rinvenimento, lungo il pavimento dell'abitazione, di un fine mosaico raffigurante il mito greco di Orfeo, opera che conferisce peraltro il nome all'intero sito. Superiamo questi scavi archeologici raccolti sotto tettoie protettive, passiamo dinnanzi al Museo Romano, collocato in quelle che furono le ergastula, vale a dire le antiche prigioni di epoca romana, ed arriviamo in Plaza España: qui si trova la Casa Consistorial, sede dell'ayuntamiento, elegante edificio in stile rinascimentale risalente al XVII secolo, dotato di due sottili torri gemelle poste ai lati del corpo centrale, impreziosito da una bella balconata e sormontato da una pregiata torre campanaria.
Questa piazza sorge suol luogo dell'antico foro romano: Astorga fu infatti dapprima antico insediamento latino conosciuto con il nome di Asturica Augusta, da cui la denominazione attuale, quindi venne occupata dagli svevi germanici dopo il declino della civiltà romana, conobbe poi, a partire dall'VIII secolo d.C., il dominio saraceno del crudele generale Tarik, infine venne liberata ed annessa al Regno delle Asturie nella seconda metà dello stesso secolo. Leggendaria fu la resistenza della città all'assedio delle truppe napoleoniche nel XIX secolo, tanto da costringere infine, dopo quattro anni di lotte, l'esercito francese alla ritirata. Ci lasciamo alle spalle Plaza España, ed un breve tragitto tra percorsi pedonali urbani ci conduce in Plaza Eduardo de Castro: qui ci fermiamo per dare riposo alle gambe e per rifiatare dal caldo che si sta facendo intenso. Sullo sfondo della piazza sorge il Palacio Episcopal, insolita costruzioni realizzata tra il 1889 ed il 1913 su progetto dell'architetto Antoni Gaudì. L'edificio, in stile medievale ma dalle forme davvero inusuali, venne commissionato come residenza episcopale dal vescovo Joan Baptista Grau per rimpiazzare un edificio preesistente andato distrutto in un incendio. Alla morte di Grau l'opera venne interrotta e Gaudì la lasciò incompiuta: sarà terminata solo un decennio più tardi dall'architetto Ricardo Garcia Garueta, succeduto nella direzione dei lavori a Gaudì, seguendo rigorosamente il progetto originario. Osserviamo il Palacio Episcopal dall'ombra delle panchine sulle quali ci godiamo il nostro breve momento di riposo, e non possiamo fare a meno di pensare che, almeno dall'esterno, l'edificio assomiglia più ad un'attrazione ludica di qualche parco divertimenti a tema piuttosto che la residenza di un vescovo: i tratti sembrano troppo esagerati e le forme fin troppo squadrate, ad ogni modo si tratta di puro gusto personale, senza nulla togliere all'immenso genio di Gaudì. Nel giardino antistante il palazzo colpiscono lo sguardo le sculture di zinco di tre angeli che originariamente sarebbero dovute essere collocate sulla cima del palazzo, ma arrivarono a destinazione a lavori già ultimati e si decise così di lasciarli a terra ad ornare lo spazio verde antistante l'ingresso.
Oggi il Palacio Episcopal costituisce una mera attrazione turistica ed ospita il Museo de los Caminos, dedicato ai diversi percorsi di pellegrinaggio diretti a Santiago de Compostela: non ospitò mai nessun prelato e soltanto il vescovo Josè Costelltort Soubeyre decise di risiedervi ma morì prima di abitarlo durante un sopralluogo. Accanto al palazzo sorge la Catedral de Santa Maria, l'edificio più importante della città, fatta erigere nel XV secolo dai sovrani di Leon Ferdinando I e Sancha I sul luogo in cui sorgeva in precedenza una chiesa romanica dell'XI secolo e, ancora prima, un tempio preromanico. La sua meravigliosa facciata, in stile barocco e gotico, sembra richiamare molto la cattedrale di Leon, con la quale condivide i bellissimi contrafforti di collegamento tra le torri campanarie gemelle poste ai lati, realizzate nel XVII secolo, ed il prestigioso corpo centrale, dotato di uno stupendo rosone e di finissime decorazioni, opera degli architetti Francisco e Manuel de la Lastra Alvear (padre e figlio) che vi lavorarono tra il XVII ed il XVIII secolo.
Con il naso all'insù rimaniamo diversi minuti in silenzio ad osservare questa meraviglia architettonica, comunque più discreta rispetto alla cattedrale leonense: in piedi davanti alla facciata siamo affiancati sulla sinistra dall'Hospital de San Juan Bautista, uno dei rifugi per pellegrini più antichi e prestigiosi di tutto il Cammino di Santiago, tutt'oggi in funzione e gestito da una comunità di Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli, ordine monastico femminile osservante rigidi voti di castità, povertà e di assistenza agli anziani ed agli ammalati (nell'hospital è infatti collocata oggi anche una residenza per anziani). L'edificio che ospita questa istituzione venne costruito nel 1178 e ristrutturato nel XVIII secolo dopo che fu parzialmente distrutto da un incendio, il quale tramutò in cenere anche i numerosi documenti antichi conservati nel suo archivio, motivo per il quale oggi si sa molto poco della sua storia. Prima di divenire nuovamente struttura d'accoglienza per pellegrini, subito dopo la sua ricostruzione, venne assegnato alle funzioni di ospedale, farmacia ed orfanotrofio. Alla nostra destra si trova invece la Iglesia Parroquial de Santa Marta, piccolo tempio barocco risalente al XIX secolo ma che sorge secondo la tradizione sul luogo in cui si trovava in origine l'abitazione di Santa Marta, martire spagnola sua patrona. Prima di abbandonare Plaza Eduardo de Castro ci fermiamo ad acquistare il pranzo: veniamo avvicinati da Uly, giovane e timido ragazzo tedesco che ci chiede, quasi sottovoce, di acquistare insieme a noi il suo pasto. Ci facciamo preparare dei bocadillos ripieni di Tortilla Española, una specie di frittata di patate, e lasciamo Uly in solitaria contemplazione dei tesori di Astorga. Ci apprestiamo a lasciare la città, la attraversiamo incrociando la Iglesia de San Pedro de Rectivia, tempio moderno decorato da piacevoli mosaici e colorate vetrate, lungo la facciata della quale ci soffermiamo a leggere, decorata nella pietra, una bella ode al pellegrino che viene invitato a godere dei doni del cammino, il suono dei passi, la compagnia dei fiumi, la carezza del vento. Superiamo la periferia cittadina ed abbandoniamo Astorga percorrendo un lungo viale alberato su un marciapiede posto a lato della strada carraia. Al termine di questo percorso raggiungiamo un altro dei luoghi più significativi del Cammino di Santiago, magari non il più appariscente ma fidatevi, se vi fermerete ne sarete abbondantemente ripagati. In prossimità del piccolo villaggio di Valdeviejas sorge l'Ermita del Ecce Homo, piccolo eremo a navata unica posto oggi purtroppo tristemente ai lati della strada trafficata: eretto già nel XVI secolo, il suo nome è dovuto ad un prodigioso miracolo che avvenne nei suoi pressi. Un giorno di un tempo antico infatti, una donna si fermò presso l'eremo con il figlio piccolo per dissetarsi, e mentre attingeva l'acqua dal pozzo il bambino cadde accidentalmente nelle sue profondità; la madre cominciò a disperarsi per le sorti del figlio, ed in preda al panico iniziò a pregare l'Ecce Homo, vale a dire la figura iconica di Cristo flagellato e mostrato ai giudei da Ponzio Pilato il quale con quest'espressione latina lo espose al pubblico scherno. Improvvisamente le acque del pozzo cominciarono miracolosamente a salire verso la superficie restituendo il bambino alla madre. Presso l'eremo si può trovare ancora oggi l'antico pozzo presso il quale avvenne il miracolo, lo visitiamo anche noi e nel farlo incontriamo Lucas, anziano volontario che ci narra le peripezie che l'eremo conobbe nel corso dei decenni. Ci racconta che l'edificio nel suo aspetto attuale venne ristrutturato circa 15 anni fa' da lui in persona insieme al fratello: la struttura era infatti caduta in rovina ed occorrevano ingenti fondi per rimetterla in sesto. Chiesero così sovvenzioni alla municipalità di Astorga, sentendosi rispondere però che il luogo non era più frequentato dai pellegrini e che quindi non godeva di alcun interesse culturale; ma i due testardi fratelli si piazzarono davanti alle rovine dell'eremo e raccolsero più di 5.000 firme dai pellegrini che mano a mano richiamavano dal sentiero a fermarsi all'Ermita del Ecce Homo (aiutati anche dal fatto che quell'anno era un Anno Giacobeo, tradizione giubilare ricorrente negli anni in cui la festività di San Giacomo il Maggiore fissata il 25 luglio coincide con la domenica, e di conseguenza il Cammino di Santiago era molto affollato). Dimostrarono così l'importanza del luogo, ottennero le sovvenzioni, e grazie anche ai finanziamenti di una ricca signora del posto che raccontò di assistere in un momento di solitudine alla miracolosa apparizione di un neonato (richiamo al miracolo del pozzo) presso l'altare dissestato dell'eremo, ristrutturarono l'Ermita del Ecce Homo.
Sostiamo in religioso silenzio consapevoli di trovarci in uno dei luoghi in cui Dio si è mostrato all'uomo senza filtri ed in tutta la sua miracolosa potenza, e ci rammarichiamo nel sentire Lucas spiegarci che ormai non sono molti i pellegrini a fermarsi all'eremo: oggi infatti lo spirito religioso con il quale un tempo si compiva il Cammino di Santiago sta andando progressivamente perdendosi, ed i pellegrini sempre più si mettono in viaggio verso Santiago de Compostela per motivi che possono sì essere spirituali ma che spesso hanno carattere puramente laico. Ce ne eravamo già accorti percorrendo le tappe precedenti, trovando spesso i portali delle piccole chiese di paese chiusi e sprangati, e certo non è male possedere i propri motivi, anche lontani dalla religione, per compiere il Cammino di Santiago, ma basterebbe trovare un attimo di quiete dalla foga della marcia e prendere un istante di riflessione presso luoghi come quello dell'Ermita del Ecce Homo per comprendere, anche per fedeli non integralisti come noi, che è davvero un'inspiegabile rinuncia il non approfittare di una possibilità tanto profonda e preziosa. Forse, mi ritrovo a pensare tra me e me, oggi i pregiudizi della società contro la religione sono più grandi dei pregiudizi della religione contro la società. Questa breve sosta ci regala comunque un altro prezioso contatto con la nostra parte più intima e profonda, e rinvigoriti nella fede, accompagnati dalle parole di Lucas che ci augura che il cammino possa renderci liberi, ci rimettiamo in marcia. Seguiamo il margine della strada carraia fino a giungere al villaggio di Murias de Rechivaldo, dove consumiamo il nostro pranzo all'ombra di un tranquillo parco pubblico. Più avanti il sentiero si fa sterrato e si addentra all'interno di un paesaggio dominato da basse colline arse dal sole: ci troviamo nella Maragateria, regione montagnosa posta sul versante meridionale della Cordillera Cantarabica il cui nome deriverebbe dal latino mauri capti, vale a dire "mori catturati", in richiamo ad un'antica presenza berbera nella zona, oppure dallo spagnolo arcaico mar gatos, cioè "mare e gatti", in riferimento al fatto che questa regione costituiva un passaggio obbligato per i pescatori che trasportavano il pesce dal mare verso Madrid, i cui abitanti sono appunto soprannominati "Gatos", termine che significa "gatti". Percorrendo questo dritto sentiero esposto al sole del primo pomeriggio, nel giro di 4km raggiungiamo Santa Catalina de Somoza, piccolo villaggio romantico e decadente: il viale sterrato di accesso al centro abitato, con il campanile della chiesa sullo sfondo, è il protagonista di numerose foto ricordo di pellegrini, davvero pittoresco.
All'ingresso del paese incontriamo nuovamente Uly intento a bere una fresca birra seduto al tavolino di una locanda: sorridendo ci informa con gesti inequivocabili che il pranzo che abbiamo acquistato insieme ad Astorga era squisito. Scegliamo per pernottare l'Albergue El Caminante, decisamente più pulito rispetto all'unico altro concorrente presente nel villaggio che abbiamo visitato scappando seduta stante. Troviamo una camera poco affollata ed una cucina generosa anche se non particolarmente gradevole. Ci godiamo la luce del tramonto seduti all'esterno dell'albergue, proprio davanti alla Iglesia Parroquial de Santa Maria, piccola, malinconica e solitaria chiesa di campagna, il cui campanile ci ha accolto con una splendida veduta lungo il viale di accesso al villaggio. Il resto del pomeriggio lo impieghiamo per passeggiare per le poche vie del centro abitato, tranquillo al limite dello spettrale, silenzioso, quasi deserto fatta eccezione per qualche rado passante ed alcuni bambini intenti a giocare all'interno di un piccolo parco: il minuscolo villaggio nacque anticamente intorno ad un hospital per pellegrini oggi caduto in rovina, ed infatti il suo nome originario fu Huerta del Hopsital, cioè letteralmente "frutteto dell'hospital", in virtù anche dei vasti frutteti presenti in questo luogo; il nome venne poi cambiato in quello attuale in onore della primitiva patrona della chiesa, più tardi votata a Santa Maria. Gli edifici, tutti in pietra grezza, sono per la maggior parte diroccati, di un'altra epoca, ma non privi di fascino e capaci di creare un'atmosfera particolare, ferma e stagnante, ammaliante, nostalgica. Incrociamo il busto di Aquilino Pastor, celebre musicista maragato vissuto nel XX secolo e nativo proprio di Santa Catalina de Somoza, posto in una rientranza di una stradina.
Compiuta l'intera lunghezza del villaggio da parte a parte, in tutto poche centinaia di metri, ci ricongiungiamo nuovamente a Calle Real, la via principale che permette al Cammino di Santiago di attraversare diametralmente e senza ostacoli il centro abitato. Facciamo infine ritorno all'albergue giusto in tempo per consumare la cena e per ripararci dal freddo frizzante calato con il buio serale, ad un'altitudine di 985m s.l.m. come quella a cui ci troviamo, su questa piccola località che sembra uscita magicamente da una vecchia favola.
Tappa 5 (26km): Santa Catalina de Somoza - El Acebo de San Miguel
Una nuova giornata inizia e ci attende una delle tappe più lunghe del nostro cammino. Ci lasciamo alle spalle Santa Catalina de Somoza che, prima di scomparire dalla nostra vista, ci regala uno dei paesaggi più belli dell'intero viaggio: mentre dietro di noi l'alba sorge sopra il campanile della chiesa che, dopo averci accolto da lontano il giorno precedente, saluta ora la nostra partenza, la vista si perde su un lato lungo le dolci curve dei Montes de Leon, complesso montuoso situato nella parte più occidentale della provincia leonense e lungo il margine meridionale della Cordillera Cantarabica, i quali ci accompagneranno per un lungo tratto del nostro percorso.
La prima parte della tappa si svolge su un dritto sentiero di fine ghiaia, separato dalla vicina strada carraia ed interrotto qua e là da solitari alberi sottili, oltre che da una piccola croce presso la quale i pellegrini sono soliti lasciare pegni (solitamente piccoli sassi o fotografie plastificate) in memoria di persone care scomparse. Dopo 4km di marcia approdiamo ad El Ganso, piccolo villaggio semiabbandonato (oggi conta solo una trentina di abitanti), una manciata di case molte delle quali diroccate e con il tetto crollato. Sebbene in antichità qui sorgesse un hospital per pellegrini ed un convento di monaci benedettini, oggi l'unico punto di interesse è costituito dalla Iglesia Parroquial de Santiago, comunque modesta e non particolarmente degna di nota, con l'immancabile nido di cicogne sopra la cima del campanile.
Poco più avanti il sentiero viene affiancato da un gradevole bosco di roveri, ombroso e tranquillo, nel quale gli unici suoni percepibili sono i delicati canti degli uccelli selvatici. La via svolta improvvisamente a destra e si allontana dalla strada carraia addentrandosi nella macchia boschiva su una pista sterrata più ripida e meno regolare. Qui incontriamo Giovanni, sessantenne infermiere toscano che con fare amichevole inizia subito a parlare con noi chiedendoci informazioni e raccontandoci di rimando la propria incredibile storia: è la terza volta che compie per intero il Cammino di Santiago e sembra non averne mai abbastanza; percorrerlo, ci dice, gli fornisce le risposte delle quali è alla ricerca. Ci confida di aver compiuto la prima volta il pellegrinaggio a Santiago de Compostela come voto a suffragio del figlio in difficoltà, la seconda invece per onorare la memoria di un lutto familiare, non ci svela però per quale motivo lo sta compiendo questa terza volta e ci guardiamo bene dal chiederglielo: ogni pellegrino deve sempre portare con sè qualcosa di intimo e segreto per riuscire a sopportare la fatica. Giovanni sarà una delle costanti più sorprendenti del nostro itinerario, capace di regalarci quella ingenua bontà tipica dei caratteri generosi ed una comica ma del tutto involontaria allegria quasi clownesca. Anche se percorreremo solo brevi tratti insieme, inspiegabilmente lo incontreremo spesso lungo la nostra strada, sempre in maniera inaspettata. Ripensando a lui alla distanza non posso fare a meno di pensare che tramite lui il Cammino di Santiago abbia voluto suggerirci qualcosa. Del resto è impossibile stargli dietro: compie anche 40km di marcia al giorno e, nonostante l'età non più giovanissima, ci sembra instancabile. Dopo averci dato qualche rapida indicazione chino sulla sua spiegazzata cartina, riprende il volo e ci semina in un lampo.
Nel frattempo siamo arrivati a Rabanal del Camino, villaggio ordinato e pulito, più attuale e curato, popolato da circa sessanta anime. Siamo ad un'altitudine di 1.150m s.l.m. Dopo una breve sosta all'ingresso del villaggio per dissestarci, proseguiamo lungo la sua via principale, Calle Real, incrociando l'Ermita de San Josè, elegante eremo in stile barocco costruito nel 1733 su commissione del ricco allevatore Josè Calvo Cabrera, il cui corpo riposa nel tempio insieme a quelli dei familiari. Poco più avanti incontriamo la Iglesia Parroquial de Nuestra Señora de la Asuncion, eretta in un'unica navata ed in stile romanico nel corso del XII secolo. In epoca medievale questa chiesa fu avamposto dell'Ordine dei Cavalieri Templari. Nonostante l'aspetto esterno appaia umile e segnato dal trascorrere del tempo, malgrado la soddisfacente gradevolezza del bel campanile realizzato nel XVIII secolo, non è assolutamente da perdere la visita dell'interno di questo tempio, uno degli spazi più originali ed antichi di tutto il Cammino di Santiago. Meravigliosi sono gli affreschi alle pareti di pietra grezza della navata illuminata dalla luce del sole filtrante dalle finestre dell'abside. Come da tradizione ci soffermiamo per un attimo di raccoglimento bagnando nell'acquasantiera le pietre che abbiamo raccolto poco prima lungo il sentiero: qui infatti i pellegrini erano soliti in antichità far benedire le pietre da deporre, poco più in là, ai piedi della Cruz de Hierro. Abbandoniamo questo spettacolare palcoscenico medievale sopravvissuto al logorio secolare e ci rimettiamo in marcia per uscire da Rabanal de Camino.
Da qui inizia il tratto più impegnativo della tappa: ci incamminiamo lungo uno stretto sentiero sterrato in continua salita ed immerso in una fitta e verde macchia boschiva, sollevato rispetto alla sottostante strada carraia. Il percorso si fa tortuoso e complesso, il fondo della via è spesso sconnesso ed accidentato, ogni tanto incontriamo una larga fonte di pietra alla quale ci arrischiamo ad abbeverarci per placare la sete. L'unica consolazione è la magnifica vista sui Montes de Leon, presso le cime dei quali decine di pale eoliche sembrano farci ciao con il movimento delle loro braccia, oltre ai messaggi di incoraggiamento scritti qua e là sulla superficie delle pietre, anche per terra, da pietosi pellegrini passati prima di noi e che forse come noi avrebbero avuto bisogno dei "Fuerza" ed "Adelante" che inaspettatamente ci spronano di tanto in tanto a non farci sopraffare dalla fatica. Percorsi complessivamente dalla partenza circa 15km, sbuchiamo sfiniti a Foncebadon, centro abitato oggi ormai pressochè abbandonato dopo le pressanti difficoltà economiche che colpirono la località negli anni '60 e '70 del secolo scorso e che portarono una rapida riduzione della popolazione da qualche decina a solo due unità: qui decidiamo di fermarci per consumare il pranzo. Il nostro arrivo viene salutato dalla Cruz de Focebadon, una bassa croce di legno, antica ma ristrutturata di recente, uno dei manufatti di questo tipo più fotografati di tutto il Cammino di Santiago. Poco più avanti, oltre una strada sterrata in salita, sorge la Iglesia de Santa Maria Magdalena, oggi in rovina ma capace di proiettare Foncebadon alla ribalta della cronaca a causa di una singolare protesta che la vide protagonista alcuni decenni fa': sul suo campanile si barricò infatti un'anziana abitante del villaggio di nome Maria, armata di bastone, decisa ad opporsi alla decisione del vescovado di trasportare altrove le campane della chiesa in seguito all'abbandono progressivo di questa località da parte della popolazione. Sosteneva infatti che le campane fossero necessarie per aiutare i pellegrini a dirigere i propri passi nelle giornate di nebbia e per avvisare i pochi abitanti rimasti delle imminenti minacce metereologiche. Passiamo accanto alla chiesa, che sembra estremamente trascurata come il resto del villaggio, e notiamo con un sorriso disegnato sulle labbra che le campane sono ancora al loro posto, in cima al campanile.
Abbandoniamo questo strano villaggio che sembra sinistramente uscito da un film horror, seppure questo sia effettivamente anche il suo fascino, quasi gotico. Proseguiamo su un arido sentiero sterrato che dopo una breve ma comoda salita ci conduce alla Cruz de Hierro, uno dei luoghi più conosciuti del Cammino di Santiago: si tratta di una croce di ferro posta sulla cima di un sottile palo di legno alto circa 5m, situata sulla superficie del Monte Irago, cima dei Montes de Leon, a 1.500m s.l.m., il punto più alto di tutto il Camino Frances. Una tradizione secolare vuole che qui il pellegrino deponga una pietra trasportata attraverso le tappe precedenti in segno di penitenza verso colpe o peccati commessi, secondo un rituale che simboleggia l'atto di liberazione da pesi, preoccupazioni e macchie morali. Ed infatti ai piedi della Cruz de Hierro si trova un enorme cumulo composto da migliaia di pietre deposte chissà quando e chissà da chi, foriere di umani propositi e pensieri. L'origine della tradizione risale agli albori del Cammino di Santiago, quando ai pellegrini veniva richiesto di trasportare con sè una pesante pietra da impiegare come materiale di costruzione nell'opera di realizzazione della cattedrale di Santiago de Compostela. Oggi che la cattedrale è terminata il rito ha assunto un nuovo significato, più complesso ed intimo forse; così, invece che trasportare le pietre fino alla meta del pellegrinaggio, i pellegrini le depongono ex voto ai piedi della Cruz de Hierro, luogo simbolo dell'umiltà pellegrina. Il costume vuole che le dimensioni della pietra siano proporzionali alla gravità della colpa, seppure oggi molti pellegrini depongano alla base della croce anche piccoli oggetti personali, fotografie, utensili utilizzati durante il cammino, piccole pagine scritte. Alcune pietre, quelle di dimensioni più piccole, sono incastonate addirittura nelle sottili venature del legno della croce, quasi a simboleggiare la capacità di Cristo di assorbire ogni male umano. Delle origini relative alla Cruz de Hierro si sa purtroppo ben poco: sembra che nel sito in cui sorge attualmente si trovasse, in antichità, un tempio romano dedicato al dio Mercurio, protettore dei viandanti. Successivamente, sempre in epoca romana, venne probabilmente eretto sul luogo un alto palo come segnale divisorio tra due circoscrizioni territoriali, cristianizzato poi nei secoli successivi con l'apposizione di una croce di ferro sulla cima. Secondo altre teorie l'origine del monumento deriverebbe invece dall'usanza antica da parte dei viaggiatori di lasciare piccoli mucchi di pietre, la cui custodia era conferita al dio romano dai calzari alati Mercurio, per segnalare svincoli importanti lungo i sentieri con il fine di facilitare l'orientamento. Altri ancora ritengono che il segnale collocato originariamente sul posto servisse in epoca celtica per segnalare i sentieri durante le stagioni nevose. Ciò che è certo è comunque che la croce posta oggi sulla cima del monumento, copia di quella originale conservata nel Museo de los Caminos ad Astorga, venne posta nell'XI secolo da un monaco di nome Gaucelmo che fu abate di un vicino convento presso Foncebadon.
Deponiamo anche noi le nostre pietre ai piedi della Cruz de Hierro e rimaniamo silenziosi ripensando alla lunga e faticosa strada percorsa, riflettendo su come una via onesta non conceda scorciatoie ma alla fine abbia il potere di alleggerire l'animo dal peso di una pietra. Ci rendiamo conto che per essere pellegrini occorre sapersi presentare così come si è, senza artefatti o filtri, al cospetto di ciò in cui si crede, fiduciosi in una misericordiosa accoglienza, così ci siamo presentati al cospetto della croce e già ci sentiamo più leggeri nonostante il peso greve dello zaino sulle spalle. E comprendiamo il valore del silenzio che suggerisce al pellegrino quando arrestare il cammino abbandonando lo slancio della marcia, quello stesso silenzio che è capace sorprendentemente di unire insieme due anime in cammino verso la medesima meta: l'essenza è la presenza! Questo silenzio è solo parziale presso la Cruz de Hierro: il luogo è affiancato da una trafficata strada carraia per mezzo della quale a ritmo continuo numerosi turisti giungono a bordo di automobli a visitare questo celebre sito, rischiando in tal modo di intaccare malamente l'atmosfera del pellegrinaggio. Per questo non è facile trovare raccoglimento e solitudine, ma ci fermiamo ugualmente alcuni minuti per respirare la solenne tradizione di questo incredibile posto: sostiamo all'ombra di una piccola cappella consacrata a San Giacomo attigua alla croce e sul selciato della quale, lungo il porticato, ci soffermiamo a leggere i numerosissimi nomi incisi nella pietra probabilmente dai pellegrini di passaggio. Ci rimettiamo quindi in cammino e proseguiamo lungo un sentiero sterrato parallelo alla strada carraia. Ci addentriamo nel nulla più assoluto, sotto il sole pomeridiano e con tutta la fatica accumulata durante la mattinata nelle gambe e dentro la zaino che ci appare pesante come un macigno. Procedere diventa ad ogni chilometro più difficile e la stanchezza è resa più intensa dal paesaggio monotono ed immutato, senza punti di sosta o aree di ristoro. Ad un tratto scorgiamo ai lati del sentiero un piccolo carretto incustodito che offre acqua e frutta ai pellegrini di passaggio, unico sostegno nel mezzo di questa tappa infinita. La marcia è interrotta solo dal microscopico nucleo abitato di Manjarin, poche casupole che si possono contare sulle dita di una sola mano sparse ai bordi della strada. In questa località risiedono oggi una decina di abitanti dopo che, nel 1993, Tomas Martinez de Paz, personaggio insolito ed inconvenzionale, vi ristrutturò un antico albergue per pellegrini caduto precedentemente in rovina; gli abitanti avevano abbandonato il villaggio a causa della profonda crisi economica che interessò la regione a metà del secolo scorso. La cosa davvero incredibile di tutta questa storia è che Tomas amministra oggi il rifugio senza offrire acqua corrente o luce elettrica, intenzionato a far rivivere l'atmosfera dell'epoca medievale e sostenendo addirittura di essere un discendente dei leggendari Cavalieri Templari, tanto da essere iscritto ad uno dei numerosi gruppi neotemplaristi diffusi un po' in tutto il Mondo. Ci fermiamo per visitare l'albergue che ad una prima occhiata ci sembra più la tana di Tarzan: alle pareti notiamo appese, oltre a disordinati vessilli cavallereschi, numerose fotografie e ritagli di articoli di giornale raffiguranti Tomas vestito con la classica tunica crociata ed armato di un pesante spadone medievale. La visita ci strappa un mezzo sorriso e qualche brivido, e senza aver scorto anima viva, di soppiatto quasi come fuggiaschi, ce ne andiamo senza attirare l'attenzione. Se il romanticismo dell'idea di trascorrere una nottata senza le comodità della città moderna potesse farvi venir voglia di programmare la fermata in questo albergue, accettate il mio consiglio, pensateci bene. Riguadagniamo il sentiero e davanti al rifugio scattiamo una fotografia con l'immancabile insegna variopinta che misura le distanze con le principali città d'Europa e del Mondo: siamo a 222km da Santiago de Compostela.
Ci trasciniamo avanti lungo la pista sterrata, a tratti irregolare e sassosa, che ondeggia sotto i nostri piedi in una continua alternanza di salite e discese. La meta sembra non arrivare mai e la giornata sembra farsi infinita, ma dopo alcune ore di cammino, percorsi 9km dalla Cruz de Hierro, ai piedi di una ripida discesa che mette a rischio le nostre caviglie, raggiungiamo il villaggio di El Acebo de San Miguel. Entriamo ormai stremati nel centro abitato composto da tipiche costruzioni in ardesia con belle balconate di legno: siamo ora nella regione del Bierzo, territorio naturale posto ad ovest della provincia di Leon il cui nome deriva dalla parola celtiberica bergidum, che significa "alto", in riferimento al paesaggio montuoso che caratterizza quest'area. El Acebo de San Miguel fu protagonista nel XV secolo di una curiosa circostanza, quando ottenne l'esenzione dall'applicazione delle imposte regie in cambio del posizionamento di paletti di legno lungo ill cammino verso il centro abitato e dell'impegno a suonare prontamente le campane della chiesa nelle giornate nebbiose, interventi entrambi mirati a facilitare il transito dei pellegrini. Tale circostanza spiega bene l'importanza del Cammino di Santiago per questi piccoli villaggi, alcuni dei quali sopravvivono ancora oggi solo ed unicamente grazie al suo passaggio nelle loro vie. Sul fondo di questo borgo di montagna sorge la Iglesia Parroquial de San Miguel Arcangel, risalente al XII secolo e la cui campana, consacrata a Santa Barbara, si dice, forse anche come retaggio dei passati benefici tributari, abbia il potere di proteggere gli abitanti dai disastri atmosferici.
Troviamo rifugio presso l'Albergue Parroquial Santiago Apostol, situato vicino alla chiesa: camerate poco affollate con rumorosi soffitti di legno, pagamento a donativo, cena comunitaria compresa, atmosfera familiare. L'hospitalero di nome Mauricio ci accoglie un po' freddamente: apprenderemo più avanti la straordinaria forza di volontà di quest'uomo, impegnato a titolo gratuito presso questo piccolo albergue posto a chilometri di distanza dalla propria casa, situata vicino a Murcia, nonostante sia sposato, abbia due figli e non sia più giovanissimo, eppure dedica annualmente alcune settimane all'accoglienza dei pellegrini offrendo la propria preziosa opera di ospitalità come volontario, dopo aver compiuto lui stesso come pellegrino il Cammino di Santiago alcuni decenni addietro. Guardarlo introverso e silenzioso chino sui documenti da compilare per accoglierci nell'albergue mi fa pensare che una giusta commistione tra solitudine e compagnia sia la chiave per ogni felicità. Oltre ad Elia e Valentina, con i quali siamo ormai compagni nel pellegrinaggio, incontriamo in albergue anche Micaela, quarantenne commercialista pavese proveniente dal Camino Primitivo, a nord, la quale ci confida di essere affetta dal vizio di cominciare a camminare nelle fasi della vita in cui le idee non le appaiono più chiare. Ha già compiuto la Via Francigena ed il Cammino degli Dei in Italia, il suo incontro mi fa pensare a come il Cammino di Santiago possieda lo straordinario potere di conferire forza alle persone nell'aiutarle a prendere alcune decisioni importanti nella loro vita, una forza che probabilmente non è possibile trovare in nessun altro posto e che forse proviene da qualcosa o qualcuno che dall'alto ci osserva e ci guida. Consumiamo il pasto serale insieme ad Elia, Valentina, Micaela, Antonia, una giovane avvocatessa bulgara infortunatasi ad un ginocchio nel corso della giornata di marcia, ed una più anziana signora tedesca proveniente da Hannover ed il cui nome rinunciamo a comprendere: sarà una delle cene più belle ed umilmente dolci che troveremo lungo il nostro cammino. Prima di coricarci, Mauricio ci accompagna tutti sul prato antistante all'albergue ad osservare un tramonto velato da nubi basse sopra la valle sottostante il villaggio. La compagnia degli altri pellegrini sarà davvero ciò che non potrete dimenticare del Cammino di Santiago.
Tappa 6 (16km): El Acebo de San Miguel - Ponferrada
Risvegliati dalla fresca aria mattutina, abbandoniamo El Acebo de San Miguel non ancora pienamente ristabiliti dalla fatica della tappa precedente: cominciamo ad accusare i primi problemi legati a tendiniti e a vesciche sui piedi. Proviamo a non farci caso e del resto il fastidio si attenua mano a mano che maciniamo i chilometri. Poche decine di metri fuori dal centro abitato incontriamo subito il Monumento a Heinrich Krause, memoriale dedicato ad un ciclista tedesco morto su questo tratto di sentiero nel 1988 mentre compiva su due ruote il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela. Il suo ricordo è affidato ad una scultura essenziale, fatta di spesse barre di ferro intrecciate a formare la figura di una bicicletta. Guardando questo monumento è inevitabile pensare alla forza delle motivazioni che spingono i pellegrini a compiere il Cammino di Santiago anche a rischio della propria vita.
Poco oltre la pista prosegue in discesa su superficie asfaltata collegandosi ad una stretta e tortuosa stradina carraia. Proseguiamo per pochi chilometri su di essa prima di piegare a destra su un sentiero sterrato che si addentra tra colline erbose circondate da un gradevole paesaggio montuoso ed illuminate dalla fredda luce del primo mattino. Respiriamo l'aria fresca e non ancora arroventata dal sole, e dopo poco più di 3km di marcia facciamo l'ingresso nel villaggio di Riego de Ambros, anonimo e deserto. Questa piccola località deve il proprio nome al signore feudale, il cui cognome probabilmente era de Ambroce, che in epoca medievale possedeva i territori sui quale sorge; riego, dallo spagnolo, significa invece "irrigazione", in riferimento alla forte vocazione agricola di tutta quest'area. In piena solitudine passiamo dinnanzi alla Ermita de San Sebastian, austera cappella la cui costruzione risale al XIV secolo, quindi abbandoniamo senza troppa emozione il villaggio che ci pare addormentato in un sonno perpetuo ed imperturbabile. Da Riego de Ambros un sentiero fangoso scende ripidamente all'ombra di intricate fronde arboree, tanto che occorre procedere lentamente e fare molta attenzione a dove si mettono i piedi per evitare rovinose cadute. La discesa si protrae per alcuni chilometri e mette in seria difficoltà la tenuta delle nostre gambe: ci insinuiamo tra verdeggianti colline che ci accolgono in seno alle loro fertili pendici, e solo il panorama, spettacolo naturale grandioso ed imponente dentro il quale ci troviamo, sostiene silenziosamente i nostri passi incerti.
Seguiamo quasi per inerzia le indicazioni delle frecce gialle le quali sembrano spingerci lentamente in avanti e concludiamo infine questa faticosa discesa approdando a Molinaseca. Centro abitato di dimensioni maggiori rispetto ai villaggi attraversati nelle tappe precedenti (conta circa 890 abitanti), questa piccola località è per noi una piacevole scoperta: deliziosa, pulita, luminosa e vissuta, animata dalla freschezza dei suoi ambienti, ha il potere di ristabilirci, almeno parzialmente, dalla fatica che appesantisce ormai costantemente il nostro passo. Il suo nome deriva dal termine latino molinum, vale a dire "mulino", in riferimento al fatto che in questo luogo sorgevano forse in passato alcune costruzioni di questo tipo, e dalla parola arcaica segh con la quale i celtici indicavano i corsi d'acqua, dato che il villaggio è attraversato dal Rio Meruelo. Ci avviciniamo al nucleo urbano costeggiando il Santuario de Nuestra Señora de las Angustias, situato poco fuori dal villaggio: costruito in stile barocco nell'XI secolo (sebbene fu ristrutturato tra il XVI secolo ed il XVII secolo dopo che un violento incendio lo danneggiò), ospita al suo interno l'immagine della Virgen de las Angustias, una Pietà in legno di noce posta sopra un maestoso trono neoclassico, la quale costituisce celebre oggetto di venerazione per i pellegrini di passaggio. Tale venerazione divenne tanto grande da suscitare la deleteria abitudine, da parte dei pellegrini in visita, di staccare frammenti e schegge di legno dal portale esterno del santuario, usanza che nel tempo rischiò di danneggiare seriamente il portale stesso che venne quindi coperto con lastre di ferro per proteggerlo. Il campanile, alto ed appuntito, venne costruito solo nel 1931 per esaudire la strana necessità di dotare la struttura di un contrafforte che sostenesse la spinta della retrostante montagna la quale, a causa probabilmente di un errore progettuale commesso in fase di costruzione, rischiava di rovinare sull'edificio antico. Ci soffermiamo ovviamente alcuni istanti a rendere doveroso omaggio alla meravigliosa immagine della Vergine Maria nell'atto disperato di sostenere il corpo di Cristo calato dalla croce. Ritornati quindi sul sentiero, ci dirigiamo verso il centro abitato di Molinaseca, il quale è già visibile a breve distanza dal porticato del Santuario de Nuestra Señora de las Angustias: percorsi un centinaio di metri, oltrepassiamo il Puente de los Peregrinos, ponte pedonale di probabile epoca romana, con le sue sette volte sospese sul Rio Meruelo ed il cui nome è dedicato ai pellegrini che quotidianamente lo percorrono, quindi ci addentriamo nel cuore della cittadina. Se cercate il luogo giusto dove fermarvi per cercare un po' di riposo, qui capitate bene: seduti a mangiare un gelato lungo la riva del fiume, ammiriamo il bel colpo d'occhio fornito dalla incantevole struttura in pietra del ponte con alle spalle la figura proiettata al cielo della Iglesia Parroquial de San Nicolas de Bari (XVII secolo) e più indietro, sullo sfondo, le verdi e rigogliose colline che abbiamo appena percorso, il tutto accompagnato dal leggero suono delle acque che scorrono imperterrite lungo il Rio Meruelo. Quello che ci voleva per ridarci un po' di vigore.
Ci rimettiamo in marcia: percorriamo Calle Real, la via principale della cittadina, e ci lasciamo alle spalle Molinaseca dopo aver attraversato la sua parte più periferica e residenziale. Il sentiero continua lungo un marciapiede posto a lato della strada carraia ed il quale, poco oltre, comincia a decollare descrivendo una ripida ed impegnativa ascesa. Con il sole a picco raggiungiamo la cima della salita e ci sembra di aver scalato una vetta inarrivabile: da qui si apre davanti ai nostri occhi una vista su un'ampia valle al centro della quale scorgiamo la nostra meta odierna, Ponferrada, la quale sembra quasi a portata di mano. La prospettiva ci inganna però, perchè mancano ancora circa 5km per raggiungerla. Scendiamo lungo il versante opposto del pendio e deviamo sulla sinistra lungo una stradina secondaria, sempre su asfalto; poco oltre abbandoniamo la stradina e proseguiamo su sterrato. Un'altra salita, meno lunga ma ugualmente ripida della precedente e su una superficie di terra e ghiaia, ci conduce quasi all'arrivo. Ci resta solo da compiere un corto tragitto affiancato da verdi pascoli popolati da tranquilli bovini su un lato e dal Rio Boeza sull'altro: sul prato ai bordi di questo tratto ci fermiamo sfiniti e quasi in preda alle lacrime per lo sforzo che stiamo compiendo, si fa sentire insidiosa tutta la fatica della tappa del giorno precedente. Il sentiero cede quindi gradualmente il passo alle strade di città: penetriamo la periferia urbana, superiamo le acque del fiume sul dorso di un piccolo ponte pedonale di pietra e proseguiamo lungo la riva opposta sul lungofiume Camino Bajo San Andres. Siamo finalmente a Ponferrada, capitale del Bierzo, città le cui origini risalgono all'XI secolo, epoca nella quale Osmundo, vescovo di Astorga, ordinò la costruzione sul luogo di un ponte che facilitasse il passaggio dei pellegrini sopra il Rio Sil: il ponte, inizialmente fragile, venne poi rinforzato con l'aggiunta di inserti di ferro, e da qui il nome della città. Raggiunto l'edificio dell'ospedale locale, ci addentriamo in città e poco più in là sbuchiamo al cospetto del Castillo de los Templarios: Ponferrada fu infatti in antichità dominata dai Cavalieri Templari, i quali qui stabilirono un avamposto per la difesa dei pellegrini in viaggio verso Santiago de Compostela. Dopo la caduta dell'Ordine Templare, la città passò tra i possedimenti di Pedro Fernandez de Castro, vicerè di Napoli, quindi dei conti di Lemos, infine della Corona Spagnola. Della gloriosa e leggendaria dominazione cavalleresca rimane comunque oggi il bellissimo castello fortificato, antica sede dei cavalieri, posto sulla cima di una bassa collina nel luogo in cui si crede sorgesse in precedenza una fortificazione celta utilizzata poi anche dai romani e dai visigoti. I Cavalieri Templari vi si stabilirono solo nel 1178 per concessione di Ferdinando II re di Leon, apportando alla struttura opere di rinnovamento, ampliamento e consolidamento. Nel 1811 gli abitanti di Ponferrada fecero saltare in aria il castello piazzando dell'esplosivo lungo le sue mura: lo scopo era quello di non concedere la fortezza intatta alle truppe napoleoniche in rapida avanzata. Seguì quindi un lungo periodo di abbandono durante il quale il castello cadde in rovina: le pietre delle mura residue vennero impiegate nella costruzione di altri edifici in città e lo spazio interno venne riqualificato a parco pubblico dentro il quale, per un certo tempo, fu collocato persino un campo da calcio.
Oggi il Castillo de los Templarios ristrutturato è uno dei patrimoni storici più importanti della città: solido e severo, fa bella mostra di sè caratterizzando un po' tutta l'atmosfera del centro storico di Ponferrada e conferendogli quasi un sapore mitico degno delle più grandi leggende dalla Tavola Rotonda e dei suoi cavalieri. Ne ammiriamo il massiccio portale di accesso, appuntito e compatto, posto alla fine di uno stretto viale lastricato in salita sospeso sopra lo spazio del fossato e con alle spalle l'alta Torre del Rastrillo, opera di rafforzamento voluta dai conti di Lemos, così chiamata in virtù del meccanismo collocato sulla sua cima che consente la discesa di una pesante grata davanti al sottostante portale (conosciuta anche come Torre de los Caracoles, letteralmente "torre delle lumache", dalla particolare forma delle sue merlature). Accanto al castello si trova la Iglesia de San Andres, piccolo tempio sconsacrato risalente al XVII secolo, oggi riqualificato a centro informativo culturale. Poco più in là, percorsa Calle Gil y Carrasco di cui si ricorda volentieri l'alta parete coperta di glicine che si innalza su un lato della Casa de los Escudos, elegante edificio signorile barocco e rococò, si raggiunge invece la Basilica de Nuestra Señora de la Encina, la chiesa più importante di Ponferrada: costruita in stile rinascimentale nel XVI secolo su progetto dell'architetto Juan de Alvear, custodisce al suo interno la scultura della Virgen de la Encina, patrona del Bierzo.
La leggenda di questa statua mariana narra di come, in tempi antichi, la sacra effige venne trasportata da Gerusalemme in Spagna da Toribio, vescovo di Astorga, e per evitare che venisse scoperta e dissacrata dai saraceni costui decise di nasconderla all'interno del tronco di una quercia, in un luogo segreto nei pressi di Ponferrada. Il segreto fu tanto attentamente conservato che il sito dell'occultamento andò infine dimenticato, finchè secoli più tardi i Cavalieri Templari giunsero ad occupare il luogo e nel raccogliere legname utile per ampliare e ristrutturare il castello in rovina ritrovarono finalmente l'immagine perduta: la parola encina in spagnolo significa proprio "quercia". Da quel momento la statua della Vergine Maria divenne oggetto di grande venerazione, anche grazie ai numerosi miracoli che le si attribuirono: il più celebre fu quello occorso a Maria Manuela de Mendoza, giovane burgalesa paralizzata dal bacino in giù a causa di una grave malattia. Avendo viaggiato per tutta la Spagna in cerca di rimedio, all'età di ventiquattro anni la ragazza giunse infine a Ponferrada, dove si fermò a pregare la Virgen de la Encina di farle grazia dalla severa malattia che la affliggeva in cambio della sua eterna devozione. Il miracolo si compì e Maria Manuela recuperò l'uso della gambe; tuttavia, presa dall'entusiasmo, fece presto a dimenticare la promessa fatta alla Vergine, e poche settimane dopo la guarigione abbandonò a cuor leggero la città. Mentre la ragazza si apprestava a lasciare Ponferrada però, la malattia ripiombò su di lei ed oltre a paralizzarle le gambe le paralizzò anche il busto, il capo e le braccia. Convinta di essersi avversato il favore della Virgen de la Encina, Maria Manuela fece subito ritorno a Ponferrada ed in breve fu nuovamente guarita. Questa è la leggenda dei tre miracoli della Virgen de la Encina: la guarigione dalla malattia, la terribile ricaduta ed infine la remissione definitiva. Visitiamo la basilica per rendere omaggio alla statua della patrona (quella che si può vedere oggi all'interno della chiesa è una copia, realizzata nel XVI secolo, della scultura originale andata perduta nei secoli scorsi): l'interno del tempio appare gradevole e spazioso, in contrapposizione all'aspetto esterno dell'edificio che si presenta al contrario squadrato e rigido, smorzato solo dalla melliflua figura della statua posta sullo spiazzo del sagrato, realizzata nel 2003 dallo scultore spagnolo Venancio Blanco in memoria della leggendaria scoperta della Virgen de la Encina nel tronco di una quercia per mano di un prode cavaliere.
Di fronte a Plaza Virgen de la Encina, la piazza ospitante la basilica omonima, si apre Calle Reloj, stretto viottolo sul fondo del quale si trova la Torre del Reloj, una torre dell'orologio posta sopra l'antico portale di accesso alla città, vale a dire l'Arco de las Eras, unico frammento sopravvissuto della cinta muraria medievale. La torre venne costruita nel 1567 in pietra di ardesia e granito, e fu dotata di una campana posta sulla cima: il blocco più alto sul quale è situata la campana venne in realtà aggiunto alla struttura originaria solo nel 1693. A partire dal 1920 venne poi posizionato sopra la torre anche un orologio a meccanismo. Lungo la facciata spicca infine lo stemma araldico di Filippo II d'Asburgo, re di Spagna, promotore dell'opera. Proprio accanto alla Torre del Reloj si trova il Museo del Bierzo, collocato negli edifici dell'antico carcere reale rimasto in funzione dal XVI secolo fino al 1995, epoca nella quale si costruì un penitenziario più moderno e nel carcere antico si collocò quindi il museo. La visita completa della città si completa arrivando, oltre l'Arco de las Eras, a Plaza Ayuntamiento, largo piazzale ospitante l'elegante edificio della Casa Consistorial, opera barocca del XVII secolo, sede del municipio: lungo la facciata del suo corpo centrale, affiancato come da tradizione da due torri gemelle, si distingue scolpito l'emblema di Carlo II d'Asburgo, re di Spagna, regnante all'epoca della sua costruzione.
Terminato il giro turistico, scendiamo lungo Avenida del Castillo, decorata con colorati murales raffiguranti i simboli della città, e scegliamo per trascorrere la notte l'Albergue Parroquial de San Nicolas de Flüe: camerate ampie ma abbastanza pulite e con pochi letti, pagamento a donativo, ambiente accogliente e festoso, cucina disponibile per preparare la cena in autonomia. Cena che consumiamo insieme ad Elia e Valentina, compagni ormai costanti del nostro cammino, a Micaela ed a Giovanni, che ritroviamo qui con immenso piacere. Saranno Elia e Valentina ad offrirci il pasto a base di spaghetti, spiegandoci che alcune tappe più indietro anche loro hanno ricevuto in dono il pasto da altri pellegrini ed ora ripetono con piacere il gesto offrendolo a noi. Ci sentiamo subito in dovere di ricambiare il dono ed avvertiamo la bellissima sensazione suscitata dal desiderio di dare incondizionatamente dopo aver ricevuto in modo così disinteressato. La cucina è affollatissima come il resto dell'albergue, ma attendiamo che un folto gruppo di coreani finisca il proprio circo di strampalate preparazioni culinarie e finalmente ci gustiamo un saporito piatto di spaghetti al pomodoro. Mi meraviglio comunque nel realizzare come il Cammino di Santiago attiri persone di culture così diverse dalla nostra, da ogni parte del mondo, da ogni nazione del globo terrestre, ed ancora una volta ho la riprova del sorprendente potere di questo percorso di pellegrinaggio, capace di porre domande e dare risposte anche a fedeli di credo differenti: c'è un segreto nel Cammino di Santiago, e solo chi lo compie può svelarlo, viverlo più che comprenderlo. Come il Cammino di Santiago sa darsi senza pregiudizi al pellegrino, così anche il pellegrino deve riuscire a lasciarsi scoprire liberamente e senza vincoli dal Cammino di Santiago. La giornata si conclude con un evento che darà un altro senso al nostro pellegrinaggio: incontriamo Sofia, una giovanissima ragazza venezuelana che insieme ad alcune coetanee sta compiendo un viaggio missionario nei luoghi sacri della cristianità europea. Dopo averci chiesto di spiegarle cosa ci spinga a compiere il Cammino di Santiago, ci mette tra le mani un sacchettino di plastica pieno di corone del rosario, spiegandoci che per lei il viaggio si sta concludendo e regalandoci pertanto ciò che le rimane dell'esperienza compiuta. Rigirando il prezioso dono tra le mani rispondo che forse è il Cammino di Santiago che vuole spingere noi a fare qualcosa.
Tappa 7 (24km): Ponferrada - Villafranca del Bierzo
Veniamo svegliati bruscamente dal rumoroso gruppo di pellegrini che condivideva con noi la camera del dormitorio: dalle dimensioni spropositate dei loro zaini intuisco che, con tutta probabilità, stanno compiendo il Cammino di Santiago scortati da automobili che trasportano fino a destinazione il loro bagaglio, certamente troppo pesante per essere portato a spalla, consentendogli così di compiere la tappa in tutta libertà e comodità. Questa è un'usanza purtroppo non rara tra i pellegrini, da me personalmente disapprovata anche perchè questi viandanti saranno sicuramente i primi ad arrivare a destinazione e ad accaparrarsi i posti migliori negli albergue, a discapito dei pellegrini che invece, decisamente più stanchi, arriveranno più tardi alla meta con lo zaino sulle spalle. Questo agitato risveglio segna l'inizio di una giornata speciale: ricorre infatti il giorno della Pasqua cristiana. Ci eravamo già informati il giorno precedente sugli orari delle messe festive a Ponferrada: la celebrazione nella cattedrale sarebbe però iniziata ad un orario per noi impossibile, a mezzogiorno, dopo una lunga processione svolta per le vie cittadine. Con la lunga strada che ci attendeva non avremmo potuto concederci tanta calma. Poi, quando già cominciavamo a disperare, ecco che veniamo dirottati da un gruppo di gentili perpetue al Convento de la Purisima Concepcion, situato in Calle Reloj proprio dirimpetto all'edificio del Museo del Bierzo. Questo antico edificio religioso venne fondato nel 1524 dai nobili signori locali don Alvaro Perez Osorio e doña Brianda de Quiros, e fu eretta sui resti di una precedente chiesa del XV secolo intitolata a San Sebastiano della quale oggi rimane solo il bellissimo coro rialzato in legno. Nel XVII secolo il convento venne ampliato con l'aggiunta di un chiostro e ristrutturato con il rifacimento della facciata della chiesa: qui oggi risiede ancora una comunità di monache francescane di clausura. Questo meraviglioso tempio religioso, chiuso nella stretta delle anguste strade di città, ci offre fortunatamente la possibilità di assistere alla messa pasquale durante la quale ci viene regalato un momento di riflessione inatteso e sorprendente: nel corso del sermone il parroco spiega come Cristo muoia e rinasca ogni giorno a vita nuova, e così anche i fedeli, avviliti dalle fatiche e dai dolori della vita quotidiana ma risollevati costantemente nella misericordiosa Pasqua di Cristo. Allo stesso modo il pellegrino muore quotidianamente nella fatica del cammino e risorge nella gloria ogni mattino al risveglio, pronto a ricominciare la propria marcia. La vita è un cammino di fede ed il Cammino di Santiago è sintesi di tutta una vita. Al termine del rito abbandoniamo il Convento de la Purisima Concepcion accompagnati dal leggero canto delle monache di clausura che hanno animato con le proprie voci tutta la celebrazione: stanno sedute nel coro alle nostre spalle e sono separate dai comuni fedeli da una spessa grata di ferro. Onorata a dovere la festività, ci rimettiamo in cammino accompagnati da Barbara, una simpatica e giovane tedesca che già dal giorno prima, dopo averci incontrato in albergue, ci aveva chiesto di poterci seguire per assistere alla messa. Rimarremo con lei per tutta la durata della tappa e sarà una delle amicizie più profonde che riusciremo ad intessere nel corso di tutto il viaggio. Non facciamo caso al prurito di cui ci dice di soffrire dal giorno precedente, apprendiamo anzi con noncuranza la notizia mentre attendiamo l'orario di inizio della messa seduti a fare colazione in una caffetteria, ma tenete bene a mente questo fatto, ci riserverà delle sorprese a fine giornata.
Superiamo la periferia di Ponferrada, costeggiamo il Rio Sil attraversando lo spazio verde di un tranquillo parco pubblico, ci addentriamo in un elegante e silenzioso quartiere residenziale posto alle porte della città ed in breve, camminando su superficie asfaltata, giungiamo al villaggio di Columbrianos. Il nostro arrivo viene salutato dal frastuono proveniente dal campanile della Iglesia de San Esteban (XVIII secolo) sulla cima del quale due parrocchiani spingono a mani nude le pesanti campane per farle oscillare. Qui incontriamo nuovamente Uly, intento con la sua consueta calma serafica a fare fotografie alla chiesa, mentre dall'interno giungono intonati i canti della messa pasquale: lo salutiamo e proseguiamo oltre. Prima di abbandonare il villaggio di Columbrianos abbiamo giusto il tempo di ammirare la piccola Ermita de San Blas (XVI secolo) ed il suo colorato moderno
dipinto murale che, disposto su una parete laterale, raffigura un pellegrino in
marcia verso la Croce: quale migliore rappresentazione di questa nostra
tappa pasquale? Appiccicato a Columbrianos si trova il piccolo borgo di Fuentenuevas che impieghiamo poco tempo ad attraversare. Il sentiero abbandona il centro abitato e prosegue su una stretta stradina asfaltata immersa in una zona di campi riccamente coltivati. Dopo altri 4km circa si raggiunge la cittadina di Camponaraya, celebre per essere uno dei pochi comuni leonensi nei quali si parla il gallego, il dialetto galiziano, lingua romanza originata anticamente dalla commistione tra latino e volgare gallico-portoghese, parlato tutt'oggi in Spagna da circa 3 milioni di persone. Il nome di questo centro abitato deriva dall'unione di due termini, Campo e Naraya, con i quali venivano indicati originariamente due piccoli borghi divisi da un piccolo corso d'acqua, l'Arroyo de los Barredos, e riunitisi nel corso del XV secolo a formare un'unica cittadina. Percorriamo l'anonimo stradone molto trafficato che attraversa il centro abitato tagliandolo in due come una scure e superiamo senza troppa emozione questa località.
L'unico elemento degno di nota che incontriamo è la Torre del Reloj, posta al centro di una brutta rotonda carraia: venne costruita nel 1926 da Angel Fernandez Ribera e l'orologio a meccanismo posto lungo la sua facciata è stato riparato solo recentemente nel 2012 dopo essere rimasto fermo per anni a causa di un guasto. Poco oltre Camponaraya il sentiero prosegue su una pista sterrata in lieve salita che ci consente più avanti di valicare il tratto autostradale dell'Autovia del Noroeste. Superato questo svincolo si apre davanti a noi il magnifico paesaggio del Bierzo in tutto il suo splendore: basse colline ondulanti coperte da fitti vitigni, inondate dall'accecante sole primaverile. Seguiamo una corta discesa (lungo la quale le indicazioni non sono sempre precise) e ci addentriamo in un piccolo bosco ombreggiato al limite del quale un minuscolo food truck ci invita ad una sosta, ma la strada è ancora lunga ed il sole è sempre più caldo, così decidiamo di passare oltre.
Camminiamo ancora 3km e ci sembra di attraversare un deserto bollente, prima di raggiungere, al termine della via sterrata e dopo aver percorso una rovente strada asfaltata che sembrava non finire mai, il villaggio di Cacabelos, dove decidiamo di fermarci per il pranzo. Il centro cittadino di questa località ci appare rustico ma ordinato, vissuto, popoloso e non privo di fascino. Nonostante le sue piccole dimensioni, non mancano i punti degni di interesse: a cominciare dalla Ermita de San Roque, piccola cappella dalle pareti in pietra grezza realizzata su commissione dell'aristocratico locale don Mateo Chicharro nel 1590. Fu conosciuta inizialmente con il nome di Ermita de la Vera Cruz e successivamente venne riconsacrata a San Rocco dopo l'epidemia di peste che colpì la regione nel 1599 (San Rocco è infatti il santo protettore contro la peste).
Interessante è anche il profilo affilato e dai tratti quasi futuristici della Iglesia de Santa Maria, inaugurata già nel 1108 ma ricostruita quasi completamente nel XVI secolo e fornita di una nuova torre in stile neoromanico nel 1904. Ma soprattutto a Cacabelos non è da perdere il Santuario de Nuestra Señora de las Angustias, pregevole tempio risalente al XVIII secolo dedicato alla Vergine delle Angustie, la cui statua troneggia lungo la facciata, sebbene l'aspetto attuale di questo edificio sacro ci appaia a dire il vero un poco trascurato. Dopo una breve sosta necessaria a dare sollievo alle vesciche che ormai martoriano i nostri piedi, riprendiamo il cammino e ci lasciamo alle spalle Cacabelos. Da qui inizia la parte più impegnativa della tappa: proseguiamo ai bordi di una strada carraia asfaltata che si spinge insistentemente in avanti sopra una faticosa salita. Sfioriamo senza attraversarlo il villaggio di Pieros e cominciamo a ridiscendere sul versante opposto del pendio. Il paesaggio è bellissimo: immensi vitigni verdi decorano come delicati ghirigori la superficie regolare delle colline verdi del Bierzo. Ci addentriamo in questa rigogliosa valle ed appesantiti dal caldo sole pomeridiano abbandoniamo la strada carraia imboccando un sentiero sterrato disperso in mezzo alla campagna, il quale, dopo alcune salite da togliere il fiato, ci conduce finalmente a Villafranca del Bierzo. Dal cartello che ci annuncia l'ingresso nella cittadina al nucleo abitato però c'è ancora 1km in salita da percorrere, così giungiamo a destinazione più stanchi del previsto. Questo centro agricolo di discrete dimensioni (circa 3.000 abitanti) è una delizia per il pellegrino che arriva trovandovi un fresco ambiente immerso all'interno di una spettacolare valle verdeggiante.
Qui infatti è molto forte la tradizione legata alla coltivazione dell'uva, importata in questa regione anticamente dai monaci benedettini che vi si stabilirono intorno all'XI secolo. Secondo una più antica leggenda però, la nascita di Villafranca del Bierzo è da attribuire a due sconosciuti mandriani che erano soliti far pascolare le proprie bestie nei territori limitrofi all'attuale centro abitato: volendo cambiare pascolo decisero di affidarne la scelta ad una vacca che liberarono consentendole di dirigersi dove desiderasse. Ovviamente l'animale si fermò nel luogo in cui sorse successivamente il primitivo villaggio di Villafranca del Bierzo e questa inverosimile leggenda rappresenta d'altronde perfettamente la forte vocazione agricola che nel tempo caratterizzerà questa cittadina. Tornando alla realtà invece, è più probabile che la località venne fondata da alcuni pellegrini francesi di passaggio verso Santiago de Compostela: da qui deriverebbe anche il nome, dal latino villa francorum, cioè "villaggio francese". Effettivamente qui sorse in antichità, già nel XII secolo, un noto rifugio per l'accoglienza dei pellegrini malati, conosciuto come Leproseria de San Lazaro, oggi andato perduto. A partire dal XV secolo Villafranca del Bierzo subì un progressivo declino: l'economia rallentò, i poveri ed i mendicanti divennero più numerosi, la fama della città si deteriorò per la presenza di ladri e malviventi. Tuttavia, nel corso sempre del XV secolo Ferdinando II d'Aragona, re di Spagna, convertì la cittadina in marchesato affidandone il governo ai conti di Benavente e riconferendo prestigio alla località: di quest'epoca è la costruzione del Palacio de los Marqueses, realizzato dall'architetto Arturo Melida su commissione di Pedro Alvarez de Toledo, primo marchese di Villafranca, il quale qui stabilì la propria residenza. Costituisce il centro del potere civile della cittadina ed ospita oggi la sede della Real Academia de Ingenieria dopo aver accolto precedentemente importanti personaggi pubblici tra i quali, ad esempio, J.F. Kennedy e la moglie Jaqueline, nell'epoca in cui vi era collocato un famoso ristorante chiamato La Puerta de Moros divenuto uno dei più prestigiosi di Spagna ma chiuso al principio degli anni '80 del secolo scorso.
Oggi Villafranca del Bierzo è comunque uno dei luoghi più suggestivi presenti tra i confini della regione del Bierzo: sarà difficile dimenticarlo per il pellegrino che vi si trovi ad ammirarne il bel paesaggio al tramonto, impreziosito dal profilo in controluce del Convento de San Francisco de Asis, risalente al XIII secolo, la cui costruzione fu commissionata da Urraca Lopez de Haro, regina consorte di Leon, e che ospitò una comunità di monaci francescani fino al XIX secolo, epoca nella quale lo spazio del convento venne convertito in caserma militare. Della struttura originaria rimane oggi solo la chiesa tardoromanica, le due torri campanarie realizzate nel XVIII secolo e parte del chiostro. Scegliamo per pernottare il Refugio Ave Fenix e mai scelta fu più azzeccata: l'anziano proprietario dell'hostal, di nome Jesus, arcigno e burbero ma di animo gentile, ci regalerà una delle serata più strane e memorabili del nostro viaggio. Ma prima che la giornata finisca un'altra sorpresa ci attende e arrivati al rifugio scopriamo con sorpresa che il prurito che al principio della tappa avevamo appreso affliggere Barbara era causato dalle famigerate cimici dei letti (scientificamente Cimex Lectularius), se avete mai pensato di compiere il Cammino di Santiago ne avrete sicuramente sentito parlare: si tratta di minuscoli insetti ematofagi, simili a piccole zecche, che infestano solitamente la biancheria, i vestiti ed ovviamente le lenzuola ed i materassi. Il timore più grande del pellegrino è quello di venirne a contatto, anche se questi parassiti non trasmettono il rischio di malattie infettive ed il loro morso non ha conseguenze fisiche gravi, tuttavia è facile rendersi conto che frequentando per settimane luoghi affollatissimi e dormendo in letti sui quali transitano centinaia di persone non è certo difficile venirne affetti, anche se ultimamente gli standard di igiene sono molto migliorati un po' in tutte le strutture di accoglienza lungo il Cammino di Santiago e quasi tutti i letti per pellegrini sono oggi in plastica, ben lavabili e sicuramente più salubri. Ad ogni modo Barbara viene assalita dall'hospitalero Jesus che le vieta di entrare in dormitorio prima di aver lavato tutto il suo bagaglio: le requisisce ogni cosa, sbatte i suoi vestiti in lavatrice e lo zaino con le scarpe dentro un freezer. La povera Barbara rimane allibita ed è costretta a farsi prestare alcuni indumenti dagli altri pellegrini ed anche noi ci offriamo di aiutarla. Non possiamo fare a meno di chiederci se, avendo passato tutta la giornata in sua compagnia, anche noi non siamo rimasti vittime delle terribili cimici, e già ci sembra di sentire prurito ovunque. Risolviamo la questione con un attento bucato e con una doccia rinfrescante, fortunatamente gli insetti ci hanno risparmiato. Nel frattempo incontriamo Luca, un giovanissimo giramondo italiano, lunghi rasta biondi e sguardo un po' assente, fermo da due mesi a Villafranca del Bierzo per offrire la propria opera come hospitalero volontario presso il rifugio in cui ci troviamo: mi ritrovo improvvisamente a pensare a come la vocazione si nasconda a volte sotto le sembianze più insospettabili. In mezzo a questo trambusto arriva l'orario di cena: tutti i pellegrini si raccolgono intorno ad una tavolata imbandita con sorprendente animo servile dal buon Jesus. Siamo tutti un po' intimoriti dal suo ruvido modo di fare, e prima di servirci la zuppa da lui personalmente preparata ci spiega in spagnolo alcune semplici regole che dovremo osservare nel corso della cena. Quindi ci fa prendere tutti per mano e, nel timorato silenzio più assoluto, ci augura buon appetito al grido di "Utreia, Suseia", l'antica formula derivante dal latino ultra eia, "più avanti", e super eia, "avanti e verso l'alto", utilizzata anticamente dai pellegrini per salutarsi durante il pellegrinaggio compostellano, soppiantata nell'epoca moderna dal più semplice "Buen Camino". La cena si rivela ricca ed abbondante, e mentre degustiamo, in compagnia degli altri pellegrini, l'ottima zuppa preparata da Jesus, facciamo la conoscenza di Sara, italiana di Torino, il ritratto della spontaneità, un po' buffa ma un animo puro e semplice. E' davvero inspiegabile come questo tipo di cene abbiano il potere di far sentire il pellegrino come parte di qualcosa di grande, indistruttibile e stranamente eterno: anche dopo di noi Jesus continuerà a servire il pasto, sempre con lo stesso burbero e tenero modo di fare, ai pellegrini di passaggio.
Prima di coricarci usciamo sul piazzale antistante l'ingresso dell'hostal per ammirare la Iglesia de Santiago, il simbolo di Villafranca del Bierzo: eretta in compatto stile romanico nel 1186, questa chiesa a navata unica gode di un privilegio unico nel suo genere. Nel XV secolo infatti, per mezzo di bolla papale emanata da papa Calisto III, le venne concesso il potere di conferire l'indulgenza a quei pellegrini che, impossibilitati per malattia o infortunio a proseguire verso Santiago de Compostela, avrebbero varcato la sua soglia. Osserviamo ammirati la sua regolare superficie di pietra interrotta solamente da un piccolo rosone posto lungo la facciata, dal portale principale sormontato da un campanile a due campane, e dalla Puerta del Perdon collocata lungo una fiancata: era quest'ultimo il portale varcato in antichità dai pellegrini infermi per ottenere l'indulgenza. Un'altra giornata si conclude, ci addormentiamo a fatica nel nostro angolino dell'ampio dormitorio che condividiamo con circa una trentina di altre persone.
Tappa 8 (28km): Villafranca del Bierzo - O Cebreiro
La sostanziosa colazione dell'hospitalero Jesus ci conferisce le energie per iniziare una nuova giornata. Salutiamo Barbara nel momento in cui riceve da Jesus la sacca dei panni lavati e lo zaino congelato insieme agli scarponi: di fronte al suo sguardo esterrefatto non riusciamo a reprimere del tutto un sorriso divertito. In men che non si dica, prima ancora che sorga completamente il sole, siamo già di nuovo in cammino. Attraversiamo Villafranca del Bierzo che ci lasciamo alle spalle subito dopo aver superato un bel ponte sospeso sul Rio Burbia posto all'estremità del centro abitato. Il sentiero prosegue quindi per alcuni chilometri sopra una stretta strada asfaltata attorcigliata sinuosamente lungo la sponda del Rio Valcarce: la pendenza in lieve discesa e l'ombra compatta creata dal bosco disposto intorno al fiume rende questo tratto abbastanza agevole e poco faticoso. Il rumore delle acque vivaci del Rio Valcarce ci accompagna fino all'intersezione con l'Autovia del Noroeste: giunti qui, il percorso continua ai bordi dell'autostrada, su una corsia pedonale separata dalle carreggiate. Sulle nostre teste si incrociano ora i cavalcavia autostradali, il sentiero prosegue per un lungo tratto sempre in piano senza troppe variazioni ed il paesaggio appare misero e dominato quasi completamente dal cemento. Ad ogni modo la marcia in questa prima parte di tappa risulta semplice e poco impegnativa, tutto sommato sicura e non completamente sgradevole: lungo la via incontriamo poco traffico, attorno all'autovia si innalzano verdi colline coperte di fronde selvatiche che smorzano il triste effetto dell'asfalto, e se non altro il lineare disegno delle strade che si intrecciano intorno a noi mantiene il sentiero quasi sempre all'ombra. La pista procede dritta per una lunga distanza, discostandosi dal tracciato autostradale solo per attraversare i limitrofi villaggi di Pareje, una manciata di case diroccate, e Trabadelo, all'ingresso del quale costeggiamo una segheria davanti alla quale sono accatastate altissime pile di legname, di modo che il fresco odore del legno appena tagliato ci travolge improvvisamente e piacevolmente. Superato Trabadelo il sentiero si riaccosta all'autostrada ed in alcuni tratti costeggia ancora il corso del Rio Valcarce. Poi, superato un complicato svincolo autostradale presso il quale sorge una grande stazione di servizio per automobilisti, svoltiamo bruscamente a destra e facciamo l'ingresso a Portela de Valcarce, piccola (circa 120 abitanti) frazione urbana dipendente dalla vicina e più grande cittadina di Vega de Valcarce. Questa località fu celebre in epoca medievale in quanto qui veniva riscosso il Portazgo de Valcarce, un tributo di passaggio che i viandanti dovevano pagare ai signori, laici ed ecclesiastici, possessori dei territori locali: teoricamente tale pedaggio sarebbe dovuto essere risparmiato ai pellegrini diretti a Santiago de Compostela, ma la storia tramanda che spesso tale diritto non veniva rispettato. Il Portazgo de Valcarce fu uno dei tributi medievali più conosciuti in tutta la Spagna, in virtù della grande importanza di questo svincolo nella viabilità dell'epoca per pellegrini e viaggiatori, tanto da garantire sicure ricchezze ai signori che lo detenevano. Fu concesso alla nobiltà locale dalla Corona Spagnola e venne abolito solo nel 1072. Il nome del villaggio che sorge nei luoghi dove veniva riscosso tale tributo deriva proprio dalla denominazione del tributo stesso: le parole Portela e Portazgo possiedono infatti la medesima radice, probabilmente dal termine spagnolo puerta indicante un portale di passaggio obbligato sottoposto al pagamento di un pedaggio.
Ci fermiamo pochi istanti per scattare una fotografia davanti al Monumento al Peregrino posto, dal 2003, all'ingresso del centro abitato. Seguiamo la via principale e passiamo accanto alla Iglesia Parroquial de San Juan Bautista, in stile barocco, risalente ad un periodo compreso tra il XVII secolo ed il XVIII secolo. La traversata di Portela de Valcarce richiede giusto il tempo di un respiro, in pochi minuti usciamo sul lato opposto del villaggio e ci immettiamo su una stretta via asfaltata che prosegue in piano, protetti sempre dall'ombra di una piacevole macchia verde. Abbandoniamo definitivamente il tratto della tappa sviluppato ai bordi dell'autostrada ed il paesaggio ne risente positivamente: ci addentriamo in una fresca e florida campagna e cominciamo ad incontrare verdi pascoli sui quali tranquilli bovini vagano brucando qua e là, immersi completamente al centro di un naturalistico ambiente collinare. La fatica della camminata comincia a farsi sentire mentre attraversiamo il bucolico villaggio di Ambasmestas, davvero molto carino: qui ci fermiamo presso una panetteria a gustare all'aperto una fetta di torta dolce alla vista di un piccolo pascolo popolato da poche mucche silenziose. Rifocillati nel fisico proseguiamo e, percorsi 16km dalla partenza, giungiamo infine in vista di Vega de Valcarce. I circa 600 abitanti locali non consentono certo di definire questa località una città, si tratta invece di un piacevole villaggio agreste, composto da poche modeste case e dai soliti verdi pascoli, a configurare un quadro ameno, dolce e tranquillo, capace di riconciliare l'animo anche del pellegrino più irruente.
In lontananza, sul picco di un'appuntita collina, saluta il nostro passaggio il Castillo de Sarracin, antichissima fortezza templare eretta sulle rovine di una precedente fortificazione rasa al suolo durante un attacco del generale saraceno Muza nel 714 d.C. La ricostruzione del castello fu commissionata dal conte Gaton Gutierrez, il quale donò alla neonata struttura il nome del figlio Sarracino Gatonez. Successivamente la fortezza divenne proprietà del nobile casato dei Valcarce, i quali donarono il nome a tutta la regione circostante: una leggenda locale narra persino che un manipolo di cinque cavalieri comandati da un valoroso esponente della famiglia Valcarce riuscì nell'impresa di sbaragliare l'assedio dei feroci invasori saraceni (secondo i più romantici invece l'impresa consistette nel difendere l'onore di candide donzelle pretese come tributo dagli arabi in cambio dell'incolumità del villaggio) affrontandoli armati solo di cinque aste appuntite. Ancora oggi lo stemma araldico di Vega de Valcarce riporta, sotto la rappresentazione di una torre fortificata e della Croce di San Giacomo, anche la figura di queste cinque leggendarie aste. Oltre Vega de Valcarce il sentiero prosegue sulla stradina asfaltata incrociando l'anonimo villaggio di Ruitelan, quindi raggiungendo Las Herrerias, piccolo centro abitato immerso in un meraviglioso paesaggio di campagna composto da pascoli, piccoli ruscelli, e verdi colline sullo sfondo delle quali si staglia l'appuntita guglia di una chiesetta. Ci arriviamo venendo inaspettatamente accolti dal bellissimo paesaggio di una fertile valle sul fondo della quale sta proprio il villaggio. Percorriamo una breve discesa e ci fermiamo in un minuscolo angolo riparato ed ombreggiato presso il quale ci fermiamo per consumare il pranzo e per rinfrescarci i piedi nelle acque di un vicino torrente. Ad un'estremità del piccolo spazio verde troviamo una peculiare scultura, una sorta di albero dei desideri sui rami del quale i pellegrini di passaggio lasciano appesi piccoli fogli di carta riportanti propositi o desideri: affidiamo anche i nostri all'albero e raccogliamo le ultime forze per compiere il tratto finale della tappa. Attraversiamo il centro abitato di Las Herrerias e proseguendo su un sentiero asfaltato la via si fa in salita. Inizia la porzione più impegnativa di questa tappa: ci inerpichiamo su per una strada sterrata a tratti difficoltosa e dissestata, ripidissima ma allo stesso tempo fantastica, immersa in un assoluto silenzio e calata in un perfetto ambiente naturale, incontaminato e maestoso, protetta da una fresca ombra che aiuta la nostra salita. Il rumore del traffico è ormai lontano e qui possiamo finalmente godere della meritata solitudine che bramavamo dopo una mattinata trascorsa a marciare lungo le autostrade.
Non saprei dire quanti chilometri abbiamo percorso lungo questo sentiero, e dire che sia stato piacevole forse sarebbe dire troppo, ma ciò che posso affermare con assoluta certezza è che la salita mi è sembrata meno faticosa del previsto, addolcita dal magnifico paesaggio che, superato il tunnel boscoso, si è aperto davanti ai nostri occhi: l'immensa valle del Rio Valcarce, che abbiamo percorso nel corso della mattinata, si sdraia sotto di noi in tutto il suo stupefacente splendore. La salita termina in prossimità del villaggio di La Faba, vero tesoro nascosto dagli sguardi e dal clamore delle folle turistiche all'interno delle magiche colline castigliane. L'impressione, entrandoci, è proprio quella di essere capitati in un luogo incantato, fiabesco: un'oasi di tranquillità che offre al pellegrino la perfetta occasione di contemplazione e riflessione, alla vista dello stupendo panorama che qui raggiunge la sua apoteosi.
Ci fermiamo qualche istante in prossimità della Iglesia Parroquial de San Andres, eretta a navata unica tra il XVI secolo ed il XVIII secolo, in stile barocco e rinascimentale: nella penombra del suo semplice altare abbiamo finalmente l'opportunità di prenderci il tempo per una breve preghiera recitata a mente sopra le note della musica mistica di Djivan Gasparyan trasmessa in filodiffusione attraverso gli altoparlanti della chiesa. Ammiriamo la bella fonte battesimale e lasciamo in una cappella laterale uno dei rosari regalatici da Sofia: da quando ce li ha lasciati affidandoci la sua missione, abbiamo deciso di lasciarli nelle occasioni più significative del nostro pellegrinaggio. Salutiamo la gentile hospitalera tedesca che gestisce, insieme ad una piccola comunità di suoi connazionali, l'albergue collocato accanto alla chiesa e siamo tentati di fermarci qui per la notte, ammaliati dalla perfetta armonia del luogo. L'hopsitalera ci informa però che O Cebreiro dista solo 4,5km, così ci facciamo forza e quasi a malincuore proseguiamo. Una sentita raccomandazione: non perdetevi questo luogo incantato! Nonostante ci venga indicato che la strada che collega La Faba ad O Cebreiro sia più agevole e semplice rispetto a quella appena percorsa, facciamo una fatica dannata a percorrerla. Arrivati a Laguna de Castilla, una fattoria più che un vero e proprio villaggio, crediamo di essere giunti a destinazione, ma siamo solo a metà strada. Passiamo oltre dopo esserci rinfrescati con delle bibite acquistate ad un distributore automatico trovato in mezzo al nulla totale. Il paesaggio in quest'ultimo tratto si apre sul maestoso profilo dei Montes de Leon e si espone al caldo sole pomeridiano, in compenso il panorama è il migliore visto finora, lo spettacolare saluto della Castiglia ai pellegrini.
Poco prima di raggiungere O Cebreiro, una stele in pietra ci annuncia l'entrata in Galizia, una delle regioni dal folclore più vivo di tutta la Spagna, vero gioiello naturalistico ed agricolo dell'intera Penisola Iberica. Il suo nome deriva dall'antica denominazione latina Gallaecia, termine con il quale i romani indicavano quest'area e che deriva a sua volta dal nome del popolo celtico che occupava i suoi territori, vale a dire i galli. In seguito al declino dell'Impero Romano, la Galizia venne occupata prima dal popolo germanico degli svevi, quindi dai visigoti, infine per un breve periodo dai saraceni, i quali furono scacciati nel 739 da Alfonso I re delle Asturie. Nel corso del X secolo la regione conquistò l'indipendenza e divenne un regno autonomo, pochi anni più tardi tale regno venne annesso ai territori del Regno di Leon per essere soppresso definitivamente solo nel 1833. Per tradizione oggi il titolo di conte di Galizia è portato dal figlio più giovane dei sovrani spagnoli.
L'ingresso in questa nuova regione ci dona la spinta necessaria a portare a compimento questa tappa: mancano 150km a Santiago de Compostela, informazione suggeritaci da uno dei numerosissimi cippi miliari (designati con il termine spagnolo mojones), tipici dei sentieri giacobei galiziani, che segnano, con regolarità ogni 500m, la lontananza dalla meta ultima del pellegrinaggio, insieme alla direzione da seguire, come una sorta di conto alla rovescia a volte sadico ed a volte incoraggiante. A partire da questo punto cambia ogni cosa rispetto a quanto vissuto finora, cambiano i paesaggi, cambiano i sentieri, cambiano le usanze e la cucina, cambia la lingua (sentiremo parlare solamente il gallego), entriamo in un altro meraviglioso universo. Copriamo la distanza rimanente ed approdiamo finalmente ad O Cebreiro al termine di una tappa impegnativa ma meno faticosa di quella compiuta per giungere ad El Acebo de San Miguel (che rimarrà poi anche la più faticosa di tutto il viaggio). Facciamo il nostro trionfale ingresso nel centro abitato e veniamo accolti da un gruppo di pellegrini che ci hanno preceduto, tra i quali Valentina ed Elia: ci vengono incontro salutandoci increduli, avevamo uno svantaggio di diversi chilometri e, dato anche il dislivello di più di 1.000m in salita, nessuno credeva che saremmo riusciti ad arrivare fino a qui in giornata. Villaggio ben tenuto e più turistico rispetto a quelli incontrati finora, O Cebreiro sorge solitario ad un'altitudine di 1.300m s.l.m. sulla cima dell'altura nota come Alto do Cebreiro, è il primo centro abitato galiziano situato sul percorso del Cammino di Santiago. Venne fondato in epoca medievale da una comunità di frati benedettini francesi che qui costruirono l'Hospital de San Giraldo de Aurillac, dedicato all'accoglienza dei pellegrini.
Oltre al rifugio, i frati edificarono anche la Igrexa Parroquial de Santa Maria a Real, prestigiosa chiesa a tre navate, in stile romanico, datata IX secolo, eretta a lato dell'hospital che persiste ancora oggi ristrutturato sulle rovine dell'edificio originario. La chiesa viene ancora amministrata attualmente da una piccola comunità di frati francescani, i quali nei giorni di nebbia mantengono inalterata l'abitudine, come in antichità, di suonare le campane della chiesa per dirigere il cammino dei pellegrini in viaggio. Ma questo edificio religioso è celebre per un altro e ben diverso motivo: qui, si tramanda, avvenne un prodigioso miracolo intorno all'anno 1300. Si narra infatti che un umile abitante della frazione di Braxamaior (distante circa mezza lega da O Cebreiro), di nome Juan Santin, era tanto devoto a Dio da non perdere nemmeno una messa presso la chiesa più vicina, che era proprio quella di O Cebreiro. Un giorno però una violenta tempesta si abbattè su tutta la regione, la popolazione si barricò al sicuro nelle proprie case, ma l'ostinato e devoto fedele non desistette e, incurante del pericolo, a fatica si recò come al solito ad assistere alla messa presso il vicino villaggio. Quando il parroco, solo presso l'altare della chiesa ed ormai rassegnato alla totale assenza di fedeli, lo vide arrivare, lo canzonò dicendogli: "Cual viene este otro con una grande tempestad y tan fatigado a ver un poco de pan y de vino!", apostrofandolo cioè del fatto che non valeva la pena mettere a repentaglio la propria vita per assistere alla funzione. Ebbene fu così che, durante la celebrazione, per punire la mancanza di fede del parroco, avvenne un prodigioso miracolo che tramutò il pane in carne viva ed il vino in denso sangue vermiglio. Il racconto di questo miracolo, noto come il Milagro Eucarestico, si diffuse in tutta la Spagna quale esempio morale ed insegnamento di fede. Oggi, in una cappella laterale della Igrexa Parroquial de Santa Maria a Real, chiamata per l'appunto Capela do Milagro, si trovano ancora conservati in una teca il prezioso calice d'oro e la piccola patena (che sarebbe il piattino di metallo che contiene le ostie durante l'eucarestia) protagoniste del miracolo, mentre in una preziosa urna di cristallo ed argento donata alla chiesa da Isabella I di Castiglia, regina di Spagna, sono custoditi il sangue e la carne materializzatisi dal vino e dal pane durante il miracolo stesso. Si dice che la regina donò l'urna dopo aver tentato di portare con sè, di ritorno dal pellegrinaggio compostellano, il calice del miracolo, ma alla partenza dalla chiesa i cavalli attaccati al carro che doveva trasportare il bagaglio della regina rifiutarono ostinatamente di muoversi, come bloccati da una volontà ultraterrena, e la regina interpretò la circostanza come segno divino, decidendo infine di desistere dal trasportare altrove l'oggetto miracoloso. Proprio accanto alla Capela do Milagro si trova inoltre ancora oggi una statua di Santa Maria che si dice tenga la testa leggermente reclinata all'infuori della propria nicchia dopo che durante la realizzazione del miracolo si sporse per ammirare l'evento. Completa l'enorme patrimonio di questa chiesa un'antichissima pila battesimale risalente al XII secolo, conservata in una rientranza laterale. L'interno del tempio, così come il suo aspetto esterno, riflette invece perfettamente lo spirito umile ma ricco di raffinata cultura cristiana dei frati suoi fondatori. Per il resto il centro abitato di O Cebreiro è piccolo e ben raccolto, offre poco al visitatore ma regala un'atmosfera tranquilla e un refrigerio non privo di gradevolezza. L'unico altro punto di interesse in questa località è costituito da un'antica Palloza posta all'ingresso del villaggio: si tratta di un tipo di edificio costruito in pietra, a pianta generalmente circolare, con il tetto tipicamente costituito da paglia di segale, la cui struttura, secondo gli studi archeologici, risalirebbe addirittura ad una tecnica architettonica preistorica, sebbene costruzioni di questo tipo fossero usate correntemente come abitazioni anche dai popoli celtici che occuparono questa parte della Spagna. Di fatto sono un marchio storico della Galizia e delle aree limitrofe, ma è difficile trovarne di integri e ben tenuti, e qui a O Cebreiro potrete reperire forse uno degli esemplari meglio conservati.
Data la fatica compiuta per portare a compimento la tappa e trascorsa una settimana tra camerate e bagni comunitari, decidiamo di pernottare presso l'Hotel O Cebreiro, in una camera doppia con bagno privato: uno sgarro alla regola che speriamo ci possa far recuperare un po' delle energie perdute (non solo fisiche). A cena approfittiamo per la prima volta del menù del pellegrino, una vera tradizione galiziana: tre portate, acqua a volontà e caffè al modico prezzo di 10€. Entrati in Galizia lo potrete trovare facilmente in tutte le peggiori tavole calde, locande o taverne delle località che attraverserete. Ci viene servito il famoso Caldo Gallego, una specie di brodo di verdure dal sapore incerto ma dal buon effetto corroborante. Terminata la cena, la loquace cameriera della locanda ci racconta l'incredibile vicenda di Elias Valiñas Sanpedro, curato locale deceduto circa 20 anni fa', vero padre fondatore del Cammino di Santiago: fu il primo ad intuire l'importanza e a maturare l'idea di un percorso di pellegrinaggio che attraverso la Spagna avrebbe condotto i fedeli a Santiago de Compostela. Per realizzare questa sua epica intuizione, accolta dai suoi contemporanei come una vera follia, a cavallo degli anni '80 del secolo scorso, in un'epoca ancora povera di mezzi tecnologici, questo tenace parroco percorse i sentieri di tutta la Spagna armato di pennello e di vernice gialla per tracciare il percorso e le strade che diventeranno poi il Cammino di Santiago, una vera istituzione mondiale di fede religiosa cristiana nata dal rapido tratto spennellante di un prete di campagna. Avevamo intravisto il suo busto scolpito posizionato in una rientranza accanto alla chiesa, contornato da decine di targhe commemorative donate da associazioni di pellegrini sparse in tutto il Mondo. Pensare oggi all'immane opera di tessitura viabilistica condotta da questo personaggio, a dire il vero un poco genialmente folle, ed immaginare che alcune delle frecce gialle che hanno indirizzato il nostro cammino fino a qui siano state opera sua, ci rende ancora più orgogliosi di essere pellegrini.
Tappa 9 (21km): O Cebreiro - Triacastela
La tappa comincia con una spettacolare sorpresa. Fuori dall'hotel che ci ha ospitato veniamo accolti dalla fredda aria di montagna che ci strappa immediatamente di dosso gli ultimi residui del sonno. Percorriamo le strade di O Cebreiro, deserte e silenziose, i turisti non hanno ancora invaso questo angolo sperduto di Mondo che appare quindi finalmente per quella che è la sua reale natura, un'oasi di vera quiete. Arriviamo al limite del villaggio chiusi fino al volto nelle nostre giacche a vento e davanti ai nostri occhi si apre improvvisamente uno spettacolo incredibile: la valle ai nostri piedi è completamente riempita di soffici e vaporose nuvole bianche che, simili ad un immenso fiume di panna montana, scorrono tra i versanti delle colline come un fiume all'interno dei propri argini, mentre un timido sole si affaccia lentamente sullo sfondo di tale surreale panorama. Rimaniamo letteralmente a bocca aperta davanti a questo inaspettato regalo offertoci da una Natura tanto generosa quanto perfetta, ed al di là di tutti i luoghi meravigliosi e significativi che incontreremo nel corso di tutto il Cammino di Santiago, sarà sempre questo momento ad irrompere nella mia memoria come la cosa indubbiamente più bella che abbia visto durante l'intero viaggio.
La giornata è appena iniziata, ci rimbocchiamo subito le maniche e cominciamo a macinare chilometri. Il primo tratto di cammino dopo O Cerbreiro si sviluppa su un sentiero sterrato in buone condizioni, sopraelevato rispetto alla limitrofa strada carraia ed affiancato da una fitta macchia boschiva. Lo percorriamo come si cavalcherebbero le onde del mare, in un continuo ed ondulante saliscendi che non ci da tregua ma che per ora non ci affatica più di tanto. In breve raggiungiamo il piccolo centro abitato di Liñares, una manciata di case e circa 70 abitanti di cui non si scorge minimamente la presenza. Il nome di questo villaggio deriverebbe dalle piantagioni di lino che in epoca medievale donavano importanza a questa località e che servivano a coprire il fabbisogno di tessuti della vicina comunità di monaci benedettini stabilitisi presso O Cebreiro. Nel mezzo del minuscolo centro abitato si trova la Igrexa Parroquial de Santo Estevo, risalente all'VIII secolo, a navata unica, di aspetto semplice e solenne con la squadrata torre campanaria posta lungo il lato ovest dell'edificio.
A parte poche stalle non c'è altro a Liñares, quindi passiamo oltre, proseguiamo lungo il sentiero posto a lato della strada carraia ed affrontiamo la prima cima importante della giornata: il percorso è breve ed il dislivello molto esiguo, così abbastanza agevolmente raggiungiamo l'Alto de San Roque, 1.270m s.l.m. Siamo nella regione chiamata Los Ancares, nome derivante dal termine galiziano anco, vale a dire "angolo", in riferimento ai picchi appuntiti dei numerosi rilievi montani che ne caratterizzano il paesaggio. Ed infatti è questo il panorama che ci attende raggiunta la vetta dell'Alto de San Roque: verdi colline dominate sullo sfondo da sommità più alte e severe, solide nelle geometrie dure ed acuminate. Sull'Alto de San Roque dal 1993 è inoltre installato un Monumento al Peregrino, un'alta statua di bronzo ritraente un pellegrino nell'atto di camminare controvento, piegato sulle gambe e leggermente inclinato su un lato nel tentativo di trattenere il cappello sul capo. E' opera dello scultore contemporaneo Josè Maria Acuña Lopez, celebre per essere un abile artista nonostante sia affetto da una grave forma di sordomutismo, scomparso recentemente nel 1991.
Scendendo dall'Alto de San Roque il sentiero prosegue sempre su superficie sterrata a lato della strada carraia, ma in un contesto più aperto rispetto a prima, tanto da consentire la costante vista sulle montagne circostanti. Raggiungiamo facilmente la località di Hospital de la Condesa, minuscolo agglomerato residenziale di allevatori: non sarà l'unico villaggio di questo tipo che incontreremo in questa tappa e nelle tappe dei giorni successivi. Questa è infatti la parte più bucolica del Cammino di Santiago, fatta di piccoli centri abitati sperduti composti da case in pietra e forniti di pochissimi servizi. Un altro tempo, un altro modo di vivere, in armonia con la Natura e calato nel silenzio: attraversare queste località offre al pellegrino una preziosissima quiete condita da una leggera malinconia al pensiero che questi luoghi, un giorno, potrebbero essere raggiunti e minacciati dai ritmi forsennati e dall'arrembante stile di vita che caratterizzano ormai le nostre vite moderne. Il sospiro che prima o poi vi troverete a compiere percorrendo questi sentieri racchiuderà tutta l'essenza del Cammino di Santiago. Superiamo Hospital de la Condesa ed il suo crudo odore di stalle. Il percorso procede senza troppe varianti fino ad arrivare a Padornelo, più capi di bestiame che anime umane, ma il villaggio possiede comunque una chiesa propria, la Igrexa Parroquial de San Xoan, di forte stampo rurale e risalente al XV secolo. Qui si dice avesse sede un distaccamento dell'Ordine dei Cavalieri dell'Ospedale di San Giovanni votato allo scopo di proteggere i pellegrini in cammino.
Siamo ad un tiro di schioppo dall'Alto do Poio, la vetta più alta di questa tappa con i suoi 1.337m di altezza, ma arrivarci si rivela una vera impresa: sebbene la distanza che ci separa dalla cima sia molto breve, in tutto poche centinaia di metri, la pendenza della salita si fa vertiginosa ed è un maledetta fatica compierla. Arriviamo così all'Alto do Poio boccheggianti e sfiniti, ad accoglierci una bella vista sulla sottostante Sierra do Rañadoiro ed un punto ristoro di poche pretese, ambienti vetusti come le merendine confezionate che vengono vendute al bancone e poca offerta dalla cucina che sforna continuamente pietanze fritte che avremmo digerito forse una volta arrivati a Santiago de Compostela e solo per intercessione di San Giacomo. Ci limitiamo a prenderci un attimo di riposo, e mentre sostiamo con lo sguardo perso nel vuoto nei caldi locali del rifugio incontriamo Barbara: sorprendentemente ha recuperato la distanza che la separava da noi a partire da Villafranca del Bierzo, dove era stata costretta a tardare la ripresa della marcia per l'inconveniente causatole dalle cimici dei letti. Ci racconta di aver recuperato comunque tutti i suoi vestiti e di aver scongelato zaino e scarponi senza danni. Con immensa gratitudine e con il suo solito sincero sorriso, ci riconsegna puliti i pochi capi di biancheria che le avevamo prestato: ripensandoci credo che debba essere stata una scena ben strana, tre individui intabarrati nelle loro pesanti giacche a vento che si scambiano calzini e mutande in mezzo al nulla, a 1.300m di altitudine. Superato l'Alto do Poio il sentiero rimane in piano per alcuni chilometri. Raggiungiamo il villaggio di Fonfria San Xoan dove ci fermiamo a consumare uno spuntino: assaggiamo la celebre Tarta de Santiago, dolce tipico galiziano, una torta al gusto di mandorla, semplice ma gradevole. Nel frattempo incontriamo Alex, un giovane tedesco che avevamo già visto marciare in solitudine, a poca distanza da noi, da O Cebreiro fino a qui: lo avevamo già notato nel suo atteggiamento riflessivo e profondamente contemplativo, inoltre anche per il grande cappello a tese larghe, simile a quello di un avventuroso esploratore, che porta sul capo. Ci ha visto abbandonare i nostri rosari presso la chiesa di Liñares ed incuriosito ce ne chiede il motivo: non possiamo fare a meno di condividere con lui una parte della nostra missione. Improvvisamente mi accorgo dell'importanza per il pellegrino di lasciare dietro di sè una traccia del proprio passaggio. Riprendiamo la marcia e sempre lo stesso sentiero collinare ci conduce da Fonfria San Xoan ad O Biduedo, piccolo centro abitato che prende il proprio nome dai vasti campi di betulle che lo circondano nei mesi primaverili. Qui si trova la Ermita de San Pedro, la cappella religiosa più piccola di tutto il Cammino di Santiago: la sua datazione non è stabilita con certezza, ma quello che appare certo è la bellezza di questo piccolo edificio composto da pietra di scisto, intimo e riservato, dotato di un piacevole e basso porticato posto dinnanzi al portale di accesso destinato ad accogliere i pellegrini per un momento di preghiera immerso nei suoni della Natura, oppure anche solo per una breve sosta all'ombra.
Da O Biduedo il sentiero si discosta definitivamente dalla strada carraia e prosegue su sterrato in discesa. Si ha ora la possibilità di ammirare la Galizia in tutto il suo fiorente splendore: un cielo azzurro percorso da rapide nuvole, dolci colline fertili, ampi pascoli verdeggianti, spazi geometrici che dall'alto si alternano in molteplici varietà di colori.
Raggiungiamo Fillobal dove ci fermiamo per consumare il pranzo: è vivamente consigliata la locanda Aira do Camino, dove è possibile trovare piatti abbondanti ed un servizio cordiale, allegro e gentile. Terminato il pasto, all'uscita del villaggio, incrociamo la bella struttura di un antico Horreo: si tratta di piccole strutture in legno o in muratura, di forma variabile ma solitamente a pianta tonda o rettangolare, sempre sopraelevate rispetto al terreno, che servivano in antichità per custodire la carne o il grano in un ambiente fresco, protetto dalle intemperie ma ben ventilato in virtù delle fessure praticate nelle pareti laterali di modo da consentire l'ingresso dell'aria, e sopratutto al riparo dai roditori. Il loro nome deriva dal termine latino horreum, che significa "granaio", e costituiscono oggi un importante retaggio storico della Galizia (che ne è letteralmente disseminata) e di tutto il nordest iberico.
Da Fillobal il sentiero prosegue su superficie un po' pietrosa e la pendenza in discesa aumenta, la marcia si fa più difficoltosa ed impegnativa ma la meta è vicina. Planiamo verso valle accolti all'interno di un tunnel arboreo che rende l'aria più fresca e che ci ripara dal sole di mezzogiorno. Ed infine arriviamo a Ramil, piccolo sobborgo agricolo posto alle porte della vicina e più grande cittadina di Triacastela.
Ad accoglierci all'ingresso del centro abitato incontriamo il Castaño de Ramil, un castagno secolare vecchio di 800 anni, con un tronco largo 2,7m, rugoso come il volto vissuto di un anziano veggente, fermo nella posa leggermente ricurva simile a quella di una venerabile e gentile vecchietta. Si fa veramente fatica a pensare che questo albero, nel corso della sua vetusta esistenza, abbia visto centinaia di migliaia di persone passare in cammino, truppe ed eserciti in marcia, agricoltori, mendicanti, ladri, sovrani, regine, ricchi signori, abbia assistito a battaglie, tempeste, carestie e siccità, nevicate eccezionali ed estati torride, sia stato accarezzato da tocchi gentili o aggredito da lame da taglio. Anche noi non possiamo trattenerci dal toccare questo frammento di eternità, e penso ad un tratto a come questo fusto ruvido ma vivo sia la cosa che più si avvicini all'eternità di Dio incontrata lungo il nostro cammino verso Santiago de Compostela, così superiore alla misera caducità della nostra esistenza da non poter tamponare l'incapacità di comprenderne appieno il significato nemmeno con gli esercizi di intelligenza o con le capacità tecnologiche, ma con la fede, con quella forse sì. Poco più avanti arriviamo a Triacastela, termine ultimo di questa tappa: questa cittadina di circa 700 abitanti venne fondata intorno al IX secolo da Gaton Gutierrez conte del Bierzo, ed il suo nome non è certo se derivi dalla presenza di tre castelli che qui sorgevano in tempi antichi, oppure, più verosimilmente, da tre castrum romani collocati in origine presso questa località.
Percorrendo la centrale Rua do Peregrino incontriamo sulla sinistra la Igrexa Parroquial de Santiago Apostol, in stile romanico: sebbene l'aspetto attuale della chiesa risalga al XVIII secolo, l'edificio venne fondato molto tempo prima come hospital per pellegrini. Questa costruzione appare comunque degna di interesse, con la semplice facciata sovrastata da una torre campanaria ed un piccolo camposanto posto, come da consuetudine per le piccole chiese galiziane di campagna, ad un lato del tempio. Proseguendo su Rua do Peregrino, poco più avanti rispetto alla chiesa troviamo le rovine dell'antico carcere dedicato specificamente alla detenzione dei pellegrini, ed in particolare dei mendicanti che fingendosi pellegrini percorrevano il Cammino di Santiago in cerca di elemosine. Oggi purtroppo la struttura appare in stato di completo abbandono. Ad ogni modo l'atmosfera a Triacastela è viva e piacevole, gli spazi sono abbastanza in ordine e le strade pulite, inoltre non vi sarà difficile intrattenervi per alcuni istanti con gli anziani abitanti del luogo seduti spesso agli ingressi delle case, un'occasione per provare a comunicare nello stretto (ed incomprensibile a dire il vero) dialetto gallego. Per pernottare scegliamo l'Albergue A Horta de Abel: buona igiene, lenzuola pulite e fresche di bucato, camerate poco affollate, cucina disponibile per preparare autonomamente il pasto e per sentirsi un po' a casa.
Tappa 10 (25km): Triacastela - Sarria
Da Triacastela inizia una delle tappe più belle di tutto il Cammino di Santiago. Da qui si dipartono due percorsi: il primo, più breve e diretto ma con un dislivello in salita maggiore, costituisce la via storica e si snoda attraverso il villaggio di San Xil; il secondo più lungo di circa 6km ma più in piano e più ricco di significato, conduce a Samos. Decidiamo per quest'ultimo itinerario ed ovviamente, a posteriori, lo consigliamo vivamente a tutti i pellegrini diretti verso Santiago de Compostela.
Ci incamminiamo di buon mattino con l'aria ancora fresca del refrigerio notturno ed abbandoniamo Triacastela passando per Praza da Diputacion, dominata da un'alta stele di pietra decorata con una vermiglia Croce di San Giacomo. Subito fuori dal centro abitato inizia un tratto di sentiero poco piacevole ed abbastanza rischioso, sviluppato al margine della grande strada carraia che lambisce il limite della cittadina: l'orario precoce fortunatamente ci aiuta e non incontriamo quindi molto traffico. Il sentiero prosegue in questo modo seguendo per circa 4km i tornanti della strada carraia su un lato e sull'altro il corso del Rio Oribio, il quale accompagna vivace il cammino del pellegrino generando a tratti piccole rapide, quindi si addentra nella vegetazione per giungere infine al piccolo villaggio di San Cristovo do Real: questa località nascosta alla modernità da folte fronde boschive sembra un luogo incantato, proiettato direttamente ai giorni nostri da una fotografia sbiadita dal tempo, scattata nel cuore degli anni '50 del secolo scorso, in un'epoca in cui nei centri agricoli più periferici ci si spostava a bordo di carretti trainati da cavalli e nelle case si sentiva l'odore intenso delle stufe a legna. All'ingresso nelle sue poche strade ci accoglie una surreale atmosfera di solitudine e quiete, l'unico rumore è quello del Rio Oribio che incrocia con il suo corso il centro abitato, non scorgiamo anima viva: saranno proprio questi i momenti che, di sicuro, ricorderete meglio del Cammino di Santiago.
Proseguiamo sulle strade fangose del villaggio e, lasciatoci alle spalle San Cristovo do Real, comincia la parte più bella della tappa: il sentiero procede su una stretta pista sterrata in continuo saliscendi ma senza salite particolarmente impegnative, protetto costantemente dall'ombra di un tunnel arboreo costituito da boschi di querce e castagni che facilita la marcia ed allieta l'animo, immerso in una magnifica valle di verdi pascoli delimitata dal Rio Oribio. Natura, silenzio, pace: ecco quello che troverete percorrendo questa tappa, peraltro poco battuta visto che la maggior parte dei pellegrini generalmente si lascia scoraggiare dalla distanza maggiore ed intraprende quindi la via convenzionale più breve. La tappa che conduce a Samos è un balsamo per lo spirito! Lungo il percorso spuntano, come fiori variopinti e tutti diversi su un bel prato verde, piccoli villaggi agricoli, come Renche, esiguo agglomerato di case immerso nel verde più assoluto, e San Martiño do Real, poche stalle ed un'umile chiesa rurale che secondo la leggenda, in tempi antichi, ospitò anche San Martino di Bracara in persona, vescovo di Braga vissuto nel VI secolo, evangelizzatore dei popoli galli, secondo la leggenda fu oratore tanto abile da convertire persino il re svevo Teodomiro.
Poco oltre, al termine di una agevole salita e dopo aver incrociato la strada carraia, il corridoio arboreo si apre come a voler concedere al pellegrino una delle viste più stupefacenti di tutto il Cammino di Santiago: su un lato, in basso a valle, in mezzo a un mare verde spunta la figura della Real Abadia Beneditina de San Xoan, una delle istituzioni religiose cristiane più importanti di tutta la Spagna e d'Europa.
Percorriamo in discesa il tratto di sentiero che avanza prima di raggiungere la cittadina di Samos, popolata da poco più di 1.000 abitanti ma celebre in Europa per la sua splendida abbazia: fondata dai monaci benedettini intorno al VI secolo, secondo teorie più ambiziose da San Martino di Bracara in persona, questo monastero detiene innanzitutto il primato di possedere il chiostro interno più grande di tutta la Spagna. Occupato nei secoli anche dagli invasori saraceni, venne liberato da Fruela I re delle Asturie, il quale donò poi il convento al primo abate, il cui nome era Argerico, nel corso dell'VIII secolo. Fu abitato dai monaci fino al 1836 ed abbandonato a partire da quest'epoca a causa della Desamortizacion di Mendizabal, per essere nuovamente abitato da una comunità monacale già nel 1880. Durante l'invasione napoleonica venne occupato dall'esercito francese e trasformato in un ospedale da campo. Nel 1951 la struttura dell'abbazia subì gravi danneggiamenti in seguito ad un violento incendio che distrusse buona parte della sua struttura, oltre a causare la morte di uno studente seminarista ancora bambino: l'incendio fu probabilmente causato da un'esplosione avvenuta accidentalmente nei locali delle distillerie. I lavori di ricostruzione furono impegnativi, ma oggi la struttura dell'abbazia è riconsegnata al suo antico e più originale splendore. Il monastero ospita attualmente sei monaci benedettini e due novizi, motivo per il quale possiede un priore ma non un abate, per la nomina del quale è necessario un numero di almeno dodici monaci; tuttavia in passato la fama di questo monastero fu prestigiosa ed importante, tanto che l'abate di Samos deteneva gli stessi poteri decisionali di un vescovo, e ne è testimonianza lo stemma dell'abbazia che ancora oggi è composto da uno scudo a forma di calice sormontato da un cappello prelatizio con cordoni a sei fiocchi, molto simile agli stemmi vescovili. Meravigliosa appare la sua chiesa, in stile barocco, eretta tra il 1734 ed il 1748, dotata all'esterno di una particolare facciata e di una preziosa scalinata in pietra.
Decidiamo di ritardare un poco la nostra marcia per dedicare del tempo alla visita degli interni dell'abbazia: l'ingresso costa solo 4€ e comprende l'accompagnamento di una guida. Abbiamo così la possibilità di osservare tutta la meraviglia del chiostro interno, grande ben 3.000m², il più vasto di tutta la Spagna: è intitolato a frate Benito Jeronimo Feijoo, monaco benedettino, illustre abitante del monastero, illustratore di fama continentale, vissuto a cavallo tra il XVII ed il XVIII secolo e la cui statua troneggia al centro del cortile. Accanto al chiostro principale si trova poi un chiostro di dimensioni più contenute, le cui volte del corridoio perimetrale sono decorate da centinaia di simboli tutti differenti l'uno dall'altro, ed il cui centro è dominato da una bella fontana di pietra, chiamata Fonte das Nereidas, e da alcune altissime palme: in questo spazio vive e risiede attualmente la comunità di monaci. Su un angolo di questo chiostro più piccolo si colloca una ricostruzione dell'antica farmacia monasteriale (l'edificio originale è andato perduto completamente nell'incendio del 1951), zeppa di alambicchi e di contenitori di ceramica, ed attiguo a questa sala sorge l'edificio più antico dell'abbazia nello spessore della cui parete esterna si apre l'originario portale di accesso all'interno del complesso, un vero peccato che questa parte sia oggi occupata da un triste negozio di souvenirs. Accompagnati dalla guida ci dirigiamo al primo piano della struttura perimetrale del chiostro maggiore, occupato in origine dalla foresteria e oggi adibito ad hospital per pellegrini, uno dei più antichi di tutto il Cammino di Santiago (ma qui non troverete acqua calda e le comodità sono davvero poche), mentre una sezione è ancora oggi destinata alle scuole seminariali. Ne percorriamo i vasti corridoi decorati da vivacissimi dipinti contemporanei, opera di Enrique Navarro, raffiguranti la vita di San Benedetto e nei quali sono intercalati, tra le figure storiche, anche i volti ritratti dei benefattori che negli anni hanno prestato opera di sostegno all'abbazia. Il giro turistico si conclude con la visita della sagrestia, nella quale è custodita in un'urna una reliquia appartenente a San Benedetto (un pezzo di femore), ed infine della meravigliosa chiesa, di cui è possibile ammirare l'imponente altare opera di Josè Ferreiro, oltre alle stupende e vertiginose volte sorrette da alte balconate
utilizzate in passato per consentire ai pellegrini di assistere alle
funzioni religiose separatamente rispetto agli abitanti della comunità locale
di Samos. Non è purtroppo possibile visitare le biblioteche, scrigno protetto di circa 3.000 volumi antichi: un tempo, prima dell'incendio del 1951, l'abbazia ne ospitava molti di più. Con tutta certezza posso definire questa visita assolutamente immancabile, anche a costo di ritardare di qualche ora il vostro arrivo a concludere la tappa: non perdetevela oppure mancherete un pezzo molto significativo del Cammino di Santiago. Abbandoniamo Samos soddisfatti, istruiti e con un altro Sello prezioso sulla nostra Credencial; passiamo dinnanzi alla Torre do Reloxo, l'alta torre dell'orologio che spicca al centro della cittadina, e procediamo seguendo le indicazioni per Teiguin accanto al tracciato della strada carraia. Giunti in prossimità di questa località il percorso devia per immergersi nuovamente nel paesaggio naturale. Superiamo i minuscoli villaggi di Pascais, una dolce collina verde dominata dal profilo della Igrexa de Santa Eulalia (XII secolo), e Gorolfe, dove consumiamo il nostro pasto a base di Tortillas Españolas all'ombra del portale della piccola cappella posta ad un lato della strada sterrata. Più avanti il sentiero costeggia gli anonimi borghi di Sivil, che passiamo senza colpo ferire, Perros, ed infine, dopo una salita abbastanza impegnativa ma sempre ombreggiata, giunge ad Aguiada, dove il nostro itinerario si ricongiunge a quello classico proveniente da San Xil.
Percorriamo ancora 4,5km su un sentiero sterrato esposto al sole, collocato a lato della strada carraia e lievemente rialzato rispetto a questa, mosso da ondulazioni continue che mettono a dura prova la nostra resistenza. Arriviamo a Sarria ad ora tarda, stremati, e ci fermiamo ad uno dei primi albergue che incontriamo lungo la strada: siamo fortunati, l'Albergue Credencial è pulito e quasi deserto, condividere la camerata con solo altre quattro persone ci consente di approfittare appieno del poco riposo che ci è concesso da questa lunga tappa. Ci avviciniamo a Santiago de Compostela ed addentrandoci nel cuore della Galizia notiamo già alcune differenze rispetto al precedente itinerario compiuto in Castiglia: qui i sentieri sono meglio segnalati ed i piccoli villaggi che si incontrano lungo il cammino sono più vissuti e pittoreschi, tuttavia gli albergue sono più commerciali e gli ambienti un po' più freddi e formali, l'incontro tra pellegrini in definitiva appare meno favorito e sicuramente meno profondo. Non avremo più l'occasione di approfittare di cene comunitarie come accaduto nelle nostre prime tappe, è raro che in Galizia gli albergue offrano ai pellegrini una cena raccolta intorno ad un'unica tavolata, l'atmosfera perde ulteriormente quella spirituale, a volte religiosa, caratteristica che rende consapevole un viaggiatore di essere anche un pellegrino. Così, nonostante l'onnipresente menù del pellegrino, trovare un buon pasto risulta più difficile e faticoso, e le giornate trascorse senza incrociare, anche solo per un breve tratto, il cammino di altri pellegrini mi rendo conto che sembrano concludersi quasi incompiute. Siamo troppo stanchi per intrattenerci con le bellezze di Sarria e rimandiamo la visita della città al giorno successivo. Ma prima di coricarci assistiamo, come in risposta alle nostre malinconiche riflessioni, ad un evento inatteso e divertente. Distesi sulle nostre brande vediamo entrare nella camerata uno strampalato individuo che ci dice avere nazionalità scozzese, portamento da lord e foulard intorno al collo. Ci sembra sconvolto e disorientato, con lo sguardo perso nel vuoto sembra respirare quasi a fatica. Ci informa di chiamarsi James e ci racconta di essere giunto a Sarria passando da Samos, ma senza saper precisare con certezza da dove sia partito. In effetti lo comprendiamo bene: ogni giorno al pellegrino in cammino sembra di vivere una vita intera, intensa ed inarrestabile, e pertanto capita spesso, a fine giornata, di non ricordare bene luoghi, eventi e volti. Vedere James tentare di recuperare un po' di compostezza ci strappa comunque qualche sorriso, scambiamo alcune piacevoli parole in sua compagnia. Lo rivedremo ovviamente anche in seguito lungo il cammino.
Tappa 11 (22km): Sarria - Portomarin
Sarria venne ufficialmente fondata tra l'XI ed il XII secolo con il nome completo di Villanova de Sarria da Alfonso IX re di Leon. Il suo nucleo primitivo nacque però precedentemente come insediamento romano e successivamente venne occupato dagli svevi. Nel XV secolo Pedro I re di Castiglia concesse i territori della città come feudo ai conti di Lemos. Più tardi, nel corso dello stesso secolo, il sovrano castigliano Alfonso XI nominò Alvaren Nuñez Osorio primo conte di Sarria, creando in tal modo un nuovo contado, il quale guadagnò nel corso dei decenni successivi una crescente importanza dal punto di vista economico, politico e strategico, per conoscere infine un progressivo declino in seguito alle Revueltas Irmandiñas che si diffusero nella regione sul finire del XV secolo. Furono queste delle rivolte popolari contro i poteri aristocratici ed ecclesiastici, condotte da contadini, popolani e da esponenti della bassa nobiltà, provocate dalle insostenibili pressioni economiche rivolte alla popolazione in seguito al ricongiungimento del Regno di Leon e del Regno di Castiglia sotto un unico stendardo. Le rivolte iniziarono nei territori della provincia di La Coruña amministrati dal crudele padrone feudale Nuno Freire de Andrade. Il gruppo di appartenenti ai movimenti di rivolta adottarono presto il nome di Santa Irmandad, che in galiziano significa "santa fratellanza", assediarono e distrussero complessivamente circa 130 castelli e fortezze costringendo inizialmente i signori feudali alla fuga verso il Portogallo. Tuttavia, dopo due anni di combattimenti, le rivolte vennero soppresse nel sangue grazie all'intervento del nobile paladino Alvarez de Sotomayor, detto El Moruga in virtù della sua strana abitudine di combattere durante le ore mattutine, usanza anomala in ambito cavalleresco. Di questo periodo storico a Sarria rimane il Castillo de los Marqueses de Sarria (o più brevemente, in galiziano, Castelo de Sarria), dimora fortificata fatta erigere nel XII secolo da Gutierre Ruiz de Castro e dalla consorte Elvira Osorio su una bassa collina dove in precedenza sorgeva probabilmente un antico accampamento romano. Nel corso del XV secolo questo castello divenne residenza dei conti di Sarria, successivamente venne assediato e parzialmente distrutto durante le Revueltas Irmandiñas, quindi ricostruito e riabitato dai marchesi di Sarria, designati per la prima volta nel 1503 da Ferdinando II d'Aragona re di Spagna, per cadere infine in stato di abbandono solo in epoca più recente. La fortezza appartiene oggi alla famiglia Perez Batallon e della sua antica struttura rimane solo parte della cinta muraria e soprattutto la Torre del Batallon, torre merlata a base circolare alta 14m il cui nome proviene con tutta probabilità da quello degli attuali proprietari. Altro luogo assolutamente da non perdere a Sarria è il Mosteiro de Santa Maria Madalena, antico monastero fondato originariamente nel III secolo d.C. da due pellegrini italiani di ritorno dal viaggio a Santiago de Compostela, i quali collocarono nel neonato edificio un hospital per l'accoglienza dei viandanti. Successivamente venne occupato ed amministrato da una comunità di monaci agostiniani appartenenti all'Ordine dei Canonici Regolari della Penitenza dei Beati Martiri. In seguito alla Desamortizacion del XIX secolo la struttura fu abbandonata, cadde in rovina e venne utilizzata come caserma militare e come carcere. Solo dal 1896 vi si ristabilì una comunità di monaci appartenenti all'Ordine di Santa Maria della Mercede, i quali lo amministrano tutt'oggi. Questo particolare ordine monacale aderisce alla regola mendicante agostiniana e venne fondato a Barcellona nel XIII secolo come ordine militaresco: ai suoi membri veniva richiesto di pronunciare un particolare voto di redenzione mediante il quale si impegnavano ad offrirsi in sostituzione dei prigionieri cristiani detenuti nelle prigioni arabe nel caso in cui la fede di questi ultimi venisse minacciata e rischiasse di venire rinnegata.
Ad ogni modo il Mosteiro de Santa Maria Madalena è senza dubbio l'elemento di maggiore importanza storica e culturale presente nei confini di Sarria, e noi ne cogliamo l'elegante bellezza nelle prime ore mattutine, periodo in cui la solennità dell'edificio religioso si mischia alla rumorosa allegria dei tanti bimbi scolari che si recano ogni giorno alla scuola attigua al monastero. Prima di abbandonare Sarria visitiamo anche la Igrexa Parroquial do San Salvador, del XIII secolo, in stile romanico, a navata unica, a dire il vero non molto notevole, con un'antica fonte d'acqua chiamata appunto Fuente do San Salvador (XVIII secolo) antistante alla facciata. Più degna di interesse è invece la Igrexa de Santa Mariña, anch'essa risalente al XIII secolo, anch'essa eretta in stile romanico, dotata di una bella facciata fornita di sottili fenestrature, sormontata da una pregevole torre campanaria e nella quale è incastonato un piccolo orologio a meccanismo. Lungo un lato della chiesa si trovano anche coloratissime e moderne pitture murarie raffiguranti pellegrini in cammino, in stile arte di strada.
Cominciamo la tappa e ci rendiamo conto che da qui in avanti i sentieri ci appariranno più affollari rispetto a quanto eravamo abituati: mancano poco più di 120km al sepolcro di San Giacomo il Maggiore, distanza minima per ottenere la Compostela, vale a dire la certificazione dell'avvenuto pellegrinaggio, una volta giunti a destinazione, e la maggior parte dei pellegrini poco intenzionati a compiere grandi distanze o con poco tempo a disposizione inizia da qui il proprio itinerario. Attraversiamo Sarria di buon mattino percorrendo prima Rua Peregrino, quindi, oltre il Rio Sarria, continuando su Rua Maior, infine, oltrepassato il Castelo de Sarria, abbandoniamo la città procedendo su Rua Corga do Asno che ci fornisce un'ultima veduta panoramica dall'alto sopra Sarria. Procedendo su questo percorso incrociamo tutti i maggiori punti di interesse della città, l'ultimo dei quali è il Mosteiro de Santa Maria Madalena che saluta il nostro passaggio oltre i confini dell'area urbanizzata. Una ripidissima discesa su strada asfaltata ci accompagna velocemente fuori dalla città; il sentiero poco più avanti, oltrepassato il piccolo Ponte da Aspera, ponte di epoca romana posto a cavallo del Rio Celeiro, quindi devia sulla destra immettendosi su una pista sterrata che per un buon tratto prosegue accostata senza separazioni ai binari ferroviari. Il percorso ritorna al paesaggio che ci aveva già accompagnato nella tappa precedente e che ci accompagnerà costantemente da qui fino a Santiago de Compostela, con il suo sornione carattere ombroso e puro, immerso in rigogliosi boschi attraverso le fronde dei quali si intravedono qua e là verdi pascoli e pochissime case. Circondati da questo contesto e dopo aver attraversato i binari della ferrovia (tratto per nulla protetto e quindi abbastanza pericoloso), raggiungiamo Barbadelo, piccolo villaggio galiziano di circa 275 abitanti. Qui, secondo una leggenda, si appostavano in attesa i servi inviati dagli hospitaleros dalle località vicine con il fine di intercettare i pellegrini in cammino ed offrire loro ospitalità presso le strutture dei loro padroni, ovviamente a prezzi maggiorati e truffaldini, a volte addirittura inviandoli in strutture inesistenti o fatiscenti, più spesso semplicemente derubandoli. Ciò che è certo è che il primo nucleo abitato di Barbadelo venne probabilmente fondato nell'XI secolo, epoca in cui sul luogo si stabilì un piccolo gruppo di monaci benedettini provenienti da Samos e che qui fondò un monastero misto abitato da frati e da suore: di quella piccola comunità monacale rimane oggi la Igrexa Parroquial de Santiago, risalente al XII secolo, in stile romanico, chiamata ancora oggi con il nomignolo di Mosteiro in memoria dell'antico monastero locale oggi andato perduto. L'abside della chiesa è di epoca posteriore e risale al XVIII secolo; l'altare barocco, umile ma dignitoso, venne realizzato invece nel XVII secolo. Ma l'elemento di maggior spicco dell'intero edificio sono i particolari capitelli esterni, posti a capo delle colonne lungo la facciata, decorati con ricche figure allegoriche ed antropomorfe. Passiamo oltre ed attraversiamo un soleggiato altopiano aperto come un palcoscenico sul bel paesaggio collinare galiziano.
Il percorso procede in un continuo cambio di scenario incociando macchie boschive, larghi pascoli, pianure raccolte e luminose, piccoli villaggi come Peruscallo, un frammento di giardino all'inglese immerso nella campagna più agreste: qui ci fermiamo a consumare un veloce spuntino in compagnia di Heiko, un simpatico signore tedesco che ci si presenta come l'emblema perfetto del concetto "Chi va piano va sano e va lontano". Da qui in avanti, ripreso il cammino, proseguiamo lungo il sentiero dispersi in una colonna marciante di circa 200 ragazzini in gita scolastica, vestiti con divise viola tutte uguali, provenienti da un collegigo di Lugo: nel vano tentativo di seminarli camminiamo per una buona distanza se non altro in compagnia, ma il silenzio, abolito dagli allegri schiamazzi degli scolari, ben presto comincia a mancarci. Persi in questo fiume viola incrociamo i villaggi di Morgade, una piccola locanda per acquistare il pasto e nulla altro, quindi Ferreiros, piccolo centro abitato un tempo sede di numerose fucine e botteghe di maniscalchi (da cui il nome attuale): qui si fermavano i pellegrini a cavallo a far ferrare le proprie cavalcature, in sua prossimità troviamo un cippo jacobeo che segna la distanza netta di 100km da Santiago de Compostela.
Poco più in là raggiungiamo Mirallos, villaggio attiguo e dipendente come municipalità da Ferreiros: qui finalmente troviamo rifugio dalla folla scolaresca vociante, ma solo per un breve istante, al riparo del cortile della Igrexa Parroquial de Santa Maria, eretta nel XVIII secolo (sebbene l'edificio sorga sulle rovine di un tempio più antico del XII secolo), in stile romanico con il campanile barocco posto a sormontarne la facciata. La storia tramanda che questa chiesa venne spostata pietra per pietra, nel 1798, dalla vicina Ferreiros nel luogo attuale per avvicinarla maggiormente al passaggio del Cammino di Santiago. Davanti alla sua soglia, impreziosita da un portale di legno finemente scolpito, sopra un regolare ed orndinato prato verde si trova ancora oggi un'antica fonte battesimale di pietra che probabilmente risale all'epoca medievale e che quindi farebbe parte della costruzione originaria del XII secolo.
L'aspetto raccolto e solitario di questo luogo ci concede un attimo di tregua dal trambusto studentesco che sembra voler ostinatamente perseguitare questa tappa. A Mercadoiro, poco oltre Mirallos, facciamo uno degli incontri più preziosi di tutto il nostro viaggio: al banco di legno posto da un allevatore sotto un porticato per offrire a donativo bevande fresche e dolci fatti in casa ai pellegrini, troviamo Maria, giovane pellegrina di Avellino, una vera sagoma, una personalità sincera ed onesta, una di quelle persone che intuisci subito essere in grado di dare molto ed in maniera inestimabile. Sarà l'amicizia più profonda che stringeremo durante tutto il nostro pellegrinaggio. Ci racconta di essere partita l'anno precedente dai Pirenei ma di essere stata costretta ad abbandonare il Cammino di Santiago dopo aver contratto, strada facendo, la varicella: obbligata dopo un periodo di quarantena a fare ritorno a casa, è rivenuta ora lungo il sentiero per Santiago de Cmpostela per compierlo finalmente fino a destinazaione, partendo ovviamente da dove lo aveva sospeso un anno prima. In sua compagnia proseguiamo attraverso i villaggi di Parocha, molto carino, e Vilachà, preludio alle meta di questa tappa. Prima di arrivare a destinazione ci fermiamo all'ombra di un porticato sotto il quale qualche buonanima ha lasciato alcune bottiglie di acqua chiuse in una scatola termica ad uso e consumo gratuito dei pellegrini in transito: il caldo è intenso e la fatica comincia a farsi sentire, inoltre negli ultimi 15km ci è venuto a mancare il riparo ombroso del contesto boschivo per proseguire su un sentiero pianeggiante ma spesso esposto al sole. Abbiamo attraversato, nel corso di questa tappa, la Galizia più spontanea ed autentica, quella tradizionale ed originale, legata indissolubilmente alla propria terra ed al lavoro agricolo, segnata come un reticolo di arterie e vene da un dedalo di stradine e vie che continuamente si incrociano e si inseguono, fatta di piccoli villaggi di allevatori disposti come costellazioni sulla superficie di vaste colline e pianure fertili. Lungo il tragitto l'elemento predominante nel paesaggio sono i numerosi Horreos, alcuni antichi, altri più recenti, alcuni ben tenuti, altri cadenti, tutti ormai vuoti ma pieni di storia.
Oltre Vilachà, la vista ci annuncia la meta: a valle poco sotto di noi intravediamo un bellissimo panorama aperto sulla meravigliosa valle fluviale sopra la quale è appoggiata Portomarin, un colpo d'occhio davvero pregevole, una delle vedute migliori di tutto il viaggio. Copriamo a fatica la distanza che rimane in discesa fina a giungere alle sponde del Rio Miño. Oltrepassiamo il moderno ed imponente Ponte Nova steso sul largo corso del fiume ed accediamo, sulla riva opposta, a Portomarin.
Cittadina popolata da circa 1.800 anime, il cui nome deriva probabilmente dai termini latini pons (cioè "ponte") e Minea (nome antico del Rio Miño), questa località nacque e si sviluppò in corrispondenza di un antico porto romano andato distrutto e poi ricostruito in epoca medievale: la collocazione del villaggio originario era situata lungo la riva del fiume opposta rispetto a quella odierna, ma con la creazione nel 1962 della Diga di Belesar, sbarramento artificiale al naturale corso del Rio Miño che provocò il cambiamento del tragitto delle acque, fu necessario trasportare uno per uno, pietra per pietra, gli edifici del centro abitato dalla loro sede ormai sommersa dalle acque fluviali in una posizione più sopraelevata e protetta, sul Monte do Cristo, a 320 s.l.m., dove la città sta ancora oggi. Nei periodi di secca, quando le acque del fiume scendono, è ancora possibile scorgere lungo la riva fangosa le rovine di alcune costruzioni che non vennero traslate e rimasero nel luogo originario, elementi ritardatari e perduti di un colossale processo di traslocazione.
L'ingresso a Portomarin è elegante e signorile: a proiettare il pellegrino nel centro della città è una pittoresca ed alta scalinata in pietra sul culmine della quale è posta la Capela de Nosa Señora das Neves, piccola cappella collocata, come esposta in tutta la sua bellezza sopra un ricco altare, su un'autentica arcata dell'antico ponte romano che originariamente metteva in comunicazione le due sponde del fiume. Le sue origini sono antiche e come il resto degli edifici storici fu smontata e riassemblata nella collocazione attuale. La stessa sorte toccò alla Igrexa de San Nicolao, senza dubbio la chiesa più bella che io abbia potuto ammirare durante tutto lo svolgimento del nostro itinerario lungo il Cammino di Santiago. Meraviglioso edificio in stile romanico ed a navata unica, costruito tra il XII secolo ed il XIII secolo, questo tempio appartenne all'Ordine dei Cavalieri Ospitalieri (in onore del quale viene chiamato anche Igrexa de San Xoan de Malta), motivo per il quale possiede forti richiami alle fortezze militari: di forma squadrata e massiccia, spigoloso e quasi ostile ma dalla forma così unica e peculiare, colpiscono sicuramente le particolari merlature poste lungo il profilo superiore, insieme allo stupefacente rosone della facciata principale che realizza un vero tributo militaresco alla grandezza di Dio. Lungo le fiancate della chiesa alcune pietre riportano ancora i segni di alcuni numeri scolpiti lungo la superficie, indicazioni necessarie a guidare la ricostruzione dell'edificio nel processo di spostamento operato a metà del secolo scorso. Sostare alcuni minuti all'interno della chiesa illuminata dai variopinti colori della vetrata del rosone ha l'effetto di rigenerare immediatamente il nostro animo. Accanto alla Igrexa de San Nicolao, sulla spaziosa Praza Conde Fenosa, si colloca anche il Pazo del Conde da Maza, antica residenza patrizia del XVI secolo, attuale sede dell'ayuntamiento.
Per il resto, il centro di Portomarin è distinto, aristocratico, ventilato e luminoso, nonostante ci troviamo nel mezzo delle colline galiziane sembra di trovarsi in un raffinato porto di mare. Troviamo il nostro albergue subito oltre il bel Parque Manuel de Blas, piccolo spazio verde pulito e ben tenuto: alloggeremo presso l'Albergue Pasiño Pasiño, un posto dalla gradevole atmosfera hippy e vivace, presso il quale dividiamo la camera con Maria. Ceniamo con degli ottimi spaghetti al pomodoro che offriamo a Marek, esuberante svedese in viaggio da solo verso Santiago de Compostela. La serenità della serata viene scossa però dalla vista di un pellegrino di nome Luc con il quale avevamo diviso la camerata anche a Sarria e che avevamo visto partire appena la mattina precedente in sella alla propria bicicletta: lo scorgiamo ora in un angolo, il viso gonfio e segnato da profonde ferite. Avevamo trovato lungo la tappa appena conclusa un casco da ciclista completamente spezzato ed insanguinato, abbandonato a lato del sentiero, ora ci rendiamo conto che apparteneva a lui: ci racconta di essersi impiantato con la propria bicicletta in una buca che lo ha scaraventato in avanti; ha rischiato la vita e tutto sommato è stato fortunato. Ora lo attende un triste ritorno a casa. Dopo aver ascoltato la sua pessima esperienza mi sento di sconsigliare vivamente l'esecuzione del pellegrinaggio lungo il Cammino di Santiago in sella ad una bicicletta: troppa velocità, troppe buche, poco tempo per godersi i posti. La vita del pellegrino in fondo è proprio così: si parte la mattina, si trascorre il giorno in balia degli elementi ed esposto a pericoli a volte non indifferenti, si conclude la giornata approdando con un sospiro di sollievo, spesso inconsapevole, ad un porto il più sicuro possibile.
Tappa 12 (25km): Portomarin - Palas de Rei
Al risveglio una fitta nebbia avvolge Portomarin come un oggetto prezioso protetto dalla bambagia dentro il proprio piccolo scrigno. Ci illudiamo di essere ritornati alla fredda campagna invernale lombarda, ma l'illusione dura poco ed il Cammino di Santiago ci reclama. L'atmosfera all'esterno è pregna dell'umidità che sale dal vicino fiume e la bruma attutisce come un incantesimo il suono dei nostri passi mentre ci rimettiamo in viaggio. Quest'atmosfera fiabesca affascina i nostri pensieri e rende meno faticoso l'inizio della marcia: siamo ormai a pellegrinaggio inoltrato e la fatica ora comincia ad accumularsi non riuscendo a riassorbirsi completamente nelle poche ore di riposo pomeridiane. Ci lasciamo alle spalle la surreale visione di Portomarin nascosta dalla nebbia ed attraversiamo un ponte pedonale più piccolo rispetto a quello che il giorno precedente ci aveva introdotti in città. Lungo l'intera estensione della tappa ci accompagnerà Maria e ne siamo felici: la compagnia di altri pellegrini lungo il Cammino di Santiago ha il potere di alleggerire lo sforzo della camminata e di accelerare il tempo. Sappiamo però fin troppo bene che presto o tardi ogni pellegrino che si rispetti dovrà prendere in solitudine la propria strada. Giunti sulla sponda opposta del Rio Miño, ci inerpichiamo subito sopra un ripido sentiero sterrato immerso in un fitto bosco ombroso, mentre la nebbia lentamente comincia a dileguarsi e spunta il primo sole della giornata. Ne riceveremo a vagonate ed il calore sarà intenso. Al termine della salita il sentiero prosegue in piano spostandosi al lato di una larga strada carraia a scorrimento veloce, senza separazioni o protezioni. Proseguiamo così alcuni chilometri oltrepassando tristi capannoni industriali e giungendo infine al microscopico villaggio di Gonzar, che costeggiamo su un lato. Da lontano intravediamo sopra gli irregolari tetti della casupole del villaggio il profilo appuntito della Igrexa Parroquial de Santa Maria, chiesa rurale di stile barocco. Ma Gonzar è famoso in tutta la Spagna per un altro e più peculiare motivo: qui infatti visse, a cavallo tra il XVIII secolo ed il XIX secolo, Josefa della Torre, conosciuta come La Espiritada, o più emblematicamente come la Santa de Gonzar. Nata di umili origini, madre di tre figli, divenne celebre nei racconti popolari in quanto di lei si dice che, negli ultimi 34 anni della sua vita, si nutrì solamente di ostie benedette senza toccare mai nè acqua nè cibo, addirittura pare (dettaglio a dir poco grottesco) senza emettere alcun tipo di deiezione corporea. L'origine di questa miracolosa condotta si fa risalire ad un parossismo nervoso acuto che la colpì dopo una sostenuta discussione avuta con il padre, cui conseguì una prolungata esposizione al freddo dovuta alla fuga da casa unita al pungente gelo invernale. La sua fama crebbe in tutta la Galizia come quella di una santa, tanto che numerosi furono i pellegrini provenienti da tutta la Spagna e dal Portogallo che giunsero a farle visita ammirati dal suo prodigioso digiuno. Tale fama attirò anche l'interesse della comunità ecclesiastica, tanto che Rafael Velez, vescovo di Santiago de Compostela, inviò un gruppo di prelati e di medici ad indagare la situazione legata alla donna. In questo gruppo di studiosi si trovava anche lo stimato medico Josè Varela de Montes, il quale fu il primo a pronunciare una spiegazione scientifica sul caso: Josefa necessitava di nutrirsi poco in quanto poche erano le energie a lei necessarie per sopravvivere; la donna era infatti perennemente rannicchiata a letto, immobile, mai parlava e mai si muoveva. Solo decenni più tardi il caso verrà interpretato come uno dei primi casi di anoressia nervosa descritti nella letteratura medica. Ad ogni modo la fama della Espiritata sopravvive forte ancora oggi nella tradizione popolare galiziana. Immaginando tutta questa incredibile vicenda avvenire nell'umile villaggio posto dinnanzi ai nostri occhi oltrepassiamo Gonzar e proseguiamo la marcia. Ci addentriamo in un bosco di eucalipti, veri dominatori, da qui in avanti nelle tappe successive, di tutti gli ambienti naturali che accompagneranno il nostro cammino. Percorsi pochi chilometri raggiungiamo il villaggio di Castromaior, località, come suggerisce il nome, dalle forti origini romane. Tuttavia l'area su cui sorge oggi il piccolo centro abitato fu occupata, fin da prima dell'arrivo dei romani, dal popolo celtico, e se ne ha testimonianza oggi nei resti del Castro de Castromaior, sito che comprende le rovine di un antico insediamento preromano posto su una bassa collina poco fuori dal nucleo del villaggio. Si tratta di ritrovamenti archeologici tra i più importanti e meglio conservati di tutta la Penisola Iberica. Risalenti all'Età del Ferro, ad un'epoca cioè compresa tra il V secolo a.C. ed il I secolo d.C., questi resti sono giunti in ottimo stato di conservazione fino ai giorni nostri grazie allo scarso sfruttamento agricolo dei territori su cui sorgono. Testimoniano la presenza di un insediamento umano fortificato con mura esterne disposte in sei cerchi concentrici, il quale venne probabilmente abbandonato dopo l'arrivo e la conquista di questi territori da parte della civiltà romana: le nuove tecniche agricole introdotte dai romani spinsero infatti gli abitanti a spostarsi in luoghi più fertili ed idonei alla coltivazione, e fu così che ebbe origine l'odierno villaggio di Castromaior.
Il luogo comunque rimane uno dei patrimoni più preziosi dislocati lungo il Cammino di Santiago,
privo della sacralità dei luoghi religiosi, ma pregno della solennità
storica della vita vissuta e trascorsa. Visitare i suoi resti disposti
su quattro ettari di estensione, costituiti dai ruderi di piccole case
di pietra a pianta circolare, camminare per le sue strettissime viottole
lastricate, devo ammettere suscitare una certa emozione. Non è
frequente la possibilità di poter vivere la storia così da vicino ed a
contatto così diretto. La breve strada che conduce al sito archeologico è
un po' nascosta e non ben segnalata, si diparte improvvisamente dal
sentiero poco oltre Castromaior, al termine di una faticosa
salita, e si immerge in un bosco alberoso dove la pista praticamente non
esiste. Ma prima di arrivarci si attraversa il centro abitato dell'attiguo villaggio con la
piccola Igrexa de Santa Maria, edificio in stile romanico rurale,
a navata unica, realizzato nel XVI secolo. Proseguiamo oltre il piccolo
altopiano sul quale si trova il Castro de Castromaior e dal quale è possibile
gustare una pregevole vista sulle colline galiziane, scendiamo
nuovamente lungo il sentiero sterrato, ci spostiamo su una strada
asfaltata che ci conduce in breve all'anonimo centro abitato di Hospital da Cruz. Superiamo quindi l'autostrada attraverso un basso cavalcavia e procediamo in lieve salita fino a giungere all'altezza di Ventas de Naron. Gli edifici di questo piccolo nucleo abitato si possono quasi contare sulle dita delle due mani, ma la sua fama è dovuta al fatto che qui, a partire dall'epoca medievale, si teneva un importante mercato celebre in tutta la regione. Il motivo di tale sviluppo commerciale è strettamente legato alla presenza del Cammino di Santiago, tanto che mercanti, artigiani e commercianti accorrevano qui con l'intento di offrire i propri prodotti ed i propri servigi ai pellegrini di passaggio. Nelle vicinanze sorgeva infatti un rinomato hospital e, considerando anche la totale assenza di grossi mercati nel raggio di decine di chilometri, gli affari erano assicurati. Di quel florido periodo oggi rimane ben poco, il mercato è andato lentamente decadendo, il rifugio è stato abbandonato e progressivamente è scomparso, rimane però la Capela da Madalena, piccola cappella rurale situata proprio nello stesso luogo in cui originariamente sorgeva l'hospital.
Da Ventas de Naron la strada asfaltata prosegue in salita senza troppe varianti, circondata da boschi di eucalipti che a tratti emanano un leggero e piacevole profumo. Poi, quasi impercettibilmente, la pista comincia a scendere poco prima di raggiungere il Cruceiro de Lameiros, uno dei crocifissi più interessanti di tutto il Cammino di Santiago: realizzato in pietra, sorge in prossimità di un rovere secolare sul versante dell'Alto de Ligonde, il rilievo collinare alto 730m s.l.m che abbiamo appena percorso.
Questo crocifisso, uno dei più ammirati dai pellegrini, fu realizzato nel 1670 e poggia su una base quadrata sulla quale sono scolpiti i simboli della Passione di Cristo (dei chiodi, un martello, dei rovi ed un teschio), mentre sulla cima riporta da un lato una scena della Pietà mariana, dall'altro un Cristo crocifisso. L'autore di questa antica opera è ignoto, il suo nome deriva da quello della località presso il quale sorge, Lameiros per l'appunto, in galiziano letteralmente "paludi". Poco più in là sorge il centro abitato di Ligonde, bel villaggio agricolo vissuto e vivace, la sua importanza storica deriva dal fatto che qui in antichità sorgeva il Cemiterio de Peregrinos, un camposanto dedicato ai pellegrini deceduti durante la marcia verso Santiago de Compostela. Il luogo di sepoltura sorgeva proprio accanto ad un hospital costruito sui terreni donati nel X secolo d.C. dal conte Osorio de Vistrariz e dalla consorte Teodili Pepiz come voto per la redenzione dai peccati: il rifugio per i pellegrini è andato oggi completamente perduto, mentre del cimitero rimane solo una modesta croce di pietra posta sopra un muro roccioso nello spessore del quale è stata ricavata una piccola nicchia votiva. Il campo di sepoltura cadde infatti progressivamente in disuso ed andò lentamente scomparendo, il muro sopra il quale sorge oggi la croce costituisce l'unica parte residua della cinta originale che delimitava il camposanto.
Ligonde è insomma luogo di pena e redenzione: il villaggio fu indicato infatti in documenti antichi come sito di asilo per i perseguitati, qui insomma cercavano protezione coloro che, avendo commesso crimini, erano in fuga dalla legge. Ci lasciamo alle spalle Ligonde dopo aver acquistato una fresca forma di formaggio da una gioviale signora affacciata alla finestra della propria abitazione. Poco più avanti il villaggio di Airexe ci si presenta come il gemello più piccolo di Ligonde, troppo timido per allontanarsi dall'ombra protettiva del fratello maggiore, tuttavia di aspetto più sincero, luminoso, quasi ingenuo e meno consumato. I due villaggi sono ad un tiro di schioppo l'uno dall'altro ed occorrono solo pochi passi per coprire la distanza che li separa. Ad Airexe si trova la Igrexa Parroquial de Santiago de Ligonde, in stile neoclassico e romanico, che ammiriamo da lontano senza abbandonare il sentiero. La pista prosegue su sterrato incrociando i piccoli centri abitati di Portos, dove ci separiamo da Maria che decide di proseguire mentre noi ci fermiamo a consumare il pasto, più avanti Lestedo, dove ci fermiamo ad ammirare la bella Igrexa Parroquial de Santiago con il suo bel sagrato erboso esteso fino a lambirne il portale principale, poi ancora A Brea, da ricordare solo un Horreo di legno a pianta circolare posto al lato della via, ed infine, superato l'Alto do Rosario, altura non troppo impegnativa con i suoi 640m di altezza, arriviamo a Palas de Rei.
Accediamo a questa cittadina di circa 3.600 abitanti accolti dal verde ed aristocratico parco pubblico di Os Chacotes, dove sorge anche l'albergue municipal: ci sembra quasi di attraversare un vasto campo da golf, fatto di sentieri disegnati nel perfetto manto erboso omogeneo. Il posto sembra davvero gradevole, di ampio respiro e tranquillo, sinceramente non so cosa ci abbia spinto a proseguire oltre impedendoci di fermarci in questo albergue, fatto sta che ci addentriamo nelle strade di Palas de Rei stanchi e desiderosi di trovare al più presto la nostra sistemazione. L'aspetto odierno della città non conserva ormai nulla delle leggendarie origini: il suo nome attuale deriverebbe infatti dalle parole latine pallatium regis, che significano "palazzo del re", in riferimento alla fortezza, oggi scomparsa, del re visogoto Witiza che sorgeva agli inizi dell'VIII secolo d.C. in prossimità di questa località. Fu in tale mitico palazzo che Witiza assassinò Favila, nobile visigoto fondatore del primitivo nucleo del Regno delle Asturie e padre di Pelagio, figura eroica della tradizione popolare spagnola. Alla morte del genitore, saggio condottiero ed equo governante, Pelagio partì in pellegrinaggio in Terra Santa per sfuggire ad una morte certa per mano dello stesso assassino di suo padre, e riuscì a fare ritorno in patria solo dopo la morte di Witiza per divenire comandante delle guardie reali del nuovo sovrano di nome Roderico, per il quale simpatizzava. In seguito alla devastante disfatta di Gadalete del 711 d.C. nella quale i saraceni conquistarono vasti territori iberici, Pelagio si rifugiò nelle Asturie portando con sè il tesoro reale, e con tali mezzi riorganizzò una resistenza cristiana contro l'avanzata araba realizzando così infine il sogno per il quale, anni prima, suo padre era stato assassinato nelle sale del tenebroso palazzo appartenuto al malvagio Witiza, e cioè riunire la Spagna cristiana sotto un'unica bandiera asturiana. Di questa incantevole leggenda oggi a Palas de Rei non rimane più alcuna traccia: le strade urbane hanno ormai perduto ogni velleità storica ed i luoghi hanno abbandonato ogni pretesa di narrare antiche tradizioni trascorse. L'ambiente che ci accoglie ci appare freddo e distaccato, nonostante il percorso del pellegrinaggio attraversi il centro abitato sembra che non ci sia nulla a collegare questa cittadina con il Cammino di Santiago.
Le gambe comunque cominciano a cedere ed il tramonto si avvicina, pertanto non possiamo fare altro che fermarci qui per la notte. Troviamo comunque un istante di raccogliemento visitando la Igrexa Parroquial de San Tirso, edificio religioso moderno ma ristrutturato sui resti di un precedente tempio risalente al XII secolo di cui sopravvive solo il portale principale e parte della facciata occidentale. Accanto all'altare maggiore un piccolo contenitore invita i pellegniri a scrivere ed a lasciare i propri propositi accompagnati da una preghiera: nonostante tutto, Santiago de Compostela si avvicina e l'anima vi deve giungere pronta. Proprio dirimpetto rispetto alla chiesa sorge la struttura gelida e caotica del rifugio che, dopo attenta ricerca, eleggiamo per trascorrere la nottata: si tratta dell'Albergue San Marcos, rumoroso e traboccante di ospiti. Divideremo la piccola camerata con due giovani americani poco discreti ed abituati a fare le ore piccole, e con un ruspante sudamericano di nazionalità imprecisata che allieterà l'intera nottata russando come un treno a vapore. Il quadro viene completato dalla presenza nell'albergue di una folta comitiva di ragazzi asiatici intenzionati a fare bisboccia con canti e schiamazzi. Dopo una cena molto distaccata e molto costosa presso un vicino ristorante di molte pretese ma di poca qualità, situato accanto a Praza do Concello, torniamo subito in albergue e proviamo a prendere sonno ma fatichiamo ad addormentarci: ad ogni modo non importa, Santiago de Compostela è ormai così vicina da poterla sognare anche ad occhi aperti.
Tappa 13 (26km): Palas de Rei - Arzua
Anche dopo una notte difficile il sentero reclama i passi del pellegrino. Ma abbandonare Palas de Rei non è affatto difficile per noi: lasciarci alle spalle questa località così atipicamente parte di un cammino di pellegrinaggio non ci suscita la naturale malinconia che i luoghi piacevoli solitamente stimolano nel viaggiatore. Attraversiamo la brutta periferia cittadina che ricordiamo solo per avervi trovato un forno aperto e brulicante di panettieri ed impastatori, opportunità irripetibile per procurarci un pasto decente. Giunti al limite dell'area urbana si diparte quindi un sentiero sterrato che in breve si addentra nuovamente nella macchia verde, dentro la pancia di ariosi boschi densi di ombra. A poca distanza dalla partenza raggiungiamo San Xiao do Camiño, piccolo villaggio galiziano le cui origini risalgono probabilmente all'epoca romana: testimonianza di queste antiche radici sarebbe il ritrovamento in questa località di alcune immagini scolpite nella roccia ritraenti alcuni lares compitales, vale a dire divinità protettive dei viandanti che i romani erano soliti raffigurare in basse pietre poste ai lati delle vie; successivamente al declino della civiltà romana queste sculture vennero in gran parte inglobate nelle pareti di abitazioni e di cappelle religiose. Presso questo piccolo centro abitato ci soffermiamo un istante solo per osservare dall'esterno la Igrexa Parroquial de San Xiao, in stile romanico e risalente al XII secolo seppure ristrutturata più recentemente nel corso del XVIII secolo, con il piccolo cimitero locale posto, come da prassi, attiguo alla chiesa: è intitolata a San Giuliano l'Ospitaliere, santo del quale si tramanda la proverbiale indole iraconda e violenta, protagonista di una nota leggenda popolare. Nato in Belgio da nobile discendenza intorno a 631 d.C., si narra che un giorno, mentre era impegnato in una battuta di caccia, si imbattè nella figura prodigiosa di un cervo che cominciò miracolosamente a parlargli con voce umana ed in tal modo predisse all'altezzoso ragazzo che sarebbe stato lui stesso l'assassino dei propri genitori. Spaventato da tale vaticinio, Giuliano fuggì senza avvertire nessuno e si nascose in completo anonimato presso la corte di un ricco cavaliere. Costui, per ricompensarlo delle eroiche vittorie in battaglia di cui il misterioso giovane comparso dal nulla, nel corso degli anni successivi al suo arrivo, si rese protagonista, gli donò infine un ricco castello e benedì le sue nozze con una bellissima e nobile dama. Giuliano visse così per alcuni anni pensando di aver abilmente deviato la sfortuna di una sorte avversa. Un giorno però giunsero alla sua corte i genitori, in viaggio verso terre lontane e bisognosi di un rifugio per la notte, ignari del fatto che il castello presso il quale erano giunti appartenesse a loro figlio. I due ospiti vennero accolti dalla consorte di Giuliano, essendo quest'ultimo assente in quel momento dalla fortezza, e pensando che i due viandanti fossero altolocate conoscenze del marito, la donna li ospitò offrendo loro addirittura la comodità della camera signorile. Al ritorno di Giuliano, trovando quest'ultimo la propria alcova occupata da due corpi e pensando ad un tradimento della consorte, si realizzò la predizione che per anni lo aveva perseguitato: Giuliano uccise i genitori accorgendosi solo dopo dell'errore commesso. Abbandonò così la vita aristocratica, si ritirò in ascetismo, viaggiò ramingo giungendo infine in Italia dove costruì con le proprie mani un rifugio per pellegrini presso le rive di un fiume nella regione delle Marche. Anni dopo Giuliano aiutò un umile lebbroso ad attaversare il fiume a bordo della propria chiatta, salvandolo dall'annegamento quando costui, sbalzato fuori dall'imbarcazione da un'improvvisa folata di vento, rischiò la vita. Ospitatolo presso il proprio rifugio, il mendicante si trasformò in una figura luminosa ed eterea che infine benedisse Giuliano e gli perdonò l'assassinio dei genitori. Questa incredibile leggenda sta tutta racchiusa nelle poche vie di San Xiao do Camiño, commemorata dalla silenziosa figura di una chiesa di campagna.
Passiamo oltre ed in sequenza oltrepassiamo i villaggi di Ponte Campaña, modesta località agricola, e di Casanova. Tra le vie di quest'ultimo centro abitato incrociamo nuovamente il nostro cammino con quello di James, lo scozzese tutto trafelato che avevamo già incontrato in albergue a Sarria: con piaere lo reincontriamo e con ancor più piacere notiamo che ha recuperato pienamente la propria forma fisica. Sorridente ci rivolge un cenno di saluto e con orgoglio ci rendiamo conto che da bravo pellegrino non si è arreso alla fatica della marcia. Superata Casanova si arriva quindi ad O Coto: qui, tra i tavolini in plastica di alcuni punti ristoro disposti sul ciglio della stradina carraia, un'insegna ci informa dell'entrata nella provincia di La Coruña. Una dolce discesa su pista sterrata ci proietta infine ad O Leboreiro, tranquillo villaggio il cui nome deriverebbe dal latino campus leurarius, vale a dire "campo di lepri".
Attraversando il suo centro abitato composto da basse casupole ci fermiamo ad ammirare la facciata della Igrexa Parroquial de Santa Maria, in stile romanico, a navata unica, datata XIII secolo: un'antica leggenda legata a questa chiesa racconta che un giorno di molti secoli fa' nei suoi pressi apparve dal nulla una fresca fonte di acqua purissima, la quale inspiegabilmente emetteva luce durante le ore notturne ed emanava un dolce profumo floreale nel corso delle ore diurne. Colpiti dalla miracolosa apparizione, gli abitanti del villaggio cominciarono a scavare nei pressi della fonte e rinvennero così una statua di Santa Maria che provvidero a trasportare immediatamente al riparo all'interno della chiesa. Ogni notte però la statua tornava sorprendentemente al luogo di origine abbandonando l'edificio, e così si ripetè per molte notti consecutive nonostante gli abitandi del villaggio continuassero a spostare la statua all'interno del tempio, fino a quando un ingegnoso tagliapietre ebbe l'idea di creare una copia perfetta della statua ponendola sopra il timpano del portale d'ingresso per accattivarsi il favore della Madonna. Quella notte infatti la statua rimase al suo posto dentro la chiesa, dove si trova ancora oggi, gemella dell'immagine posta, ora come ieri, lungo la facciata dell'edificio. Osservare questa scultura densa di storia e misticismo fa venire un poco i brividi e contribuisce a creare una gradevole vista insieme alla figura dell'antico Cabazo di legno intrecciato posto su una base di pietra ed a forma di canestro circolare, adagiato sul lastricato a poca distanza dal portale della chiesa: si tratta di una struttura utilizzata in passato per immagazinare al riparo il mais raccolto; oggi costituisce parte del patrimonio storico del villaggio e molti simili se ne trovano sparsi lungo tutta la provincia di La Coruña, parenti stretti degli Horreos che ormai abbiamo imparato a conoscere bene.
