Ciò che sanno i bambini, lo sanno solamente i bambini. Ed è per questo che esistono cose che noi adulti possiamo cogliere solo attraverso lo sguardo dei bambini. Tale è l'insegnamento che ho potuto trarre dal primo viaggio compiuto in compagnia, oltre alla mia inseparabile compagna di viaggio di sempre, anche di mia figlia Amelia, una piccola viaggiatrice di nemmeno un anno di età ma con tanta curiosità di scoprire. E cosa se non il Natale costituisce il concetto che per eccellenza sfugge alla sensibilità di noi adulti ma non a quella dei bambini? Con queste premesse ci siamo messi in viaggio verso il Natale, o sarebbe meglio dire che è il Natale a permeare ogni luogo e sta al viaggiatore saperlo incontrare lungo la propria strada: forse questo non sarà stato il viaggio più lungo da noi compiuto, ma l'itinerario ci ha condotto lontano, sino ai nostri anni di bambini.
Siamo diretti ad Innsbruck, capoluogo austriaco della regione del Tirolo nonchè quinta città più importante in ordine di dimensioni dell'intera Austria (dopo Vienna, Graz, Linz e Salisburgo) in virtù dei suoi circa 130.000 abitanti. Il suo nome significa letteralmente "ponte sull'Inn", ed in effetti è proprio il fiume Inn ad attraversarne il centro abitato disegnando una curva simile alla gobba di un dromedario lungo il confine settentrionale della città: peraltro, dalla trasposizione latina del nome, Oenis pons, attraverso l'italiano arcaico, deriva anche il singolare nome con cui sono designati oggi gli abitanti di Innsbruck, vale a dire gli enipontani. Situata ad un'altitudine di 574m s.l.m., Innsbruck costituisce oggi un'apprezzata e ricercata meta turistica, fama ampiamente giustificata dall'elegante centro storico ed dalla presenza di alcuni impianti sciistici attrezzati posti lungo i versanti delle montagne che circondano da vicino la città. Ma non sono certo le piste da sci ad attirarci ad Innsbruck (considerando anche il fatto che non ho mai imparato a sciare e probabilmente mai imparerò!), bensì ciò che muove i nostri passi verso di essa è qualcosa che ha a che fare con in Natale, in un modo o nell'altro, o per meglio dire nel modo spontaneo ed ingenuo proprio dei bambini che, intenti a scartare un pacco regalo donato loro, sono maggiormente attirati dalla brillante lucentezza dell'incarto piuttosto che dal contenuto del pacco stesso. Ad Innsbruck infatti ogni anno, a partire dagli ultimi giorni di novembre fino all'antivigilia di Natale, vengono allestiti dei mercatini natalizi in diversi punti lungo le vie della città: seppure siano molte le cittadine dell'arco alpino così come anche le piccole località storiche ed i paesini di montagna lungo il confine italo-austriaco ad avere ciascuno il proprio mercatino natalizio, sono in molti ad affermare che quelli organizzati ad Innsbruck siano i più belli d'Austria, sicuramente i più famosi di tutto il Tirolo. Decine di piccole baracche di legno, ognuna impreziosita da prodotti tipici realizzati da artigiani, artisti e produttori di cibi tradizionali, animano nel periodo immediatamente precedente al Natale le vie della città, offrendo ai visitatori un'enorme varietà di prodotti, oggetti e pietanze. Nonostante ciò, quella dei mercatini natalizi è una tradizione che trova il proprio senso più profondo non tanto nel valore commerciale delle merci esposte, quanto più nella volontà delle persone che giungono a visitarli di condividere insieme qualcosa di prezioso ed allo stesso tempo intangibile, etereo, un modo autentico per dare valore al significato più solenne del Natale: del resto, la tradizione tramanda che i primi visitatori alla stalla in cui nacque Cristo furono proprio dei semplici pastori che si radunarono per accogliere la nascita del Salvatore. Con la stessa spontanea semplicità, con lo stesso sguardo sincero che appartiene solo ai bambini, è possibile oltrepassare tutto ciò che di materiale e commerciale inutilmente viene infarcito il Natale per riuscire ad apprezzare ciò che di ben più prezioso da sempre lo avvolge, proprio come un brillante incarto da regalo troppo presto disfatto e messo da parte come qualcosa di scarso valore ma allo stesso tempo dotato dell'affascinante lucentezza che il contenuto del regalo magari non possederà mai.
Animati da questi intenti ci mettiamo in viaggio verso Innsbruck: zaini in spalla, bambina nel marsupio (rinunciando al passeggino per evitare troppo ingombro), cinque ore di treno con cambio programmato al secondo presso Verona, e giungiamo a destinazione con molta meno fatica di quanto preventivassimo prima della partenza. Ad attendere il nostro arrivo è l'Hotel Alpinpark: posto tranquillo, personale gentile e disponibile, camere confortevoli ed abbastanza pulite, ristorante così così. L'albergo sorge all'interno del quartiere Pradl, nella parte est della città. Il luogo sopra il quale oggi si estende questo tranquillo sobborgo residenziale di Innsbruck si pensa fu abitato già molto tempo prima della fondazione della città: l'area venne infatti con tutta probabilità occupata in epoca romana e sfruttata a fini agricoli, data anche la vicinanza a corsi fluviali, e da tale primitivo impiego deriva altresì il nome del quartiere attuale, dal latino pratellum cioè "piccolo prato". Successivamente, nel corso del XII secolo, la zona passò tra i possedimenti di Berthold III conte di Andechs, ed a partire da tale periodo andò incontro ad una progressiva crescita demografica, acquisendo nel tempo le caratteristiche di un villaggio contadino tanto da arrivare a contare tra i propri confini la presenza di una ventina di fattorie agricole. Lo sviluppo successivo coincise con il XIX secolo e fu favorito dalla costruzione della vicina stazione ferroviaria cittadina, la quale fu realizzata nel 1858. Tuttavia il quartiere rimase entità a sé stante fino al 1904, anno in cui finalmente fu annesso a tutti gli effetti alla città di Innsbruck. Nel periodo tra le due guerre, epoca di rapido progresso urbanistico, al suo interno furono poi costruiti diversi complessi residenziali, elementi che conferiscono oggigiorno al Pradl il proprio aspetto odierno. La distanza tra la stazione ferroviaria e l'albergo è abbastanza breve (circa 1,2km), ma lo sforzo per giungere alla meta si rivela davvero immane: nello zaino che porto sulle spalle, questa volta, non sono riposti solo i nostri vestiti e poco altro, ma anche un lettino portatile per bambini con tanto di materasso e lenzuola, un fornelletto elettrico con annesso pentolino, biberon e latte, oltre a tutto il necessario per la preparazione e la conservazione delle pappe. Il gioco però vale sicuramente la candela: una lezione da imparare subito se si vuole viaggiare con un bambino al seguito è che essere indipendenti è tutto e consente di fare (quasi) qualsiasi cosa. Ad ogni modo il bagaglio sulle spalle mi spezza la schiena, e percorrere la breve distanza che ci separa dall'albergo mi pare impegnativa quasi quanto una maratona per un atleta non allenato di ritorno da un pranzo in famiglia.