O Leboreiro si lascia abbandonare sopra una gradevole stradina lastricata e superando il piccolo Ponte do Leboreiro, eretto nel XV secolo probabilmente su un ponte precedente di epoca romana, posto sulle acque tranquille del Rio Seco: il ponte venne ristrutturato nel 1984, motivo del suo attuale stato di perfetta integrità, ed in quest'occasione venne dotato anche di un parapetto di cui precedentemente era sprovvisto. La via si spinge quindi verso Melide superando una fredda zona industriale, quindi, prologo alla città, ecco la sorpresa più piacevole di questa tappa: il sentiero si addentra inaspettatamente di nuovo nella macchia boschiva per un breve tratto, per aprirsi improvvisamente, poco più in là, sul villaggio di Furelos. Arrivarci sembra quasi come immergersi a testa in avanti nella tana del Bianconiglio, in un luogo incantato e separato dal resto del Mondo, una ventata di autenticià proprio nel momento in cui ci si aspetterebbe solo il lugubrio della metropoli. La veduta su Furelos è magnifica, circondata dal verde dei boschi e introdotta dal bel Ponte Vella (Ponte Vecchio in galiziano) posto sopra il corso del Rio Furelos: il ponte è uno dei monumenti più ammirati di tutto il Cammino di Santiago, con i suoi quattro archi e tre pilastri in muratura per una lunghezza totale di circa 50m, eretto nel corso del XII secolo è veramente una delle struttura architettoniche di questo tipo più ammirevoli di tutto il percorso di pellegrinaggio fin qui compiuto. Penetriamo nel villaggio per visitare la Igrexa Parroquial de San Xoan, costruita nel XII secolo in stile romanico: ci riposiamo un attimo al suo interno seduti sulle sue affollate panche (evidentemente molti pellegrini hanno subito la nostra stessa folgorazione alla vista di questo ameno centro abitato) ed ammiriamo il magnifico altare rococò del XVIII secolo, ma soprattutto, custodita in una cappella laterale, contempliamo una peculiare statua raffigurante un Cristo crocifisso con un braccio pendente dalla croce, opera dell'artista contemporaneo Manuel Cagide, nativo proprio di Furelos, il quale conferì alla statua questa particolare posa forse nel tentativo di rendere l'immagine ancor più vivida e drammatica. Scopo che credo abbia pienamente raggiunto.
Il villaggio di Furelos si lascia sorpassare senza troppo sforzo, e con negli occhi ancora il suo fresco profilo raggiungiamo infine Melide, cittadina di circa 7.500 abitanti il cui nome deriverebbe dal latino miliarius, cioè "pietra miliare", alludendo forse al fatto che questa località sorge sul luogo di un antico ed importante svincolo viabilistico dell'epoca romana. La città è però nota in tutta la Galizia per un altro e più succulento motivo: si dice infatti che qui venga cucinato il miglior Pulpo a la Gallega di tutta la Spagna. In effetti il polpo bollito e servito in piccoli pezzettini, condito con sale, olio di oliva e paprika, è la specialità culinaria di questa parte della Penisola Iberica, una vera tradizione gastronomica rispettata e venerata da tutti i galiziani che si rispettino, tanto che in tutta la Galizia esistono veri ristoranti dedicati esclusivamente alla preparazione di questo piatto, le cosiddette pulperias. La fama del Pulpo a la Gallega ci aveva già raggiunti diversi chilometri prima di arrivare a Melide, ed in effetti arriviamo in città forti del consiglio di tre simpatiche mujeres spagnole che avevamo incontrato appena fuori da Palas de Rei ma che già avevamo intravisto lungo le tappe precedenti: si chiamano Pilar, Julia e Manuela, e ci raccomandano vivamente di non mancare di assaggiare il polpo una volta giunti a Melide. Nello specifico ci consigliano la Pulperia Casa Ezequiel, a loro dire la migliore della città. Così la prima cosa che facciamo una volta giunti nella centralissima Avenida Lugo è trovare il posto indicatoci: ci sediamo al tavolo in compagnia delle nostre tre gentili suggeritrici, che ci hanno preceduto e che ritroviamo qui intente a gustare la specialità della casa. Osserviamo la tradizionale preparazione del polipo che viene posto intero in grandi calderoni e fatto bollire per alcuni minuti, quindi condito e servito su taglieri di legno. Poi finalmente arriva il momento della libidine: assaggiarne la tenerissima carne resa più sapida dalla spezia è davvero un piacere fine ed appagante. Accompagniamo il piatto con una bottiglia di vino bianco, azzardo che pagheremo più avanti una volta rimessici in cammino.
Abbandoniamo il locale per ultimi e a dire il vero un po' brilli, proseguendo lungo Avenida Lugo incrociamo la Capela de San Roque, piccola cappella costruita nel 1949 utilizzando materiale di recupero dalla Igrexa Parroquial de San Pedro caduta in rovina: sembra in effetti che il primo nucleo di Melide sia sorto proprio intorno a questa chiesa scomparsa, di cui la Capela de San Roque conserva intatta la facciata. Accanto alla cappella è collocato i prezioso Cruceiro de San Roque, crocifisso in pietra che secondo la tradizione sarebbe il più antico di tutta la Galizia: risalirebbe al XIV secolo e fu realizzato in stile gotico. Poco più in là il sentiero prosegue attraverso le strade urbane piegando a destra ed aprendosi improvvisamente nella raccolta Praza do Convento, dominata dalla struttura del Monasterio-Hospital de Sancti Spiritus che quasi sembra volersi nascondere alla vista del visitatore dietro le pareti degli edifici circostanti. Questo fu un antico convento francescano fondato nel XV secolo, tra le sue mura era collocato anche un hospital per pellegrini, mentre attualmente, dopo l'abbandono della comunità monastica, ha assunto la sola funzione di chiesa parrocchiale. L'edificio subì importanti opere di restauro finanziate dal nobile signore Sancho Sanchez de Ulloa nel 1498, il quale promosse l'opera in memoria della madre, doña Ines de Castro, sepolta all'interno del tempio. Della struttura originaria dell'edificio antico rimane oggi solo una piccola cappella laterale, la Capela do Santo Cristo, la quale ospita una stupefacente statua raffigurante un Cristo vestito con una lunga tunica di velluto viola e incoronato di spine sopra una fluente chioma di verosimili capelli mori: osservo ammirato ed intimidito il suo sguardo sofferente e mortificato, la statua mi sembra viva e pare guardarmi con un'intensità che commuove ed impietosisce, è l'immagine irresistibile della grandezza del sacrificio di Cristo.
Bellissime anche le alte volte geometriche della chiesa ed il pregevole altare maggiore, opera di Francisco de Castro Canseco, principale esponente del barocco galiziano, che lo realizzò nel XVIII secolo. Proprio davanti al Monasterio-Hospital de Sancti Spiritus sorge il Concello, vale a dire il palazzo del municipio, sede dell'ayuntamiento locale dal 1960: venne costruito in origine su iniziativa di Mateo Segade Bugueiro, vescovo di Leon ed arcivescovo del Messico, per ospitare un'istituzione collegiale per l'insegnamento; successivamente, a partire dal XIX secolo, passò ad essere proprietà dei marchesi di Corvera. Della struttura iniziale oggi rimane solo la facciata, avendo nel corso dei secoli l'edificio subito importanti deterioramenti dovuti all'incuria. Le caotiche vie di Melide si lasciano facilmente abbandonare attraverso una leggera salita che suscita un po' di fiatone ma poca nostalgia, e superata la città il sentiero si rifà ben presto agreste. Camminiamo per diversi chilometri e la località successiva sembra non arrivare mai, tanto che ci pare quasi di essere intrappolati in una sorta di limbo dal quale è impossibile uscire, la meta sembra essere un crudele miraggio. Fiaccati dal caldo intenso ci fermiamo presso Boente, dove incontriamo un tranquillo bar al quale ci rinfreschiamo un po'. Il vino (non l'avessimo mai bevuto!) sembra spezzarci le gambe ma teniamo duro e proseguiamo: la sensazione è quella di incarnare moderne reinterpretazioni del mito greco di Sisifo, costretto a spingere eternamente un pesante masso lungo il crinale di una montagna ma senza mai raggiungerne la cima, dato che in sua prossimità il masso rotolava regolarmente lungo il crinale opposto.
Dopo Boente il sentiero attraversa per ben due volte la strada carraia, prima passandole sopra e poi sotto per mezzo di una galleria, quindi la costeggia per un breve tratto prima di cominciare una dura salita sopra un'impegnativa pista sterrata. Giunti sulla cima si comincia subito a scendere, operazione non meno impegnativa di quella appena conclusa, ed in questo modo si giunge infine a Ribadiso da Baixo. Il centro abitato di questo piccolo villaggio è a dire il vero molto piacevole, circondato da ampi e soleggiati campi verdi e composto da basse case costruite secondo la tradizione locale, cioè con le pareti composte da lastre di ardesia. Qui tra l'altro si trova un albergue municipal descritto dalle guide come una delle migliori strutture di questo tipo presenti su tutto il Cammino di Santiago: fu fondato nel XV secolo da una comunità di monache francescane, successivamente perse la propria funzione di rifugio e divenne proprietà di una corporazione di orafi, i quali lo vendettero infine nel 1523 all'aristocratico Rodrigo Sanchez de Boado a patto che venisse ristrutturato, mantenuto in buono stato e riconsegnato alla sua funzione originaria. Ribadiso da Baixo è celebre anche per un'antica
leggenda locale che narra la vicenda relativa ad una giovane fanciulla
di nome Mariquina, la quale, nata di umili origini, abitava una piccola
capanna insieme alla madre ed a due vitelli che ogni giorno conduceva al
pascolo. Un giorno, di ritorno verso casa, la fanciulla sentì sete e si
abbeverò presso una piccola fonte d'acqua che trovò lungo la strada:
non appena bagnò le labbra, vide sprigionarsi dalla fonte una fortissima
luce circondata da una musica soave, ed in questo improvviso baluginio
osservò comparire una bellissima fata. Costei pose nelle umili mani
della ragazza una borsa piena di denari, a patto però che non venisse
fatta parola a nessuno dell'apparizione e che ogni giorno le venisse
portato un pezzo del delizioso formaggio che la fanciulla produceva per
sostentarsi. La ragazza prese il denaro e per lungo tempo assolse al
proprio impegno, fino a quando la madre, insospettita dal fatto che la
figlia portasse sempre con sè al pascolo due pezzi di formaggio, le
chiese cosa ne facesse del secondo, e così la ragazza raccontò alla
madre la vicenda. Quel giorno, preoccupata per la figlia che tardava a
rientrare dal pascolo, la donna si recò a notte inoltrata a cercarla,
trovando infine i due vitelli ma nessuna traccia della ragazza che
scomparve così e per sempre nel nulla. Oltre all'albergue comunque l'unico altro sito di interesse nel villaggio è costituito dal Ponte Medieval, ad arcata unica, eretto sulle acque del Rio Iso nel XII secolo, sebbene probabilmente sorse sulla struttura di un precedente ponte di epoca romana: ci fermiamo alla sua ombra per rinfrescare un po' i piedi e per riposarci prima di compiere l'ultimo tratto della tappa.
Improvvisamente, mentre chiacchieriamo con Lisa e Vale, due ragazze bresciane che insieme affrontano il Cammino di Santiago, veniamo investiti dall'abbraccio di un omone dall'inconfondibile accento britannico: si tratta di Adrian, accompagnato dalla moglie Janet, i due pellegrini inglesi che avevamo incontrato a Leon prima di cominciare il pellegrinaggio. Augurarsi "Buen Camino" prima di partire era stato tanto bello quanto vedere che si ricordano ancora di noi nonostante i tanti chilometri percorsi ed i numerosi giorni trascorsi senza esserci mai visti. Nella stretta di mano che ci scambiamo è racchiuso buona parte del senso del Cammino di Santiago. Rifocillati nel corpo e nell'anima ci rimettiamo in marcia: il sentiero prosegue oltre Ribadiso da Baixo in salita fino a raggiungere la strada carraia che seguiamo lungo un marciapiede fino ad arrivare alla meta finale della tappa, la città di Arzua.
Come tutte le città di dimensioni medio-grandi disposte lungo il Cammino di Santiago, anche questa cittadina di circa 6.500 abitanti dice poco al pellegrino di passaggio. Vi penetriamo seguendo Rua Lugo, la via principale, ed arriviamo ad un anonimo piazzale alberato sul fondo del quale troviamo la Igrexa Parroquial de Santiago, di epoca recente, eretta nel XX secolo, poco appariscente ed a dire il vero non particolarmente degna di nota. Abbandoniamo Rua Lugo e svoltiamo a sinistra trovandoci davanti alla Capela da Madalena, piccola cappella fondata nel XIV secolo come parte di uno scomparso convento di clausura agostiniano. I monaci che abitarono il convento lo abbandonarono nel XVI secolo in seguito alla riforma promossa da papa Pio V che tolse all'ordine monastico la regola di clausura, conseguentemente il complesso conventuale venne abbandonato, cadde in disuso ed infine scomparve, lasciando a propria memoria appunto solo la Capela da Madalena. Al suo interno le celebrazioni religiose si tennero fino al 1835, dopo questa data la cappella venne adibita alle funzioni di carcere, pagliaio, legnaia, ed infine di centro culturale, ruolo che svolge ancora oggi. Subito dietro la cappella si trova l'albergue de la xunta, vale a dire il rifugio per pellegrini a conduzione municipale, ed è lì che siamo diretti. Paghiamo l'esiguo prezzo di pernottamento, saliamo alla camerata e veniamo investiti dall'orrore: uno stanzone sporco, affollatissimo, odore intenso di chiuso ed aria che probabilmente non veniva cambiata da giorni, materassi in tessuto logoro e lenzuola a dir poco vissute. Scappiamo letteralmente senza concederci nemmeno il tempo per chiedere il rimborso del pagamento.
Impariamo un prezioso insegnamento: la prima regola per un pellegrino è curare sè stesso, anima e corpo che sono indissolubili; la seconda regola per il pellegrino è che non esiste prezzo alla prima regola. Fortunatamente a poca distanza troviamo una struttura migliore: presso la Pension Arzua una serafica señora di nome Maria Josè ospita pochi pellegrini presso una bella villetta privata di sua proprietà. Il posto ci è stato indicato dalle tre mujeres, Pilar, Julia e Mauela, a cui dobbiamo davvero tanto per la buona riuscita di questa tappa, memori dell'ottimo Pulpo a la Gallega che abbiamo gustato per pranzo. Condividiamo i pulitissimi spazi della nostra camerata con una ragazza francese, una giovane ceca ed un gioviale austriaco. L'ambiente familiare ci assicura un meritato riposo, impreziosito dalla convinzione che un pellegrino non può chiamarsi tale se durante il cammino non sperimenta l'accoglienza di una persona semplice in casa propria. Paghiamo solo 10€ e riceviamo un'ospitalità sopraffina concludendo degnamente una giornata difficile. La tappa che abbiamo appena terminato è risultata nel complesso un po' monotona, con scenari poco variabili, sentieri pressochè tutti identici e perennemente coperti da tunnel arborei che impediscono alla vista di spingersi oltre, capaci invece solo di dare al pellegrino l'inevitabile impressione di trovarsi incastrato dentro un canale infinito. Ma forse quest'impressione è dettata solo dalla memoria della fatica provata nel compierla, del resto anche la tappa peggiore lungo il Cammino di Santiago nasconde inaspettate sorprese.
Tappa 14 (18km): Arzua - O Pedrouzo
Il risveglio nella piccola pensione della señora Maria Josè ci è familiare ed assomiglia molto a quello di casa. Riprendiamo il sentiero con nelle gambe la frizzante eccitazione suscitata dalla vicinanza a Santiago de Compstela, percepiamo la meta, la sua aura ci circonda ormai costantemente. L'attesa è il sale che insaporisce i giorni del pellegrino, ed una volta terminato il viaggio lungo il Cammino di Santiago sarà ciò che motiverà quel dolce sorriso, non privo di audacia, che vi comparirà sul volto ogni volta che ripenserete alla strada percorsa. Lasciataci alle spalle Arzua, il sentiero riprende il consueto canovaccio: piste sterrate immerse nei boschi, qualche manciata di case diroccate qua e là, piccoli villaggi silenziosi, paesaggi occultati da canali arborei che inghiottono il pellegrino. Il primo centro abitato che incontriamo, a poca distanza dalla partenza, è Pregontoño, tranquillo e brumoso. A circa 5km di cammino sorge invece il piccolo villaggio di A Calzada, e poco prima di questo, quando mancano 33km (sarà un caso, due volte il numero della Trinità?) a Santiago de Compostela, presso un piccolo rifugio per pellegrini ricavato in un edificio rurale, si trova il Muro de la Sabiduria, il Muro della Saggezza: lungo la parete perimetrale del rifugio troviamo appesi alcuni fogli plastificati, allineati uno accanto all'altro, scritti con brevi osservazioni e domande che suggeriscono al pellegrino una sosta riflessiva. Cogliere il messaggio di questa particolare installazione è quasi un atto dovuto , giunti a questo punto del viaggio. "Pensi che il Paradiso sia solo per colui che crede nella sua esistenza?", "Credi che se Cristo tornasse sulla Terra saremmo capaci di riconoscerlo?", "Cosa pensi che intendesse Cristo quando pronunciò le parole 'La Verità renderà l'uomo libero'?", "Ritieni di essere un cercatore di Verità? Il cercatore è colui che è capace di approcciarsi a tutte le culture, tutte le religioni, senza pregiudizio."
Ancora oggi non so a chi fosse venuta l'idea di quest'opera, nè so i motivi che abbiano spinto alla sua creazione. Quello che so però è che, nel leggerne le frasi, per la prima volta da quando sono partito in pellegrinaggio rifletto sul concetto di diversità e su quanto possa insegnare a tale proposito il Cammino di Santiago: in appena due settimane ho potuto incontrare decine di persone tutte differenti l'una dall'altra, ognuna con le proprie convinzioni, motivazioni, con i propri ideali, i propri valori, forse, arrivato a questo punto, potrei dire persino ognuna con la propria fede. La diversità è il pilastro su cui si fonda il percorso del Cammino di Santiago: riconoscere Cristo in questa variegata diversità è davvero impresa molto difficile, ma forse è proprio questo ciò che conduce a scoprire la Verità. Terminato questo prezioso intermezzo riflessivo riprendiamo la marcia, superiamo A Calzada e poco oltre, lungo il sentiero, incontriamo Juan Manuel (chiamato dagli amici Juanmà), un giovane spagnolo che aveva già diviso con noi il dormitorio a Sarria: lo reincontriamo intento a camminare da solo ed è inevitabile proseguire il cammino insieme. Ci racconta un piccolo frammento della propria vita e ne rimaniamo stupefatti: di origini andaluse, è giovanissimo ma ha già viaggiato per tutta l'Europa guadagnandosi da vivere con lavori saltuari, parla correntemente l'italiano dato che ha trascorso un periodo di quattro mesi a studiare in Italia, ora studia informatica all'università. E' gentile, cordiale, sempre sorridente, dotato di un'intelligenza acuta, con lui è facile discutere un po' di tutto. Collego l'incontro ai messaggi del Muro de la Sabiduria appena oltrepassato e mi rendo conto che nessuno più di lui potrebbe impersonificare il concetto di diversità. Credetemi, è davvero difficile non vedere dei segni della Provvidenza in questi incontri. Del resto, dopo molti chilometri di cammino, la compagnia di un altro viaggiatore e qualche chiacchiera spensierata sono l'unico antidoto contro il nervosismo e la stanchezza. In compagnia di Juan Manuel superiamo il villaggio di Salceda, a poca distanza dal quale incontriamo il Monumento Memorial a Guillermo Watt, una piccola nicchia commemorativa dedicata al ricordo di un pellegrino svizzero deceduto in questi paraggi all'età di 69 anni, mentre percorreva il Cammino di Santiago.
Era il 1993 ed una fitta nebbia nascose la vista del pellegrino all'auto lanciata lungo la strada: il malcapitato stava attraversando la carreggiata e venne investito mortalmente dal mezzo, perdendo in tal modo la vita quando si trovava a solo una giornata di cammino da Santiago de Compostela. Questo racconto ci viene regalato proprio da Juan Manuel, mentre rimaniamo fermi ad ammirare la targa riportante il nome del pellegrino e la data della sua morte posta a lato della nicchia, e sul fondo di quest'ultima i doni che i pellegrini di passaggio lasciano alla memoria del defunto, tra cui scarpe, fotografie, o più semplicemente piccole pietre. Questo è ancora oggi uno dei luoghi del Cammino di Santiago più sentiti dai pellegrini. La drammaticità di questo tragico evento è mitigata solo dalla credenza di origine medievale secondo la quale i pellegrini che fossero morti durante il pellegrinaggio avrebbero avuto diritto ad attraversare senza soste il Purgatorio per raggiungere immediatamente il Paradiso.
A poca distanza da Salceda, percorrendo spettacolari boschi di altissimi eucalipti, raggiungiamo il villaggio di Santa Irene, nei pressi del quale il sentiero compie una piccola deviazione, passa sotto un corto cavalcavia e prosegue davanti alla Fuente de Santa Irene: secondo un'antica leggenda questa piccola fonte deterrebbe poteri miracolosi ed avrebbe infatti la capacità di sanificare il corpo e di favorire la crescita di abbondanti raccolti agricoli, oltre ad essere miracoloso medicamento per numerosi mali della carne tanto che le sue acque vennero utilizzate in epoca medievale come cura contro la peste e come trattamento contro i mali infantili. Secondo racconti più arditi, i pellegrini che si fossero abbeverati a questa fonte avrebbero addirittura acquisito la gioventù eterna, e da qui il nome di Fuente de la Eterna Juventud con il quale la sorgente è anche conosciuta. Ad ogni modo, al nostro passaggio questa piccola fonte di pietra ci appare abbandonata, trascurata, buia, posta malamente ai piedi dell'autostrada e con il bacino d'acqua invaso dalle erbacce. Sulla sua sommità fino agli anni '80 del secolo scorso si trovava un'antica statua raffigurante Santa Irene di Portogallo, patrona del vicino villaggio, successivamente rubata ed andata pertanto perduta. La vicenda relativa a questa santa ha davvero dell'incredibile: nata in una nobile famiglia, venne istruita presso un convento di monache da un malvagio precettore di nome Remigio. Un giorno la fanciulla, che in verità era bellissima, venne notata da un giovane rampollo di nome Britaldo il quale se ne innamorò. Santa Irene però lo respinse affermando di voler consacrare la propria vita a Cristo, tuttavia, nonostante il rifiuto, le attenzioni del giovane suscitarono la gelosia di Remigio, il quale preparò un diabolico intruglio e lo fece bere alla ragazza provocandole così un profondo stato confusionale che la convinse erroneamente di essere incinta. Per tale motivo fu espulsa dal convento e Britaldo, venuto a conoscenza della fittizia gravidanza dell'amata, preso da terribile passione, assoldò un soldato che, sotto le mentite spoglie di un anziano, uccise l'innocente fanciulla a colpi di spada. Ci addentriamo nel villaggio intitolato a questa sfortunata martire superandolo quasi senza accorgercene. Dopo altri 4km di tranquillo cammino, immersi negli ormai familiari boschi di eucalipti, giungiamo infine ad O Pedrouzo, piccolo villaggio galiziano (circa 600 abitanti), frazione della vicina cittadina di Arca, il suo nome trae origine dal paesaggio pietroso che lo circonda (dalla parola galiziana pedra, cioè "pietra"). E' l'ultimo finale di tappa prima di giungere a Santiago de Compostela e vi arriviamo in compagnia di Juan Manuel, dal quale ci separiamo solo per trovare l'albergue che fa per noi, essendo le sue esigenze molto più raffinate delle nostre. Ci diamo comunque appuntamento per la sera con il fine di trascorrere un altro po' di tempo in compagnia. Troviamo subito il rifugio che fa al caso nostro: l'Albergue Edreira sorge poco fuori dal centro abitato (a dire il vero comunque molto piccolo), è pulito, molto tranquillo ed offre tariffe accessibili. Abbandoniamo il bagaglio, ci rinfreschiamo con una doccia rigeneratrice e subito usciamo all'aperto in cerca del modo ideale di predisporci all'arrivo alla meta del nostro pellegrinaggio, Santiago de Compostela, che raggiungeremo il giorno seguente: la vicinanza con questa sacra destinazione, così tanto immaginata e desiderata nel corso delle ultime due settimane, ci fa avvertire il dovere di prepararci al suo incontro, un po' come il bambino che chiude per un attimo gli occhi prima di soffiare sulle candeline. E' domenica e la necessità di ottemperare a questa esigenza non può che coincidere con il precetto della messa, che adempiamo presso la chiesa locale: dopo giorni di faticosa marcia guidati solo dal miraggio della tomba di un santo, si sentirebbe a casa in una chiesa anche il fedele inizialmente più vacillante, anche se ora ci rendiamo conto che è così che dovrebbe sempre sentirsi ogni pellegrino nel varcare la soglia di un tempio, vale a dire come accolto in una casa.
La Igrexa Parroquial de Santa Eulalia è il tempio cristiano principale di O Pedrouzo: si tratta di un bell'edificio costruito in stile neoclassico nel XIX secolo, sebbene nel luogo in cui venne eretta esistessero già in precedenza dei resti di una chiesa romano-gotica di epoca più antica distrutta da un incendio nel tardo '800. Sopra la facciata, caratterizzata da un piccolo portale di colore verde smeraldo, spicca una bella torre campanaria dotata di due campane. Ma la vera sorpresa si trova all'interno della chiesa, dove si possono osservare ricche decorazioni alle pareti e soprattutto un pregevole e particolare altare a forma di conchiglia, il simbolo dei pellegrini in cammino verso Santiago de Compostela. La chiesa è intitola a Sant'Eulalia da Merida, martire bambina vissuta nella regione dell'Estremadura nel IV secolo d.C., una delle sante più famose di Spagna. Nata da famiglia cristiana, di lei si racconta che ancora bambina fu costretta a nascondersi con alcuni parenti per sfuggire alle violente persecuzioni indette contro i cristiani dall'imperatore romano Diocleziano. Ma la sua fede fu così forte che fuggì di nascosto, attraversò la campagna invernale a piedi scalzi, giunse al tribunale della vicina città e davanti ai giudici pronunciò semplicemente la parola "Credo!". Venne arrestata e torturata, infine fu posta su un braciere ed arsa viva. La leggenda narra che poco prima che la morte la carpisse la sua anima abbandonò il corpo sotto la forma di una bianchissima colomba. Inoltre la tradizione vuole che sul luogo della sua sepoltura sbocciarono dei fiori bianchi nonostante fosse pieno inverno. Quella parola pronunciata davanti ai carnefici dall'innocente bambina risuona ancora oggi come una potentissima dichiarazione di fede, ed il nome stesso della santa ne testimonia il valore: dal greco eu laleo, vale a dire "colei che parla bene". Assistiamo alla funzione religiosa celebrata da padre Ezio, un anziano parroco di origini italiane: sarei rimasto ad ascoltarlo per ore predicare circa il rapporto tra uomo e Dio, con quel suo modo di parlare e di gesticolare tipicamente italiani (nonostante la messa venisse pronunciata in lingua spagnola) e quella sua dialettica così confidenziale, come un padre che parla al proprio figlio. Un ricordo davvero prezioso, il momento di tutto il pellegrinaggio che forse conserverò con più fierezza, non credo di esagerare nel dire che questa è stata la circostanza in cui mi sono sentito più vicino a Dio, di certo è stato questo l'attimo in cui finalmente mi sono sentito completamente parte del Cammino di Santiago, del suo spirito e del suo immenso potere. Al termine della funzione padre Ezio invita tutti i numerosi pellegrini presenti alla messa a riunirsi intorno all'altare e prima di dare la benedizione chiede ad ognuno il luogo di provenienza: italiani, uruguaiani, spagnoli, tedeschi, inglesi, asiatici, tutti riuniti intorno ad un unico tavolo imbandito; tra tutti i miracoli che si dice siano avvenuti lungo il Cammino di Santiago, questo forse, a pensarci bene, è il più grande. Ricevuta la solenne benedizione facciamo ritorno in albergue e ci prepariamo a trascorrere ciò che rimane della serata. Consumiamo la cena ritrovandoci con Juan Manuel, che incontriamo seduto al bancone di un bar in compagnia Marien, una giovane pellegrina spagnola con cui avevamo già condiviso un piccolo tratto della tappa appena conclusa. L'atmosfera è leggera e gioviale, il successo del resto è vicino. Beviamo birra e spilucchiamo alcune Tapas, piccoli assaggi di diverse pietanze serviti come aperitivo o antipasto, una delle preparazioni culinarie spagnole più tipiche: ci viene spiegato che l'usanza di servire il cibo in piccole porzioni risalirebbe al XIV secolo, epoca nella quale Alfonso XI re di Castiglia, affetto da una grave malattia allo stomaco, ordinò ai propri servitori di accompagnare sempre al vino un assaggio gastronomico per mitigare la digestione dell'alcool; il nome Tapas, letteralmente "tappi", nacque invece tre secoli più tardi, quando ad Alfonso XII di Borbone, re di Spagna, in visita alle spiagge andaluse, venne servito un calice di vino coperto da una fetta di prelibato jamon, di modo da evitare che la sabbia spinta dal vento entrasse nel bicchiere tappandone appunto l'apertura. Questa curiosa storia ci viene illustrata da Marien, di professione storica dell'arte e guida turistica. Il tempo in compagnia dei nostri nuovi amici scorre velocemente e l'ora di coricarsi arriva presto. Nel silenzio del dormitorio però prendere sonno non è facile: questo è il momento in cui ogni pellegrino ripensa alla strada fatta, alla fatica sopportata, alle difficoltà superate ed alla gioie vissute. Sono sicuro che ogni pellegrino a O Pedrouzo si addormenti con un sorriso stampato sul volto.
Tappa 15 (20km): O Pedrouzo - Santiago de Compostela
La tappa comincia con l'entusiasmo tipico delle imprese quasi compiute, oltre che con un'inaspettata variazione sull programma stabilito il giorno precedente: incontriamo infatti Juan Manuel a poca distanza dalla caffetteria alla quale ci siamo fermati per consumare la colazione e ci informa rassegnato che, a causa di un problema al ginocchio peggiorato nel corso della nottata e causato dalla fatica della tappa del giorno prima, non potrà proseguire a piedi insieme a noi, prenderà invece un bus che lo porterà direttamente ed in breve tempo a Santiago de Compostela. Ad ogni modo abbandoniamo senza troppa difficoltà O Pedrouzo e poco oltre il centro abitato imbocchiamo un sentiero sterrato che ci trasporta nuovamente dalla città nel cuore della Natura, per mezzo di un bellissimo bosco illuminato dalla debole luce del sole che filtra attraverso le fronde. Oltrepassiamo minuscoli ed anonimi agglomerati di case ed improvvisamente, al termine di una salita abbastanza impegnativa, veniamo infine sorpresi dal rombo degli aerei in decollo: il sentiero sbuca senza vie di mezzo accanto all'aeroporto di Lavacolla, lo scalo aeroportuale di Santiago de Compostela. In questo tratto iniziale di ultima tappa ci hanno accompagnato Adrian e Janet, i due inglesi che avevano iniziato con noi il pellegrinaggio da Leon e che ora, sempre con noi, lo stanno concludendo: le vie del Signore sono davvero infine, li abbiamo incontrati lungo il sentiero poco fuori da O Pedrouzo. Adrian mostra una parlantina davvero poco britannica, è un vero vulcano di parole, così, decisi a goderci quest'ultimo tratto di pellegrinaggio in silenziosa tranquillità, per goderci ogni suo ultimo respiro, decidiamo di fermarci per pochi istanti accanto alle recinzioni oltre le quali intravediamo le piste di decollo ed atterraggio dell'aeroporto.
Poco prima di giungere qui, una stele di pietra decorata da una conchiglia e da una scritta colorata in un rosso sbiadito ci ha informato dell'ingresso nella municipalità di Santiago de Campostela. Sostiamo il tempo necessario a distanziare Adrian e Janet: il pellegrino deve sempre sapere quando è il momento di procedere in solitudine. Dopo aver costeggiato per alcuni chilometri l'aeroporto, ci discostiamo dalla sua rumorosa pista di atterraggio e penetriamo nel piccolo villaggio di San Paio: qui scorgiamo per la prima volta alcune piccole sorgenti d'acqua alimentate dal Rio Lavacolla e ci immaginiamo i pellegrini del lontano passato lavarsi e rinfrescarsi con esse. L'usanza era infatti quella, dopo lunghi giorni di faticoso cammino, di detergere il copro e, simbolicamente, di purificare lo spirito per mezzo dell'acqua con lo scopo di giungere alla tomba di San Giacomo il Maggiore puliti e in ordine. Questa tradizione è forse meglio comprensibile se pensiamo all'abitudine, più familiare alla nostra cultura, di indossare il vestito buono per assistere alla messa domenicale. Ci lasciamo alle spalle San Paio e la sua bella chiesetta rurale, con le pareti in pietra e circondata da profumatissimi tigli in fiore; poco più in là incontriamo, al termine di una leggera salita, il centro abitato di Lavacolla, frazione della vicina cittadina di Subugueira, circa 170 abitanti. Il suo nome deriverebbe dal latino lava colea, cioè "lava i testicoli", secondo un modo alquanto colorito di indicare l'antica usanza dei pellegrini di lavarsi nel vicino omonimo fiume prima di arrivare a Santiago de Copostela.
Il centro del villaggio è contrassegnato dalla Igrexa de San Paio de Subugueira, costruita in stile neoclassico nel XIX secolo. Per arrivare dinnanzi alla sua bella facciata, caratterizzata da un piccolo lucernario semicircolare e più in alto da una modesta torre campanaria, dobbiamo percorrere una ripida scalinata ai piedi della quale è posta la Cruz do Homo Santo, antico crocifisso in pietra risalente al XIV secolo e trasportato qui dal Mosteiro de San Martiño Pinario di Santiago de Compostela. Proseguiamo oltre e la salita si fa subito più impegnativa: abbandoniamo Lavacolla attraversando una larga strada carraia, ci inerpichiamo su un sentiero ombreggiato che tramite continui tornanti si arrampica verso l'alto, superiamo la piccola località di Villamaior, quindi percorriamo una brutta area industriale nella quale hanno sede anche gli uffici di alcune importanti emittenti televisive spagnole. Un ultimo tratto di salita ripidissima esposta al sole battente ci proietta infine all'ordinato villaggio di San Marcos, preludio al raggiungimento della vetta del Monte do Gozo: questa collina è celebre per essere l'anticamera a Santiago de Campostela, che da qui dista solo 5km. Dalla sua cima, ad un'altitudine di 385m s.l.m., il pellegrino può scorgere in lontananza, per la prima volta, le guglie della cattedrale sopra il formicaio urbano della città. E' l'ultima salita prima di raggiungere la meta finale del pellegrinaggio. L'insieme di tutte queste caratteristiche giustifica appieno il suo nome, dallo spagnolo letteralmente "monte della gioia": in questo luogo, da secoli, i pellegrini si fermano a contemplare il sacro obiettivo di tante fatiche, l'oggetto di spirituale desiderio immaginato così tante volte nelle lunghe giornate di marcia sotto il sole torrido o nella pioggia gelida, alcuni cantando e saltando dalla gioia, oppure abbracciando i preziosi compagni di viaggio con i quali sono stati condivisi innumerevoli passi, altri semplicemente posando lo zaino a terra e sedendo ad ammirare l'orizzonte. Anche per noi, come per loro, è il momento della gioia: Santiago de Compostela è proprio lì davanti ai nostri occhi, quasi a portata di mano.
L'importanza di questo luogo è legittimata anche da una visita che papa Giovanni Paolo II vi compì nell'estate del 1989, in occasione del raduno per la Giornata Mondiale della Gioventù che si tenne proprio sul Monte do Gozo. A memoria di tale evento si trova oggi sulla cima dell'altura il Monumento a Juan Pablo II, una grande opera commemorativa composta da una base trapezoidale sui lati della quale sono scolpite le immagini di papa Giovanni Paolo II e di San Francesco, sulla sua sommità è posta un'imponente scultura contemporanea raffigurante una croce contornata dalle figure di due pellegrini e poggiata su ampi archi circolari di metallo, opera dell'artista brasiliana Yolanda d'Augsburg Rodrigues che la realizzò nel 1993.
E' questa imponente installazione a dominare completamente lo spazio della cima del Monte do Gozo, vigilata a breve distanza dallo sguardo solenne di una piccola e modesta cappella eretta in epoca recente sul luogo in cui precedentemente sorgeva una chiesa voluta dall'arcivescovo Diego Gelmirez e caduta in rovina nel corso del XVII secolo. Si tratta della Capela de San Marcos e la storia di questo piccolo edificio religioso nasconde una mitica vicenda legata al santo a cui è votata: si narra infatti che San Marco, in cammino verso Santiago de Compostela, incontrò uno sprezzante giovane pellegrino, in viaggio dalla Germania, proprio mentre saliva le pendici del Monte do Gozo. Costui camminava sostenendosi su un solido bastone all'estremità del quale erano appesi numerosi sandali consumati che il viandante aveva utilizzato nel corso delle tappe precedenti del pellegrinaggio. San Marco, fiaccato dalla fatica della salita che stava compiendo per giungere sulla cima dell'altura, chiese al giovane quanto distasse Santiago de Compostela, e costui, malignamente, gli mentì rispondendo che sarebbero serviti ancora tanti sandali quanti ne teneva appesi al proprio bastone per giungere alla città: un'antica tradizione voleva infatti che il primo di un gruppo di pellegrini a giungere alla cima del monte avrebbe a buon diritto potuto farsi chiamare "Rey de la Peregrinacion". Ad ogni modo San Marco, scoraggiato e sfinito, arrestò la propria marcia e, compiute ancora poche decine di passi, si fermò e costruì una piccola cappella all'interno della quale si rifugiò: la costruzione venne realizzata sfortunatamente con l'ingresso rivolto dalla parte opposta rispetto alla direzione da tenere per giungere a Santiago de Compostela, così che San Marco non si accorse mai di essere ad una brevissima distanza dalla meta e non la raggiunse mai. Oggi la Capela de San Marcos concede un prezioso momento di quiete e di riposo all'ombra dei bassi alberi che ne popolano il piccolo giardino cintato, gradita pausa che i pellegrini possono cogliere per godere appieno della fierezza di essere giunti fino a qui.
In lontananza, oltre il Monumento a Juan Pablo II, le pendici del monte planano dolcemente a valle, sopra dolci e soleggiati prati erbosi, verso i confini di Santiago de Compostela. E lungo il versante, le Estatuas de Peregrinos, le statue di bronzo raffiguranti due pellegrini fermi in perenne posa di saluto verso la città che custodisce il sepolcro di San Giacomo il Maggiore, completano il quadro arricchendo una vista già di per sè pregna di stupore.
E' già il momento di rimettersi in cammino. Scendiamo dal Monte do Gozo attraversando il moderno centro di accoglienza per pellegrini che risulta attualmente in stato di completo abbandono: decine di dormitori dismessi, bar e ristoranti fatiscenti, viali di accesso invasi dalle erbacce. Ci sembra di attraversare uno scenario degno del più classico degli zombie movie, l'atmosfera è davvero sinistra, non incontriamo anima viva e tutto intorno domina un silenzio surreale ed agghiacciante. Non conosco cosa sia successo a questo centro di accoglienza nè per quale motivo sia caduto in rovina apparentemente a breve distanza dalla sua apertura, certo fa un po' dispiacere pensare alle risorse investite inutilmente in un'opera così ingente e vasta, è infatti senza ombra di dubbio il rifugio per pellegrini più grande presente sull'intero percorso del Cammino di Santiago. Terminata la discesa siamo catapultati direttamente all'interno dello spazio urbano: l'approccio appare freddo ed anonimo, camminiamo sopra una stretta passerella di legno posta ai lati della strada carraia e sopra il passaggio ferroviario, e poco più avanti, oltre un trafficato incrocio, incontriamo ai bordi della via il fatidico cartello di metallo che ci annuncia l'ingresso nel territorio della nostra ultima meta, tappezzato da centinaia di disparati adesivi. Siamo finalmente a Santiago de Compostela. Pensiamo di essere già arrivati e di avercela quindi già fatta ma ci sbagliamo: il tragitto è ancora lungo e faticoso. Ci immergiamo in un'asfissiante periferia cittadina, dominata dal cemento, dallo snervante rumore delle automobili, e da alti palazzi moderni. Il caldo è intenso e la delusione nel capire passo dopo passo che il termine della marcia è ancora lontano sfianca la mente oltre che il corpo. Non vediamo l'ora di arrivare a destinazione ed i passi vanno come fuori giri. La prima chiesa che si incontra è la Igrexa de San Lazaro, costruita nel 1924 su progetto di Josè Lopez Rego, completamente inglobata nel caos della metropoli. Più avanti superiamo la Porta do Camiño, il punto che segna l'ingresso nel casco historico della città: qui un tempo sorgeva un arco di pietra che costituiva uno dei sette portali di accesso a Santiago de Compostela, quello abitualmente utilizzato dai pellegrini in cammino. Di quell'arco oggi non rimane nulla, solo il nome, essendo stato distrutto durante l'assedio a cui il califfo Almanzor sottopose la città nel X secolo. Proseguiamo su Rua San Pedro e dopo ad occhio e croce un paio di chilometri, superata la raccolta Praza 8 de Marzo, arriviamo in Praza Cervantes: quest'ultima piazza, conosciuta fino al XII secolo con il nome di El Foro in quanto qui venivano annunciati dai banditori al popolo gli editti municipali ed ecclesiastici, offre al centro la statua del romanziere creatore di don Chisciotte, e sullo sfondo la facciata austera della Igrexa de San Bieito do Campo, eretta originariamente nell'XI secolo anche se poi la sua struttura fu riformata ripetutamente nel corso del XII secolo, del XIV secolo, e del XVIII secolo. Dalla piazza imbocchiamo Rua Acibecheria che ci conduce direttamente in Praza da Azabacheria: questa piazza (conosciuta anche come Praza da Inmaculada) deve il proprio nome al fatto che in epoca medievale ospitava numerose botteghe di artigiani ed orafi abili nel lavorare il giaietto, pietra fossile scura che in spagnolo assume proprio il nome di azabache. E' questa la prima delle quattro piazze che circondano la cattedrale, ed infatti ad una sua estremità non si può non notare, primo assaggio di questo meraviglioso tempio sacro della cristianità, la movimentata Fachada de Azabacheria, la facciata nord della cattedrale, opera stupenda di Domingo Lois Monteagudo e di Clemente Fernandez Sarela, che la realizzarono nel 1769 in elegante stile neoclassico su una precedente versione realizzata intorno al 1122 da Bernardo il Vecchio ma andata distrutta in un incendio nel 1758.
Sul lato opposto della piazza sorge invece il Mosteiro de San Martiño Pinario, monastero fondato nel X secolo per ospitare una comunità di monaci benedettini trasferitisi dalla vicina cattedrale dopo che l'incursione militare del califfo Almanzor ne aveva gravemente danneggiato la struttura. Della sua storia non si conosce molto, ma si sa per certo che nei secoli successivi alla sua costruzione acquisì progressivamente grande importanza fino a diventare il monastero più ricco e potente di tutta la Galizia.
I suoi edifici ospitano oggi il seminario compostellano, alcune facoltà dell'università cittadina, ed un hospital di lusso per pellegrini (nel quale non aspettatevi di trovare posto all'ultimo minuto), mentre la sua chiesa, la Igrexa de San Martiño Pinario, opera del XVII secolo di Mateo Lopez e di Benito Gonzalez de Araujo, sorta su un precedente edificio del XII secolo voluto dall'arcivescovo Diego Gelmirez, oggi sconsacrata, ospita un museo di arte religiosa. Rimane comunque intatta l'immensa bellezza del complesso conventuale, con la meravigliosa facciata della chiesa riccamente decorata ed accessibile allo sguardo attraverso una monumentale scalinata dalla vicina Praza de San Martiño, oltre all'aristocratica facciata laterale lungo la quale si apre il portale principale del monastero affacciato proprio su Praza da Azabacheria.
Circondati da cotanta bellezza compiamo gli ultimi passi del nostro percorso di pellegrinaggio: attraversiamo la piazza e passiamo sotto l'Arco do Pazo mentre il suono di una gaita (strumento tradizionale gallego simile ad una cornamusa il cui nome deriverebbe dal galiziano gaits o gata, vale a dire "capra", dal tipo di pelle con il quale è confezionato) riempie l'aria delle proprie allegre note. Sbuchiamo accompagnati dal folclore della musica popolare galiziana in Praza do Obradorio, è qui che ogni giorno si conclude il Cammino di Santiago per centinaia di pellegrini. Ed eccoci tornati al principio di questo incredibile racconto, fermi con la testa rivolta verso l'alto ad ammirare la facciata principale della cattedrale di Santiago de Compostela, lo scrigno sacro della tomba di San Giacomo il Maggiore. Ci fermiamo. Osserviamo attentamente tutto ciò che ci circonda. Ci scambiamo sguardi in un silenzio magico ed incorruttibile, mentre intorno a noi si svolge inesorabilmente l'abituale vita frenetica della città. Posiamo gli
zaini e come animali sfiniti ci lasciamo cadere a sedere sul suolo duro. E lì rimaniamo per interminabili e dolcissimi minuti a tentare di assaporare tutto il gusto dell'impresa realizzata: ancora una volta il miracolo del magnetismo di Santiago di Compostela si è compiuto, altri due pellegrini si sono lasciati attrarre attraverso le fatiche di 320km di cammino. Siamo arrivati. "Eppure", rifletto pensando al percorso compiuto ed ai volti incontrati, "questo è sicuramente un inizio".
Tappa 16: Santiago de Compostela
Il giorno successivo lo dedichiamo interamente alla visita della città ripartendo da dove l'avevamo interrotta il pomeriggio precedente. Un meritato e finalmente sereno riposo goduto in una tranquilla camera privata presso il raffinato Hotel Mouro ci ha fatto magicamente recuperare parte delle energie spese nelle settimane appena trascorse. Del resto la curiosità è tanta e l'eccitazione ancora di più. Ripartiamo da Praza do Obradorio, letteralmente Piazza dei Laboratori, così chiamata in quanto sul suo spazio in passato si affacciavano numerose botteghe di artigiani. Sullo sfondo della piazza si staglia il Pazo de Raxoi, palazzo istituzionale ed elegante, attualmente sede del municipio, costruito nel 1766 dall'architetto Carlos Lemaur su ordine dell'arcivescovo Bartholomè Rajoi (in galiziano Raxoi, da cui il nome dell'edificio) con il fine di stabilirvi un seminario per prelati confessori.
Tenendo alle spalle questo importante monumento è possibile osservare sulla destra, ai margini della piazza, il Colexio de San Xerome, piccolo edifico costruito nel 1652 su ordine dell'arcivescovo Alonso de Fonseca per essere destinato ad ospitare una scuola riservata agli indigenti ed agli artisti, oggi è la sede del rettorato universitario; sulla destra invece si erge l'Hostal dos Reis Catolicos, pregiato edificio storico nel quale oggi è collocato un lussuoso albergue privato.
Tale monumentale costruzione venne realizzata intorno al 1486 dall'architetto Enrique Egas su commissione dei Re Cattolici, Ferdinando II d'Aragona ed Isabella I di Castiglia, con il fine originario di dare rifugio e cure mediche ai pellegrini bisognosi giunti al termine del pellegrinaggio, compito che effettivamente assunse egregiamente fino al XIX secolo. Al tempo della sua edificazione l'importanza di questo edificio fu tale da conferire il proprio nome alla piazza sulla quale sorge, l'attuale Praza do Obradorio, che era conosciuta appunto in passato con il nome di Praza do Hospital. Oggi l'Hostal dos Reis Catolicos riveste invece una funzione più mondana e meno necessaria, comunque è inevitabile rimanere ammirati davanti al suo portale d'accesso riccamente decorato con decine di figure scolpite e sopraffini bassorilievi, anche se il suo aspetto aristocratico e frivolo stona un po' con la solenne facciata della vicina cattedrale. Ed è infatti proprio la Catedral Basilica Metropolitana de Santiago de Compostela a dominare incontrastatamente lo spazio di Praza do Obradorio. Le origini di questo che senza ombra di dubbio è il luogo simbolo di tutta la città, baluardo sempiterno e luminosissimo della cristianità, risalgono a tempi antichi: un primo tempio intitolato a San Giacomo il Maggiore sorse, secondo la tradizione, sul luogo della sua sepoltura già nel IX secolo, per volere di Alfonso II re delle Asturie e con il patrocinio del vescovo Diego Pelaez. In questa piccola primitiva chiesa si stabilì un'esigua comunità di monaci benedettini e grazie all'opera di accoglienza di questi frati iniziarono in questo periodo storico i primi pellegrinaggi alla tomba dell'apostolo. Dopo l'opera di ingrandimento e ristrutturazione in stile protoromaonico che il tempio subì nell'anno 899 d.C. per volere di Alfonso III re delle Asturie, la chiesa venne data alle fiamme durante l'invasione ed i saccheggi condotti in città nel 997 d.C. dalle truppe saracene comandate dal califfo Almanzor: in quest'occasione furono depredate le campane ed i preziosi portali della chiesa, bottino di guerra che gli arabi fecero trasportare dagli schiavi cristiani a Cordoba, città sede del califfato, dove vennero annesse alla moschea cittadina. Solo nel 1236, anno in cui il re castigliano Ferdinando III conquistò Cordoba, le campane ed i portali vennero ricondotti nella Spagna cristiana, e più precisamente a Toledo dove furono impiegati per la costruzione di una nuova cattedrale. Oggi non rimane alcun segno del tempio protoromanico risalente all'epoca dell'invasione di Almanzor, dato completamente alle fiamme con l'eccezione della tomba di San Giacomo il Maggiore per ordine esplicito del califfo stesso, il quale intendeva rispettarne la sacralità. Sono stati invece recentemente rinvenuti, sotto l'abside della chiesa moderna, alcuni resti del tempio primitivo fondato nel IX secolo, tra cui un altare di pietra grezza ed un sepolcro ricoperto da un mosaico romano: tali ritrovamenti sono noti con il nome di Arca Marmarica, termine derivante dalla storpiatura della dicitura latina Arca Marmorica, vale a dire "arca di marmo", con cui in scritti antichi veniva indicato proprio il sepolcro di San Giacomo il Maggiore. Sulle rovine di questo disastroso assedio saraceno venne successivamente eretta, a partire dall'anno 1075, la cattedrale moderna: i lavori di realizzazione di questo stupefacente edificio proseguirono fino al XIII secolo e la chiesa venne consacrata solo nel 1211 dall'arcivescovo Pedro Muñiz alla presenza di Alfonso IX re di Leon. Nell'attuazione di questa immane opera numerosi furono gli architetti, gli scultori, i manovali, i carpentieri, i tagliapietre, i pittori, i fabbri che vi parteciparono, un'immensa comunità di artigiani, tra i più abili dell'epoca, giunti a Santiago de Compostela per donare a San Giacomo il migliore dei sepolcri: tra i più attivi vi furono gli scultori Bernardo il Vecchio insieme all'aiutante Roberto Galperino, il figlio Bernardo il Giovane, il Maestro Esteban, il Maestro Mateo, quest'ultimo fu forse il più celebre dei partecipanti alla realizzazione della cattedrale. A partire dal XV secolo la città di Santiago de Compostela conobbe poi un lungo periodo di declino susseguente alla scoperta delle Americhe che concentrò l'attenzione sui porti meridionali della Spagna. Tale periodo d'ombra proseguì fino al XVI secolo, epoca nella quale venne inaugurata l'università compostellana, attualmente una delle più importanti di Spagna, evento a cui conseguì una spinta intellettuale che provocò, nel corso dei secoli successivi, una lenta rinascita della città in termini economici, commerciali, oltre che culturali. Tutte queste vicende furono attraversate invariabilmente e senza deviazioni dal Cammino di Santiago, che fin dalle origini della città ne costituì l'anima, ed il centro vitale di questo percorso di pellegrinaggio è appunto la cattedrale, luogo di sepoltura di San Giacomo il Maggiore. La devozione dei pellegrini e degli artigiani che lavorarono alla sua costruzione si riflette perfettamente nel suo aspetto odierno: manifesto di tale secolare dedizione è la Fachada do Obradorio, la facciata principale, realizzata in stile barocco dall'architetto Fernando de Casas Novoa (celebre architetto nativo proprio di Santiago de Compostela) a metà del XVIII secolo. E' davvero un peccato non poterne ammirare la strabiliante bellezza, unica ed inconfondibile, visto che al nostro arrivo a Santiago de Compostela la troviamo imprigionata all'interno di impalcature metalliche funzionali ad una globale opera di restauro che dovrebbe interessare la cattedrale nella sua interezza fino al 2020 e che al momento non ci permette di avvicinarci alla facciata consentendoci solo di osservarla da lontano. Ciò che possiamo sicuramente ammirare però è l'elegante scalinata di pietra, opera dell'architetto Gines Martinez, la quale conduce al Portico de la Gloria, il portale principale del tempio, nascosto alla nostra vista dietro recinzioni edili. Ai lati della facciata si innalzano invece due torri gemelle alte ben 76m: la torre di destra è la Torre das Campanas, la torre campanaria vera e propria, ospita sulla cima tre campane ed è contraddistinta da una statua di Maria Salomè, madre di San Giacomo il Maggiore, posta ad ornarne la superficie; la torre di sinistra è la Torre da Carraca, così chiamata in quanto ospita sulla cima un singolare strumento (chiamato Carraca per l'appunto) costituito da quattro casse di risonanza di legno di castagno disposte a croce e collegate ad un braccio dentato per mezzo del quale vengono fatte girare velocemente emettendo un suono simile ad un forte frastuono. Tale strumento, comune in epoca medievale ma oggi ormai caduto in disuso, viene azionato nel periodo della Settimana Santa per smorzare e coprire, in segno di penitenza, il festoso suono delle campane. Il manufatto attualmente presente sulla cima della torre è una copia dello strumento originale realizzata nel 2010.
L'ampio perimetro dello spazio aperto di Praza do Obradorio è completato dal Pazo de Xelmirez, palazzo episcopale costruito in stile romanico nel XII secolo su ordine dell'arcivescovo Diego Gelmirez (Xelmirez in galiziano), posto proprio accanto alla facciata della cattedrale. La sua sagoma passa quasi inosservata rispetto alla magnificenza della vicina Fachada do Obradorio, tuttavia è questo palazzo ad accompagnare tutti i pellegrini alla destinazione finale: l'Arco do Pazo si apre proprio nello spessore delle sue mura. L'edificio fu residenza di Diego Gelmirez, primo arcivescovo di Santiago de Compostela, fondamentale promotore della conclusione dei lavori di costruzione della cattedrale tra l'XI secolo ed il XII secolo, fu sempre lui a trasportare anche numerose reliquie sacre tra i confini della città, attribuendo ulteriore prestigio ed importanza religiosa alla località, infine fu decisivo fautore della trasformazione della cittadina in meta di pellegrinaggio e luogo di culto universalmente riconosciuto. Insomma, Diego Gelmirez fu sicuramente uno dei creatori della storia e dell'anima di Santiago de Compostela. La sua esistenza non fu però tutta rose e fiori: nel 1117 l'arcivescovo fu costretto infatti a rifugiarsi nel proprio palazzo per sfuggire alle rivolte popolari insorte contro la sua persona a causa della concessione a suo beneficio da parte di Alfonso VII re di Leon dei poteri feudali sui territori compostellani, decreto che venne giudicato dalla popolazione come un'indebita appropriazione di potere da parte del clero. Ad ogni modo, la fama di inespugnabile fortezza del palazzo venne ulteriormente rafforzata nel corso del XVIII secolo, quando ai due piani già esistenti venne aggiunto un terzo piano per ingrandirne ed irrobustirne gli spazi. Dalla parte opposta rispetto al Pazo de Xelmirez, sul lato sinistro della Fachada do Obradorio, si trova il Museo de la Catedral de Santiago de Compostela, il pregevole spazio espositivo storico, archeologico ed artistico relativo alla storia della cattedrale. Fu inaugurato nel 1930 ed è situato nei sontuosi spazi antichi attigui alla cattedrale stessa; costituisce oggi lo scrigno dentro il quale sono raccolti i reperti di maggior valore relativi all'esistenza del meraviglioso tempio cristiano a cui è dedicato, dall'epoca romana fino a quella moderna. Una visita a questo museo è sicuramente il coronamento dell'avvenuto pellegrinaggio, non obbligato ma
vivamente consigliato ad ogni pellegrino che abbia concluso il proprio
itinerario, ed allo stesso modo
nemmeno noi ce lo lasciamo sfuggire. Compriamo i biglietti a tariffa
agevolata per i pellegrini (solo 4€) e scopriamo che gli ingressi
comprendono anche una visita dei locali del vicino Pazo de Xelmirez, presso il quale è anche situata la biglietteria, occasione che ovviamente non trascuriamo: al piano terra del palazzo episcopale abbiamo così la possibilità di visitare una mostra temporanea che illustra i vari lavori di restauro ai quali la cattedrale è sottoposta dal 2013, e devo ammettere sinceramente che osservare i gravi danni che la struttura del tempio ha subito nel corso dell'ultimo millennio riesce ad attenuare notevolmente la delusione per aver trovato, dopo centinaia di chilometri di cammino, la facciata della cattedrale oscurata dalle impalcature edilizie. Sapere che l'inestimabile patrimonio della cattedrale sarà preservato al meglio per le generazioni future suscita anzi nel mio animo quasi un senso di sollievo e gratitudine. Apprendiamo che i danni strutturali più gravi sono stati perpetrati dall'umidità e dalle infiltrazioni di acqua attraverso le pareti, con grave deterioramento della pietra di costruzione causata, oltre che all'azione erosiva dell'acqua, anche dalla devastante crescita di muffe, muschi e vegetazioni infestanti. Vedere le immagini fotografiche della cattedrale prima dell'inizio dei lavori di restauro, scura di polvere, marezzata di umidità, aggredita dalle erbacce, mi ha fatto malinconicamente pensare che un edificio tanto maestoso non avrebbe meritato tanta incuria. Eppure è successo che nel corso dei secoli, al termine di un processo di costruzione lungo, imponente ed ardito, la cattedrale è stata inspiegabilmente quasi dimenticata, trascurata, l'uomo ha cessato di prendersene cura, forse ingannato dal suo maestoso aspetto che ispira eternità ma nasconde anche una profonda fragilità che forse non fu mai intuita. Oggi a tale errore è posto rimedio con un imponente progetto di ristrutturazione, battezzato con estrema semplicità Progetto Catedral, condotto dai migliori restauratori di Spagna e d'Europa (compresa ovviamente anche l'Italia) con l'impiego di metodi e strumenti tecnologici all'avanguardia, sostenuto da un importante investimento economico pari a circa 6 milioni di Euro e diretto dalla Fundacion Pedro Barriè de la Maza, ente socio-culturale privato galiziano operante senza scopo di lucro. L'esposizione fotografica e documentativa relativa al restauro prosegue anche al piano superiore del Pazo de Xelmirez, all'interno delle antiche camere un tempo abitate dall'arcivescovo e dal suo seguito, le quali ci appaino in un ottimo stato di conservazione. Durante questa visita davvero apprezzata e sorprendente scopriamo con immenso stupore che le sculture della facciata della cattedrale, opera d'arte medievale di incredibile espressività generata dall'inconfondibile estro del Maestro Mateo, erano in origine coperte da una vivace pittura variopinta dissoltasi con il tempo e con l'esposizione agli agenti atmosferici: immaginare queste bellissime sculture impresse lungo la superficie della facciata ed animate da innumerevoli colori deve aver reso la figura della cattedrale viva di vita vera. Terminata la visita al Pazo de Xelmirez proseguiamo a visitare il Museo Catedralicio vero e proprio: al piano terra troviamo una raccolta di decorazioni in pietra provenienti da varie sezioni della cattedrale. Poi, in uno spazio più grande ed appartato, troviamo il pezzo pregiato della collezione: il Coro Petreo venne realizzato nell'anno 1200 dal Maestro Mateo e fu il primo coro annesso alla cattedrale moderna, posizionato al centro dell'intersezione tra la navata centrale e il transetto. Precedente a questo coro ne fu costruito uno più antico su ordine dell'arcivescovo Diego Gelmirez a completare lo spazio della primitiva chiesa preromanica di cui oggi peraltro non rimane traccia nè documento. Splendida opera di arte romanica, il Coro Petreo comprendeva 72 sedute poste in due file sovrapposte, assegnate ai prelati a seconda della loro importanza gerarchica, oltre ad una piattaforma centrale sulla quale era disposto un leggio. La sua struttura ripercorreva quella di una compatta civitas Dei, una "cittadella di Dio", vale a dire un tempio dentro al tempio, un luogo di raccoglimento all'interno del quale i religiosi erano separati rispetto alla folle di fedeli che occupavano esternamente le navate. Purtroppo questa preziosa opera venne demolita tra il 1603 ed il 1604 per volontà dell'arcivescovo Juan de Sanclemente, il quale, desideroso di posizionare la propria cattedra in una posizione più centrale rispetto a quella garantita dal Coro Petreo, ne ordinò la ristrutturazione che si tradusse poi nel suo completo smantellamento. Beffarda curiosità, nel corso dei lavori di dismissione, l'arcivescovo Juan de Sanclemente morì e venne sostituito dall'arcivescovo Massimiliano, il quale nominò l'architetto Gines Martinez a capo dei lavori di costruzione di un nuovo coro. La creazione del Maestro Mateo venne scorporata e le sculture che la componevano furono in parte riutilizzate per la realizzazione di lavori di restauro e costruzione in altre parti della cattedrale o addirittura nell'edificazione di templi in altre località. Solo nel 1995 si intraprese un'ambiziosa opera di recupero e restauro promossa dalla Fundacion Pedro Barriè de la Maza: i vari frammenti dispersi a Santiago de Compostela ed in tutta la Spagna vennero pazientemente recuperati, restaurati, riassemblati e completati con manufatti moderni simili a quelli originari andati perduti. Il risultato è oggi esposto presso il Museo Catedralicio, incredibile opera di restauro moderno grazie alla quale è possibile ammirare le meravigliose sculture delle volte e delle arcate scolpite dal Maestro Mateo. Questo è davvero il reperto più importante custodito nel museo, ma di certo non l'unico degno di interesse. Proseguiamo la visita al primo piano dove sono esposte una raccolta di opere raffigurative religiose, alcune delle quali ritraenti la mitica immagine di Santiago Matamoros, rappresentazione iconica di San Giacomo in sella ad una possente cavalcatura nell'atto di uccidere il nemico saraceno, oggetto di speranzosa venerazione nell'epoca delle cruente lotte iberiche tra cristiani ed arabi.
Attraverso il piano successivo si accede al Claustro, un ampio chiostro interno sopraelevato, davvero prezioso, opera del 1521 di Juan de Alava e di Juan Gil de Hontañon (padre del più celebre Rodrigo e capostipite di una fortunata saga familiare di architetti): lungo il suo perimetro porticato sono collocate numerosissime tombe di prelati e chierici attivi nella cattedrale a partire dal XII secolo; il suo centro soleggiato consente la vista più prossima che possiate trovare sulla Torre do Reloxo e sulla Torre del Tesouro, oltre ad ospitare pesanti campane antiche deposte al suolo e la Fons Mirabilis, antica fonte in precedenza posizionata all'ingresso della cattedrale per servire i pellegrini assetati; in un angolo sono deposti i resti di un antico sarcofago di pietra che ha ospitato in passato chissà quale nobile personaggio. Lungo un lato del Claustro si apre poi la Capela das Reliquias, maestosa cappella dalle volte vertiginose il cui altare, raffigurante Santiago Matamoros, è costellato da numerose urne reliquiarie e circondato da alcuni sepolcri di pietra decorati con le raffigurazioni in rilievo dei regnanti di Leon tumulati al loro interno, tra cui Alfonso IX e Ferdinando II, oltre a doña Berenguela di Barcellona, passionaria regina castigliana vissuta nel XII secolo. In una piccola stanza attigua a questo Panteon Real è custodito invece il Tesouro Catedralicio che comprende molti preziosissimi oggetti liturgici, alcuni antichi, tutti ornati con pietre uniche e pregiatissime, il cui elemento di spicco è costituito da una ricchissima custodia processionale d'argento realizzata nel 1544 dall'orefice Antonio de Arfe y Villafañe. Tra gli altri oggetti di questa raccolta ci rimane particolarmente impresso anche un calice d'oro donato alla cattedrale in segno votivo dal politico italiano Giulio Andreotti. Sul lato opposto del chiostro si apre invece l'ingresso alla Biblioteca Capitular, la quale contiene attualmente circa 3.000 volumi antichi risalenti ad un periodo tra il XIV secolo ed il XV secolo, gli unici sopravvissuti ad un violento incendio che in passato distrusse buona parte del patrimonio letterario della cattedrale. Accanto alla biblioteca si apre la Sala Capitular, la camera utilizzata in origine per le riunioni capitolari dei prelati, oggi dimora di alcune sculture ritraenti San Giacomo. Al terzo ed ultimo piano si trova infine una collezione di arazzi antichi, alcuni realizzati sui modelli disegnati da Francisco Goya durante il suo primo impiego artistico presso la Real Fabrica de Tapices di Madrid, e soprattutto il bel camminamento porticato esterno che offre una pregevole vista sull'ampio spazio sottostante di Praza do Obradorio. Nel complesso la visita al Museo Catedralicio non vi ruberà più di un'ora, ma arricchirà in maniera inestimabile la vostra esperienza vissuta di Santiago de Compostela.
Al termine della visita usciamo nuovamente all'esterno e ci spostiamo nella vicina Praza das Praterias, la terza delle quattro piazze disposte lungo il perimetro della cattedrale, forse la più raccolta, bella e gradevole. Il nome di questa piazza deriverebbe dalla parola galiziana prata, vale a dire "argento", in quanto sul suo spiazzo in antichità si affacciavano numerose botteghe di argentieri. Al suo centro svetta la Fonte dos Cabalos, elegante fontana realizzata nel 1825 e composta da figure equine disposte intorno ad una statua di San Giacomo. La facciata della cattedrale che si innalza su questa piazza, detta appunto Fachada das Praterias, risale al XII secolo, ed in un angolo, lungo la propria superficie, riporta l'iscrizione "ERA/IC/XVI/V IDUS/JULII" che farebbe riferimento alla data dell'apposizione della prima pietra della cattedrale avvenuta in data 11 luglio 1078. A completare la dote di questa piazza giunge anche la Casa do Cabildo, sede del municipio, elegante costruzione barocca realizzata nel 1785 dall'architetto Clemente Fernandez Sarela. Ed infine, a guardare dall'alto lo spazio della Praza das Praterias, giungono i maestosi profili della Torre do Reloxo e della Torre del Tesouro, le due torri posteriori della cattedrale: la prima venne costruita nel 1316 come torre difensiva, fu successivamente ristrutturata nel corso del XVII secolo dall'architetto Domingo Antonio de Andrade (principale esponente del gotico spagnolo), e solo nel 1833 venne dotata di un orologio a meccanismo che ancora oggi ne contraddistingue l'aspetto; la seconda, con la sua cima squadrata a forma di piramide, molto orientaleggiante, venne realizzata nel XVIII secolo da Simon Rodriguez ispirandosi al mausoleo mesopotamo di Halicarnaso ed all'arte precolombiana. Lungo la facciata esterna della Torre del Tesouro è inoltre posta dal 1915 una targa di bronzo raffigurante il cardinale Martin Herrera nell'atto di benedire i pellegrini di passaggio, consacrazione finale di tutti i cammini di fede guidati da San Giacomo. La Torre do Reloxo, forse la più bella di tutte le torri che svettano dalla cattedrale, è invece dotata sulla cima di una coppia di campane, la più grande delle quali è chiamata dagli abitanti compostellani con l'affettuoso nomignolo di Berenguela in onore dell'arcivescovo Berenguel Landoira che fu il promotore della costruzione della torre stessa.
Attraverso una breve scalinata da Praza das Praterias si giunge in Praza da Quintana: lo spazio di questa piazza era utilizzato in antichità per la sepoltura dei morti, ed ancora oggi infatti viene suddivisa in una parte inferiore conosciuta come Praza Quintana de Mortos, la porzione propriamente deputata un tempo alla funzione di camposanto, ed in una parte superiore chiamata Praza Quintana de Vivos in quanto questa porzione più alta era nel passato come nel presente spazio vissuto dalla cittadinanza. Le due parti sono delimitate da una corta scalinata che le mette in comunicazione tra loro. In Praza Quintana de Vivos si trova la Casa dos Canonigos, edificio poco appariscente progettato nel XVIII secolo da Domingo Antonio de Andrade e da Fernando de Casas Novoa per accogliere i canonici della vicina cattedrale, oggi ospita invece, sotto il suo bel porticato, negozi, ristoranti, taverne, oltre alla sede dell'Associazione Galiziana di Architettura. Di fronte a questo piccolo edificio, attraverso lo spazio della piazza ed oltre una monumentale scalinata, si affaccia la Casa da Parra, elegante opera architettonica ottocentesca di Domingo Antonio de Andrade: di questa costruzione spicca sicuramente il bellissimo glicine colorato di vivaci tonalità violette a ricoprire parte della facciata e della balconata.
Sul fondo di Praza Quintana de Vivos sorge poi la facciata posteriore, austera e fredda, del Mosteiro de San Paio de Antealtares, un antico convento di clausura che ospita attualmente una comunità di monache benedettine. Inizialmente la vocazione di tale monastero venne intitolata a San Pietro, ma il nome venne successivamente cambiato in quello attuale, votato al martire bambino spagnolo San Pelagio, nel corso del XII secolo. L'appellativo Antealtares deriva invece dal fatto che la struttura sorge proprio dirimpetto al luogo di sepoltura di San Giacomo il Maggiore, dallo spagnolo ante altares, cioè "davanti agli altari". L'edificio fu fondato nel corso dell'XI secolo per volere di Alfonso II re di Leon, la sua funzione fu sin da subito quella di dare abitazione alla comunità monacale benedettina impegnata nel dare rifugio ai pellegrini. Solo dal 1499 il monastero perse il suo ruolo di hospital ed assunse mera connotazione di clausura. In seguito e per ragioni ancora ignote, venne demolito e ricostruito nel XVII secolo con l'aspetto che presenta ancora oggi. La severa facciata della sua chiesa è visibile in un piccolo spazio chiuso nella stretta Via Sacra, proprio accanto a Praza da Quintana. Sopra il lato pieno e solido del monastero affacciato sulla piazza si può invece solo notare una targa commemorativa dedicata al Batallon Literario, una forma di resistenza culturale universitaria messa in atto dai giovani compostellani contro il regime napoleonico salito al potere in Spagna nel XIX secolo: questo gruppo studentesco ricevette il patrocinio del vescovo Rafael Muzquiz Aldunate ed i finanziamenti dei marchesi di Santa Cruz de Rivadulla, prese le armi e condusse una lotta militare e culturale contro l'occupazione napoleonica, inevitabilmente venne soppresso nel sangue e furono pochi i suoi esponenti a sopravvivere, tutti vennero decorati con il rango di ufficiali militari.
Tale movimento di ribellione segnò un passaggio di fondamentale importanza nella storia della resistenza compostellana alle forze di occupazione francesi, ed ancora oggi si tramandano le azioni mitiche di questi audaci studenti combattenti che indossavano come segno di distinzione una cintura rossa decorata con le frasi di un breve poema: "Por Rescatar el Rey Fernando VII y Acabar con Bonaparte, Uniose Minerva a Marte", (tradotto: "Per riscattare il re Ferdinando VII e scacciare Bonaparte, si uniscano Minerva, dea greca della ragione, a Marte, dio della guerra"). Ma su Praza da Quintana si affaccia soprattutto la Puerta del Perdon: attraverso questo accesso (oggi aperto purtroppo solo durante gli Anni Giacobei) in passato i pellegrini accedevano alla cattedrale ricevendo in tal modo l'indulgenza plenaria al termine del Cammino di Santiago. Oggi rimane comunque da ammirare il bellissimo portale decorato con decine di sculture e sormontato da una figura scolpita di San Giacomo vestito da pellegrino, circondato dalle immagini dei suoi fedeli discepoli Atanasio e Teodoro. L'accesso alla cattedrale è invece garantito da un portale più modesto posto in Praza Quintana de Mortos: attraverso di esso entriamo nella cattedrale prossimi al mezzogiorno, è l'ora della messa dedicata quotidianamente ai pellegrini.
L'interno della cattedrale è splendido almeno tanto quanto lo è il suo aspetto esteriore: le alte volte coronanti le spaziose navate custodiscono diligentemente un meraviglioso altare dorato, abbagliante nel suo sacro splendore, lucente come solo l'illuminazione della fede salda ed incrollabile può essere, ricco, ineffabile, animato da uno scintillio quasi ultraterreno. E' qui che convogliano tutti gli sforzi delle migliaia di pellegrini che ogni anno, da secoli, compiono il Cammino di Santiago, e non è difficile immaginare che sia la somma di tutti questi sinceri sacrifici a far risplendere la dorata bellezza dell'altare. E' opera di Domingo Antonio de Andrade, che insieme al discepolo Juan de Figueroa lo realizzò in stile barocco nel XVII secolo. A dominare l'altare, sullo sfondo, è posta una statua in pietra di San Giacomo ammantata da una sontuosa cappa argentata, realizzata nel XIII secolo: è questa effige che i pellegrini abbracciano da dietro cingendole in avanti le braccia intorno al collo, un gesto di sublime umiltà tramandato nei secoli a simboleggiare un metaforico abbraccio all'intera città di Santiago de Compostela. Anche noi appena giunti in città, il giorno precedente, avevamo reso il nostro silenzioso omaggio alla figura di San Giacomo, ottemperando al nostro dovere di pellegrini. Subito dopo questa particolare manifestazione di affetto e riconoscenza, ci eravamo diretti alla Cripta Sepulcral, angusto spazio posto proprio sotto l'altare maggiore, all'interno del quale, oltre un'impenetrabile grata di ferro, sono posti i resti di San Giacomo il Maggiore e dei suoi due discepoli, Atanasio e Teodoro. Tali resti furono protagonisti di un'inverosimile vicenda: dopo essere stati recuperati dai sepolcri delle chiese primitive, furono infatti interrati e nascosti in nicchie poste sotto l'altare dall'arcivescovo Juan de Sanclemente, il quale si curò in tal modo che queste sacre spoglie non venissero dissacrate e saccheggiate, in un'epoca in cui le incursioni piratesche condotte dalla costa di La Coruña dal bandito inglese Francis Drake non erano affatto rare. Nel corso dei decenni seguenti il luogo preciso in cui i resti vennero nascosti andò dimenticato, fino a quando il cardinale Miguel Paya y Rico, tre secoli più tardi, decise di riportarle alla luce, promuovendo un'immane opera di ricerca che prevedeva l'effettuazione seriata di scavi lungo tutta la superficie del suolo della cattedrale. Le spoglie vennero in tal modo recuperate, certificate con una bolla papale emessa da papa Leone XIII nel 1884, e poste all'interno di un'urna d'argento finemente cesellata collocata sotto l'altare maggiore, dove si trovano ancora oggi. Il tempo per raccogliersi in meditazione davanti alla tomba di San Giacomo il Maggiore è davvero poco, ma dopo aver percorso centinaia di chilometri con la sola forza delle proprie gambe, risulta come un momento davvero indimenticabile: il santo alfine accoglie presso di sè i propri figli. E' qui che tutti i propositi e le intenzioni seminate lungo il pellegrinaggio vengono ricevute e portate verso l'alto, oltre le volte della cattedrale, in un posto dove forse troveranno realizzazione. E' qui che il pellegrino trova finalmente sè stesso. Risaliti dalla Cripta Sepulcral è doveroso concedersi una breve parentesi turistica per visitare il resto della cattedrale. La navata centrale è imponente ed altissima, contornata in alto su entrambi i lati dalle canne di due splendidi organi realizzati nel XII secolo da Manuel de la Viña. Ad un'estremità, di fronte all'altare maggiore, sta il Portico de la Gloria, magnifico nartece, mirabile esempio di arte romanica, generato dall'abilità del Maestro Mateo, anch'esso nascosto, come la facciata della cattedrale, dietro pesanti impalcature edili. E' questa la tradizionale via di accesso utilizzata oggi dai pellegrini per entrare nel tempio, ma i lavori di ristrutturazione condotti sulla facciata al momento del nostro arrivo non ci hanno permesso di attraversarla. Lungo il perimetro dell'abside e della navata centrale si aprono numerose cappelle minori: tra queste spicca per bellezza la Capela do Pilar, dalle pareti sontuosamente affrescate, eretta nel XVIII secolo da Domingo Antonio de Andrade e da Fernando de Casas Novoa, mentre le sue meravigliose pitture murarie furono realizzate dai migliori artisti galiziani dell'epoca, tra i quali Miguel de Romay, Diego de Sande e Garcia de Bouzas. Più raccolta e tranquilla è la Capela da Corticela, posta com'è ad un'estremità del transetto laterale, un poco nascosta alla vista, lontana dall'ininterrotto flusso di turisti in visita alla cattedrale. Sul luogo in cui sorge attualmente la cappella venne collocato in origine un oratorio condotto dai monaci che amministravano la cattedrale: l'appellativo Corticela deriva infatti dalla parola latina curtis che significa appunto "area recintata". L'oratorio venne completamente distrutto durante l'assedio condotto dal califfo Almanzor, e sul sito in cui sorgeva venne successivamente costruita, nell'arco del XII secolo, l'attuale cappella, la quale rimase però separata dalla vicina cattedrale fino al XVII secolo, epoca nella quale fu realizzato il passaggio di comunicazione tra le due strutture. L'altare della Capela da Corticela ospita oggi una bellissima statua della Vergine Maria dolcemente accarezzata dalla silenziosa penombra che costantemente avvolge lo spazio della cappella; su un lato invece è posta una statua di Gesù orante ritratto nell'episodio dell'orto degli ulivi, e presso di essa è tradizione che i fedeli depongano piccoli fogli di carta scritti con preghiere, propositi e richieste. Proprio mentre girovaghiamo per la cattedrale, poco prima che cominci la messa, incontriamo don Ezio, il parroco di origini italiane che ci aveva accolto con un caloroso sermone al nostro arrivo ad O Pedrouzo, ad una giornata di distanza da Santiago de Compostela: è bello ritrovarlo una volta giunti a destinazione, è un vero privilegio trasportare nel caos della città un po' della tranquillità tipica delle piccole parrocchie di campagna incontrate lungo il percorso. La folla accorsa ad assistere alla Misa del Peregrino
è ingente, i posti a sedere lungo le navate sono tutti occupati e
pertanto siamo costretti ad assistere alla funzione seduti per terra. Inizia la celebrazione e ben presto ci accorgiamo che purtroppo il contesto non è quello che ci eravamo aspettati: le preghiere e le invocazioni pronunciate in varie lingue dal folto collegio di parroci celebranti è costantemente frammentato da un fastidioso brusio di sottofondo; il flusso di turisti intenzionati a visitare l'interno della cattedrale e completamente disinteressati allo svolgimento della funzione religiosa è continuo e rumoroso; qua e là sono collocati solamente alcuni inservienti ai quali è affidata la difficile mansione di limitare, spesso senza successo, il disturbo provocato dalla folla di visitatori, vietando l'uso di macchine fotografiche, imponendo il silenzio e facilitando lo scorrimento della ressa; durante alcune fasi della funzione alcuni cameramen amatoriali si elevano maldestramente sopra la folla improvvisando improbabili riprese sui fedeli intenti alla preghiera. Insomma, non aspettatevi di trovare facilmente nelle celebrazioni il tanto atteso momento di raccoglimento che spetterebbe al pellegrino giunto al termine del proprio viaggio, al contrario immergersi nella solenne atmosfera della preghiera offerta dalla cattedrale risulta difficoltoso, sebbene non sia impossibile, e del resto, giunti alla fine del Cammino di Santiago, ne sentirete fortemente il bisogno e non potrete farne a meno. Un'altra circostanza fastidiosa è costituita dallo strano annuncio diffuso tramite gli altoparlanti prima che inizi la messa ed attraverso il quale si diffidano le persone non aderenti alla fede cattolica dall'assumere l'eucarestia nel corso della funzione imminente: se c'è una cosa che ci ha insegnato il Cammino di Santiago è che non sono certo le differenze di credo religioso a distinguere i pellegrini, e che anzi Cristo si offre a tutti senza discriminazioni. Ma questa è solo un'interpretazione personale e certo è che serve rispetto e consapevolezza nell'approcciarsi ad un rito sacro come quello della messa, cosa che in effetti abbiamo percepito poco nel caotico ambiente dentro la morsa del quale la cattedrale è costretta. Terminata la messa usciamo nuovamente in Praza do Obradorio, imbocchiamo la vicina Costa do Cristo e qui ci fermiamo a consumare il pasto presso il ristorante Enxebre: avevamo saputo che qui quotidianamente viene offerto il pranzo a titolo completamente gratuito a dieci pellegrini, i primi della giornata a ritirare la Compostela. Ovviamente il letto comodo dopo settimane di dormitori ha avuto la meglio e non siamo tra loro. Ci godiamo comunque uno squisito hamburger ad un prezzo più che giusto. Una volta finito di mangiare approfittiamo della sorniona prima ora pomeridiana per ritirare la nostra Compostela, una sorta di certificazione redatta in lingua latina che attesta il compimento del pellegrinaggio alla tomba di San Giacomo il Maggiore a condizione che siano stati percorsi almeno gli ultimi 100km (200km se si viaggia in sella alla bicicletta) di cammino. Tale condizione è comprovata dall'esibizione della Credencial del Peregrino, sulla quale abbiamo collezionato i vari Sellos al passaggio nelle diverse località disseminate lungo il percorso. Tale documento, oggi divenuto una mera formalità, rivestì in epoca medievale una cruciale importanza: era la prova che gli emarginati sociali o i condannati ad una pena civile dovevano riportare al proprio luogo di provenienza per essere riammessi nella propria comunità. Compiere il Cammino di Santiago riabilitava queste persone agli occhi dei propri concittadini e permetteva loro di ricominciare una nuova vita.
Intenzionati anche noi a ricevere la nostra Compostela, e speranzosi di trovare una ressa meno numerosa di quella che ci aveva scoraggiato nel corso della mattinata, scendiamo lungo la Costa do Cristo ed arriviamo in un piccolo spiazzo sul quale si affaccia la Igrexa Parroquial de San Fructuoso, uno dei pochi luoghi prossimi al centro della città nel quale trovare un po' di tranquillità. Questa chiesa raccolta ed intima venne realizzata nel XVIII secolo su progetto dell'architetto Lucas Ferro Caaveiro (da molti considerato il precursore galiziano dell'architettura moderna), meravigliosa è la sua facciata adornata da una pregevole scultura raffigurante una Pietà mariana e più in alto dallo stemma araldico della Spagna scolpito nella pietra. Sulla cima, intorno alla torre campanaria, svettano infine quattro statue raffiguranti le quattro Virtù Cardinali. Proseguiamo su Rua das Carretas ed al termine di questa giungiamo alla Oficina de Acollida ao Peregrino: è qui, in una costruzione moderna ed anonima, aperta con orario continuato dalle ore 08:00 alle ore 21:00 (orario estivo), che viene distribuita gratuitamente al pellegrino la Compostela (è richiesto solo 1€ nel caso si voglia acquistare una custodia rigida per conservare il documento). Aspettiamo in fila appena una mezz'ora prima di arrivare al banco di consegna e finalmente conquistiamo il nostro prezioso attestato. Fuori dall'edificio incontriamo Elia e Valentina: anche loro hanno appena ritirato la Compostela ed è bello vedere il sincero orgoglio dipinto sui loro volti sorridenti.
Assolta anche questa incombenza facciamo ritorno verso il centro passando davanti al Convento de San Francisco de Val de Deus, situato in prossimità dell'Oficina de Acollida ao Peregrino. Si tratta di un monastero francescano fondato nel XIII secolo ed appartenuto, in origine, ai territori governati dal vicino Mosteiro de San Martiño Pinario, il quale si dice lo cedette in cambio della fornitura annuale di un paniere ricolmo di pesce fresco, convenzione che sembra che proseguì effettivamente fino al XVIII secolo. Le origini di questo imponente edificio sono circondate da una nube di leggenda: si racconta infatti che San Francesco, giunto pellegrino alla tomba di San Giacomo il Maggiore, trovò riparo presso l'umile abitazione di un carbonaio di nome Cotolai. Il santo commissionò al proprio povero ospite la costruzione di un monastero, e quando costui ribattè di non possedere nulla per compiere una simile opera, San Francesco gli indicò con precisione un punto del terreno in cui andare a scavare. Cotolai si mise subito al lavoro e, rimossi alcuni metri di terra, si imbattè effettivamente nella scoperta di un ricchissimo tesoro. Fu in tale rocambolesco modo che il convento vide la luce, ed il suo costruttore, il carbonaio Cotolai, ancora oggi riposa nel proprio sepolcro posto sotto le volte del magnificente tempio che costruì. La facciata della chiesa appare bellissima, in stile barocco, ed è il frutto di un'importante opera di ricostruzione condotta a metà del XVIII secolo da Simon Rodriguez, dopo che per anni l'edificio cadde in stato di completo abbandono: sorge ai piedi di una bella scalinata, all'interno di un piccolo avvallamento del terreno chiamato Val de Deus, da cui il nome dell'intero complesso monastico. Sulla cima della scalinata, a lato della facciata della chiesa, sorge un'alta scultura ritraente il patrono del convento, San Francesco, realizzata apparentemente in epoca più moderna. Oggi all'interno degli edifici monastici è stato ricavato un albergue di lusso (inavvicinabile!), mentre all'interno della chiesa, sotto vertiginose volte costruite per toccare i cieli, sono conservate alcune importanti reliquie, tra le quali anche un frammento della Santa Croce incastonato in un crocifisso di metallo posto in una cappella laterale. Dopo un po' di necessario riposo, l'appetito si fa sentire e ci rimettiamo in cerca di un buon pasto per cena.
Ci dirigiamo inevitabilmente verso Rua da Raiña, forse la via più mondana di Santiago di Compostela, animata da una folla di avventori vocianti e costellata da numerosi ristoranti, tavole calde, pulperias, e chi più ne ha più ne metta. Se cercate un buon posto dove mangiare, qui troverete ciò che fa per voi. Ad un lato della via si apre improvvisamente Praza de Fonseca, minuscola piazza dominata sul fondo dal Pazo de Fonseca, elegante edificio seicentesco oggi sede dell'università compostellana. La Paella del ristorante Monroy è passabile e riempie bene lo stomaco, la spazzoliamo in compagnia di Maria che abbiamo ritrovato a Santiago de Compostela, dove è giunta il giorno prima di noi: nonostante ci abbiano separato solo poche giornate, giunti come siamo al termine del pellegrinaggio dopo averne condiviso una buona parte, la cena assume inevitabilmente le sembianze di un divertente amarcord. Cala la sera, si fa buio. Lentamente i pellegrini rientrano ai propri alloggi, i visitatori fanno ritorno verso casa a bordo degli ingombranti autobus turistici. Santiago de Compostela si assopisce, immersa nella tenue luce dei suoi lampioni. Praza do Obradorio cambia aspetto: ci aveva accolto al nostro arrivo mostrandoci il suo volto più vivace, rumoroso, mondano, farcito di volti, segnato dalle rughe urbane delle auto parcheggiate lungo il suo vasto spiazzo e dai cartelli colorati delle guide turistiche seguite da colonne di visitatori, eccitato dal suono festante della gaita e del pito (un sottile flauto) impegnati a ricamare il ritmo travolgente della Muiñeira, la voce popolare della musica galiziana. In questo vortice di parole e persone che non lascia scampo all'animo ormai conciliato nella contemplazione del pellegrino giunto a destinazione, viene risucchiata anche la cattedrale, deturpata dentro e fuori da un caos che non le appartiene. Ora tutto cambia. Con l'oscurità notturna regna il silenzio e la solitudine, ed è in questo sublime momento che il pellegrino paziente ha l'opportunità di incontrare da vicino la vera Santiago de Compostela, città che traspira secolare saggezza ed invincibile solennità, fiore di impareggiabile bellezza, baluardo incrollabile di fede e di speranza. Imprigionata nel giogo delle folle vocianti, la città ha poche ore per esprimere tutta la propria sincera natura. Forse, in fondo, tutta Santiago de Compostela è come un'immensa, grande chiesa: sboccia nel silenzio e nella penombra, vive di preghiere e di sacrifici, aspira al cielo trascendendo la realtà. Seduti al centro della piazza deserta ripensiamo finalmente a tutti i compagni di viaggio incontrati lungo il cammino e a come tutti entrino a far parte di una stupefacente comunità di persone venutasi a creare per magia quasi dal nulla, una comunità come lo è la Chiesa. E all'improvviso sopraggiunge dolcissima la consapevolezza di essere stato, sì certamente, parte vitale del cammino di qualcun altro.
Tappa 17: Santiago de Compostela - Muxia
Da Santiago de Compostela un autobus della compagnia Ferrin ci consente di percorrere i 70km che ci separano dall'Oceano Atlantico. Dopo circa 2 ore di viaggio giungiamo a Muxia, piccola località marittima abitata da pescatori e situata nel punto più occidentale dei territori spagnoli. A Santiago de Compostela ne avevamo sentito parlare per la sua semplice ma grandissima bellezza, ed attirati da queste descrizioni entusiastiche, riportateci da pellegrini ai quali si illuminava lo sguardo al solo ricordo di questo luogo, non abbiamo potuto resistere dal visitarla. L'autobus ci scarica proprio davanti al porto, respiriamo l'aria salmastra del mare che ci accoglie per prima. Ci incamminiamo per le strette vie interne ed abbandoniamo subito i nostri bagagli presso l'Albergue Arribada, una struttura ricettiva di recente realizzazione amministrata da personale giovane e gentile. Il tempo a nostra disposizione non è molto, così ci avviamo subito a visitare i dintorni. Camminiamo verso l'oceano ed attraversiamo il centro abitato. Sbuchiamo su Rua Virxe da Barca e ci spostiamo su un sentiero pedonale sopraelevato che si snoda su un basso rilievo roccioso: sotto di noi si estende la vista sul porto e più in là sulle acque blu di una stretta insenatura.
Percorse alcune decine di metri incontriamo la Igrexa Parroquial de Santa Maria, piccola chiesa a navata unica e di epoca bassomedievale che sembra letteralmente incastonata nella pietra collinare. La sua facciata, infatti, appare inconsuetamente rivolta verso una ripida parete rocciosa, dalla quale è separata solo per mezzo dei pochi metri di larghezza dello stretto sentiero che passa proprio dinnanzi al portale di accesso. Sopra il versante di questa compatta parete di roccia sorge, separato dal resto della chiesa, la torre campanaria a due campane, appendice discontinua ma necessaria dell'edificio religioso. Su un lato della navata sorge invece una cappella di più piccole dimensioni, di costruzione posteriore (XIV secolo) rispetto al resto del tempio ed in stile gotico, chiamata Capela do Rosario. Di fronte ad essa, ai piedi della parete rocciosa, sta infine un antico crocifisso di pietra. Superata questa particolarissima chiesa proseguiamo sul sentiero pedonale e dopo poche altre centinaia di metri arriviamo alla Punta da Barca, piccolo promontorio di roccia e scogli situato all'estremità settentrionale di Muxia. Dopo settimane di viaggio eccoci infine giunti al confine più lontano del nostro itinerario, davanti a noi si apre in tutto il suo lucente splendore lo spettacolo invalicabile dell'Oceano Atlantico, il quale saluta il nostro arrivo soffiandoci addosso un vento davvero possente e che ci spinge indietro con violenza, ma non ci lasciamo intimidire ed insistiamo a procedere. Qui infatti si trova il vero tesoro muxiano: il Santuario da Virxe da Barca è uno dei luoghi più magici di tutto il Cammino di Santiago. Si tratta di una piccola cappella costruita direttamente sugli scogli, rivolta verso l'oceano ed esposta agli sbuffi di schiuma delle acque spinte dal vento ad infrangersi lungo la costa rocciosa. La vista dall'alto su questa umile costruzione, ferma a sfidare la furia dell'oceano, è davvero qualcosa di incredibile, e per chi volesse spingersi in un ardito slancio di immaginazione non è difficile scorgere in questo panorama la prodigiosa potenza di una fede semplice ma che non può essere scalfita dalla più violenta delle minacce. Senza ombra di dubbio posso comunque affermare che questo è uno dei posti più suggestivi incontrati durante tutto il percorso di pellegrinaggio compiuto.
Le origini del Santuario da Virxe da Barca narrano la leggenda relativa all'arrivo in questa località di San Giacomo il Maggiore durante il suo viaggio di evangelizzazione attraverso la Galizia. Giunto su questa scogliera affacciata sull'oceano, il santo si raccolse in preghiera ed improvvisamente, rialzato lo sguardo verso l'orizzonte, scorse in lontananza una piccola imbarcazione di pietra procedere verso di lui. Giunta a breve distanza dalla costa, San Giacomo vide che la barca trasportava un'apparizione della Vergine Maria, giunta al suo cospetto per consolarlo del lungo viaggio compiuto e per incoraggiarlo a proseguire le sue predicazioni. L'immagine mariana scomparve una volta rincuorato l'animo del santo, ma rimase la barca di pietra, i cui resti, si tramanda, vennero abbandonati lungo il litorale e giunsero fino ai giorni nostri. La forma di alcune pietre del tratto di scogliera direttamente antistante il santuario richiama effettivamente il profilo di parti di imbarcazioni, come la Pedra de Abalar, che costituirebbe la chiglia della piccola barca sulla quale apparve la Vergine Maria, oppure come la Pedra dos Cadris, che rappresenterebbe le vele, oppure infine la Pedra do Temon, il timone. Tali formazioni rocciose con il tempo divennero protagoniste di riti scaramantici e pretenziose credenze animate dalla curiosità dei turisti. La capacità di rimanere in equilibrio sulla Pedra de Abalar, la cui particolare conformazione triangolare ne permette l'oscillazione, indicherebbe infatti, secondo la tradizione, un animo puro e sincero; al contrario l'incapacità a muoverla facendo leva sul fulcro con i piedi sarebbe prerogativa di uno spirito tormentato: ad ogni modo non preoccupatevi se non doveste riuscire a muovere la pietra, visto che un violento temporale abbattutosi sulla zona nel 1978 ne ha alterato la disposizione ed oggi la roccia ha perduto la sua oscillabilità. Passare nove volte consecutive, invece, sotto la Pedra de Cadris donerebbe la guarigione da numerose infermità, soprattutto da quelle a carico della colonna vertebrale. A discapito della leggenda però, tali pietre avrebbero avuto in origine una funzione differente, e vennero probabilmente utilizzate dalla popolazione nativa celtica, in epoca precristiana, come luogo di riunione per l'esecuzione di riti pagani o come strumento di vaticinio. Fu solo dopo l'arrivo della cultura cristiana che il culto pagano venne soppresso ed alla strana conformazione delle pietre venne assegnata un significato più ortodosso, anche e soprattutto per fornire agli abitanti nativi del luogo una spiegazione coerente con la dottrina cattolica per convertirli alla nuova professione di fede. Dalla leggenda dell'apparizione mariana a San Giacomo trarrebbe però origine il Santuario da Virxe da Barca, secondo la tradizione eretto infatti proprio dall'apostolo in omaggio alla miracolosa visione ricevuta. Nella realtà tuttavia, il santuario venne eretto nel 1719 su un precedente eremo datato XII secolo e convertito in una chiesa più ampia già nel corso del XV secolo. Il patrocinio dei lavori di costruzione fu assunto da Juan de Ribadeneira, conte di Frigiliana, che finanziò l'opera. Il mantenimento del tempio, invece, si deve con tutta probabilità ai monaci benedettini del vicino Mosteiro de San Xulian de Moraime, situato a 4km di distanza: tali monaci furono nell'XI secolo tra i principali evangelizzatori della regione e pertanto anche il santuario era compreso nelle proprietà da loro amministrate. Nel 2013 il Santuario da Virxe da Barca subì i danni provocati da uno spettacolare incendio generato dalla caduta di un fulmine che distrusse il soffitto e danneggiò severamente la struttura; due anni più tardi, alla conclusione di accurati lavori di ricostruzione, l'edificio venne riconsegnato al suo originario splendore. La sua facciata, in stile barocco, semplice ed essenziale, è impreziosita da due sottili torri laterali realizzate nel XX secolo. All'interno, l'altare principale, anch'esso in stile barocco, opera dell'artista compostellano Miguel de Romay, riporta una bella immagine della Virgen da Barca, patrona del tempio. Lungo la navata, infine, pendono dal soffitto, appesi a sottili catenelle, alcuni modellini di imbarcazioni di differente fattura ed epoca, posti all'interno della chiesa come ex voto da devoti marinai e comandanti di bastimento. E' sempre piacevole accorgersi che i posti più belli che si incontrano lungo il viaggio sono anche quelli che racchiudono l'intima devozione delle persone che quotidianamente li vivono. Camminando a fatica controvento ci spingiamo fin dentro le pieghe della Punta da Barca: alla destra del santuario la scogliera accoglie il piccolo Faro de Muxia, eretto in solitudine a protezione dei naviganti che si avventurano in questo complicato tratto di oceano: sulla superficie delle sue pareti esterne ci soffermiamo a leggere le numerose scritte e dediche lasciate dai pellegrini giunti finalmente al non plus ultra del proprio percorso di pellegrinaggio.
Spingere lo sguardo da questo punto sulle acque agitate e, oltre queste, su uno dei tratti di costa più spettacolari di tutta la Galizia è davvero una delizia. In lontananza, lungo la riva opposta dell'insenatura che le acque oceaniche formano davanti a Muxia, si intravede il Faro de Cabo Vilan, situato nei pressi del villaggio di Cameriñas, posizionato a picco di un'alta scogliera dalla cima della quale sfida perennemente senza farsi acciuffare le acque avide ed irrequiete del sottostante oceano. Sulla sinistra del santuario si trova invece il Miradoiro Jesus Quintanal, un piccolo punto panoramico aperto sull'orizzonte blu. Sul suo spiazzo sorge A Ferida, una particolare scultura raffigurante una crepa scolpita all'interno di un pesante blocco di granito, opera dell'artista Alberto Bañuelos Fournier che la realizzò in omaggio ai volontari che accorsero a dare aiuto al popolo galiziano in occasione del naufragio della petroliera Prestige avvenuto il 13 novembre 2002. La nave, che batteva la bandiera delle Bahamas, trasportava 77.000 tonnellate di petrolio greggio, era partita dalla costa lettone ed era diretta a Singapore. Il capitano che la comandava, un greco di nome Apostolos Magouras, testimoniò di aver avvertito un violento rumore provenire dallo scafo subito dopo la partenza da Finisterre, proprio quando il bastimento si trovava davanti alla costa di Muxia. Inizialmente l'incidente venne attribuito al cattivo stato di manutenzione della chiglia, riparata poco più di un anno prima in un cantiere cinese a causa di cedimenti strutturali, tuttavia in seconda battuta si attribuì la causa del disastro all'impatto dello scafo con alcuni tronchi d'albero che un mercantile aveva perduto quella stessa mattina, in seguito allo scontro con il fondo di una risacca durante il passaggio nel corridoio marittimo galiziano.
Nonostante l'allarme fu subito lanciato dalla nave, i soccorsi tardarono a causa dei complicati negoziati che si vennero a produrre tra l'armatore ed il governo spagnolo: nella pancia dell'imbarcazione si trovavano infatti un quantitativo di combustibile corrispondente al valore di 60 milioni di Euro. A ciò si aggiunse la titubanza del comandante, restio a collaborare con i rimorchiatori di salvataggio sempre per motivi economici. Il risultato fu una fatale perdita di tempo che rese impossibile il recupero del bastimento e del suo pericoloso carico: la nave fu abbandonata dall'equipaggio e venne lasciata alla deriva, affondando ad una profondità di 3.850m solo sei giorni più tardi, spezzandosi in due tronconi dopo che uno dei due serbatoi di carburante era esploso durante una tormenta che aveva colpito, subito dopo il disastro, la costa muxiana. Vennero liberati in mare circa 60.000 tonnellate di petrolio, le quali, data la vicinanza del luogo d'affondamento alla costa (circa 250km), si riversarono quasi subito in una mostruosa marea nera sulle coste limitrofe alla cittadina di Muxia, provocando un danno ecologico di immani proporzioni. La tragedia richiamò un esercito di centinaia di volontari che prestarono una fondamentale opera nel contenere i danni ambientali e nel facilitare lo smaltimento degli inquinanti. Un mese dopo l'affondamento del relitto si procedette al recupero di circa 14.000 tonnellate di petrolio attraverso un ingegnoso metodo di estrazione che, sfruttando la minore densità del petrolio rispetto all'acqua, riportava il combustibile in superficie in barili di alluminio che ricevevano una spinta a galleggiare mano a mano che venivano riempiti con un sistema a doppia valvola. Grazie a questo lavoro di recupero rimasero nel relitto solo 1.000 tonnellate di greggio. Un anno dopo il disastro la costa galiziana contava più bandiere blu di quante ne avesse mai avute, e dal 2013 il transito di imbarcazioni con caratteristiche simili a quelle della Prestige è vietato in prossimità di tutte le coste spagnole. In memoria e monito di questo terribile avvenimento rimane oggi fortunatamente solo la ferita impressa nella scultura di Alberto Bañuelos Fournier, testimonianza vivida, parte indelebile dell'attuale paesaggio come rischiò di esserlo il danno perpetrato dal petrolio stravasato.
Ammiriamo per un ultimo istante lo spettacolo offerto dalla splendida vista sulla Punta da Barca e proseguiamo sul sentiero lastricato che costeggia la costa: da qui il camminamento compie una deviazione e si inerpica sul dorso di una bassa collina. Prendiamo questa direzione e cominciamo la facile salita al Monte do Corpiño, in poche decine di metri ne raggiungiamo la sommità. Questo modesto rilievo montuoso trae il proprio nome dal ritrovamento sui suoi versanti di un piccolo corpo mummificato ed interrato che probabilmente fu per decenni oggetto di venerazione popolare in relazione al vicino Santuario da Virxe da Barca. Dalla sua sommità posta a 68m di altitudine è possibile ammirare la più bella veduta dall'alto sulla sottostante cittadina di Muxia, che da qui appare come un microscopico grazioso puzzle di tetti rossi e di pareti variopinte racchiuso nell'immensa cornice dell'oceano, il quale circonda la città su due lati.
Fermi accanto alla piccola croce di pietra posta sul culmine della collina, ci gustiamo fino in fondo questa piacevole vista, senza dubbio una delle più particolari e facili da ricordare di tutto l'intero viaggio. Nel ridiscendere dall'altura ci accorgiamo che lungo un suo versante si trovano alcune recinzioni in pietra, delimitanti piccole aree verdi a pianta quadrata, di cui non ci eravamo accorti durante la salita: ci convinciamo che siano i resti di antichi accampamenti romani, scopriremo poco dopo che si tratta invece di recinti eretti in epoca moderna per delimitare i campi coltivati e per proteggerli dalle sferzate del vento che qui raggiunge spesso velocità notevoli. Rientriamo nel centro abitato ed obbediamo alla fame che ci impone di fare una sosta per il pranzo: siamo fortunati nel trovare la Cafeteria Don Quijote, situata proprio davanti al porto, e qui gustiamo il miglior menù del pellegrino che abbiamo mai consumato, a base di abbondante pescato fresco, succoso melone e saporito prosciutto, terminando con un dolce generoso. Saziato lo stomaco a dovere facciamo un'inaspettata scoperta: attraverso la vetrina del locale scorgiamo, fermo sul lato opposto della strada ad attendere il bus, il nostro amico Giovanni, vestito della consueta giacchetta impermeabile blu e dei soliti pantaloncini troppo corti per lui. Con tutti i posti in cui avremmo potuto reincontrarlo lo troviamo proprio qui, al limite estremo della Galizia. Lo vediamo intento a riversare la sua vivace chiacchiera su alcuni pellegrini fermi come lui a sonnecchiare in attesa dell'autobus, ed a dire il vero non so quanto la sua esuberante socievolezza facesse loro piacere. Ciò che è certo è che vederlo impegnato a gesticolare e a pronunciare appassionati discorsi, che non riusciamo ad udire dalla nostra postazione, ci strappa un sorriso divertito ed affettuoso. Ad un certo punto una pellegrina si alza e gli mette tra le mani una bandiera chiedendogli di posare con lei per una foto ricordo, e questo fa inevitabilmente crollare il nostro contegno e scoppiamo in una sonora risata. Usciamo all'esterno per salutarlo e lo abbracciamo come si abbraccerebbe un fratello. E' sulla via del ritorno verso casa, probabilmente non lo rivedremo più, ma il ricordo del suo volto credo che mi rimarrà nella memoria in eterno. L'incontro ci dona le energie per completare la visita di Muxia prima di rientrare in albergue. Percorriamo il viale lungomare dirigendoci verso l'entroterra e deviamo il tragitto addentrandoci nelle vie cittadine fino a raggiungere Praza da Constitucion, la piazza più antica della città nonchè il luogo in cui in passato si teneva il mercato popolare all'aperto. Proseguiamo su Calle Real, la via principale, ed incrociamo Praza Cabo Vila, dove si trova il Concello ed al centro della quale spicca il profilo di una stele di pietra riportante lo stemma araldico cittadino. Ritorniamo sul lungomare ed oltrepassiamo il Monumento a Gonzalo Lopez Abente, piccolo memoriale dedicato a colui che è considerato il massimo poeta muxiano mai esistito, deceduto all'età di 85 anni nel 1963. Più avanti il centro abitato comincia a rarefarsi, raggiungiamo il Miradoiro da Cruz, piccolo spazio verde affacciato sull'oceano e contrassegnato dalla presenza del Cruceiro Milagroso, un'antico crocifisso di pietra dotato, a giudicare dal nome, di arcaici e misteriosi poteri taumaturgici. Qui abbandoniamo la strada asfaltata e scendiamo, per mezzo di una ripida scalinata di pietra, alla Praia da Cruz, spiaggia sabbiosa, regno assoluto dei gabbiani, ed oltre questa, più in là, arriviamo alla Praia de Espiñeirido, spiaggia più spaziosa e soleggiata. Il panorama sull'oceano azzurro è davvero piacevole, ed un'ombreggiata macchia verde posta alle spalle del litorale offrirebbe riparo dal caldo sole pomeridiano, ma il vento è davvero insopportabile e spinge fastidiosamente la sabbia negli occhi e dentro la bocca, così ci concediamo giusto il tempo di uno sguardo prima di rientrare al nostro rifugio. Durante il tragitto di ritorno, lungo la costa, scorgiamo il Secadoiro de Congro dos Cascons, un complesso di alte e sottili palizzate di legno (chiamate nel gergo locale cabrias) utilizzate per l'essiccazione del gronghi, una varietà di pesce di mare molto diffusa in queste zone. La tecnica per essiccare la carne di questo animale costituisce una forte tradizione della regione muxiana, tanto che il commercio e l'esportazione di questo alimento si spinge da qui in tutta la Spagna. Purtroppo non siamo fortunati e lungo le palizzate non troviamo traccia di pesce; la fortuna ci sorriderà invece il giorno seguente quando, prima di abbandonare la città, avremo la possibilità di osservare il pescato steso ad essiccare presso il Secadoiro de Congro da Pedriña, situato all'altro capo della città: qui, sulle impalcature di legno, scorgiamo i gronghi puliti, lavati nell'acqua marina, lavorati praticando delle aperture nella carne dispiegata, stesi alla luce del sole ed esposti alla salsedine trasportata dal vento.
Tale processo antico di trattamento del pesce rappresenta il vero manifesto della società marinaresca di Muxia e di tutta la regione circostante: in città non esiste monumento migliore di questi essiccatori di legno grezzo per descrivere questa bellissima terra di pescatori. La giornata si conclude con una deludente cena a base di pescato surgelato presso il Bar O Porto. Muxia, gioiello della Galizia più remota, regina del mare umilmente preziosa ed aristocraticamente semplice, ci regala una cartolina che difficilmente dimenticheremo.
Tappa 18 (28km): Muxia - Finisterre
Con l'alba del nuovo giorno ci rimettiamo in cammino e riprendiamo le tracce di San Giacomo. Da Muxia parte quella che sarà una delle tappe più affascinanti e selvagge di tutto il viaggio. Siamo sul Cammino di Finisterre, l'insieme dei percorsi di pellegrinaggio giacobeo che oltre Santiago de Compostela conducono alla costa fisterranea. Lungo questi sentieri vivremo una breve ma intensa esperienza, più solitaria ed interiore rispetto al precedente tratto di Cammino di Santiago, forse anche in virtù della maggiore saggezza e della più matura capacità introspettiva acquisita nel corso delle tappe precedenti. Le piste sono infatti meno affollate rispetto a quelle che ci hanno condotto a Santiago de Compostela, e la maggior parte dei pellegrini che avevano congestionato gli ultimi chilometri prima dell'arrivo alla città del santo non si sono spinti oltre arrestando la propria marcia proprio alla tomba dell'apostolo. Probabilmente proprio per il fatto di essere meno frequentati, i sentieri che conducono a Finisterre sono anche peggio segnalati, e non è raro imbattersi in tragitti privi di indicazioni e sprovvisti delle abituali frecce gialle che fino a qui hanno guidato sapientemente i nostri passi. Vale però davvero la pena percorrere il Cammino di Finisterre, per la sua bellezza intatta e spontanea, per la profonda devozione che ormai, dopo settimane di faticosa marcia, ci lega alla figura di San Giacomo il Maggiore: questi sono i territori attraverso i quali si spinse il santo evangelizzatore per predicare la fede cristiana ai popoli celtici galiziani. Partendo da Muxia il primo tratto di cammino si svolge su una tortuosa strada costiera: al nostro fianco si estende in tutta la sua mattutina bellezza la distesa blu dell'Oceano Atlantico, ed in un angolo appartato lungo la costa il nostro sguardo incontra la Praia de Lourido, deliziosa, il cui magnifico volto è intaccato solo dal piccolo neo di un brutto albergo turistico in costruzione lungo il versante di una collina sullo sfondo. Dopo 2km di marcia abbandoniamo la strada asfaltata e svoltiamo sulla destra per immetterci in una stradina secondaria: il percorso ben presto si fa in pendenza e cominciamo l'impegnativa salita al Monte Facho de Lourido. Questa collina di 312m di altezza prende il proprio nome dal fatto che in antichità vi venivano posizionati dei focolari per orientare la navigazione delle imbarcazioni lungo il complicato tratto di costa sottostante: la parola facho in galiziano significa appunto "torcia". Appena iniziata la salita il sentiero diventa sterrato e comincia ad addentrarsi nella fitta macchia verde composta prevalentemente da alti eucalipti, ma la marcia rimane abbastanza agevole fino al villaggio di Xurarantes, costituito da una sola via contornata da basse abitazioni e da una quantità impressionante di Horreos. Superata questa località, la salita si rende più ripida ed impegnativa, la difficoltà è aumentata dal fondo del sentiero che a tratti appare molto sconnesso, pietroso ed irregolare. Dopo 5km di faticosa ascesa raggiungiamo finalmente la vetta dell'altura, il sentiero diventa piano e come su uno schermo cinematografico la vista si proietta improvvisamente in avanti, oltre le fronde boschive, per raggiungere l'Oceano Atlantico, il quale inaspettato compare nuovamente all'orizzonte. Rinfrancati da tale veduta proseguiamo la marcia ed iniziamo la discesa, perdendo quasi subito il contatto visivo con le acque oceaniche. Il sentiero sterrato lascia più avanti il posto ad una stretta stradina asfaltata che procede in piano sempre affiancata da una folta macchia verde. Raggiungiamo in questa maniera il villaggio di Morquintian, poche case rurali, pascoli verdi, un umile crocifisso di pietra posto accanto ad una piccola fonte d'acqua, risorsa preziosissima per i pellegrini: i rifornimenti in questa regione non sono molto frequenti ed i pochi villaggi che si incontrano appaiono deserti e privi di negozi o punti ristoro.
Superiamo il villaggio che termina con un monumentale Horreo posto al lato del sentiero e proseguiamo sulla strada asfaltata che lentamente ci conduce ai minuscoli villaggi di Guisamonde, centro abitato di allevatori, gradevoli i suoi pascoli illuminati dal sole, Frixe, che si contraddistingue solo per la presenza di un piccolo locale aperto ai passanti e fornito di un distributore di bibite fresche, e subito attaccato Baosilveiro. Superata questo sobborgo oltrepassiamo un moderno ponte di pietra costruito nel 2010 sul corso del Rio Castro e poco più avanti facciamo l'ingresso nel villaggio di Lires.
Attraversiamo il centro abitato di questa piccola località (circa 450 abitanti) che fu pioniera del turismo rurale in tutta la regione circostante. Procediamo in discesa e, giunti al limite opposto del nucleo urbano, incontriamo la Igrexa Parroquial de Santo Estevo, piccola chiesa contadina a navata unica risalente al XVII secolo. Da qui al pellegrino si aprono due strade: una via interna, più breve ed agevole, ed una via costiera, poco più lunga (circa 2km) e leggermente più impegnativa ma sicuramente più spettacolare. Decidiamo di intraprendere quest'ultima direzione e lo facciamo costeggiando la Ria de Lires, il vasto estuario fluviale formato dal Rio Castro presso Lires poco prima di immettersi nelle acque dell'oceano.
Questo panorama ci prepara a quello che incontreremo poche centinaia di metri più in là: giunti nuovamente sulla costa infatti si apre davanti ai nostri occhi lo spettacolo mozzafiato della Praia de Lires, meravigliosa spiaggia sabbiosa, perla incantevole, luogo incantato dalla bellezza cristallina. Si distende dinnanzi a noi senza timidezza, regalandoci la possibilità di gustare un panorama immenso, luminoso, perfetto, inaspettato e per questo ancora più bello. La sbalordita sorpresa è davvero indescrivibile ancora oggi che ne ricordo a mente fredda lo straordinario splendore: l'ombra delle nuvole sembrava danzare sulla sua sabbia uniforme e dorata, il mare pareva accarezzarla con dita di mille tonalità di blu come in un eterno tentativo mai completato di afferrarne l'irresistibile bellezza, in lontananza qualche rada costruzione colorata fa gioire il cuore nel pensiero che qualcuno abbia trovato il difficile modo di vivere quotidianamente questo angolo di paradiso rispettandone però l'estrema delicatezza. E' questa forse la sorpresa più bella di tutto il viaggio compiuto.
Distogliere lo sguardo dalla spiaggia è difficile, così decidiamo di fermarci presso il vicino Bar Playa Lires, affacciato proprio sul litorale, per consumare il nostro pranzo. Ci sfamiamo con un pregevole bocadillo ripieno di calamari fritti e ne avremmo ordinati altri due se non fossimo stati consapevoli del fatto che la strada che ci attendeva era ancora lunga. L'ottima pietanza legittima comunque una scelta giusta a priori: oltre Lires infatti non vi è più possibilità di procurarsi nè cibo nè acqua.
Al termine di questa breve sosta riprendiamo la marcia: oltre la spiaggia il sentiero si rifà sterrato e ricomincia a salire. La fatica viene alleggerita dal vento rinfrescante e dalla vista dall'alto sulla spettacolare scogliera che forma la costa oceanica in questa regione: la chiamano Costa da Morte, nome attribuitole in virtù della leggendaria pericolosità che anticamente costò disastrosi naufragi ai numerosi bastimenti che ne percorsero le acque, le quali sono caratterizzate da un fondale infido ed irregolare.
Mantenendo il litorale sul lato destro seguiamo il sentiero e ci addentriamo nuovamente nella vegetazione. Gli eucalipti lasciano mano a mano il posto a felci e a pini marittimi. Proseguiamo su superficie abbastanza pianeggiante intravedendo a tratti, oltre le cime degli alberi, scorci di oceano. Superiamo i villaggi di Padris, centro residenziale anonimo e freddo, e poco più avanti Buxan, che raggiungiamo dopo aver percorso una profonda depressione e presso il quale troviamo per misericordia un banchetto a donativo imbandito di bevande e frutta fresca. Oltre Buxan le indicazioni, mai comunque molto chiare, si fanno ulteriormente confuse e più volte rischiamo di sbagliare direzione.
La pista prosegue in saliscendi ed improvvisamente, giunti al termine di una leggera salita, notiamo per la prima volta che le acque dell'oceano non si trovano più solo sulla destra, dove le avevamo lasciate, ma anche sulla sinistra. Capiamo che è vicino l'arrivo alla Peninsula de Finisterre, la stretta lingua peninsulare sopra la quale sorge la città meta della nostra tappa. La fretta di arrivare a destinazione però non ci riguarda proprio e decidiamo così, giustamente, di sbagliare strada, aiutati dalle indicazioni poco chiare che dalla partenza ci hanno reso il percorso più difficile di quanto già fosse. Allunghiamo di qualche chilometro il tragitto capitando nel piccolo centro abitato di Denle, dove un simpatico vecchietto incontrato lungo la via ci fornisce fortunatamente poche confuse indicazioni per ritrovare la direzione giusta. Sorpassiamo i villaggi di Hermedesuxo, moderno ed abbastanza elegante rispetto ai centri abitati incontrati finora, Escaleas, gemello identico al suo predecessore, ed infine San Martiño de Duio, prologo al termine della tappa. Arriviamo a quest'ultima località percorrendo una leggera salita e superando la Igrexa Parroquial de San Martiño (XVIII secolo): qui si narra che sorgesse in epoca romana una grande città chiamata Dugium (da cui il nome attuale del villaggio), rasa al suolo, secondo la leggenda, da un violento maremoto. Superato San Martiño de Duio quasi impercettibilmente arriviamo infine a Finisterre: questa cittadina galiziana (circa 5.000 abitanti), appartenente alla provincia di La Coruña, trae il proprio nome dal latino finis terrae, che significa "la fine della terra", in riferimento al fatto che anticamente, dall'epoca romana fino alla scoperta delle Americhe, questa località era considerata il limite estremo ad occidente delle terre emerse conosciute, nonostante, nel corso dei secoli, rilevazioni topografiche più accurate stabilirono che il sito portoghese di Cabo de Roca si trova circa 5km più ad ovest di Finisterre sulla Penisola Iberica. La cittadina costituisce oggi un insediamento di pescatori e si svolge pertanto intorno al proprio piccolo porto: la pesca, insieme al turismo, è la voce più importante delle attività di sostentamento svolte dalla popolazione che vi risiede. Accediamo con qualche difficoltà al centro abitato scendendo gradualmente verso l'oceano e veniamo accolti al nostro arrivo dal Monumento ao Emigrante Galego, moderna scultura realizzata nel 1993 da Agustin de la Herran Matorras e dedicata alle migliaia di galiziani emigrati nel Mondo (soprattutto in America) in cerca di fortuna durante la prima metà del secolo scorso.
Il monumento si colloca nella piccola Praza Santa Catarina, di fronte agli attracchi delle poche barche ferme ai moli portuali. La tappa ci ha messo a dura prova e la stanchezza è molta: decidiamo così di riposarci qualche ora prima di visitare la città, e l'occasione ci è concessa dall'Hostal Mariquito, dignitoso e funzionale. Recuperate un po' le forze dedichiamo il resto della giornata ad ammirare il ricco patrimonio di Finisterre. Un ottimo punto di partenza potrebbe essere costituito da quello che di fatto è il fiore all'occhiello della gastronomia gallega: i Percebes sono crostacei, simili a cozze un po' marziane, che crescono esclusivamente su questa porzione di costa galiziana e presso quella vicina del Portogallo. Per raccogliere questi frutti di mare, che proliferano adesi alle rocce marine, i pescatori (chiamati percebeiros) sono costretti a calarsi lungo le scogliere legati a pesanti funi, esponendosi così al rischio di venire travolti dalla furia delle correnti oceaniche: questa circostanza, legata alla sua estrema rarità, rende questo alimento molto costoso e ricercato. Il modo di cucinarlo al contrario è semplice ed essenziale: i Percebes vengono sbollentati per 30 minuti in acqua e serviti conditi solo con un poco di limone. Per gustarne il sapore scegliamo il Restaurante Don Percebe, consigliatoci dalla gente del luogo: il pasto si rivela sopraffino, mangiamo per la prima volta i Percebes e subito ne mangeremmo a vagonate, una volta superato l'impaccio di capire come trarne la polpa rimuovendo la parte più morbida (o corazza) dalla porzione più dura (o dente), secondo il metodo illustrataci dalla cameriera divertita dai nostri sguardi smarriti. Mangiare questo strano crostaceo è assaggiare direttamente il sapore del mare. Terminato il pasto dedichiamo pochi minuti al ritiro della Fisterrana, l'attestato simile alla Compostela rilasciato ai pellegrini giunti a Finisterre dopo aver compiuto a piedi almeno l'ultima tappa prima dell'arrivo (per dimostrarlo vi servirà il Sello di almeno una località precedente alla meta finale): è rilasciata dall'albergue municipale situato accanto a Praza Santa Catarina. Conclusa in breve l'incombenza, proseguiamo percorrendo il Paseo Ribeira, la via urbana principale che scorre a fianco del porto. Sullo sfondo sorgono numerosi ristoranti e tavole calde tra le quali consiglio vivamente il Restaurante El Puerto: menù del pellegrino a 12€, personale gentilissimo, servizio puntuale, porzioni abbondanti, cibo di ottima qualità, giro finale di grappa casereccia offerto gratuitamente. A guardare le spalle al Paseo Ribeira, più indietro, si trova invece Praza da Constitucion, appartata ed elegante, con il suo vissuto spazio aperto centrale piantonato da gradevoli lampioni di aspetto antiquato. Se vi avanza un attimo e vi trovate nei paraggi non perdetevi assolutamente il Bar la Geleria: qui troverete bevande fresche, atmosfera marinaresca ed un po' hippy, numerosissimi oggetti strampalati (tra cui anche una tuta da palombaro con tanto di casco), libri, attrezzatura da pesca in esposizione, conchiglie, sabbia proveniente da ogni parte del Mondo, foto d'epoca dell'antica Finisterre...insomma provate a pensare una cosa e la rinvenirete sicuramente qui.
Proseguendo sul Paseo Ribeira, più avanti sulla sinistra si innalza l'edificio moderno a vetrate della Lonxa de Fisterra, vale a dire la sede del mercato ittico locale, e davanti al suo ingresso si trova una piccola targa commemorativa posta in memoria della drammatica vicenda del peschereccio Bonito: nel 1945 salparono da Finisterre a bordo di questa imbarcazione undici pescatori che non fecero mai ritorno in porto. A causa delle avverse condizioni atmosferiche il peschereccio scomparve insieme al suo equipaggio e di loro non si seppe più nulla: i corpi imprigionati nella pancia dell'imbarcazione con la quale si inabissarono non vennero mai rinvenuti. Di loro rimane solo il dolore degli abitanti di Finisterre, oltre ad undici tombe vuote nel cimitero locale. Oltre la Lonxa de Fisterra superiamo i banchi del tranquillo mercato cittadino e ci fermiamo un istante nella piccola Praia da Ribeira, stretto lembo di sabbia rinchiuso nella morsa urbana. Accanto alla spiaggia sorge il Castelo de San Carlos, fortificazione costruita a difesa della città nel XVIII secolo su mandato di Carlo II d'Asburgo, re di Spagna. Il castello venne dato alle fiamme dalle truppe francesi durante l'invasione napoleonica e fu successivamente ristrutturato. Venne venduto nel 1892 al privato don Placido Castro Rivas che lo detenne fino al 1948, epoca nella quale il figlio, succeduto al primo proprietario, lo cedette alla municipalità di Finisterre. Oggi ospita un museo dedicato al mare e gestito dalla confraternita dei pescatori fisterranei. Ai piedi della struttura del castello, a dire il vero poco riguardevole, è stato ricavato un piccolo prato verde sul quale sorge il Cruceiro do Castelo, crocifisso in pietra di fattura moderna (XX secolo) protagonista di numerose foto ricordo scattate dai turisti.
Percorriamo il perimetro della fortezza e scendiamo sul lato opposto sopra una comoda scogliera affacciata sull'oceano: mentre rimaniamo seduti qui a godere del tiepido sole mattutino, al fresco della brezza marina, incontriamo Rafael, un anziano pescatore immigrato in Galizia dall'Olanda, ed in sua compagnia ci intratteniamo per alcuni minuti. Mentre è intento ad attirare i gabbiani dando loro da mangiare, ascoltiamo dalla sua voce interessanti racconti sul mare e sui suoi frutti. Nonostante udire il lento suono dell'oceano ed ammirare i mille giochi di luce della sua superficie ci tratterrebbe per ore, appena il sole comincia a scendere ci rimettiamo in moto, salutiamo Rafael e proseguiamo addentrandoci nel cuore della città: attraversiamo Praza Francisco Esmoris Recaman, adornata dal busto del medico fisterraneo al quale è intitolata e che visse a cavallo tra il XIX secolo ed il XX secolo, amato e generoso paladino della salute dei pescatori della regione. Una lieve salita conduce a breve distanza in Praza Ara Solis, minuscola piazza intitolata al leggendario altare celtico utilizzato anticamente, in epoca preromana, dai popoli nativi per celebrare i propri riti pagani. Tale altare, costituito da una grezza lastra di pietra, era dedicato al dio Sole, il quale secondo i celti proprio nell'oceano fisterraneo si ritirava a riposare al termine di ogni giorno, e si dice venne distrutto da San Giacomo che lo scaraventò da un alto dirupo durante le sue predicazioni nella regione avvenute probabilmente intorno al I secolo d.C. Un altro racconto leggendario narra di come San Guglielmo, santo ed eremita locale che visse in ascetismo nei dintorni di Finisterre compiendo numerosi miracoli, versò sull'altare del vino rosso consacrato e la macchia del liquido sulla pietra rimase per sempre indelebile sulla superficie della roccia. A parte questa miracolosa vicenda non si sa molto altro di questo misterioso eremita fisterraneo: alcuni pensano oggi che si possa trattate di Guglielmo d'Aquitania, cugino di Carlo Magno e paladino della cristianità vissuto a cavallo tra l'VIII ed il IX secolo, tra le imprese del quale spicca la vittoria nella battaglia contro l'esercito saraceno che valse la liberazione della città di Barcellona; dopo i successi in guerra si sarebbe ritirato a vita monastica e avrebbe cominciato a viaggiare per le regioni spagnole fino a raggiungere la Galizia, dove trascorse i suoi ultimi anni in solitudine meditativa, per venire infine proclamato santo dalla Chiesa Cattolica due secoli dopo la sua morte. Ciò che è certo è che la traccia di questo enigmatico personaggio ancora oggi vive nelle tradizioni e nelle leggende popolari che caratterizzano quest'area geografica.
Su Praza Ara Solis troneggia la Capela da Nosa Señora do Bo Suceso, pregevole cappella del XVIII secolo, appartata e dignitosa, che accoglie i visitatori sotto il proprio sguardo orgoglioso dall'alto della breve scalinata sulla cima della quale sorge. Più avanti, giunti al limite del centro abitato, troviamo infine la Igrexa de Nosa Señora das Areas, antico tempio cristiano in stile romanico eretto nel XII secolo su commissione di doña Urraca Jimenez, regina di Castiglia. La storia narra che la chiesa sorse sul luogo in cui venivano tenuti i riti pagani ad opera delle popolazioni celtiche native, tanto che inizialmente l'edificio assunse il ruolo di santuario di culto misto, caratteristica che spiegherebbe il peculiare ed inusuale aspetto della chiesa, di pianta alquanto irregolare. La torre campanaria è infatti successiva alla primitiva costruzione, risale al XVI secolo ed è in stile rinascimentale; posteriore (XV secolo) è anche la realizzazione del battistero, delle volte interne, e dell'altare maggiore, realizzati tutti in stile gotico; le mura esterne sono invece composte da solido granito autoctono. A metà del XX secolo la chiesa fu protagonista di una sorprendente scoperta: durante i lavori di ristrutturazione che coinvolsero l'edificio, venne rimosso lo strato di calce bianca posto lungo la superficie delle pareti interne, rimedio attuato probabilmente in antichità con lo scopo di rendere più salubre l'ambiente in un'epoca flagellata dalle epidemie, e furono così portate alla luce numerose iscrizioni antiche risalenti alle origini del tempio, oltre ad alcuni sepolcri medievali. Purtroppo la lungimiranza dei restauratori fu miope e la preziosa scoperta venne nuovamente coperta da uno strato di calce azzurra per ordine dell'architetto che dirigeva i lavori, tale Cesar Portela, probabilmente rimandato più volte al corso universitario di storia dell'architettura durante gli studi accademici. All'interno della chiesa è inoltre conservata la celeberrima statua del Santo Cristo de Fisterra, immagine iconica protettrice di questa regione: si dice che venne scolpita da Nicodemo in persona, discepolo testimone diretto della Passione di Cristo, e che giunse a Finisterre dopo che il bastimento sul quale era trasportata fu costretto a sbarazzarsi di parte del carico per alleggerire l'imbarcazione sorpresa da una violenta tempesta. Non appena la statua toccò le coste fisterranee, la leggenda narra che il nubifragio cessò. Purtroppo non abbiamo l'opportunità di ammirare questa prodigiosa immagine scolpita, visto che la chiesa che la ospita, come numerose altre lungo il Cammino di Santiago, al nostro arrivo è chiusa e sprangata. Comunque non ci lasciamo rattristare e continuiamo a farci sorprendere da ciò che Finisterre ha da offrire.
Dal sito presso il quale sorge la Igrexa de Nosa Señora das Areas si diparte una panoramica strada litoranea che sinuosamente cinge i versanti collinari ammantanti di verde allontanandosi dalla città. Seguendo questo percorso sopra uno stretto sentiero sterrato diviso dall'attigua strada carraia, nel giro di un paio di chilometri e dopo aver superato un monumento dedicato al pellegrino che annuncia in lontananza il primo pregevole scorcio sul faro, giungiamo a Cabo Fisterra, il promontorio roccioso che segna il limite ultimo della Peninsula de Finisterre. Ad accompagnarci nel tragitto, sulla sinistra si apre una meravigliosa vista sull'oceano, chiuso in lontananza da un tratto di costa rocciosa, mentre sulla destra lo sguardo si perde nel fitto di una rigogliosa pineta. L'arrivo a Cabo Fisterra è salutato dalla Cruz da Costa da Morte, alta e sottile croce di pietra che contrassegna uno stupendo punto panoramico dal quale si abbraccia completamente tutto il paesaggio circostante, dalla città di Finisterre in lontananza fino all'orizzonte dell'Oceano Atlantico. Qui è doverosa una foto ricordo ed un momento di riflessione e raccoglimento: siamo quasi al finale insormontabile del nostro pellegrinaggio.
Poco più avanti, superate senza rimorsi alcune tristi bancarelle di souvenirs, incontriamo il cippo jacobeo che segna il chilometro zero del Cammino di Santiago, inizio o fine di ogni viaggio sulle orme di San Giacomo il Maggiore. L'emozione nel confrontarsi con quello che sarebbe un freddo pilastro di pietra se non avessimo percorso complessivamente circa 350km per raggiungerlo è davvero indescrivibile, disarmante, quasi assurdo. Comincia a farsi strada dentro di noi il desiderio di allontanare ulteriormente il termine del cammino, ma le acque dell'oceano, sulle quali un solo uomo ha saputo camminare, stanno proprio lì davanti a ricordarci la nostra semplice natura umana ed il limite oltre il quale non potremo andare.
Un pizzico di malinconia comincia a sussurrarci nelle orecchie parole galiziane non ancora ben comprensibili, il precoce saluto della Galizia ai suoi pellegrini. Le gambe vorrebbero fermarsi e non procedere oltre, lasciando il dubbio che forse, più in là, il sentiero prosegua su piste sconosciute, ma la curiosità è troppo forte, vince il timore della fine e ci spinge a proseguire. Oltre il cippo, e superato un piccolo punto ristoro, si staglia sullo sfondo il Faro de Fisterra, il faro più occidentale della Spagna e d'Europa, costruito nel 1853 su progetto dell'ingegnere Felix Uhagon, posto a 138m s.l.m ed alto ben 17m. Il suo aspetto non è nè pittoresco nè romantico, appare invece piuttosto freddo ed arido, ma forse sono solo gli occhi del pellegrino nostalgico a dipingerlo così. Davanti al faro vero e proprio infatti si staglia, quasi a rubargli il palcoscenico, la forma squadrata della Vaca de Fisterra, detta anche La Sirena: questo spigoloso edificio, postumo rispetto al faro (fu costruito nel 1889 dall'architetto Angel Garcia del Hoyo) di cui costituisce un'invadente propaggine, venne realizzato per ospitare due grandi corni di metallo congegnati per diffondere un suono stridulo, simile al muggito di un bovino (da cui il nome dell'edificio), destinato a guidare le imbarcazioni in difficoltà nei giorni di nebbia, quando cioè la luce del faro non era visibile dal mare. Tale richiamo, l'unico di questo tipo tra i fari europei, non percorre più le superfici dell'oceano fisterraneo dal 1996, anno in cui La Sirena cadde in disuso, ma servì, nei decenni in cui rimase in funzione, per evitare disastrosi naufragi come quello della nave da guerra inglese HMS Captain, la quale nel 1870 calò a picco trascinando con sè sul fondo dell'oceano 482 persone.
Circondiamo il faro e scendiamo lungo la scogliera retrostante: qui la vista trova l'infinito, davanti al pellegrino si trova solo oceano, oceano, ed ancora oceano, l'orizzonte non presenta più impedimenti, il pensiero è finalmente libero di spaziare in ogni direzione. La sacralità spirituale di questo luogo di confine è custodita nella Cruz de Fisterra, una piccola croce di pietra adagiata sulle rocce della scogliera poco sotto il faro: è qui che da secoli i pellegrini usano abbandonare un oggetto personale trasportato lungo tutto il pellegrinaggio, alcuni addirittura, seguendo una tradizione millenaria, bruciano un indumento per simboleggiare un atto di purificazione dopo essere arrivati al termine del percorso di fede (abitudine oggi proibita dai numerosi cartelli di divieto posti intorno alla croce), altri in segno di voto abbandonano semplicemente una pietra raccolta lungo il sentiero. In un angolo, a poca distanza dalla croce, la scultura in bronzo di uno scarpone abbandonato, immagine bislacca e discordante, richiama questa sentita tradizione, la volontà di lasciare dietro di sè una traccia del proprio passaggio. Anche noi abbandoniamo qui qualcosa che ci è appartenuto, qualcosa che abbiamo trovato lungo il cammino, e lo aggiungiamo agli altri numerosi ninnoli adagiati ai piedi della Cruz de Fisterra, tra scarpe, fotografie, stracci che un tempo sono stati magliette, o pantaloni appartenuti a persone che come noi hanno camminato per fede. Quindi rimaniamo in ascolto, il silenzio e la voce dell'oceano sono gli unici suoni che desideriamo cogliere, mentre lungo la costa sottostante alcuni pescherecci compiono la propria solitaria danza sulla superficie delle acque. Ed improvvisamente ci sentiamo completi, avvertiamo addosso la grandezza umile del servitore leale che ha compiuto con diligenza la propria opera, ecco il miracolo compiuto da San Giacomo il Maggiore per i suoi pellegrini. Ci sediamo ad attendere il tramonto, senza fretta, finalmente senza fatica: lo spettacolo si rivela stupendo, è difficile descriverlo.
Il sole lentamente cala verso la linea dell'orizzonte marcata dall'oceano, fino a dissolversi infine in sottili strisce di luce. Come in un'antica cerimonia che si ripete invariata da millenni, proprio come i celti credevano e celebravano nei loro riti, l'astro splendente si ritira a riposare sotto la superficie delle acque in attesa dell'inizio di un nuovo giorno. E' altresì meraviglioso osservare il lento movimento dell'oceano che sembra volersi ritirare in ondate dal buio della notte imminente, mentre il sole, ormai stanco, prima di morire, disegna sulla sua superficie una pista di luce persa verso l'orizzonte. Ammirato penso a come il pellegrino in questa striscia di luce abbagliante abbia la possibilità di intravedere la strada per il paradiso.
Tappa 19 (16km): Finisterre - Cee
Comincia il ritorno verso casa. A colazione ci abbuffiamo di Churros, dolci a base di pastella fritta spolverata con zucchero in granelli tipici dei paesi iberici. A pancia piena ci rimettiamo in cammino. Abbandoniamo Finisterre lasciandoci alle spalle il porto e percorrendo la strada litoranea che gradualmente si allontana dal centro abitato. All'estremità della cittadina sorge la Cruz de Baixar, pittoresca croce di pietra, e presso di essa si trova un pregevole punto panoramico che ci offre una stupefacente veduta sulla vicina Praia da Langosteira.
Questa bella spiaggia sabbiosa è luogo ricco di tradizione e di storia: nei suoi 2km circa di magnifica estensione racchiude tutti i passi di secoli e secoli di pellegrinaggi. Da qui inevitabilmente i pellegrini passavano prima di giungere alla meta ultima del proprio cammino, mentre in lontananza scorgevano ormai a portata di mano il compimento dei propri propositi. Dopo averne goduto la vista da lontano, la raggiungiamo percorrendo le poche centinaia di metri che ci separano da essa: la spiaggia è ancora umida della marea notturna, il sole la illumina di sbieco, accarezzandola con i propri raggi quasi con il timore di interromperne la delicata bellezza, di fronte ad essa le onde si muovono lentamente andandosi piano piano a perdersi nelle profondità dell'antistante Enseada da Langosteira, la stretta insenatura che la fronteggia.
La tradizione vuole che da Praia da Langosteira il pellegrino raccolga una conchiglia da riportare a casa come prova dell'avvenuto pellegrinaggio. Tale usanza ha radici più antiche di quanto si possa pensare e proviene dalla prassi secondo la quale in molte società europee, nei secoli lontani, era regola imporre il pellegrinaggio alla tomba di San Giacomo il Maggiore ai criminali ed agli emarginati sociali prima che questi venissero reintegrati nella propria comunità. In tutti questi casi la prova dell'avvenuto pellegrinaggio era costituita da una conchiglia che i pellegrini raccoglievano dopo aver raggiunto l'oceano, poco oltre Santiago de Compostela, e che dovevano riportare con sè fino a casa vestendola cucita sul mantello o lungo il copricapo, condotta che garantiva al pellegrino anche privilegi di passaggio e sconti sui dazi. Solitamente tali conchiglie erano gusci di Capasanta (mollusco il cui nome proviene proprio dalla tradizione giacobea), ed in breve divennero il simbolo dell'intero pellegrinaggio compostellano: la loro forma ricorda infatti sia l'aureola di un santo, sia il coperchio di un sarcofago (con riferimento alla tomba di San Giacomo il Maggiore), sia una stella (simbolo della leggendaria scoperta del sepolcro dell'apostolo susseguente alle prodigiose visioni dell'eremita Pelagio). Anche noi, pur non essendo fuorilegge, non possiamo trattenerci dal raccogliere lungo Praia da Langosteira alcune Conchas de Santiago, vale a dire Conchiglie di San Giacomo (chiamate più semplicemente anche Vieiras), il cui candido colore bianco costella come un cielo stellato la superficie liscia e lucente della spiaggia. Con nelle tasche questo pizzico in più di essenza di Cammino di Santiago, superiamo la spiaggia e continuiamo la marcia. Il sentiero prosegue su un camminamento posto sul limite interno dell'arenile, percorrendone tutta l'estensione ed addentrandosi successivamente all'interno di una pineta. Superiamo Praia da Telon, spiaggia piccola e raccolta che scorgiamo in lontananza, e ci immettiamo quindi su una pista sterrata che si addentra nell'entroterra.
Il sentiero si fa progressivamente in salita ed a tratti, oltre le fronde degli alberi che ci circondano, concede brevi scorci di panorama sulla Costa da Morte, in lontananza anche su Finisterre di cui scorgiamo il profilo del faro. Immersi nella macchia verde attraversiamo pericolosamente la strada carraia e procediamo in salita per alcuni chilometri. Poi improvvisamente sulla destra la veduta si apre sul villaggio di Sardiñeiro: il colpo d'occhio dalla distanza è davvero gradevole, con il piccolo agglomerato di basse case e la spiaggia di sabbia antistante conosciuta semplicemente come Praia de Sardiñeiro. Sarà meno piacevole attraversarne le vie e scoprire che la spiaggia purtroppo è alquanto trascurata e non vi è permessa la balneazione. Scendendo verso il centro abitato incontriamo lungo il sentiero Jocelyn, la tenace insegnante americana con la quale avevamo condiviso parte della tappa con partenza da Villar de Mazarife: sta camminando in compagnia di altri pellegrini verso Finisterre, cioè in direzione opposta rispetto alla nostra; ci abbracciamo e ci auguriamo buona fortuna, ed ancora una volta non possiamo fare a meno di stupirci della provvidenza che vive nel cuore del Cammino di Santiago.
Superiamo senza troppa fatica Sardiñeiro e da qui comincia a complicarsi il nostro percorso: come era accaduto per la tappa precedente anche in quella attuale le indicazioni lungo il sentiero sono a tratti confuse e mal segnalate. Il risultato è che appena oltre il villaggio perdiamo la bussola e ci ritroviamo sul dorso di una rovente corsia asfaltata ondulante ai lati di una larga arteria autostradale. Percorsi due chilometri valichiamo le carreggiate per mezzo di un ponte, quindi ci avventuriamo su un sentiero sterrato laterale che probabilmente era stato abbandonato da anni, tant'è che ci appare invaso dalle erbacce e coperto dalle sterpaglie. Quasi in preda al panico sbuchiamo infine su una piccola strada asfaltata che seguiamo fortunatamente nella giusta direzione fino a giungere miracolosamente al villaggio di Estorde. Qui ci riallacciamo al percorso convenzionale dopo una breve sosta presso la Praia de Estorde, il piccolo lembo di sabbia di cui il centro abitato è fornito e che si affaccia sulla bella insenatura omonima, la Enseada de Estorde. Con grande stupore ed immensa delusione, scopriamo che la spiaggia è deturpata dalle acque di scarico che defluiscono dal villaggio attraverso un lugubre canale coperto il cui sbocco è posto direttamente sulla battigia. Il risultato è che, analogamente a quanto già visto alla Praia de Sardiñeiro, anche qui la balneazione è vietata, un vero peccato perchè la spiaggia sarebbe davvero carina se tenuta con più cura.
Da Estorde comincia il tratto più brutto di tutta la tappa, di per sè già non esaltante: continuiamo infatti a camminare ai bordi di una larga strada carraia, costantemente esposti al rischio del traffico automobilistico. Proseguiamo così per un paio di chilometri fino a raggiungere il villaggio di Amarela, che lascia traccia di sè solo per la presenza di una piccola fonte d'acqua restaurata di recente. Questo genere di sostentamento alla marcia del pellegrino è davvero sporadico lungo le tappe fisterranee del Cammino di Santiago. Superato questo centro abitato il percorso si discosta quindi dalla strada carraia per scendere all'interno di una macchia verde, dalla quale si risale poco più avanti accedendo, dopo aver attraversato nuovamente non senza pericoli la strada carraia, al villaggio di Vilar. A caratterizzare questo piccolo centro abitato sono soprattutto le eleganti case borghesi ed una vertiginosa discesa che ci tocca compiere, con immensa fatica, per planare direttamente sulla limitrofa cittadina di Corcubion. Questa località di 1.700 abitanti circa sorge direttamente lungo la costa, affacciata sulle acque tranquille della piccola insenatura oceanica della Ria de Corcubion. Proprio dalla sua fortunata collocazione deriva anche il nome della località, dalle parole celtiche corco, cioè "cerchio", e beon, vale a dire "lago", in riferimento proprio allo specchio d'acqua sul quale si affaccia. Il nucleo urbano di Corcubion esiste fin dall'epoca medievale, periodo in cui rientrava tra i possedimenti dei conti di Altamira, ma l'evento che rende celebre ancora oggi questa cittadina, circondandola di un alone di avventuroso mistero, è lo sbarco, avvenuto nel suo porto nel 1747, del vascello El Glorioso, asso della Real Armada Española. La leggenda narra che sul bastimento fosse imbarcato un enorme quantitativo di oro proveniente dall'America: sono in molti a sostenere che questa colossale ricchezza fu sbarcata proprio a Corcubion e che successivamente seguì romanzesche vicende andando infine ad arricchire le tasche dei più svariati avventurieri locali.
Oggi però l'elemento di spicco del centro urbano è la Igrexa Parroquial de San Marcos, eretta nel XIV secolo nonostante la facciata, opera dell'architetto castigliano Domingo Esteban Rodriguez Sesmero, risalga al XIX secolo. La chiesa patì ingenti danni durante le invasioni napoleoniche, venne successivamente ristrutturata nell'attuale stile gotico e subì nel 1885 il crollo della torre campanaria provocato da severi difetti di progettazione, disastro che sfortunatamente avvenne nel corso di un'affollata sagra locale e che causò pertanto la morte di due persone. La torre venne poi ricostruita e fu munita dell'orologio a meccanismo che ancora oggi ne decora la superficie. Da Corcubion a Cee il salto è davvero breve, tanto che proseguendo la marcia lungo la via litoranea si giunge a destinazione nell'arco di 1km. Le due cittadine sembrano effettivamente due gemelle siamesi mai separate, in continuità diretta l'una con l'altra. Contrariamente alla sua predecessora però, Cee appare triste, cupa, molto commerciale, il suo porto spunta malinconico nello scenario dominato sullo sfondo da una brutta fabbrica fumante. Con un pizzico di delusione accediamo al suo centro abitato camminando sempre lungo la via litoranea e superando Praia a Concha, anonima spiaggia alle spalle della quale sorge un largo parco pubblico.
Il cuore della cittadina è costituito da due piazza attigue, Praza da Constitucion e Praza 8 de Marzo (quest'ultima chiamata precedentemente Praza do Mercado in quanto vi si teneva il mercato locale). In mezzo a queste due piazze sta la Igrexa Parroquial de Santa Maria da Xunqueira, costruzione gotica del XVI secolo: è intitolata alla Madonna del Canneto, immagine mariana che secondo la tradizione locale apparve in miracolose circostanze nei pressi dell'attuale collocazione della chiesa, dove precedentemente sorgeva appunto un canneto. Un tempo nell'edificio era ospitata una statua molto venerata ritraente la patrona, ma l'immagine andò distrutta nell'incendio che conseguì all'assedio della città da parte delle truppe francesi nel corso del XIX secolo e che danneggiò seriamente la struttura del tempio, poi ristrutturato dall'architetto Ramon Pereiro. Qui si conclude il nostro viaggio, il tempo a nostra disposizione sta per scadere, da qui possiamo solo tornare sui nostri passi. Un autobus della compagnia Monbus in circa tre ore ci riaccompagna nuovamente a Santiago de Compostela dove ci attende il ritorno verso casa.
Tappa 20: Santiago de Compostela
Spendiamo l'ultimo giorno a nostra disposizione nuovamente a Santiago de Compostela: quando l'avevamo abbandonata, due giorni prima, avevamo lasciato un piccolo conto in sospeso da saldare. Il rito del Botafumeiro risale all'epoca medievale, più precisamente all'XI secolo, epoca nella quale si cominciò a far oscillare questo enorme turibolo di ottone placcato d'argento, altro 1,6m e del peso di 62kg, lungo le navate della cattedrale con lo scopo di neutralizzare con il profumato incenso le esalazioni maleodoranti dei numerosissimi pellegrini che giungevano in visita alla tomba di San Giacomo il Maggiore, logori di settimane di cammino. Ovviamente allora i costumi e l'igiene personale non erano quelli a cui siamo abituati oggi. Il turibolo di epoca medievale venne sostituito nel 1514 con un più ricco manufatto donato alla cattedrale da Luigi XI di Valois, re di Francia, il quale venne rubato a sua volta nel XVIII secolo dalle truppe francesi durante il periodo di occupazione napoleonica, e pertanto, nel 1851, fu sostituito con quello attuale, opera del celebre orafo Josè Rodriguez Losada. Oggi il rito del Botafumeiro ha puramente un valore culturale e tradizionale, tuttavia costituisce ancora un evento stupefacente ed unico nel suo genere, visto che effettivamente è ed è sempre stato eseguito solamente nella cattedrale di Santiago de Compostela, tanto da diventarne un simbolo globalmente riconosciuto. Nonostante ciò, non è facile imbattersi in questo spettacolo, e la fortuna gioca un ruolo fondamentale se lo si vuole ammirare: un tempo per necessità il Botafumeiro veniva utilizzato con estrema frequenza per mantenere più salubre l'atmosfera della cattedrale, oggigiorno invece tale necessità è venuta a mancare ed il suo impiego è divenuto più saltuario. Fino a poco tempo fa' infatti sembra che questa colossale incensatura avvenisse almeno una volta alla settimana, tutti i venerdì, ora invece la su esecuzione è sottoposta alla disponibilità economica dei fedeli ed il Botafumeiro viene rispolverato solo su pagamento di una quota pecuniaria (circa 300€) pagata da volenterosi turisti (non certo dai pellegrini) desiderosi di osservarne la spettacolare oscillazione proprio come avveniva secoli fa'. Il modo migliore per avere più probabilità di assistere al rito del Botafumeiro, dato l'ingente costo, è pertanto quello di valutare la presenza di gruppi turistici numerosi nei paraggi della cattedrale: ciò che non può pagare uno, è più probabile infatti che lo possano pagare molti uniti insieme. E' domenica e decidiamo di assistere alla messa di metà mattina, decisamente molto più tranquilla rispetto alla messa del pellegrino di mezzogiorno alla quale avevamo assistito in precedenza. E' la nostra ultima occasione di vedere il Botafumeiro all'opera prima di fare ritorno a casa. Prima di entrare nella cattedrale incontriamo Micaela, la quale, nonostante una forte febbre ne abbia rallentato la marcia subito dopo esserci separati nei pressi di Ponferrada, è giunta a destinazione solo pochi giorni dopo di noi: anche lei è diretta ad assistere alla messa e ci assicura che, seguendo il suo infallibile istinto, questa sarà la volta buona per vedere volteggiare il Botafumeiro. Ed in effetti anche stavolta effettivamente l'istinto non sembra averla ingannata. Terminata la funzione scorgiamo alcuni individui vestiti con una tunica amaranto farsi largo tra la folla per trasportare sull'altare un voluminoso contenitore di metallo ricolmo di braci di incenso. Quindi, prima che il parroco concluda la celebrazione, questi personaggi, noti con il nome di Tiraboleiros, cominciano a mettere in pratica la propria secolare arte: il Botafumeiro viene sospeso alla volta dell'altare per mezzo di una pesante fune composta da materiale sintetico (in passato era composta da canapa), viene riempito di un miscuglio di incenso e carbone, infine viene lanciato ad oscillare sopra la testa dei fedeli lungo i bracci laterali del transetto. Con preciso gioco di trazioni e rilasci esercitati su una puleggia posta proprio sotto la volta dell'altare, gli otto Tiraboleiros orientano il moto del turibolo tirando ciascuno su uno degli otto cordoni con i quali termina la fune. Lo spettacolo dura appena pochi minuti ma è davvero sensazionale. Il canto di chiusura della messa non riesce a coprire il possente rombo provocato dal Botafumeiro nel fendere l'aria, simile ad un oggetto cosmico lanciato a grande velocità nello spazio siderale. Le navate vengono permeate dal profumo dell'incenso che si diffonde nell'aria. Tutti rimangono immobili, ammirati a bocca aperta ad osservare la leggiadra danza del pesante contenitore metallico. Assistere a questo rito è una vera fortuna, un privilegio che forse dovrebbe essere concesso con più generosità ai pellegrini, ma che come ogni cosa preziosa viene gelosamente custodito al riparo da occhi indiscreti. Il resto della giornata lo prendiamo con molta calma e lo dedichiamo solo alla deludente visita della Carballeria de San Lourenzo, un ombreggiato bosco di roveri posto ai limiti del centro cittadino e all'interno del quale si trova un antico crocifisso di pietra risalente al 1682. Accanto a questo spazio verde si trova il Pazo de San Lourenzo de Trasouto, palazzo attualmente in stato di abbandono che un tempo conobbe sicuramente tempi migliori, dopo essere stato fondato come eremo votato a San Lorenzo, nel corso del XII secolo, da Martin Arias vescovo di Zamora: l'edificio servì prima da monastero per una comunità di monaci francescani, più tardi come residenza nobiliare per doña Maria Eulalia Osorio de Moscoso y Carvajal, figlia ereditiera dei conti di Altamira. Il nome Trasouto deriverebbe invece dalle parole galiziane tras souto, cioè "oltre il bosco", in riferimento all'area silvestre che separava il palazzo dal vicino Rio Sarela.
Oggi il palazzo è utilizzato per ricevimenti privati, anche se a guardarlo dall'esterno non si direbbe: le mura sono cadenti ed invase dalle erbacce, alcune delle finestre che si scorgono da fuori sono rotte ed impolverate, la struttura appare nel complesso trascurata. In verità, non vale molto la pena di visitare questo luogo. Ci rimane ormai giusto lo spazio per alcuni preziosi consigli pratici relativi a Santiago de Compostela. Nei pressi di Praza das Praterias si trova il Restaurante Central: servizio cordiale, cibo ottimo, prezzi onesti, ambiente elegante ma senza troppe pretese di vanità. E' da evitare invece il Restaurante Casa Paredes, situato accanto alla Igrexa Parroquial de San Fructuoso: mi limito a dire che se mai vi verrà l'idea di fermarvi qui a mangiare, nella migliore delle ipotesi riceverete un trattamento scortese da parte del personale, nella peggiore delle possibilità rischierete il ricovero ospedaliero. Un vero attentato alla salute! Nella stretta Rua do Peregrino invece, vivace e buio viottolo che si diparte da Praza Cervantes, troverete un'ottima cioccolateria: si chiama Matate ed è vivamente consigliata per le colazioni o per gli spuntini pomeridiani. Non fatevi ingannare invece dalla convenienza dei pasti a base di Tapas offerti in centro: spenderete moltissimo e mangerete poco. Noi lo abbiamo scoperto a nostre spese nel corso dell'ultima sera a Santiago de Compostela trascorsa in compagnia di Barbara, anche lei incontrata nuovamente qui dopo aver condiviso insieme una porzione di cammino nelle tappe del pellegrinaggio. Delusi dai miseri spuntini spagnoli concludiamo la serata in una pizzeria vicino a Praza de Fonseca. La cucina italiana del resto non tradisce mai.
Se la vita può prevedere tanti viaggi intorno al Mondo, è anche vero che esistono viaggi che racchiudono dentro di sè tutta una vita. Uno di questi viaggi è il Cammino di Santiago de Compostela, e percorrerlo può significare molte cose. Ma non consumatevi nel chiedervi cosa vi possa spingere a compierlo, concedetevi invece a lui e sarà il Cammino di Santiago stesso a chiedervi inaspettatamente qualcosa: la missione non è il Cammino di Santiago, è il Cammino di Santiago ad assegnare la missione. Ed è in questo modo che tornerete dall'averlo percorso con qualcosa in più addosso, qualcosa in più, anche per noi, l'unica cosa che non saprete mai è cosa per noi quel preziosissimo e vivo qualcosa sia stato.

Tappa 2 (21km): Leon - Villar de Mazarife
Svegliati di buon'ora da un hospitalero che percorre il corridoio del dormitorio battendo rumorosamente un mestolo su una lastra di metallo, consumiamo la nostra colazione in compagnia degli altri pellegrini. Prima di partire veniamo salutati da un'hospitalera con dei baci sulla guancia (gesto che mi è sembrato così strano all'esordio del Cammino di Santiago, ma non sarà più così alla fine del pellegrinaggio) accompagnati all'augurio "Buen Camino" che migliaia di volte sentiremo nelle settimane che verranno, e subito portiamo i nostri passi sul sentiero. Abbiamo deciso di iniziare il Camino Frances, uno dei percorsi di pellegrinaggio jacobeo (non l'unico!) che attraverso la Spagna conducono a Santiago de Compostela, partendo da Leon, cioè circa dalla metà del percorso complessivo e non dal principio presso Saint Jean Pied de Port in Francia sui Pirenei, non per nostra volontà ma per mancanza di tempo: ci troviamo a 320km dalla meta. Il percorso all'interno di Leon è segnalato da conchiglie dorate incastonate lungo la superficie del selciato, preziosa variante rispetto alle tipiche frecce gialle tracciate con colpi di vernice che incontreremo costantemente nelle tappe a venire: seguendo questi aurei segnali arriviamo in breve in Plaza San Marcelo dove sorge la Casa Botines, edificio in stile neogotico progettato nel 1892 dall'architetto catalano Antoni Gaudì. La sua realizzazione si deve ai mercanti di tessuti Simon Fernandez e Mariano Andres Luna, dipendenti dell'imprenditore catalano Juan Francisco Ramon Homs y Botines (da cui il nome dell'edificio), i quali detenevano rapporti commerciali con l'industriale Eusebi Güell: costui aveva potuto ammirare la straordinaria abilità di Gaudì nella realizzazione della futuristica vetrina progettata dall'architetto per la guanteria di Esteve Comella a Barcellona, e consigliò quindi ai soci in affari il suo nome per la costruzione dell'opera nascente. Il progetto proposto da Gaudì prevedeva l'impiego della ghisa per la composizione della struttura portante, caratteristica che incontrò lo scetticismo degli ingegneri i quali, a causa della pesantezza del materiale, previdero un inevitabile crollo della costruzione...crollo che ovviamente non avvenne mai. La facciata dell'edificio, fine ed elegante, è arricchita da una statua alta 3m raffigurante San Giorgio, copia dell'opera originale rimossa dal sito a causa del deterioramento dovuto all'esposizione agli agenti atmosferici.