Nel compiere questo breve tragitto si incontra dapprima il Sillpark, piazzale dominato da un anonimo centro commerciale e da una pista di pattinaggio su ghiaccio all'aperto, quindi si attraversa il fiume Sill sul dorso di un piccolo ponte pedonale, infine si attraversa lo Stadtpark Rapoldi, piccolo parco cittadino situato lungo la sponda del Sill. Questo spazio verde, con il suo fitto intreccio di sentieri pedonali e di piste ciclabili, nonostante le sue modeste dimensioni risulta molto apprezzato dagli abitanti di Innsbruck, forse in virtù della riservata quiete che è in grado di offrire, forse grazie alle aree attrezzate sparse qua e là al suo interno che consentono di svolgere attività sportive e ricreative. Sullo sfondo del parco, in lontananza verso sud, seguendo immaginariamente il tragitto del fiume Sill fino a raggiungere il profilo del monte Isel, lo sguardo incontra il Bergiselschanze, monumentale trampolino olimpionico di salto con gli sci, moderna scultura dalle sinuose forme contemporanee, situato lungo le pendici montane che segnano il limite meridionale di Innsbruck, ben visibile sopra i tetti degli edifici da buona parte della città. Quest'opera fu realizzata nel 2001, in seguito a lavori di ristrutturazione sopra precedenti strutture del 1927 e del 1964, dall'architetto anglo-iracheno Zaha Hadid, la prima donna ad aver ricevuto nel 2004 il prestigioso Premio Pritzker, cioè uno dei riconoscimenti internazionali più importanti nell'ambito dell'architettura. Ed in effetti, ad imperitura testimonianza del visionario talento della propria autrice, oggi il Bergiselschanze è considerato una delle strutture sportive più innovative a livello mondiale. Nonostante la fatica del bagaglio, la direzione da mantenere per dirigerci verso l'Hotel Alpinpark ci è costantemente indicata dal campanile della Pfarrkirche Mariä Empfängnis, esile e sottile ma ben visibile da lontano sopra il limite degli altri edifici: eretta in stile romanico, questa chiesa venne realizzata a partire dal 1905 su progetto dell'architetto tedesco Josef Schmitz per sostituire un tempio di epoca precedente, risalente al XVII secolo, sconsacrato ed infine demolito nel 1941 (nel luogo in cui sorgeva si trova oggi una moderna palestra).
Dopo diverse soste per riprendere fiato giungiamo comunque a destinazione: la stanchezza non smorza il nostro entusiasmo, posiamo gli zaini, il tempo per concedere il giusto riposo alle gambe oltre che per organizzare il necessario per Amelia, e siamo nuovamente in pista. La sera sta già cominciando a calare e con essa anche un freddo più intenso, ma la curiosità è tanta. Alleggeriti del peso dei bagagli e con Amelia ben riparata al caldo all'interno del proprio marsupio, impieghiamo solo una ventina di minuti (1,5km) per raggiungere a piedi l'Altstadt, il centro storico nonchè punto di prima origine dell'intera città. Il primitivo nucleo cittadino intorno al quale si sviluppò Innsbruck ebbe difatti avvio nel corso del XII secolo, in seguito alla donazione ai conti di Andechs di alcuni territori lungo la riva destra del fiume Inn da parte di una comunità di monaci premostratensi stabilitasi nella regione. A partire dal 1180 su tali possedimenti si sviluppò rapidamente un prospero mercato medievale che ben presto venne dotato di mura e torri difensive finalizzate a proteggere l'area commerciale: le prime notizie relative ad un nuovo insediamento mercantile chiamato Innsbruck nei documenti storici risalgono però solo al 1187. Circa mezzo secolo più tardi, il 9 giugno 1239, Ottone II duca di Andechs conferì ad Innsbruck il rango di città; alla morte di Ottone, non avendo quest'ultimo prodotto eredi, l'area passò tra i possedimenti dei conti del Tirolo, divenendo proprietà di Rodolfo IV d'Austria nel 1363. Per inciso, il titolo nobiliare di conte del Tirolo venne creato illegittimamente nel corso del XII secolo da un consortile militare di stanza presso Merano, il quale usurpò con tale carica al vescovo di Trento i diritti territoriali che il prelato rivendicava dal 1027; cristallizzatasi come carica riconosciuta nei decenni a seguire, il titolo passerà poi per questioni dinastiche al casato degli Asburgo. Tornando comunque alle origini del primo insediamento di Innsbruck, insieme al neonato mercato fortificato crebbe poi nei secoli anche la zona abitata, ed è proprio da questo primordiale embrione urbano che deriva l'Altstadt, e da qui in seguito tutta la moderna città circostante: della origini medievali oggi il centro storico conserva parte della propria struttura, caratterizzata dalla presenza di portici laterali nelle vie principali e di piccole case a facciata stretta, spesso affrescate e con tetto a due spioventi.
E' l'Altstadt indubbiamente l'anima di Innsbruck, e noi siamo diretti al suo cuore. Sbuchiamo quasi per caso in Maria-Theresien-Strasse, ma capiamo subito di aver raggiunto un luogo di non comune importanza: questo viale elegante e distinto, uno degli svincoli più rilevanti simile ad un fulcro sopra il quale poggia l'asse portante della città, espone come in una vetrina di una bottega pregiata alcuni dei più preziosi articoli appartenenti al patrimonio culturale cittadino. Ed infatti, a chiudere il fondo di Maria-Theresien-Strasse, come una sofisticata serratura che sigilli un ricco scrigno, sorge il Triumphpforte, arco di trionfo a tre arcate ispirato ai corrispettivi monumenti di epoca romana, seppure eretto in stile barocco nel XVIII secolo. Delle costruzioni commemorative dell'età antica esso conserva però la capacità di narrare le vicende che riconducono direttamente alla sua costruzione: venne realizzato nel 1765 per volere dell'imperatrice Maria Teresa d'Absurgo-Lorena, su disegno degli scultori Constantin Walter e Johann Baptist Hagenauer, in occasione delle nozze tra Leopoldo d'Asburgo-Lorena, granduca di Toscana e figlio secondogenito dell'imperatrice, e Maria Luisa di Borbone, infanta di Spagna, unione che si tenne proprio ad Innsbruck il 5 agosto 1765. Per onorare a dovere il lieto evento, l'imperatrice Maria Teresa diede ordine di apportare importanti modifiche alla struttura urbana della città dell'epoca: l'antica porta medievale che consentiva l'accesso al centro storico cittadino venne demolita insieme a parte della cinta muraria, di modo da consentire il transito delle carrozze altrimenti impossibilitato dalla scarsità di spazio, ed in loro sostituzione venne data disposizione di costruire un'opera monumentale celebrativa capace di narrare, attraverso le figure scolpite lungo la sua superficie, la gloriosa eredità della famiglia imperiale.