Tappa 3 (20km): Villar de Mazarife - Santibañez de Valdeiglesias
La luce dell'alba appena sorta ci rivela l'aspetto migliore di Villar de Mazarife, illuminando di uno stupefacente arancione caldo le pareti della Iglesia Parroquial de Santiago Apostol in un appassionato e fraterno abbraccio con l'ombra del mattino precoce, mentre un silenzio insolito asseconda il nostro graduale risveglio. Rimaniamo immobili davanti a questo spettacolo mentre i primi pellegrini intenti a cominciare la giornata di cammino ci superano salutandoci solo con cenni delle mani, quasi a rispettare la quiete che avvolge ancora il villaggio addormentato. Pochi minuti di contemplazione per realizzare che il Paradiso in Terra esiste veramente e si può trovare anche nel più umile dei luoghi, quindi ci avviamo anche noi ad affrontare il cammino: il primo tratto del sentiero che si allontana da Villar de Mazarife corre su una monotona strada carraia asfaltata, stretta e pianeggiante, la quale si addentra nella campagna tra verdi campi coltivati e prati recintati popolati da bestie al pascolo. Ogni tanto incontriamo piccole casupole isolate, raro segno di vita in questo paesaggio agreste assieme al ruvido gracidare delle rane numerose nei canali di irrigazione. Il fisico sembra aver recuperato bene la fatica del giorno precedente, così percorriamo questo tratto abbastanza in fretta mentre piano piano veniamo comunque superati gradualmente dagli altri pellegrini che la notte precedente hanno pernottato nel nostro stesso albergue, qualcuno avanzando con passo deciso ma zoppicante ci saluta sorridente con un cenno del capo. Arrivati nei pressi del villaggio di La Milla del Paramo, la nostra via incrocia una strada di maggiore portata: la attraversiamo senza incontrare traffico ed imbocchiamo una modesta stradina sterrata. E' a questa altezza che incontriamo Tomas, arzillo vecchietto intento a passeggiare in solitudine per dare libera espressione alla propria passione di sempre, vale a dire fotografare volatili. Non facciamo in tempo a chiedergli poche semplici indicazioni circa la direzione da seguire che subito e spontaneamente si profonde per noi in un impetuoso racconto: ci rivela che il sentiero sterrato sul quale ci troviamo, seppure dismesso ed apparentemente anonimo, possiede un incommensurabile valore storico. E' sulla sua superficie, infatti, che due secoli prima le truppe francesi guidate da Napoleone Bonaparte marciarono alla volta di Astorga, ed è per la stessa via che fecero ritorno in seguito dopo aver rimediato una cocente sconfitta inflitta per mano della tenace resistenza spagnola. Nel 1793 la Spagna entrò per l'appunto in guerra contro la Francia, la quale proveniva dai recenti avvenimenti della Rivoluzione Francese che avevano portato alla decapitazione di re Luigi XVI di Borbone e della sua consorte, la regina Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena, e quindi alla proclamazione della repubblica: in seguito alla sconfitta spagnola sul campo nel contesto dei conflitti di potere che seguirono a tali eventi, la Francia concesse un trattato di pace nel quale la Spagna veniva riconosciuta come stato indipendente ma sottoposto al potere francese. Nel 1807, tuttavia, le truppe francesi guidate da Napoleone invasero i confini spagnoli con il pretesto di voler conquistare il Portogallo, occupando di fatto i territori di Spagna e costringendo all'abdicazione il re spagnolo Carlo IV di Borbone. Venne nominato nuovo re di Spagna il fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte, già re di Napoli: da qui ebbe inizio la Guerra di Indipendenza Spagnola, condotta dal popolo attraverso lotte clandestine contro il potere imperiale francese, che condusse nel 1814 alla sconfitta ed alla ritirata degli invasori grazie anche all'intervento nel conflitto dell'Inghilterra, nemica giurata dell'impero napoleonico, quindi alla proclamazione del nuovo re spagnolo Ferdinando VII di Borbone. Fu pertanto proprio nei territori sui quali ci troviamo ora che uno dei condottieri più abili della storia, Napoleone Bonaparte, conobbe una delle sue poche sconfitte, inflittagli da modesti contadini improvvisatisi soldati, troppo orgogliosi ed attaccati alla propria libertà per arrendersi alla tirannia. Tomas ci racconta poi di come al sentiero che stiamo percorrendo, durante gli anni della dittatura franchista, venne affiancata una via alternativa del Cammino di Santiago che, attraverso la grossa strada asfaltata che abbiamo incrociato poco prima, passa per San Martin del Camino in un'alternativa più moderna, ma sicuramente meno suggestiva, rispetto alla via tradizionale più lunga. Infine ci viene spiegato anche che presso La Milla del Paramo sorgeva un antico monastero abitato da monache ed un prolifico insediamento rurale raccolto intorno ad un villaggio conosciuto con il nome di San Mesmes: entrambi furono devastati da una violenta epidemia di peste nera che colpì quest'area circa nove secoli fa', la regione rimase disabitata ed il monastero cadde in rovina fino a scomparire. Salutiamo Tomas dopo aver percorso in sua compagnia un brevissimo tratto di strada. Lo lasciamo alla sua passione fotografica e proseguiamo lungo il sentiero sterrato fino a raggiungere il villaggio di Villavante, al quale accediamo costeggiando una piccola fattoria ed attraversando un cortile ingombro di numerose balle di fieno: abbiamo percorso già 10km e decidiamo di fermarci qui per dissetarci e riposare un po' le gambe. Il nome di questo piccolo centro abitato deriverebbe dalla parola latina villa, che significa appunto "piccolo insediamento", unita al nome del primo fondatore dell'agglomerato urbano moderno, probabilmente un mozarabo di nome Abanto (oppure Aventi) che ripopolò l'area dopo l'abbandono susseguente al declino della civiltà romana. Ai tavolini di un piccolo bar ritroviamo gli stessi pellegrini che avevamo incontrato il giorno prima a Villar de Mazarife e che ci hanno preceduto lungo il cammino. Ripartiamo per ultimi accompagnati da Jocelyn, un'impacciata insegnante statunitense proveniente dallo stato dell'Ohio che abbiamo incontrato seduta al bar: abbiamo scambiato poche parole ed era inevitabile proseguire insieme, cosa che a dire il vero non può che farci piacere. Abbiamo infatti capito presto che il miracolo del Cammino di Santiago si compie nel continuo incrociarsi dei sentieri dei vari pellegrini: alcuni li incontri una sola volta e mai più, altri continuano sorprendentemente a seguirti lungo il percorso, in un inarrestabile, tacito e mai espresso patto di alleanza e condivisione che accoglie tutti, senza pregiudizi o limitazioni, tutti i pellegrini diretti a Santiago de Compostela, alla stessa meta, sopportando la stessa fatica, attraversando gli stessi luoghi. Tappa dopo tappa il miracolo si compie, e come quei famosi dodici che in principio seguirono il Cristo, come la Chiesa millenaria, ecco il prodigio della creazione della comunità, fatta di uomini ognuno con il proprio intento, la propria fede, le proprie motivazioni. Chi compia questo prodigio decidetelo voi, ad ogni modo percorrere il Cammino di Santiago non è solo rendere grazia e lode al divino, ma anche comprendere di non essere mai soli. Accompagnati da Jocelyn oltrepassiamo così la Iglesia de Nuestra Señora de la Purificacion, il simbolo di Villavante, costruita nel XVII secolo e con il campanile posto peculiarmente lungo la facciata sud. Villavante è infatti celebre in Spagna per essere il luogo in cui annualmente si tiene il più grande raduno nazionale di campanari: la Escuela de Campaneros de Villavante, vera e propria università per campanari, è una delle più prestigiose della nazione.




Tappa 4 (21km): Santibañez de Valdeiglesias - Santa Catalina de Somoza
Ripartiamo da Santibañez de Valdeiglesias quando l'alba è spuntata da poco e ci incamminiamo aggregandoci ad una folta colonna di pellegrini che come noi iniziano un'altra giornata di cammino. Ci lasciamo alle spalle il villaggio decollando lentamente lungo una comoda salita su superficie sterrata: la magia della prima luce del sole, addensata in caldi toni arancioni dalla notte appena trascorsa, ci offre uno scorcio ancora più bello sulla piccola valle che ospita il centro abitato poco più in basso.





Tappa 5 (26km): Santa Catalina de Somoza - El Acebo de San Miguel
Una nuova giornata inizia e ci attende una delle tappe più lunghe del nostro cammino. Ci lasciamo alle spalle Santa Catalina de Somoza che, prima di scomparire dalla nostra vista, ci regala uno dei paesaggi più belli dell'intero viaggio: mentre dietro di noi l'alba sorge sopra il campanile della chiesa che, dopo averci accolto da lontano il giorno precedente, saluta ora la nostra partenza, la vista si perde su un lato lungo le dolci curve dei Montes de Leon, complesso montuoso situato nella parte più occidentale della provincia leonense e lungo il margine meridionale della Cordillera Cantarabica, i quali ci accompagneranno per un lungo tratto del nostro percorso.