Ed in effetti il lato sud dell'arco di trionfo, decorato nel 1774 da Balthasar Moll, scultore austriaco tra i massimi esponenti dello stile barocco, rievoca nelle figure scolpite il matrimonio tra Leopoldo e Maria Teresa di Borbone. Tuttavia la memoria affidata al Triumphpforte non si limita a ricordare solo questo felice avvenimento: infatti, nel corso dei festeggiamenti per le nozze che si protrassero per più giorni, il 18 agosto 1765, a meno di due settimane dalle celebrazioni del matrimonio, l'imperatore Francesco I di Lorena, padre dello sposo e consorte dell'imperatrice Maria Teresa, nel tragitto in carrozza in compagnia del figlio primogenito Giuseppe (suo successore al trono imperiale) di ritorno da una serata a teatro, venne inaspettatamente colto da un improvviso colpo apoplettico (nome antico che veniva attribuito all'ischemia cerebrale) ed andò incontro a rapida morte. Il tragico lutto che colpì l'imperatrice Maria Teresa fu talmente profondo da spingerla a dedicare una parte dell'opera monumentale destinata alle nozze del figlio anche al ricordo del coniuge, al quale si dice fosse estremamente affezionata nonostante i costumi dell'alta società dell'epoca lasciassero poco spazio ai matrimoni celebrati per amore: il lato nord del Triumphpforte riporta pertanto decorazioni riservate alla memoria dell'imperatore Francesco I di Lorena. Del resto la realizzazione dell'arco di trionfo non recò particolare fortuna nemmeno a Leopoldo: ereditò il trono imperiale dal fratello maggiore, l'imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena che morì di tubercolosi all'età di 49 anni, ed a sua volta lo mantenne per soli due anni. La sua morte, sopraggiunta prematuramente all'età di 45 anni, risulta tuttora avvolta nel mistero: secondo alcuni storici fu provocata da avvelenamento per mano di rivoluzionari francesi (la regina di Francia Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena era la sorella minore di Leopoldo e l'epoca coincideva con quella dei moti antimonarchici della Rivoluzione Francese), secondo altri invece a provocare l'avvelenamento furono i Massoni o addirittura i Gesuiti, ipotesi più fantasiose attribuiscono la causa del decesso ad un'intossicazione nel tentativo da parte dell'imperatore Leopoldo II d'Asburgo-Lorena di assumere un afrodisiaco. Nel bene e nel male comunque, ancora oggi, tradotte dalla roccia arcaica locale di cui è costituito denominata Höttinger Breccie (un conglomerato sedimentario fossile, di colore bruno, estratto esclusivamente nei dintorni di Innsbruck), il Triumphpforte ci racconta personaggi, avvenimenti e forse anche un pizzico di sentimento tramandatici dalla storia, dal sincero affetto di una madre per il proprio figlio (seppur eccentricamente espresso per mezzo di opere smisurate) al tenero attaccamento di una moglie per il proprio marito, quasi come uno schermo televisivo che trasmetta le intricate vicende della più passionale soap opera latinoamericana.
Dal Triumphpforte procedendo su Maria-Theresien-Strasse verso il centro dell'Altstadt si incrociano altri importanti luoghi di interesse, e l'impressione è quasi quella di passeggiare all'interno di una galleria d'arte piuttosto che su una strada di città: la suggestiva atmosfera generata dalla tenue illuminazione della via insieme alle regolari ma frizzanti luci dei piccoli e numerosi alberi di Natale posti sul bordo dei marciapiedi ai lati della carreggiata, svela per prima la figura della Servitenkirche. Questo tempio di professione religiosa cattolica e di stile barocco venne costruito a partire dal 1613 attiguo ad un monastero abitato da una comunità di monaci appartenenti all'Ordine dei Servi di Maria (o Serviti). Tale ordine monastico mendicante mantiene, oggi come in passato, un alone di leggenda attorno alle vicende relative alla sua nascita: si narra che venne fondato ad inizio XIII secolo da sette uomini probi (Buonagiunta Manetti, Buonfiglio Monaldi, Amadio degli Amidei, Manetto dell'Antella, Uguccione degli Uguccioni, Sostegno dei Sostegni e Alessio Falconieri, tutti mercanti fiorentini), chiamati da un'apparizione della Vergine Maria a ritirarsi a vita contemplativa, osservando rigidi precetti di povertà ed isolamento, stabilendosi sulle colline circostanti alla città di Firenze. I Serviti, nati come movimento laico sulla scia degli Umiliati, gruppi religiosi che si diffusero grandemente in Europa nel corso del Medioevo come aggregazioni libere votate alla penitenza in reazione ai costumi dissoluti del clero dell'epoca, vennero ufficialmente riconosciuti come ordine monastico nel 1304 da papa Benedetto XI, ed i sette fondatori furono in seguito persino canonizzati santi da papa Leone XIII nel 1888. Dalla sua nascita e per i secoli successivi, l'Ordine dei Servi di Maria conobbe una progressiva diffusione intercontinentale ed oggi conta circa 800 frati sparsi nel Mondo. Alcuni di essi occupano ed amministrano tuttora ad Innsbruck il monastero con la Servitenkirche, la quale, nonostante fu completamente distrutta a causa di un incendio nel 1620 ed in seguito ricostruita nel 1626, malgrado i danni provocati da un bombardamento aereo abbattutosi su Innsbruck nel 1943 durante la II Guerra Mondiale (la chiesa fu ricomposta solo nel 1945, poi ristrutturata nel 1968 e nel 1990), a dispetto della chiusura forzata del convento disposta dalle forze di occupazione nazista che provocò l'allontanamento dei monaci fino al 1947, sorge ancora oggi a custodire secoli di storia oltre che inviolabili sacramenti millenari. La fondazione di tale complesso religioso si deve ad Anna Caterina Gonzaga, figlia del duca di Mantova, sposata a Ferdinando II d'Austria (che era anche suo zio da parte materna) conte del Tirolo: più vecchio della consorte di ben 37 anni e già precedentemente sposato con Philippine Welser, Ferdinando morì nel 1595 lasciando Anna Caterina vedova, circostanza che spinse la nobildonna a ritirarsi a vita monastica tanto morigerata da attribuirle fama tra il popolo di santa (seppure non verrà mai canonizzata), e da qui la fondazione del monastero dei Serviti ad Innsbruck. Raggiungiamo la Servitenkirche e subito al primo sguardo ci si manifesta tanto austera all'esterno quanto scopriremo essere vivace all'interno: il fianco che si concede a Maria-Theresien-Strasse appare scarno ed essenziale, fornito dell'affilato campanile opera dell'architetto austriaco Johann Wunibald Deininger che lo realizzò nel 1899, ed impreziosito da un pregevole bovindo affrescato da una scena della Passione di Cristo, creazione di Hans Andre (artista nativo di Innsbruck) del 1947, elemento più caratteristico della struttura esteriore dell'edificio. Superata la soglia della chiesa, invece, l'antifona risulta radicalmente diversa e la melodia è senza dubbio condotta e sostenuta dai vivaci affreschi della volta, opera sempre di Hans Andre, i quali accolgono il visitatore sotto un vivido blu cielo all'interno di una scena narrante le vicende dei sette santi fondatori serviti. L'altare è uno egli elementi di maggior retaggio dell'edificio: fu realizzato nel 1628 dallo scultore italiano Mattia Carneri e la sua delicata bellezza è sorvegliata a breve distanza dalla tomba della fondatrice del monastero, Anna Caterina