Troviamo rifugio presso l'Albergue Parroquial Santiago Apostol, situato vicino alla chiesa: camerate poco affollate con rumorosi soffitti di legno, pagamento a donativo, cena comunitaria compresa, atmosfera familiare. L'hospitalero di nome Mauricio ci accoglie un po' freddamente: apprenderemo più avanti la straordinaria forza di volontà di quest'uomo, impegnato a titolo gratuito presso questo piccolo albergue posto a chilometri di distanza dalla propria casa, situata vicino a Murcia, nonostante sia sposato, abbia due figli e non sia più giovanissimo, eppure dedica annualmente alcune settimane all'accoglienza dei pellegrini offrendo la propria preziosa opera di ospitalità come volontario, dopo aver compiuto lui stesso come pellegrino il Cammino di Santiago alcuni decenni addietro. Guardarlo introverso e silenzioso chino sui documenti da compilare per accoglierci nell'albergue mi fa pensare che una giusta commistione tra solitudine e compagnia sia la chiave per ogni felicità. Oltre ad Elia e Valentina, con i quali siamo ormai compagni nel pellegrinaggio, incontriamo in albergue anche Micaela, quarantenne commercialista pavese proveniente dal Camino Primitivo, a nord, la quale ci confida di essere affetta dal vizio di cominciare a camminare nelle fasi della vita in cui le idee non le appaiono più chiare. Ha già compiuto la Via Francigena ed il Cammino degli Dei in Italia, il suo incontro mi fa pensare a come il Cammino di Santiago possieda lo straordinario potere di conferire forza alle persone nell'aiutarle a prendere alcune decisioni importanti nella loro vita, una forza che probabilmente non è possibile trovare in nessun altro posto e che forse proviene da qualcosa o qualcuno che dall'alto ci osserva e ci guida. Consumiamo il pasto serale insieme ad Elia, Valentina, Micaela, Antonia, una giovane avvocatessa bulgara infortunatasi ad un ginocchio nel corso della giornata di marcia, ed una più anziana signora tedesca proveniente da Hannover ed il cui nome rinunciamo a comprendere: sarà una delle cene più belle ed umilmente dolci che troveremo lungo il nostro cammino. Prima di coricarci, Mauricio ci accompagna tutti sul prato antistante all'albergue ad osservare un tramonto velato da nubi basse sopra la valle sottostante il villaggio. La compagnia degli altri pellegrini sarà davvero ciò che non potrete dimenticare del Cammino di Santiago.
Tappa 6 (16km): El Acebo de San Miguel - Ponferrada
Risvegliati dalla fresca aria mattutina, abbandoniamo El Acebo de San Miguel non ancora pienamente ristabiliti dalla fatica della tappa precedente: cominciamo ad accusare i primi problemi legati a tendiniti e a vesciche sui piedi. Proviamo a non farci caso e del resto il fastidio si attenua mano a mano che maciniamo i chilometri. Poche decine di metri fuori dal centro abitato incontriamo subito il Monumento a Heinrich Krause, memoriale dedicato ad un ciclista tedesco morto su questo tratto di sentiero nel 1988 mentre compiva su due ruote il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela. Il suo ricordo è affidato ad una scultura essenziale, fatta di spesse barre di ferro intrecciate a formare la figura di una bicicletta. Guardando questo monumento è inevitabile pensare alla forza delle motivazioni che spingono i pellegrini a compiere il Cammino di Santiago anche a rischio della propria vita.

Ci rimettiamo in marcia: percorriamo Calle Real, la via principale della cittadina, e ci lasciamo alle spalle Molinaseca dopo aver attraversato la sua parte più periferica e residenziale. Il sentiero continua lungo un marciapiede posto a lato della strada carraia ed il quale, poco oltre, comincia a decollare descrivendo una ripida ed impegnativa ascesa. Con il sole a picco raggiungiamo la cima della salita e ci sembra di aver scalato una vetta inarrivabile: da qui si apre davanti ai nostri occhi una vista su un'ampia valle al centro della quale scorgiamo la nostra meta odierna, Ponferrada, la quale sembra quasi a portata di mano. La prospettiva ci inganna però, perchè mancano ancora circa 5km per raggiungerla. Scendiamo lungo il versante opposto del pendio e deviamo sulla sinistra lungo una stradina secondaria, sempre su asfalto; poco oltre abbandoniamo la stradina e proseguiamo su sterrato. Un'altra salita, meno lunga ma ugualmente ripida della precedente e su una superficie di terra e ghiaia, ci conduce quasi all'arrivo. Ci resta solo da compiere un corto tragitto affiancato da verdi pascoli popolati da tranquilli bovini su un lato e dal Rio Boeza sull'altro: sul prato ai bordi di questo tratto ci fermiamo sfiniti e quasi in preda alle lacrime per lo sforzo che stiamo compiendo, si fa sentire insidiosa tutta la fatica della tappa del giorno precedente. Il sentiero cede quindi gradualmente il passo alle strade di città: penetriamo la periferia urbana, superiamo le acque del fiume sul dorso di un piccolo ponte pedonale di pietra e proseguiamo lungo la riva opposta sul lungofiume Camino Bajo San Andres. Siamo finalmente a Ponferrada, capitale del Bierzo, città le cui origini risalgono all'XI secolo, epoca nella quale Osmundo, vescovo di Astorga, ordinò la costruzione sul luogo di un ponte che facilitasse il passaggio dei pellegrini sopra il Rio Sil: il ponte, inizialmente fragile, venne poi rinforzato con l'aggiunta di inserti di ferro, e da qui il nome della città. Raggiunto l'edificio dell'ospedale locale, ci addentriamo in città e poco più in là sbuchiamo al cospetto del Castillo de los Templarios: Ponferrada fu infatti in antichità dominata dai Cavalieri Templari, i quali qui stabilirono un avamposto per la difesa dei pellegrini in viaggio verso Santiago de Compostela. Dopo la caduta dell'Ordine Templare, la città passò tra i possedimenti di Pedro Fernandez de Castro, vicerè di Napoli, quindi dei conti di Lemos, infine della Corona Spagnola. Della gloriosa e leggendaria dominazione cavalleresca rimane comunque oggi il bellissimo castello fortificato, antica sede dei cavalieri, posto sulla cima di una bassa collina nel luogo in cui si crede sorgesse in precedenza una fortificazione celta utilizzata poi anche dai romani e dai visigoti. I Cavalieri Templari vi si stabilirono solo nel 1178 per concessione di Ferdinando II re di Leon, apportando alla struttura opere di rinnovamento, ampliamento e consolidamento. Nel 1811 gli abitanti di Ponferrada fecero saltare in aria il castello piazzando dell'esplosivo lungo le sue mura: lo scopo era quello di non concedere la fortezza intatta alle truppe napoleoniche in rapida avanzata. Seguì quindi un lungo periodo di abbandono durante il quale il castello cadde in rovina: le pietre delle mura residue vennero impiegate nella costruzione di altri edifici in città e lo spazio interno venne riqualificato a parco pubblico dentro il quale, per un certo tempo, fu collocato persino un campo da calcio.



Tappa 7 (24km): Ponferrada - Villafranca del Bierzo
Veniamo svegliati bruscamente dal rumoroso gruppo di pellegrini che condivideva con noi la camera del dormitorio: dalle dimensioni spropositate dei loro zaini intuisco che, con tutta probabilità, stanno compiendo il Cammino di Santiago scortati da automobili che trasportano fino a destinazione il loro bagaglio, certamente troppo pesante per essere portato a spalla, consentendogli così di compiere la tappa in tutta libertà e comodità. Questa è un'usanza purtroppo non rara tra i pellegrini, da me personalmente disapprovata anche perchè questi viandanti saranno sicuramente i primi ad arrivare a destinazione e ad accaparrarsi i posti migliori negli albergue, a discapito dei pellegrini che invece, decisamente più stanchi, arriveranno più tardi alla meta con lo zaino sulle spalle. Questo agitato risveglio segna l'inizio di una giornata speciale: ricorre infatti il giorno della Pasqua cristiana. Ci eravamo già informati il giorno precedente sugli orari delle messe festive a Ponferrada: la celebrazione nella cattedrale sarebbe però iniziata ad un orario per noi impossibile, a mezzogiorno, dopo una lunga processione svolta per le vie cittadine. Con la lunga strada che ci attendeva non avremmo potuto concederci tanta calma. Poi, quando già cominciavamo a disperare, ecco che veniamo dirottati da un gruppo di gentili perpetue al Convento de la Purisima Concepcion, situato in Calle Reloj proprio dirimpetto all'edificio del Museo del Bierzo. Questo antico edificio religioso venne fondato nel 1524 dai nobili signori locali don Alvaro Perez Osorio e doña Brianda de Quiros, e fu eretta sui resti di una precedente chiesa del XV secolo intitolata a San Sebastiano della quale oggi rimane solo il bellissimo coro rialzato in legno. Nel XVII secolo il convento venne ampliato con l'aggiunta di un chiostro e ristrutturato con il rifacimento della facciata della chiesa: qui oggi risiede ancora una comunità di monache francescane di clausura. Questo meraviglioso tempio religioso, chiuso nella stretta delle anguste strade di città, ci offre fortunatamente la possibilità di assistere alla messa pasquale durante la quale ci viene regalato un momento di riflessione inatteso e sorprendente: nel corso del sermone il parroco spiega come Cristo muoia e rinasca ogni giorno a vita nuova, e così anche i fedeli, avviliti dalle fatiche e dai dolori della vita quotidiana ma risollevati costantemente nella misericordiosa Pasqua di Cristo. Allo stesso modo il pellegrino muore quotidianamente nella fatica del cammino e risorge nella gloria ogni mattino al risveglio, pronto a ricominciare la propria marcia. La vita è un cammino di fede ed il Cammino di Santiago è sintesi di tutta una vita. Al termine del rito abbandoniamo il Convento de la Purisima Concepcion accompagnati dal leggero canto delle monache di clausura che hanno animato con le proprie voci tutta la celebrazione: stanno sedute nel coro alle nostre spalle e sono separate dai comuni fedeli da una spessa grata di ferro. Onorata a dovere la festività, ci rimettiamo in cammino accompagnati da Barbara, una simpatica e giovane tedesca che già dal giorno prima, dopo averci incontrato in albergue, ci aveva chiesto di poterci seguire per assistere alla messa. Rimarremo con lei per tutta la durata della tappa e sarà una delle amicizie più profonde che riusciremo ad intessere nel corso di tutto il viaggio. Non facciamo caso al prurito di cui ci dice di soffrire dal giorno precedente, apprendiamo anzi con noncuranza la notizia mentre attendiamo l'orario di inizio della messa seduti a fare colazione in una caffetteria, ma tenete bene a mente questo fatto, ci riserverà delle sorprese a fine giornata.