Gonzaga, i cui resti riposano nel tempio dal 1783 in compagnia di quelli della figlia Maria d'Austria, anch'essa come la madre votatasi nel corso della sua esistenza alla vita monastica. Nel complesso la Servitenkirche merita sicuramente qualche istante del tempo complessivo da spendere nella visita della città: seppure non sia tra i luoghi più appariscenti, fidatevi di questo consiglio e quasi per magia al termine del viaggio sarà tra quelli che più ricorderete. A pochi metri dalla Servitenkirche e lungo il lato opposto di Maria-Theresien-Strasse, si innalzano, simili a due sentinelle sull'attenti l'una al fianco dell'altra, altri due edifici degni di attenzione: il primo di essi il Palais Fugger-Taxis, palazzo barocco realizzato nel 1679 dall'architetto austriaco Johann Martin Gumpp il Vecchio su commissione di Han Otto Fugger von Kirchberg-Weissenhorn. E considerando il committente non deve stupire la ricercata ed opulente eleganza di cui il palazzo fa mostra: quella dei Fugger è infatti da considerarsi come la nobile stirpe tedesca di imprenditori più importante a livello europeo nel periodo compreso tra il Basso Medioevo e l'età moderna; la loro fortuna, composta da un patrimonio di dimensioni tanto ingenti da sconfinare nella leggenda, fu generata dagli oculati investimenti nella produzione tessile, negli affari finanziari e nell'impresa mineraria e siderurgica. Sorto sulle rovine di un precedente e sicuramente più modesto edificio destinato ad ospitare una confraternita studentesca andato distrutto completamente in un incendio, il Palais Fugger-Taxis subì importanti opere di restaurazione solo dieci anni dopo la sua costruzione, in seguito ad un terremoto che ne danneggiò la struttura. Alla morte del suo primo proprietario, fu affittato per alcuni anni al conte Nikolaus Lodron, esponente di un nobile casato trentino. Nel 1702 Maria Theresia Violante Fugger portò il palazzo in dote in occasione del proprio matrimonio con Guidobald von Welsperg-Raitenau und Primör, aristocratico tirolese discendente di una famiglia di vassalli amministratori di beni per conto dei nobili locali successivamente ascesa alla condizione di feudatari ed infine al rango di baroni prima e di conti poi: sotto questa proprietà il palazzo non venne mai abitato stabilmente ma fu invece nuovamente concesso in affitto. Dopo la morte di Guidobald, Philipp von Welsperg-Raitenau und Primör, suo discendente, vendette nel 1784 l'edificio a Joseph Sebastian von Thurn-Valsassina und Taxis, amministratore dei servizi postali imperiali austriaci, il quale lo impiego come ufficio postale oltre che come propria residenza: costui era il discendente di un'umile famiglia lombarda che costruì il proprio successo sulla fondazione di un'impresa di corrieri messi al servizio dapprima della Repubblica di Venezia, poi dello Stato Pontificio, passando infine all'amministrazione dei servizi postali imperiali austriaci, incarico quest'ultimo che proiettò la famiglia nella politica imperiale conferendole pertanto grande prestigio. Dal 1905 il Palais Fugger-Taxis è di proprietà della regione del Tirolo, la quale mantenne nei suoi locali gli uffici del servizio postale regionale fino al 1908; oggi ospita uffici amministrativi di governo. Ristrutturato nel 1911 sotto la direzione dell'architetto austriaco Hans Menardi, questo palazzo detiene una bellezza timida e riservata, non appariscente, pressochè nascosto alla vista come per una sorta di pudore inconsapevole del proprio reale valore, nonostante i secoli di storia escludano senza ombra di dubbio la possibilità di un impaccio adolescenziale.
Accanto al Palais Fugger-Taxis si staglia la sagoma dell'Altes Landhaus, mirabile esempio di architettura barocca, palazzo realizzato tra il 1725 ed il 1728 dall'architetto Georg Anton Gumpp, figlio dell'autore del suo limitrofo compare di mattoni e cemento. Il suo aspetto appare più solenne e fiero rispetto a quello del Palais Fugger-Taxis, con la monumentale facciata a tre piani sormontata da un timpano e gallonata di paraste (elementi architettonici verticali costituiti da pilastri inglobati in una parete dalla quale sporgono solo leggermente), ornata di pregevoli stucchi allegorici eseguiti nel 1728 dallo scultore Francesco Serena. Nell'Altes Landhaus ha sede ufficiale la Dieta Regionale Tirolese, organo amministrativo composto da 36 esponenti governativi eletti a suffragio popolare con il compito di redigere e deliberare le leggi regionali oltre che di conferire i poteri esecutivi attraverso la nomina della Giunta Regionale. Questo palazzo fa il paio con un edificio gemello, anche se radicalmente diverso dal punto di vista architettonico e storico, posto nelle sue vicinanze: in Eduard-Wallnöfer-Platz (chiamata più semplicemente anche Ladhausplatz), largo e spoglio spiazzo posto appena dietro Maria-Theresien-Strasse, si trova la Neues Landhaus. Questa moderna costruzione è collocata all'interno di una piazza dedicata alla memoria di Eduard Wallnöfer, emerito governatore del Tirolo seppure la sua reputazione sembri essere stata macchiata da una presunta adesione al partito nazista, circostanza mai confermata dato che lo stesso Wallnöfer al termine delle ostilità militari della II Guerra Mondiale non si registrò mai quale ex membro del partito come prescritto d'obbligo dalla legge post-bellica. E con la piazza la Neues Landhaus condivide l'attinenza proprio con questo periodo storico: venne costruita in stile neoclassico nel 1938, durante il periodo di occupazione nazista in Austria, con la funzione di ospitare la sede del Reichsgau Tirol-Vorarlberg, uno dei distretti amministrativi con licenza di autogoverno attraverso i quali la Germania nazista suddivise a scopo di controllo i territori ad essa assoggettati, e più in particolare quello corrispondente alle regioni austriache del Tirolo e del Vorarlberg, strutturato in dieci cerchi territoriali e con capitale proprio Innsbruck, nonostante il comando centrale fosse ascritto alla città tedesca di Monaco di Baviera. La necessità di realizzare un nuovo edificio, oltre che da esigenze puramente propagandistiche, fu dettato da necessità di volume: la colossale macchina amministrativa nazista richiedeva più spazio di quanto potessero offrire le sale della Altes Landhaus, e da qui la nascita di un nuovo palazzo governativo, estensione di quello già presente. Il conducente di questo spietato apparato di burocrazia e morte fu Franz Hofer, nominato dal 1932 gauleiter (vale a dire governatore) del Reichsgau Tirol-Vorarlberg, seppure la sua carica fosse inizialmente clandestina dato che fino all'annessione alla Germania il partito nazista era legalmente dichiarato proibito in tutta l'Austria: fu proprio costui a stabilire la sede del Reichsgau Tirol-Vorarlberg nella Neues Landhaus. Di origini salisburghesi, Hofer era figlio di un albergatore del luogo; nel 1922 inizia la propria attività professionale come commerciante, ma la carriera lavorativa cedette presto il passo a quella politica dopo che Hofer si iscrisse nel 1931 al NSDAP (il Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, vale a dire il partito nazista) del quale divenne capo per la sezione di Innsbruck già nel 1932. Dopo essere stato incarcerato nel 1933 a causa dei suoi ideali politici, di cui certo non faceva mistero, venne liberato dopo due anni di reclusione grazie all'aiuto di alcuni militanti del partito che ne organizzarono l'evasione: Hofer riuscì a raggiungere clandestinamente la città di Bolzano e da qui fu trasportato, niente poco di meno che sull'aereo privato di Adolf Hitler, a Norimberga, dove partecipò al raduno generale del partito nazista nel corso del quale non si lasciò sfuggire la possibilità di prendere la parola. Con l'ascesa del regime nazista fece ritorno in Tirolo per ricoprire la carica dapprima di gauleiter, poi quella di reichsstatthalter, evolvendo con essa al comando generale di tutti i territori austriaci sottomessi al Terzo Reich. Nel periodo post-bellico fu catturato dagli Alleati proprio ad Innsbruck ma riuscì a fuggire vivendo per molti anni sotto falso nome: nel 1949 un tribunale militare lo condannò alla pena di morte in contumacia per crimini di guerra, eppure Hofer fu capace di vivere una vita tranquilla e normale, facendo addirittura ritorno in Germania nel 1964 dove visse della propria attività di commerciante insieme alla moglie ed ai sette figli, fino alla morte sopraggiunta per vecchiaia nel 1975. Le gravi colpe verso l'umanità commesse da questo anonimo, mediocre uomo non furono mai punite, e rimangono a testimonianza di come anche il più piccolo degli uomini possa esercitare un influsso tanto negativo sul destino di numerosi suoi simili e della storia intera. Le decisione che determinarono gli eventi di questo drammatico periodo storico ad Innsbruck vennero rese effettive proprio tra le mura della Neues Landhas, da eserciti di insignificanti impiegati e minuscoli funzionari inconsapevoli (secondo la spietata logica dei regimi totalitari) della portata delle tragiche conseguenza provocate dallo svolgimento tranquillo ed ordinario del proprio lavoro. La cupa formalità dietro la quale si nascondevano i feroci intenti della disciplina nazista è perfettamente celata nella facciata del palazzo: squadrata ed appuntita nella struttura, impettita nell'attitudine, perfetta e simmetrica nelle forme, la Neues Landhaus si staglia verso il cielo come un monito chiaro e perentorio, ed è difficile non percepirne la freddezza nell'osservarne l'aspetto, sebbene non manchi di una certa bellezza. Oggi la struttura ospita gli uffici di varie istituzioni statali, conservando in questo la funzione a cui fu originariamente destinata, seppur in modo sostanzialmente differente.
Sulla Neues Landhaus si affaccia a breve distanza il Befreiungsdenkmal, il Monumento alla Liberazione, opera ad arco dello stesso stile appuntito e squadrato del palazzo dirimpettaio, costruito nel 1946 su progetto dell'architetto francese Jean Pascaud per iniziativa e spesa delle forze di occupazione francesi che occuparono temporaneamente la regione nell'immediato dopoguerra e fino al 1955 (nonostante gli statunitensi furono i primi a liberare la città nel 1945). E' dedicato alla memoria di coloro che hanno sacrificato la propria vita per la liberazione dell'Austria dalla tirannia nazista, e più in senso lato di tutte le numerose vittime la cui esistenza venne interrotta dalla impietosa scure della II Guerra Mondiale. Tra di esse sono da annoverare innanzitutto gli uomini assassinati nel corso del pogrom (termine di derivazione russa, letteralmente "devastazione", con cui si indicano le sommosse popolari antisemite avvenute nel corso della storia) nazista del 1938, attraverso cui alcuni militanti dell'NSDAP, celati sotto abiti borghesi e su mandato di quello stesso Franz Hofer che di lì a poco scalerà le gerarchie del partito, assassinarono quattro delle personalità più in vista della comunità ebraica di Innsbruck: l'ingegnere civile Richard Berger fu prelevato dalla sua abitazione e trascinato sulle rive del fiume Inn dove fu colpito a morte alla testa con una pietra, il suo cadavere venne abbandonato alle acque; Josef Adler, consigliere federale per le costruzioni ferroviarie, affetto già da una malattia cerebrale, venne percosso gravemente al capo trovando la morte solo due mesi dopo l'aggressione; Richard Graubart, proprietario di un calzaturificio, venne pugnalato alle spalle; Wilhelm Bauer, investitore industriale, fu accoltellato e raggiunto da colpi di arma da fuoco all'interno della propria abitazione, nella quale gli aggressori irruppero dopo aver tagliato i cavi telefonici per impedire alla moglie, rinchiusa in una stanza insieme alla figlia e costretta in tal modo ad ascoltare le violenze sul marito, di chiamare i soccorsi, la casa dei Bauer sarà poi confiscata per divenire la sede del nuovo governatore nazista della città. Altre 19 persone rimasero ferite nel corso del pogrom, più di venti famiglie ebree furono bersaglio di pestaggi, numerosi negozi vennero saccheggiati, persino la sinagoga cittadina venne violata e danneggiata. Fu questo il principio dei successivi sette anni di sottomissione che Innsbruck e l'Austria intera dovettero subire per mano del regime nazista. Solo alcuni degli autori di questo vile attacco furono individuati e condannati, seppur solo a pene miti, nel periodo post-bellico. Tuttavia, a perenne ricordo della loro disumana crudeltà si erge oggi proprio il Befreiungsdenkmal: sulla superficie di questo monumento spiccano le parole "Pro Libertate Austriae Mortuis", a celebrazione del sacrificio degli uomini a favore della libertà, e la cancellata posta tra le sue colonne, opera del fabbro Anton Fritz, riporta gli stemmi delle nove provincie austriache, mentre sulla cima troneggia l'aquila simbolo del Tirolo opera dello scultore Emmerich Kerle. Come un nastro musicale che si riavvolge sulle proprie bobine, ritorniamo sui nostri passi e ripartiamo da dove avevamo arrestato la nostra camminata, davanti alla sagoma della Altes Landhaus: da qui il decorso di Maria-Theresien-Strasse fa uno scatto in avanti, supera con un balzo la larghezza della Anichstrasse che la incrocia ad angolo e plana maturando in un ampio spazio pedonale chiuso da due file di edifici moderni, tra i quali in mezzo a vetrine appariscenti e sgargianti insegne luminose si nasconde, quasi mimetizzandosi con discrezione, la facciata della Spitalskirche zum Hl. Geist, piccola chiesa originata da una semplice cappella del XIV secolo annessa all'antico ospedale cittadino, evolutasi nel corso del XVIII secolo alle dimensioni ed all'aspetto barocco attuale (opera di Johann Martin Gumpp il Vecchio). E' in questa parte di Maria-Theresien-Strasse che incontriamo il primo mercatino natalizio: il Christkindlmarkt Maria-Theresien-Strasse si presenta come una doppia fila centrale di piccole baracche di legno, ciascuna occupata da un diverso artigiano e allestita con i più svariati tipi di mercanzia, dai massicci taglieri di legno grezzo alle statuine di vetro e cristallo, ninnoli e curiosità; a tratti le file si interrompono per lasciare spazio a stretti tavolini presso i quali un nugolo di persone cerca calore e ristoro sorseggiando in piedi Vin Brulè o puch caldo alla frutta. A punteggiare questo scenario ed a caratterizzarlo, anche qui come nel tratto precedente di Maria-Theresien-Strasse prosegue la processione di piccoli alberi intensamente decorati con luci natalizie.