Tappa 8 (28km): Villafranca del Bierzo - O Cebreiro
La sostanziosa colazione dell'hospitalero Jesus ci conferisce le energie per iniziare una nuova giornata. Salutiamo Barbara nel momento in cui riceve da Jesus la sacca dei panni lavati e lo zaino congelato insieme agli scarponi: di fronte al suo sguardo esterrefatto non riusciamo a reprimere del tutto un sorriso divertito. In men che non si dica, prima ancora che sorga completamente il sole, siamo già di nuovo in cammino. Attraversiamo Villafranca del Bierzo che ci lasciamo alle spalle subito dopo aver superato un bel ponte sospeso sul Rio Burbia posto all'estremità del centro abitato. Il sentiero prosegue quindi per alcuni chilometri sopra una stretta strada asfaltata attorcigliata sinuosamente lungo la sponda del Rio Valcarce: la pendenza in lieve discesa e l'ombra compatta creata dal bosco disposto intorno al fiume rende questo tratto abbastanza agevole e poco faticoso. Il rumore delle acque vivaci del Rio Valcarce ci accompagna fino all'intersezione con l'Autovia del Noroeste: giunti qui, il percorso continua ai bordi dell'autostrada, su una corsia pedonale separata dalle carreggiate. Sulle nostre teste si incrociano ora i cavalcavia autostradali, il sentiero prosegue per un lungo tratto sempre in piano senza troppe variazioni ed il paesaggio appare misero e dominato quasi completamente dal cemento. Ad ogni modo la marcia in questa prima parte di tappa risulta semplice e poco impegnativa, tutto sommato sicura e non completamente sgradevole: lungo la via incontriamo poco traffico, attorno all'autovia si innalzano verdi colline coperte di fronde selvatiche che smorzano il triste effetto dell'asfalto, e se non altro il lineare disegno delle strade che si intrecciano intorno a noi mantiene il sentiero quasi sempre all'ombra. La pista procede dritta per una lunga distanza, discostandosi dal tracciato autostradale solo per attraversare i limitrofi villaggi di Pareje, una manciata di case diroccate, e Trabadelo, all'ingresso del quale costeggiamo una segheria davanti alla quale sono accatastate altissime pile di legname, di modo che il fresco odore del legno appena tagliato ci travolge improvvisamente e piacevolmente. Superato Trabadelo il sentiero si riaccosta all'autostrada ed in alcuni tratti costeggia ancora il corso del Rio Valcarce. Poi, superato un complicato svincolo autostradale presso il quale sorge una grande stazione di servizio per automobilisti, svoltiamo bruscamente a destra e facciamo l'ingresso a Portela de Valcarce, piccola (circa 120 abitanti) frazione urbana dipendente dalla vicina e più grande cittadina di Vega de Valcarce. Questa località fu celebre in epoca medievale in quanto qui veniva riscosso il Portazgo de Valcarce, un tributo di passaggio che i viandanti dovevano pagare ai signori, laici ed ecclesiastici, possessori dei territori locali: teoricamente tale pedaggio sarebbe dovuto essere risparmiato ai pellegrini diretti a Santiago de Compostela, ma la storia tramanda che spesso tale diritto non veniva rispettato. Il Portazgo de Valcarce fu uno dei tributi medievali più conosciuti in tutta la Spagna, in virtù della grande importanza di questo svincolo nella viabilità dell'epoca per pellegrini e viaggiatori, tanto da garantire sicure ricchezze ai signori che lo detenevano. Fu concesso alla nobiltà locale dalla Corona Spagnola e venne abolito solo nel 1072. Il nome del villaggio che sorge nei luoghi dove veniva riscosso tale tributo deriva proprio dalla denominazione del tributo stesso: le parole Portela e Portazgo possiedono infatti la medesima radice, probabilmente dal termine spagnolo puerta indicante un portale di passaggio obbligato sottoposto al pagamento di un pedaggio.








Tappa 9 (21km): O Cebreiro - Triacastela
La tappa comincia con una spettacolare sorpresa. Fuori dall'hotel che ci ha ospitato veniamo accolti dalla fredda aria di montagna che ci strappa immediatamente di dosso gli ultimi residui del sonno. Percorriamo le strade di O Cebreiro, deserte e silenziose, i turisti non hanno ancora invaso questo angolo sperduto di Mondo che appare quindi finalmente per quella che è la sua reale natura, un'oasi di vera quiete. Arriviamo al limite del villaggio chiusi fino al volto nelle nostre giacche a vento e davanti ai nostri occhi si apre improvvisamente uno spettacolo incredibile: la valle ai nostri piedi è completamente riempita di soffici e vaporose nuvole bianche che, simili ad un immenso fiume di panna montana, scorrono tra i versanti delle colline come un fiume all'interno dei propri argini, mentre un timido sole si affaccia lentamente sullo sfondo di tale surreale panorama. Rimaniamo letteralmente a bocca aperta davanti a questo inaspettato regalo offertoci da una Natura tanto generosa quanto perfetta, ed al di là di tutti i luoghi meravigliosi e significativi che incontreremo nel corso di tutto il Cammino di Santiago, sarà sempre questo momento ad irrompere nella mia memoria come la cosa indubbiamente più bella che abbia visto durante l'intero viaggio.






Tappa 10 (25km): Triacastela - Sarria
Da Triacastela inizia una delle tappe più belle di tutto il Cammino di Santiago. Da qui si dipartono due percorsi: il primo, più breve e diretto ma con un dislivello in salita maggiore, costituisce la via storica e si snoda attraverso il villaggio di San Xil; il secondo più lungo di circa 6km ma più in piano e più ricco di significato, conduce a Samos. Decidiamo per quest'ultimo itinerario ed ovviamente, a posteriori, lo consigliamo vivamente a tutti i pellegrini diretti verso Santiago de Compostela.

Proseguiamo sulle strade fangose del villaggio e, lasciatoci alle spalle San Cristovo do Real, comincia la parte più bella della tappa: il sentiero procede su una stretta pista sterrata in continuo saliscendi ma senza salite particolarmente impegnative, protetto costantemente dall'ombra di un tunnel arboreo costituito da boschi di querce e castagni che facilita la marcia ed allieta l'animo, immerso in una magnifica valle di verdi pascoli delimitata dal Rio Oribio. Natura, silenzio, pace: ecco quello che troverete percorrendo questa tappa, peraltro poco battuta visto che la maggior parte dei pellegrini generalmente si lascia scoraggiare dalla distanza maggiore ed intraprende quindi la via convenzionale più breve. La tappa che conduce a Samos è un balsamo per lo spirito! Lungo il percorso spuntano, come fiori variopinti e tutti diversi su un bel prato verde, piccoli villaggi agricoli, come Renche, esiguo agglomerato di case immerso nel verde più assoluto, e San Martiño do Real, poche stalle ed un'umile chiesa rurale che secondo la leggenda, in tempi antichi, ospitò anche San Martino di Bracara in persona, vescovo di Braga vissuto nel VI secolo, evangelizzatore dei popoli galli, secondo la leggenda fu oratore tanto abile da convertire persino il re svevo Teodomiro.

Tappa 11 (22km): Sarria - Portomarin
Sarria venne ufficialmente fondata tra l'XI ed il XII secolo con il nome completo di Villanova de Sarria da Alfonso IX re di Leon. Il suo nucleo primitivo nacque però precedentemente come insediamento romano e successivamente venne occupato dagli svevi. Nel XV secolo Pedro I re di Castiglia concesse i territori della città come feudo ai conti di Lemos. Più tardi, nel corso dello stesso secolo, il sovrano castigliano Alfonso XI nominò Alvaren Nuñez Osorio primo conte di Sarria, creando in tal modo un nuovo contado, il quale guadagnò nel corso dei decenni successivi una crescente importanza dal punto di vista economico, politico e strategico, per conoscere infine un progressivo declino in seguito alle Revueltas Irmandiñas che si diffusero nella regione sul finire del XV secolo. Furono queste delle rivolte popolari contro i poteri aristocratici ed ecclesiastici, condotte da contadini, popolani e da esponenti della bassa nobiltà, provocate dalle insostenibili pressioni economiche rivolte alla popolazione in seguito al ricongiungimento del Regno di Leon e del Regno di Castiglia sotto un unico stendardo. Le rivolte iniziarono nei territori della provincia di La Coruña amministrati dal crudele padrone feudale Nuno Freire de Andrade. Il gruppo di appartenenti ai movimenti di rivolta adottarono presto il nome di Santa Irmandad, che in galiziano significa "santa fratellanza", assediarono e distrussero complessivamente circa 130 castelli e fortezze costringendo inizialmente i signori feudali alla fuga verso il Portogallo. Tuttavia, dopo due anni di combattimenti, le rivolte vennero soppresse nel sangue grazie all'intervento del nobile paladino Alvarez de Sotomayor, detto El Moruga in virtù della sua strana abitudine di combattere durante le ore mattutine, usanza anomala in ambito cavalleresco. Di questo periodo storico a Sarria rimane il Castillo de los Marqueses de Sarria (o più brevemente, in galiziano, Castelo de Sarria), dimora fortificata fatta erigere nel XII secolo da Gutierre Ruiz de Castro e dalla consorte Elvira Osorio su una bassa collina dove in precedenza sorgeva probabilmente un antico accampamento romano. Nel corso del XV secolo questo castello divenne residenza dei conti di Sarria, successivamente venne assediato e parzialmente distrutto durante le Revueltas Irmandiñas, quindi ricostruito e riabitato dai marchesi di Sarria, designati per la prima volta nel 1503 da Ferdinando II d'Aragona re di Spagna, per cadere infine in stato di abbandono solo in epoca più recente. La fortezza appartiene oggi alla famiglia Perez Batallon e della sua antica struttura rimane solo parte della cinta muraria e soprattutto la Torre del Batallon, torre merlata a base circolare alta 14m il cui nome proviene con tutta probabilità da quello degli attuali proprietari. Altro luogo assolutamente da non perdere a Sarria è il Mosteiro de Santa Maria Madalena, antico monastero fondato originariamente nel III secolo d.C. da due pellegrini italiani di ritorno dal viaggio a Santiago de Compostela, i quali collocarono nel neonato edificio un hospital per l'accoglienza dei viandanti. Successivamente venne occupato ed amministrato da una comunità di monaci agostiniani appartenenti all'Ordine dei Canonici Regolari della Penitenza dei Beati Martiri. In seguito alla Desamortizacion del XIX secolo la struttura fu abbandonata, cadde in rovina e venne utilizzata come caserma militare e come carcere. Solo dal 1896 vi si ristabilì una comunità di monaci appartenenti all'Ordine di Santa Maria della Mercede, i quali lo amministrano tutt'oggi. Questo particolare ordine monacale aderisce alla regola mendicante agostiniana e venne fondato a Barcellona nel XIII secolo come ordine militaresco: ai suoi membri veniva richiesto di pronunciare un particolare voto di redenzione mediante il quale si impegnavano ad offrirsi in sostituzione dei prigionieri cristiani detenuti nelle prigioni arabe nel caso in cui la fede di questi ultimi venisse minacciata e rischiasse di venire rinnegata.






Tappa 12 (25km): Portomarin - Palas de Rei
Al risveglio una fitta nebbia avvolge Portomarin come un oggetto prezioso protetto dalla bambagia dentro il proprio piccolo scrigno. Ci illudiamo di essere ritornati alla fredda campagna invernale lombarda, ma l'illusione dura poco ed il Cammino di Santiago ci reclama. L'atmosfera all'esterno è pregna dell'umidità che sale dal vicino fiume e la bruma attutisce come un incantesimo il suono dei nostri passi mentre ci rimettiamo in viaggio. Quest'atmosfera fiabesca affascina i nostri pensieri e rende meno faticoso l'inizio della marcia: siamo ormai a pellegrinaggio inoltrato e la fatica ora comincia ad accumularsi non riuscendo a riassorbirsi completamente nelle poche ore di riposo pomeridiane. Ci lasciamo alle spalle la surreale visione di Portomarin nascosta dalla nebbia ed attraversiamo un ponte pedonale più piccolo rispetto a quello che il giorno precedente ci aveva introdotti in città. Lungo l'intera estensione della tappa ci accompagnerà Maria e ne siamo felici: la compagnia di altri pellegrini lungo il Cammino di Santiago ha il potere di alleggerire lo sforzo della camminata e di accelerare il tempo. Sappiamo però fin troppo bene che presto o tardi ogni pellegrino che si rispetti dovrà prendere in solitudine la propria strada. Giunti sulla sponda opposta del Rio Miño, ci inerpichiamo subito sopra un ripido sentiero sterrato immerso in un fitto bosco ombroso, mentre la nebbia lentamente comincia a dileguarsi e spunta il primo sole della giornata. Ne riceveremo a vagonate ed il calore sarà intenso. Al termine della salita il sentiero prosegue in piano spostandosi al lato di una larga strada carraia a scorrimento veloce, senza separazioni o protezioni. Proseguiamo così alcuni chilometri oltrepassando tristi capannoni industriali e giungendo infine al microscopico villaggio di Gonzar, che costeggiamo su un lato. Da lontano intravediamo sopra gli irregolari tetti della casupole del villaggio il profilo appuntito della Igrexa Parroquial de Santa Maria, chiesa rurale di stile barocco. Ma Gonzar è famoso in tutta la Spagna per un altro e più peculiare motivo: qui infatti visse, a cavallo tra il XVIII secolo ed il XIX secolo, Josefa della Torre, conosciuta come La Espiritada, o più emblematicamente come la Santa de Gonzar. Nata di umili origini, madre di tre figli, divenne celebre nei racconti popolari in quanto di lei si dice che, negli ultimi 34 anni della sua vita, si nutrì solamente di ostie benedette senza toccare mai nè acqua nè cibo, addirittura pare (dettaglio a dir poco grottesco) senza emettere alcun tipo di deiezione corporea. L'origine di questa miracolosa condotta si fa risalire ad un parossismo nervoso acuto che la colpì dopo una sostenuta discussione avuta con il padre, cui conseguì una prolungata esposizione al freddo dovuta alla fuga da casa unita al pungente gelo invernale. La sua fama crebbe in tutta la Galizia come quella di una santa, tanto che numerosi furono i pellegrini provenienti da tutta la Spagna e dal Portogallo che giunsero a farle visita ammirati dal suo prodigioso digiuno. Tale fama attirò anche l'interesse della comunità ecclesiastica, tanto che Rafael Velez, vescovo di Santiago de Compostela, inviò un gruppo di prelati e di medici ad indagare la situazione legata alla donna. In questo gruppo di studiosi si trovava anche lo stimato medico Josè Varela de Montes, il quale fu il primo a pronunciare una spiegazione scientifica sul caso: Josefa necessitava di nutrirsi poco in quanto poche erano le energie a lei necessarie per sopravvivere; la donna era infatti perennemente rannicchiata a letto, immobile, mai parlava e mai si muoveva. Solo decenni più tardi il caso verrà interpretato come uno dei primi casi di anoressia nervosa descritti nella letteratura medica. Ad ogni modo la fama della Espiritata sopravvive forte ancora oggi nella tradizione popolare galiziana. Immaginando tutta questa incredibile vicenda avvenire nell'umile villaggio posto dinnanzi ai nostri occhi oltrepassiamo Gonzar e proseguiamo la marcia. Ci addentriamo in un bosco di eucalipti, veri dominatori, da qui in avanti nelle tappe successive, di tutti gli ambienti naturali che accompagneranno il nostro cammino. Percorsi pochi chilometri raggiungiamo il villaggio di Castromaior, località, come suggerisce il nome, dalle forti origini romane. Tuttavia l'area su cui sorge oggi il piccolo centro abitato fu occupata, fin da prima dell'arrivo dei romani, dal popolo celtico, e se ne ha testimonianza oggi nei resti del Castro de Castromaior, sito che comprende le rovine di un antico insediamento preromano posto su una bassa collina poco fuori dal nucleo del villaggio. Si tratta di ritrovamenti archeologici tra i più importanti e meglio conservati di tutta la Penisola Iberica. Risalenti all'Età del Ferro, ad un'epoca cioè compresa tra il V secolo a.C. ed il I secolo d.C., questi resti sono giunti in ottimo stato di conservazione fino ai giorni nostri grazie allo scarso sfruttamento agricolo dei territori su cui sorgono. Testimoniano la presenza di un insediamento umano fortificato con mura esterne disposte in sei cerchi concentrici, il quale venne probabilmente abbandonato dopo l'arrivo e la conquista di questi territori da parte della civiltà romana: le nuove tecniche agricole introdotte dai romani spinsero infatti gli abitanti a spostarsi in luoghi più fertili ed idonei alla coltivazione, e fu così che ebbe origine l'odierno villaggio di Castromaior.




Tappa 13 (26km): Palas de Rei - Arzua
Anche dopo una notte difficile il sentero reclama i passi del pellegrino. Ma abbandonare Palas de Rei non è affatto difficile per noi: lasciarci alle spalle questa località così atipicamente parte di un cammino di pellegrinaggio non ci suscita la naturale malinconia che i luoghi piacevoli solitamente stimolano nel viaggiatore. Attraversiamo la brutta periferia cittadina che ricordiamo solo per avervi trovato un forno aperto e brulicante di panettieri ed impastatori, opportunità irripetibile per procurarci un pasto decente. Giunti al limite dell'area urbana si diparte quindi un sentiero sterrato che in breve si addentra nuovamente nella macchia verde, dentro la pancia di ariosi boschi densi di ombra. A poca distanza dalla partenza raggiungiamo San Xiao do Camiño, piccolo villaggio galiziano le cui origini risalgono probabilmente all'epoca romana: testimonianza di queste antiche radici sarebbe il ritrovamento in questa località di alcune immagini scolpite nella roccia ritraenti alcuni lares compitales, vale a dire divinità protettive dei viandanti che i romani erano soliti raffigurare in basse pietre poste ai lati delle vie; successivamente al declino della civiltà romana queste sculture vennero in gran parte inglobate nelle pareti di abitazioni e di cappelle religiose. Presso questo piccolo centro abitato ci soffermiamo un istante solo per osservare dall'esterno la Igrexa Parroquial de San Xiao, in stile romanico e risalente al XII secolo seppure ristrutturata più recentemente nel corso del XVIII secolo, con il piccolo cimitero locale posto, come da prassi, attiguo alla chiesa: è intitolata a San Giuliano l'Ospitaliere, santo del quale si tramanda la proverbiale indole iraconda e violenta, protagonista di una nota leggenda popolare. Nato in Belgio da nobile discendenza intorno a 631 d.C., si narra che un giorno, mentre era impegnato in una battuta di caccia, si imbattè nella figura prodigiosa di un cervo che cominciò miracolosamente a parlargli con voce umana ed in tal modo predisse all'altezzoso ragazzo che sarebbe stato lui stesso l'assassino dei propri genitori. Spaventato da tale vaticinio, Giuliano fuggì senza avvertire nessuno e si nascose in completo anonimato presso la corte di un ricco cavaliere. Costui, per ricompensarlo delle eroiche vittorie in battaglia di cui il misterioso giovane comparso dal nulla, nel corso degli anni successivi al suo arrivo, si rese protagonista, gli donò infine un ricco castello e benedì le sue nozze con una bellissima e nobile dama. Giuliano visse così per alcuni anni pensando di aver abilmente deviato la sfortuna di una sorte avversa. Un giorno però giunsero alla sua corte i genitori, in viaggio verso terre lontane e bisognosi di un rifugio per la notte, ignari del fatto che il castello presso il quale erano giunti appartenesse a loro figlio. I due ospiti vennero accolti dalla consorte di Giuliano, essendo quest'ultimo assente in quel momento dalla fortezza, e pensando che i due viandanti fossero altolocate conoscenze del marito, la donna li ospitò offrendo loro addirittura la comodità della camera signorile. Al ritorno di Giuliano, trovando quest'ultimo la propria alcova occupata da due corpi e pensando ad un tradimento della consorte, si realizzò la predizione che per anni lo aveva perseguitato: Giuliano uccise i genitori accorgendosi solo dopo dell'errore commesso. Abbandonò così la vita aristocratica, si ritirò in ascetismo, viaggiò ramingo giungendo infine in Italia dove costruì con le proprie mani un rifugio per pellegrini presso le rive di un fiume nella regione delle Marche. Anni dopo Giuliano aiutò un umile lebbroso ad attaversare il fiume a bordo della propria chiatta, salvandolo dall'annegamento quando costui, sbalzato fuori dall'imbarcazione da un'improvvisa folata di vento, rischiò la vita. Ospitatolo presso il proprio rifugio, il mendicante si trasformò in una figura luminosa ed eterea che infine benedisse Giuliano e gli perdonò l'assassinio dei genitori. Questa incredibile leggenda sta tutta racchiusa nelle poche vie di San Xiao do Camiño, commemorata dalla silenziosa figura di una chiesa di campagna.
Attraversando il suo centro abitato composto da basse casupole ci fermiamo ad ammirare la facciata della Igrexa Parroquial de Santa Maria, in stile romanico, a navata unica, datata XIII secolo: un'antica leggenda legata a questa chiesa racconta che un giorno di molti secoli fa' nei suoi pressi apparve dal nulla una fresca fonte di acqua purissima, la quale inspiegabilmente emetteva luce durante le ore notturne ed emanava un dolce profumo floreale nel corso delle ore diurne. Colpiti dalla miracolosa apparizione, gli abitanti del villaggio cominciarono a scavare nei pressi della fonte e rinvennero così una statua di Santa Maria che provvidero a trasportare immediatamente al riparo all'interno della chiesa. Ogni notte però la statua tornava sorprendentemente al luogo di origine abbandonando l'edificio, e così si ripetè per molte notti consecutive nonostante gli abitandi del villaggio continuassero a spostare la statua all'interno del tempio, fino a quando un ingegnoso tagliapietre ebbe l'idea di creare una copia perfetta della statua ponendola sopra il timpano del portale d'ingresso per accattivarsi il favore della Madonna. Quella notte infatti la statua rimase al suo posto dentro la chiesa, dove si trova ancora oggi, gemella dell'immagine posta, ora come ieri, lungo la facciata dell'edificio. Osservare questa scultura densa di storia e misticismo fa venire un poco i brividi e contribuisce a creare una gradevole vista insieme alla figura dell'antico Cabazo di legno intrecciato posto su una base di pietra ed a forma di canestro circolare, adagiato sul lastricato a poca distanza dal portale della chiesa: si tratta di una struttura utilizzata in passato per immagazinare al riparo il mais raccolto; oggi costituisce parte del patrimonio storico del villaggio e molti simili se ne trovano sparsi lungo tutta la provincia di La Coruña, parenti stretti degli Horreos che ormai abbiamo imparato a conoscere bene.





Come tutte le città di dimensioni medio-grandi disposte lungo il Cammino di Santiago, anche questa cittadina di circa 6.500 abitanti dice poco al pellegrino di passaggio. Vi penetriamo seguendo Rua Lugo, la via principale, ed arriviamo ad un anonimo piazzale alberato sul fondo del quale troviamo la Igrexa Parroquial de Santiago, di epoca recente, eretta nel XX secolo, poco appariscente ed a dire il vero non particolarmente degna di nota. Abbandoniamo Rua Lugo e svoltiamo a sinistra trovandoci davanti alla Capela da Madalena, piccola cappella fondata nel XIV secolo come parte di uno scomparso convento di clausura agostiniano. I monaci che abitarono il convento lo abbandonarono nel XVI secolo in seguito alla riforma promossa da papa Pio V che tolse all'ordine monastico la regola di clausura, conseguentemente il complesso conventuale venne abbandonato, cadde in disuso ed infine scomparve, lasciando a propria memoria appunto solo la Capela da Madalena. Al suo interno le celebrazioni religiose si tennero fino al 1835, dopo questa data la cappella venne adibita alle funzioni di carcere, pagliaio, legnaia, ed infine di centro culturale, ruolo che svolge ancora oggi. Subito dietro la cappella si trova l'albergue de la xunta, vale a dire il rifugio per pellegrini a conduzione municipale, ed è lì che siamo diretti. Paghiamo l'esiguo prezzo di pernottamento, saliamo alla camerata e veniamo investiti dall'orrore: uno stanzone sporco, affollatissimo, odore intenso di chiuso ed aria che probabilmente non veniva cambiata da giorni, materassi in tessuto logoro e lenzuola a dir poco vissute. Scappiamo letteralmente senza concederci nemmeno il tempo per chiedere il rimborso del pagamento.

Tappa 14 (18km): Arzua - O Pedrouzo
Il risveglio nella piccola pensione della señora Maria Josè ci è familiare ed assomiglia molto a quello di casa. Riprendiamo il sentiero con nelle gambe la frizzante eccitazione suscitata dalla vicinanza a Santiago de Compstela, percepiamo la meta, la sua aura ci circonda ormai costantemente. L'attesa è il sale che insaporisce i giorni del pellegrino, ed una volta terminato il viaggio lungo il Cammino di Santiago sarà ciò che motiverà quel dolce sorriso, non privo di audacia, che vi comparirà sul volto ogni volta che ripenserete alla strada percorsa. Lasciataci alle spalle Arzua, il sentiero riprende il consueto canovaccio: piste sterrate immerse nei boschi, qualche manciata di case diroccate qua e là, piccoli villaggi silenziosi, paesaggi occultati da canali arborei che inghiottono il pellegrino. Il primo centro abitato che incontriamo, a poca distanza dalla partenza, è Pregontoño, tranquillo e brumoso. A circa 5km di cammino sorge invece il piccolo villaggio di A Calzada, e poco prima di questo, quando mancano 33km (sarà un caso, due volte il numero della Trinità?) a Santiago de Compostela, presso un piccolo rifugio per pellegrini ricavato in un edificio rurale, si trova il Muro de la Sabiduria, il Muro della Saggezza: lungo la parete perimetrale del rifugio troviamo appesi alcuni fogli plastificati, allineati uno accanto all'altro, scritti con brevi osservazioni e domande che suggeriscono al pellegrino una sosta riflessiva. Cogliere il messaggio di questa particolare installazione è quasi un atto dovuto , giunti a questo punto del viaggio. "Pensi che il Paradiso sia solo per colui che crede nella sua esistenza?", "Credi che se Cristo tornasse sulla Terra saremmo capaci di riconoscerlo?", "Cosa pensi che intendesse Cristo quando pronunciò le parole 'La Verità renderà l'uomo libero'?", "Ritieni di essere un cercatore di Verità? Il cercatore è colui che è capace di approcciarsi a tutte le culture, tutte le religioni, senza pregiudizio."


Tappa 15 (20km): O Pedrouzo - Santiago de Compostela
La tappa comincia con l'entusiasmo tipico delle imprese quasi compiute, oltre che con un'inaspettata variazione sull programma stabilito il giorno precedente: incontriamo infatti Juan Manuel a poca distanza dalla caffetteria alla quale ci siamo fermati per consumare la colazione e ci informa rassegnato che, a causa di un problema al ginocchio peggiorato nel corso della nottata e causato dalla fatica della tappa del giorno prima, non potrà proseguire a piedi insieme a noi, prenderà invece un bus che lo porterà direttamente ed in breve tempo a Santiago de Compostela. Ad ogni modo abbandoniamo senza troppa difficoltà O Pedrouzo e poco oltre il centro abitato imbocchiamo un sentiero sterrato che ci trasporta nuovamente dalla città nel cuore della Natura, per mezzo di un bellissimo bosco illuminato dalla debole luce del sole che filtra attraverso le fronde. Oltrepassiamo minuscoli ed anonimi agglomerati di case ed improvvisamente, al termine di una salita abbastanza impegnativa, veniamo infine sorpresi dal rombo degli aerei in decollo: il sentiero sbuca senza vie di mezzo accanto all'aeroporto di Lavacolla, lo scalo aeroportuale di Santiago de Compostela. In questo tratto iniziale di ultima tappa ci hanno accompagnato Adrian e Janet, i due inglesi che avevano iniziato con noi il pellegrinaggio da Leon e che ora, sempre con noi, lo stanno concludendo: le vie del Signore sono davvero infine, li abbiamo incontrati lungo il sentiero poco fuori da O Pedrouzo. Adrian mostra una parlantina davvero poco britannica, è un vero vulcano di parole, così, decisi a goderci quest'ultimo tratto di pellegrinaggio in silenziosa tranquillità, per goderci ogni suo ultimo respiro, decidiamo di fermarci per pochi istanti accanto alle recinzioni oltre le quali intravediamo le piste di decollo ed atterraggio dell'aeroporto.




Il giorno successivo lo dedichiamo interamente alla visita della città ripartendo da dove l'avevamo interrotta il pomeriggio precedente. Un meritato e finalmente sereno riposo goduto in una tranquilla camera privata presso il raffinato Hotel Mouro ci ha fatto magicamente recuperare parte delle energie spese nelle settimane appena trascorse. Del resto la curiosità è tanta e l'eccitazione ancora di più. Ripartiamo da Praza do Obradorio, letteralmente Piazza dei Laboratori, così chiamata in quanto sul suo spazio in passato si affacciavano numerose botteghe di artigiani. Sullo sfondo della piazza si staglia il Pazo de Raxoi, palazzo istituzionale ed elegante, attualmente sede del municipio, costruito nel 1766 dall'architetto Carlos Lemaur su ordine dell'arcivescovo Bartholomè Rajoi (in galiziano Raxoi, da cui il nome dell'edificio) con il fine di stabilirvi un seminario per prelati confessori.











Tappa 17: Santiago de Compostela - Muxia
Da Santiago de Compostela un autobus della compagnia Ferrin ci consente di percorrere i 70km che ci separano dall'Oceano Atlantico. Dopo circa 2 ore di viaggio giungiamo a Muxia, piccola località marittima abitata da pescatori e situata nel punto più occidentale dei territori spagnoli. A Santiago de Compostela ne avevamo sentito parlare per la sua semplice ma grandissima bellezza, ed attirati da queste descrizioni entusiastiche, riportateci da pellegrini ai quali si illuminava lo sguardo al solo ricordo di questo luogo, non abbiamo potuto resistere dal visitarla. L'autobus ci scarica proprio davanti al porto, respiriamo l'aria salmastra del mare che ci accoglie per prima. Ci incamminiamo per le strette vie interne ed abbandoniamo subito i nostri bagagli presso l'Albergue Arribada, una struttura ricettiva di recente realizzazione amministrata da personale giovane e gentile. Il tempo a nostra disposizione non è molto, così ci avviamo subito a visitare i dintorni. Camminiamo verso l'oceano ed attraversiamo il centro abitato. Sbuchiamo su Rua Virxe da Barca e ci spostiamo su un sentiero pedonale sopraelevato che si snoda su un basso rilievo roccioso: sotto di noi si estende la vista sul porto e più in là sulle acque blu di una stretta insenatura.
Percorse alcune decine di metri incontriamo la Igrexa Parroquial de Santa Maria, piccola chiesa a navata unica e di epoca bassomedievale che sembra letteralmente incastonata nella pietra collinare. La sua facciata, infatti, appare inconsuetamente rivolta verso una ripida parete rocciosa, dalla quale è separata solo per mezzo dei pochi metri di larghezza dello stretto sentiero che passa proprio dinnanzi al portale di accesso. Sopra il versante di questa compatta parete di roccia sorge, separato dal resto della chiesa, la torre campanaria a due campane, appendice discontinua ma necessaria dell'edificio religioso. Su un lato della navata sorge invece una cappella di più piccole dimensioni, di costruzione posteriore (XIV secolo) rispetto al resto del tempio ed in stile gotico, chiamata Capela do Rosario. Di fronte ad essa, ai piedi della parete rocciosa, sta infine un antico crocifisso di pietra. Superata questa particolarissima chiesa proseguiamo sul sentiero pedonale e dopo poche altre centinaia di metri arriviamo alla Punta da Barca, piccolo promontorio di roccia e scogli situato all'estremità settentrionale di Muxia. Dopo settimane di viaggio eccoci infine giunti al confine più lontano del nostro itinerario, davanti a noi si apre in tutto il suo lucente splendore lo spettacolo invalicabile dell'Oceano Atlantico, il quale saluta il nostro arrivo soffiandoci addosso un vento davvero possente e che ci spinge indietro con violenza, ma non ci lasciamo intimidire ed insistiamo a procedere. Qui infatti si trova il vero tesoro muxiano: il Santuario da Virxe da Barca è uno dei luoghi più magici di tutto il Cammino di Santiago. Si tratta di una piccola cappella costruita direttamente sugli scogli, rivolta verso l'oceano ed esposta agli sbuffi di schiuma delle acque spinte dal vento ad infrangersi lungo la costa rocciosa. La vista dall'alto su questa umile costruzione, ferma a sfidare la furia dell'oceano, è davvero qualcosa di incredibile, e per chi volesse spingersi in un ardito slancio di immaginazione non è difficile scorgere in questo panorama la prodigiosa potenza di una fede semplice ma che non può essere scalfita dalla più violenta delle minacce. Senza ombra di dubbio posso comunque affermare che questo è uno dei posti più suggestivi incontrati durante tutto il percorso di pellegrinaggio compiuto.
Tappa 18 (28km): Muxia - Finisterre
Con l'alba del nuovo giorno ci rimettiamo in cammino e riprendiamo le tracce di San Giacomo. Da Muxia parte quella che sarà una delle tappe più affascinanti e selvagge di tutto il viaggio. Siamo sul Cammino di Finisterre, l'insieme dei percorsi di pellegrinaggio giacobeo che oltre Santiago de Compostela conducono alla costa fisterranea. Lungo questi sentieri vivremo una breve ma intensa esperienza, più solitaria ed interiore rispetto al precedente tratto di Cammino di Santiago, forse anche in virtù della maggiore saggezza e della più matura capacità introspettiva acquisita nel corso delle tappe precedenti. Le piste sono infatti meno affollate rispetto a quelle che ci hanno condotto a Santiago de Compostela, e la maggior parte dei pellegrini che avevano congestionato gli ultimi chilometri prima dell'arrivo alla città del santo non si sono spinti oltre arrestando la propria marcia proprio alla tomba dell'apostolo. Probabilmente proprio per il fatto di essere meno frequentati, i sentieri che conducono a Finisterre sono anche peggio segnalati, e non è raro imbattersi in tragitti privi di indicazioni e sprovvisti delle abituali frecce gialle che fino a qui hanno guidato sapientemente i nostri passi. Vale però davvero la pena percorrere il Cammino di Finisterre, per la sua bellezza intatta e spontanea, per la profonda devozione che ormai, dopo settimane di faticosa marcia, ci lega alla figura di San Giacomo il Maggiore: questi sono i territori attraverso i quali si spinse il santo evangelizzatore per predicare la fede cristiana ai popoli celtici galiziani. Partendo da Muxia il primo tratto di cammino si svolge su una tortuosa strada costiera: al nostro fianco si estende in tutta la sua mattutina bellezza la distesa blu dell'Oceano Atlantico, ed in un angolo appartato lungo la costa il nostro sguardo incontra la Praia de Lourido, deliziosa, il cui magnifico volto è intaccato solo dal piccolo neo di un brutto albergo turistico in costruzione lungo il versante di una collina sullo sfondo. Dopo 2km di marcia abbandoniamo la strada asfaltata e svoltiamo sulla destra per immetterci in una stradina secondaria: il percorso ben presto si fa in pendenza e cominciamo l'impegnativa salita al Monte Facho de Lourido. Questa collina di 312m di altezza prende il proprio nome dal fatto che in antichità vi venivano posizionati dei focolari per orientare la navigazione delle imbarcazioni lungo il complicato tratto di costa sottostante: la parola facho in galiziano significa appunto "torcia". Appena iniziata la salita il sentiero diventa sterrato e comincia ad addentrarsi nella fitta macchia verde composta prevalentemente da alti eucalipti, ma la marcia rimane abbastanza agevole fino al villaggio di Xurarantes, costituito da una sola via contornata da basse abitazioni e da una quantità impressionante di Horreos. Superata questa località, la salita si rende più ripida ed impegnativa, la difficoltà è aumentata dal fondo del sentiero che a tratti appare molto sconnesso, pietroso ed irregolare. Dopo 5km di faticosa ascesa raggiungiamo finalmente la vetta dell'altura, il sentiero diventa piano e come su uno schermo cinematografico la vista si proietta improvvisamente in avanti, oltre le fronde boschive, per raggiungere l'Oceano Atlantico, il quale inaspettato compare nuovamente all'orizzonte. Rinfrancati da tale veduta proseguiamo la marcia ed iniziamo la discesa, perdendo quasi subito il contatto visivo con le acque oceaniche. Il sentiero sterrato lascia più avanti il posto ad una stretta stradina asfaltata che procede in piano sempre affiancata da una folta macchia verde. Raggiungiamo in questa maniera il villaggio di Morquintian, poche case rurali, pascoli verdi, un umile crocifisso di pietra posto accanto ad una piccola fonte d'acqua, risorsa preziosissima per i pellegrini: i rifornimenti in questa regione non sono molto frequenti ed i pochi villaggi che si incontrano appaiono deserti e privi di negozi o punti ristoro.


Mantenendo il litorale sul lato destro seguiamo il sentiero e ci addentriamo nuovamente nella vegetazione. Gli eucalipti lasciano mano a mano il posto a felci e a pini marittimi. Proseguiamo su superficie abbastanza pianeggiante intravedendo a tratti, oltre le cime degli alberi, scorci di oceano. Superiamo i villaggi di Padris, centro residenziale anonimo e freddo, e poco più avanti Buxan, che raggiungiamo dopo aver percorso una profonda depressione e presso il quale troviamo per misericordia un banchetto a donativo imbandito di bevande e frutta fresca. Oltre Buxan le indicazioni, mai comunque molto chiare, si fanno ulteriormente confuse e più volte rischiamo di sbagliare direzione.




Tappa 19 (16km): Finisterre - Cee
Comincia il ritorno verso casa. A colazione ci abbuffiamo di Churros, dolci a base di pastella fritta spolverata con zucchero in granelli tipici dei paesi iberici. A pancia piena ci rimettiamo in cammino. Abbandoniamo Finisterre lasciandoci alle spalle il porto e percorrendo la strada litoranea che gradualmente si allontana dal centro abitato. All'estremità della cittadina sorge la Cruz de Baixar, pittoresca croce di pietra, e presso di essa si trova un pregevole punto panoramico che ci offre una stupefacente veduta sulla vicina Praia da Langosteira.
La tradizione vuole che da Praia da Langosteira il pellegrino raccolga una conchiglia da riportare a casa come prova dell'avvenuto pellegrinaggio. Tale usanza ha radici più antiche di quanto si possa pensare e proviene dalla prassi secondo la quale in molte società europee, nei secoli lontani, era regola imporre il pellegrinaggio alla tomba di San Giacomo il Maggiore ai criminali ed agli emarginati sociali prima che questi venissero reintegrati nella propria comunità. In tutti questi casi la prova dell'avvenuto pellegrinaggio era costituita da una conchiglia che i pellegrini raccoglievano dopo aver raggiunto l'oceano, poco oltre Santiago de Compostela, e che dovevano riportare con sè fino a casa vestendola cucita sul mantello o lungo il copricapo, condotta che garantiva al pellegrino anche privilegi di passaggio e sconti sui dazi. Solitamente tali conchiglie erano gusci di Capasanta (mollusco il cui nome proviene proprio dalla tradizione giacobea), ed in breve divennero il simbolo dell'intero pellegrinaggio compostellano: la loro forma ricorda infatti sia l'aureola di un santo, sia il coperchio di un sarcofago (con riferimento alla tomba di San Giacomo il Maggiore), sia una stella (simbolo della leggendaria scoperta del sepolcro dell'apostolo susseguente alle prodigiose visioni dell'eremita Pelagio). Anche noi, pur non essendo fuorilegge, non possiamo trattenerci dal raccogliere lungo Praia da Langosteira alcune Conchas de Santiago, vale a dire Conchiglie di San Giacomo (chiamate più semplicemente anche Vieiras), il cui candido colore bianco costella come un cielo stellato la superficie liscia e lucente della spiaggia. Con nelle tasche questo pizzico in più di essenza di Cammino di Santiago, superiamo la spiaggia e continuiamo la marcia. Il sentiero prosegue su un camminamento posto sul limite interno dell'arenile, percorrendone tutta l'estensione ed addentrandosi successivamente all'interno di una pineta. Superiamo Praia da Telon, spiaggia piccola e raccolta che scorgiamo in lontananza, e ci immettiamo quindi su una pista sterrata che si addentra nell'entroterra.



Tappa 20: Santiago de Compostela
Spendiamo l'ultimo giorno a nostra disposizione nuovamente a Santiago de Compostela: quando l'avevamo abbandonata, due giorni prima, avevamo lasciato un piccolo conto in sospeso da saldare. Il rito del Botafumeiro risale all'epoca medievale, più precisamente all'XI secolo, epoca nella quale si cominciò a far oscillare questo enorme turibolo di ottone placcato d'argento, altro 1,6m e del peso di 62kg, lungo le navate della cattedrale con lo scopo di neutralizzare con il profumato incenso le esalazioni maleodoranti dei numerosissimi pellegrini che giungevano in visita alla tomba di San Giacomo il Maggiore, logori di settimane di cammino. Ovviamente allora i costumi e l'igiene personale non erano quelli a cui siamo abituati oggi. Il turibolo di epoca medievale venne sostituito nel 1514 con un più ricco manufatto donato alla cattedrale da Luigi XI di Valois, re di Francia, il quale venne rubato a sua volta nel XVIII secolo dalle truppe francesi durante il periodo di occupazione napoleonica, e pertanto, nel 1851, fu sostituito con quello attuale, opera del celebre orafo Josè Rodriguez Losada. Oggi il rito del Botafumeiro ha puramente un valore culturale e tradizionale, tuttavia costituisce ancora un evento stupefacente ed unico nel suo genere, visto che effettivamente è ed è sempre stato eseguito solamente nella cattedrale di Santiago de Compostela, tanto da diventarne un simbolo globalmente riconosciuto. Nonostante ciò, non è facile imbattersi in questo spettacolo, e la fortuna gioca un ruolo fondamentale se lo si vuole ammirare: un tempo per necessità il Botafumeiro veniva utilizzato con estrema frequenza per mantenere più salubre l'atmosfera della cattedrale, oggigiorno invece tale necessità è venuta a mancare ed il suo impiego è divenuto più saltuario. Fino a poco tempo fa' infatti sembra che questa colossale incensatura avvenisse almeno una volta alla settimana, tutti i venerdì, ora invece la su esecuzione è sottoposta alla disponibilità economica dei fedeli ed il Botafumeiro viene rispolverato solo su pagamento di una quota pecuniaria (circa 300€) pagata da volenterosi turisti (non certo dai pellegrini) desiderosi di osservarne la spettacolare oscillazione proprio come avveniva secoli fa'. Il modo migliore per avere più probabilità di assistere al rito del Botafumeiro, dato l'ingente costo, è pertanto quello di valutare la presenza di gruppi turistici numerosi nei paraggi della cattedrale: ciò che non può pagare uno, è più probabile infatti che lo possano pagare molti uniti insieme. E' domenica e decidiamo di assistere alla messa di metà mattina, decisamente molto più tranquilla rispetto alla messa del pellegrino di mezzogiorno alla quale avevamo assistito in precedenza. E' la nostra ultima occasione di vedere il Botafumeiro all'opera prima di fare ritorno a casa. Prima di entrare nella cattedrale incontriamo Micaela, la quale, nonostante una forte febbre ne abbia rallentato la marcia subito dopo esserci separati nei pressi di Ponferrada, è giunta a destinazione solo pochi giorni dopo di noi: anche lei è diretta ad assistere alla messa e ci assicura che, seguendo il suo infallibile istinto, questa sarà la volta buona per vedere volteggiare il Botafumeiro. Ed in effetti anche stavolta effettivamente l'istinto non sembra averla ingannata. Terminata la funzione scorgiamo alcuni individui vestiti con una tunica amaranto farsi largo tra la folla per trasportare sull'altare un voluminoso contenitore di metallo ricolmo di braci di incenso. Quindi, prima che il parroco concluda la celebrazione, questi personaggi, noti con il nome di Tiraboleiros, cominciano a mettere in pratica la propria secolare arte: il Botafumeiro viene sospeso alla volta dell'altare per mezzo di una pesante fune composta da materiale sintetico (in passato era composta da canapa), viene riempito di un miscuglio di incenso e carbone, infine viene lanciato ad oscillare sopra la testa dei fedeli lungo i bracci laterali del transetto. Con preciso gioco di trazioni e rilasci esercitati su una puleggia posta proprio sotto la volta dell'altare, gli otto Tiraboleiros orientano il moto del turibolo tirando ciascuno su uno degli otto cordoni con i quali termina la fune. Lo spettacolo dura appena pochi minuti ma è davvero sensazionale. Il canto di chiusura della messa non riesce a coprire il possente rombo provocato dal Botafumeiro nel fendere l'aria, simile ad un oggetto cosmico lanciato a grande velocità nello spazio siderale. Le navate vengono permeate dal profumo dell'incenso che si diffonde nell'aria. Tutti rimangono immobili, ammirati a bocca aperta ad osservare la leggiadra danza del pesante contenitore metallico. Assistere a questo rito è una vera fortuna, un privilegio che forse dovrebbe essere concesso con più generosità ai pellegrini, ma che come ogni cosa preziosa viene gelosamente custodito al riparo da occhi indiscreti. Il resto della giornata lo prendiamo con molta calma e lo dedichiamo solo alla deludente visita della Carballeria de San Lourenzo, un ombreggiato bosco di roveri posto ai limiti del centro cittadino e all'interno del quale si trova un antico crocifisso di pietra risalente al 1682. Accanto a questo spazio verde si trova il Pazo de San Lourenzo de Trasouto, palazzo attualmente in stato di abbandono che un tempo conobbe sicuramente tempi migliori, dopo essere stato fondato come eremo votato a San Lorenzo, nel corso del XII secolo, da Martin Arias vescovo di Zamora: l'edificio servì prima da monastero per una comunità di monaci francescani, più tardi come residenza nobiliare per doña Maria Eulalia Osorio de Moscoso y Carvajal, figlia ereditiera dei conti di Altamira. Il nome Trasouto deriverebbe invece dalle parole galiziane tras souto, cioè "oltre il bosco", in riferimento all'area silvestre che separava il palazzo dal vicino Rio Sarela.

Se la vita può prevedere tanti viaggi intorno al Mondo, è anche vero che esistono viaggi che racchiudono dentro di sè tutta una vita. Uno di questi viaggi è il Cammino di Santiago de Compostela, e percorrerlo può significare molte cose. Ma non consumatevi nel chiedervi cosa vi possa spingere a compierlo, concedetevi invece a lui e sarà il Cammino di Santiago stesso a chiedervi inaspettatamente qualcosa: la missione non è il Cammino di Santiago, è il Cammino di Santiago ad assegnare la missione. Ed è in questo modo che tornerete dall'averlo percorso con qualcosa in più addosso, qualcosa in più, anche per noi, l'unica cosa che non saprete mai è cosa per noi quel preziosissimo e vivo qualcosa sia stato.