Il Christkindlmarkt Maria-Theresien-Strasse è peraltro tra i mercatini di Innsbruck quello più duraturo nel tempo, dato che a differenza di tutti gli altri viene mantenuto fino al giorno dell'Epifania. La folla non è eccessiva e lo spazio risulta sufficiente a muoversi in tutta comodità, così riusciamo a visitare con calma il mercatino natalizio senza troppo affanno: del resto la visita non ci impiega più di una mezz'ora e difficilmente potrebbe impiegare più tempo, date le sue piccole dimensioni, fatta salva l'eventualità di sostare a sorseggiare una bevanda calda ad una delle sue baracche gastronomiche. A sorvegliare come un faro il Christkindlmarkt Maria-Theresien-Strasse, svetta al centro di esso la Annasäule, colonna alta 13m e dedicata a Sant'Anna, creata dallo scultore italiano Cristoforo Benedetti e composta di marmo rosso proveniente da Kramsach, località austriaca situata a nordest di Innsbruck celebre per la propria produzione di legname, vetro e per l'appunto marmo.
Lungo il piedistallo della Annasäule, sui quattro lati, sono collocate le statue di quattro santi cattolici: San Cassiano lungo il lato ovest, educatore ed insegnante di grammatica e letteratura vissuto nel IV secolo d.C. nei dintorni dell'odierna città di Imola, fu grande predicatore nel diffondere la fede cristiana tra i giovani, e per tale motivo venne denunciato e processato, rifiutò di rinnegare il proprio credo e venne così condannato a morte, come pena per avergli dato ascolto venne imposto proprio ai suoi studenti di eseguire la sentenza; San Vigilio lungo il lato est, missionario e vescovo della città italiana di Trento vissuto tra il IV secolo d.C. ed il V secolo d.C., strenuo combattente dell'idolatria, trovò il martirio per mano di un gruppo di pagani che lo aggredirono con colpi di mazza e zoccoli di legno per aver gettato in un fiume una statua del dio romano Saturno durante la celebrazione di una messa; San Giorgio sul lato sud, santo cavaliere, simbolo della secolare lotta contro il male tradotta nella figura del feroce drago che il santo trafisse con una lancia, fu imprigionato per la propria fede nel periodo delle persecuzioni cristiane perpetrate dell'imperatore romano Diocleziano (IV secolo d.C.) e si dice risorse da morto venendo pertanto giustiziato per ben due volte (la prima volta venne tagliato in due con una ruota piena di chiodi e lame, la seconda fu decapitato); infine Sant'Anna lungo il lato nord, la santa alla quale è votato nel nome il monumento, figlia di Matan, sacerdote ebraico presso Betlemme, fu madre della Vergine Maria, che si dice concepì miracolosamente dopo venti anni di sterilità. La vicenda tramandata di questa santa è davvero storia d'altri tempi: umiliato pubblicamente per la difficoltà nel produrre una discendenza, Gioacchino, marito di Anna, uomo ricco e virtuoso, si ritirò in meditazione nel deserto, ospitato da una comunità di pastori; durante questo periodo di separazione, Anna ricevete l'apparizione di un angelo che le annunciava l'imminente concepimento di una figlia; lo stesso angelo sarebbe apparso anche a Gioacchino portandogli in sogno il medesimo messaggio. Marito e moglie si incontrarono quindi a Gerusalemme, e la tradizione colloca nel casto bacio che si scambiarono al momento del loro ritrovo dopo un lungo periodo di separazione l'attimo dell'immacolato concepimento di Maria. La vicenda di Anna si trasmetterà in parte anche alla figlia: divenuta adulta, Maria, come sua madre, concepirà Gesù per intervento divino mantenendo intatta la propria verginità. Tale destino comune viene opportunamente riassunto anche nella struttura della Annasäule: le sculture dei quattro santi disposte lungo il piedistallo sono sovrastate, sulla cima della colonna, da una statua ritraente la Vergine Maria coronata da un'aureola composta da dodici stelle. Questo monumento venne eretto nel 1704 e celebra il giorno di ricorrenza di Sant'Anna, il 26 luglio, dell'anno 1703, data in cui le truppe bavaresi che avevano posto sotto assedio il Tirolo furono sconfitte presso la città di Innsbruck e costrette alla ritirata da tutti i territori tirolesi invasi: infatti, nel corso dei conflitti bellici tra la coalizione guidata dal Sacro Romano Impero e quella condotta dalla Francia che seguirono alla morte nell'anno 1700 di Carlo II d'Asburgo re di Spagna, deceduto senza lasciare eredi e designando come proprio successore solo il pronipote Filippo, nipote di Luigi XIV re di Francia, il Tirolo venne posto sotto attacco militare da parte della Baviera, fedele alleato dei francesi, e solo grazie alla strenua quanto valorosa resistenza dei tirolesi la minaccia potè essere respinta. I bavaresi riusciranno comunque ad occupare Innsbruck circa un secolo più tardi, quando nel 1805, a termine dei conflitti che videro vincitrice la Francia post-rovoluzionaria governata da Napoleone Bonaparte sui regimi monarchici europei capeggiati dall'imperatore Francesco II d'Asburgo-Lorena, la Baviera alleata francese sottometterà parte dei territori tirolesi fino al 1815, epoca nella quale in seguito al declino dell'impero napoleonico conseguente alla fallimentare campagna militare francese in Russia, il Tirolo tornerà ufficialmente all'Austria. A celebrazione di quella storica prima vittoria venne eretta la Annasäule ed a consacrazione dell'eroico ardimento del popolo tirolese si stagliano sopra di essa le statue dei quattro santi a presidiarne la base, esempio di indomito coraggio e di inflessibile costanza nella difesa dei giusti principi. Purtroppo oggi le sculture che ritraggono i quattro santi sono solo una copia delle opere originali, le quali per motivi di conservazione nell'anno 2009 vennero rimosse per essere collocate al riparo nelle sale della Altes Landhaus sempre ad Innsbruck. La statua della Vergine Maria posta sulla cima invece venne sostituita con una copia già nel 1958 ed oggi il manufatto originale si trova all'interno di un monastero presso Fiecht, in Austria. Poco oltre la Annasäule termina il decorso della Maria-Theresien-Strasse, ma non certo la nostra passeggiata: superato il trafficato incrocio con Marktgraben e Burggraben, la via prosegue in avanti divenendo quasi senza preavviso Herzog-Friedrich-Strasse, ed il cambiamento davvero appare impercettibile. Il largo spiazzo che ospitava il Christkindlmarkt Maria-Theresien-Strasse qui cede il posto ad una stretta via pedonale circondata da edifici storici, poco più avanti sostenuti alla base da bassi porticati estesi ai lati della via. L'atmosfera è comunque sempre la medesima, condita da innumerevoli piccole luci natalizie che poco oltre l'esordio del viale compaiono sospese come un ravvicinato cielo stellato sopra lo spazio della strada. Al centro dell'area, giunti alla conclusione di Herzog-Friedrich-Strasse, che peraltro risulta molto breve (circa 200m), inscatolato alla base della via che termina a fondo cieco, si colloca il secondo mercatino natalizio che incontriamo: il Christkindlmarkt Altstadt è tra tutti sicuramente il mercatino di maggior tradizione, essendo il primo ad essere stato realizzato ad Innsbruck nel 1973, inoltre è anche il più grande con le sue ben 70 baracche recanti in esposizione merce di ogni tipo, dai vestiti in calda lana alle scarpe per bambini fino ai prodotti della gastronomia locale. L'atmosfera è davvero suggestiva, con la penombra rischiarata solo dalle luci sospese, un imponente abete addobbato ad albero natalizio, posto in un angolo sullo sfondo, tanto bello da sembrare quasi un'opera d'arte, ed ai piedi di esso un presepe in legno a grandezza naturale. E' questo il principale punto di incontro in città per gli abitanti di Innsbruck e per i numerosi turisti in cerca dell'inconfondibile calore del Natale. Nonostante la folla qui sia più concentrata dalla stretta via racchiusa tra gli edifici, fa una strano piacere girovagare tra le baracche del mercatino, ed il tentativo spontaneo ed irrazionale è quello di respirare a pieni polmoni questa strana poesia, caotica e densa, eppure affascinante e senza tempo, forse dopotutto non è solo aria quella che penetra nei polmoni, c'è qualcosa di più, qualcosa di ineffabile ed etereo.
Al centro del Christkindlmarkt Altstadt una piattaforma sopraelevata concede l'accesso, salendo pochi gradini, alla vista della più tipica delle attrazioni di Innsbruck, la più celebre, il simbolo della città. Sul fondo di Herzog-Friedrich-Strasse, avvinghiato alla parete dell'edificio che chiude la via, sta il Goldenes Dachl, il Tettuccio d'Oro, meta più remota di questa nostra prima passeggiata serale tra le vie cittadine. Si tratta di un erker, capolavoro dello stile gotico tedesco, posizionato lungo la facciata del Neue Hof, il palazzo un tempo abitato dai conti del Tirolo: tradotto in italiano con la parola "bovindo", un erker costituisce uno spazio architettonico finalizzato a proiettare all'esterno le fenestrature di un edificio, utilizzato per aumentare la luminosità dei locali, per avere una prospettiva più ampia dall'interno delle stanze, oltre che per aumentare in ampiezza la visuale dalle finestre verso l'esterno. Largo 16m, la peculiarità del Goldenes Dachl è quella di possedere un tetto composto da 2.657 scandole (scaglia o assicella, di profilo generalmente circolare, di cui si compongono spesso le ricoperture nelle costruzioni di montagna) di rame dorato. Fu Federico IV, conte del Tirolo, a commissionare nel 1420 la costruzione del Neue Hof per soddisfare il bisogno di una nuova dimora ad Innsbruck, città a cui fu sicuramente molto legato dato che nel 1425 spostò qui da Merano la capitale del Tirolo stabilendovi anche la propria residenza principale, circostanza che conferì alla città un enorme impulso dal punto di vista dello sviluppo economico, sociale e culturale. Circa 70 anni dopo, nel 1494, con l'imminente sopraggiunta di un nuovo millennio, l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo fece aggiungere un erker alla facciata principale del Neue Hof ad opera dell'architetto Niklas Türing: lo spazio doveva servire come loggia espositiva per l'imperatore durante le manifestazioni pubbliche ed i tornei. Una leggenda popolare narra invece che sia stato sempre Federico IV, passato alla storia con l'epiteto di "Tasche Vuote" forse a causa di un'eccessiva prodigalità, ad ordinare la costruzione del Tettuccio d'Oro con il fine di dimostrare con esso la propria sottovalutata ricchezza.
Ad ogni modo, come una lussureggiante balconata il Goldenes Dachl si sviluppa in due volumi sovrapposti e sormontati da un abbagliante tetto dorato alto ben 3,7m: la porzione inferiore è incentrata su una finestra tardogotica poggiata su una serie di stemmi araldici scolpiti e inquadrata dalle figure affrescate di due alfieri nell'atto di innalzare gli stendardi d'Austria e del Tirolo; la parte superiore si compone di una balconata a loggia decorata con rilievi raffiguranti alcune scene della Moresca (antica danza di origine araba ed a carattere grottesco, eseguita spesso in forma di pantomima mascherata presso le corti gentilizie da compagnie di danzatori), opera dello scultore Gregor Türing, oltre ad affreschi, opera di Jörg Kölderer, raffiguranti la vita di corte con protagonista l'imperatore Massimiliano I in compagnia delle sue due spose, il cancelliere e persino il giullare. Massimiliano si sposò in effetti due volte: verso la prima moglie, Maria di Borgogna, che sposò prima di diventare imperatore e dalla quale ebbe due figli, si dice nutrisse profonda stima e tuttavia ella morì a soli 25 anni nel 1482 (12 anni prima della costruzione del Tettuccio d'Oro) a causa di una caduta accidentale da cavallo durante una battuta di caccia; non si può dire altrettanto della seconda consorte, Bianca Maria Sforza, figlia secondogenita del duca di Milano, da cui Massimiliano non ebbe mai eredi e che non sembra apprezzasse molto. Forse questa radicale differenza nel sentimento verso le due donne spinse l'imperatore a raffigurate entrambe negli affreschi del Goldenes Dachl, il ricordo della prima compensava nelle sue intenzioni l'indolenza verso la seconda. Chissà come Bianca Maria Sforza prese l'indelicata decisione del marito? Una cosa è certa: nessun comune mortale potrebbe invitare l'attuale compagna a ritrarsi in una fotografia insieme alla propria precedente moglie arrivando vivo a fine giornata, ma Massimiliano era un imperatore ed evidentemente questo gli conferiva poteri che arrivavano ben oltre quelli di tutti gli altri uomini ordinari, soprattutto se consideriamo il fatto che Massimiliano fece costruire il Goldenes Dachl proprio per onorare il secondo matrimonio celebrato con Bianca Maria Sforza nel 1493, lo stesso anno della propria investitura ad imperatore del Sacro Romano Impero. Non solo, tra le decorazioni che ricoprono la parete della balconata superiore sembra sia raffigurato un fondoschiena femminile, appartenente ad una delle figure che fregiano la parte più bassa della loggia: si narra che a realizzare questa decorazione sia stato un artigiano che non fu mai pagato per il lavoro condotto sul Tettuccio d'Oro, vendicandosi del torto subito tramite l'inserimento di un'immagine triviale tra i soggetti raffigurati, anche se probabilmente questa è solo una leggenda popolare. Un'altra credenza folcloristica legata al Goldenes Dachl riguarda una misteriosa scritta che sarebbe riportata nella volta del tettuccio dorato, la quale non sarebbe ancora stata decifrata con certezza ma che pare reciti (tradotto): "Vivi ogni istante, non perderti nessun ballo della vita, tanto non potrai portare nulla con te". Purtroppo non cogliamo la possibilità di verificare di persona e da vicino questa peculiarità del Tettuccio d'Oro: decidiamo di non visitare dall'interno il sito nemmeno nei giorni che seguiranno, evitando in tal modo di ammirare le sale del Neue Hof che oggi ospitano un museo dedicato all'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, oltre agli uffici della Convenzione delle Alpi, istituzione internazionale sottoscritta tra il 1989 ed il 1991 dai paesi dell'arco alpino con lo scopo di applicare una politica condivisa tra le nazioni per la salvaguardia economica e culturale di questi territori. La bellezza del Tettuccio d'Oro rischiarato dalle miriadi di luci natalizie che lo illuminano delicatamente è davvero grande, e la meraviglia è tanta nell'osservarlo dalla bassa pedana posta al centro della via sopra la quale siamo saliti per goderne la vista: lo scenario già perfetto di per sè è ulteriormente impreziosito dall'esibizione della Golden Roofbläser, un'orchestra di pochi elementi che intona con strumenti a fiato motivi natalizi della tradizione tirolese (con esibizioni gratuite quotidiane e ad orari cadenziati in prossimità del Tettuccio d'Oro); in effetti quello musicale è un elemento fondamentale nell’animazione del Natale, considerando anche il fatto che nel 2018 in Tirolo si festeggia l’anniversario dei 200 anni dalla composizione del canto natalizio di origine austriaca "Stille Nacht, Heilige Nacht", corrispondente al nostrano "Astro del Ciel". Termina qui la nostra prima giornata di visita ad Innsbruck, una breve prima passeggiata piena però di scoperte e meraviglie: facciamo quindi ritorno verso l'albergo, ma solo dopo aver fatto sosta presso una raccolta, intima e riservata propaggine del Christkindlmarkt Altstadt, collocata a breve distanza e nascosta alla folla dei turisti, che raggiungiamo percorrendo la Riesengasse ed imboccando uno stretto sottopassaggio pedonale che ci proietta quasi per incanto all'interno di un ristretto spiazzo formato dal decorso della Burggraben, racchiuso tra le pareti degli edifici ed all'ombra del campanile della Hofkirche: qui alcune baracche gastronomiche, affollate da persone che sembrano per la maggior parte abitanti del posto, offrono alimenti tipici della cucina tirolese insieme a bevande calde, ottime per riscaldarsi dal freddo serale. Ne approfittiamo anche noi, ordiniamo il classico Bratwurst e ci immergiamo nella familiare atmosfera che questo luogo magicamente trasmette: lo ricorderemo alla conclusione del viaggio come indubbiamente la parte migliore, a nostro parere, di tutti i mercatini natalizi visitati ad Innsbruck. Natale del resto è famiglia, comunque è strano percepire come certi luoghi, magari mai visti prima, riescano ad accoglierci con sorprendente e calorosa naturalezza facendoci percepire per incanto il sentore di casa. E' con questo dolce ed estremamente natalizio stato d'animo che ritorniamo in hotel per goderci un meritato riposo.
Il mattino successivo il meteo ci assiste: è una giornata soleggiata e senza una nuvola, così decidiamo di dedicarla alla scoperta del panorama che Innsbruck con i sui dintorni è in grado di offrire. Usciamo dall'Hotel Alpinpark di buon'ora, e nel farlo siamo certamente aiutati dall'essere in viaggio con una bambina di 10 mesi, dormire non rientra tra i nostri diritti. Posizioniamo Amelia sempre comoda ed al caldo nel suo marsupio: finora la soluzione sembra aver funzionato e nonostante la lunga passeggiata compiuta nel corso della serata precedente, la piccola sembra aver gradito la sistemazione. Ci dirigiamo subito verso il centro storico che raggiungiamo in breve tempo: le nostre gambe sono già allenate a compiere la distanza in automatico e senza troppo sforzo. Il confine occidentale dell'Altstadt è segnato dal decorso del fiume Inn, e raggiungere le sponde della riva fluviale dal Tettuccio d'Oro non necessita più di una manciata di minuti: tra i principali corsi fluviali austriaci, l'Inn nasce in Svizzera, attraversa territori appartenenti a Germania ed Austria, infine dopo 517km complessivi di tragitto, raggiunta la Baviera, si esaurisce riversandosi nel fiume Danubio. Le sue acque appaiono allo sguardo di un particolare color verde, denso e di un'intensità unica, che da reminiscenze di viaggi pregressi definirei di tonalità Mate cocido.
Il letto del fiume in prossimità del margine dell'Altstadt è scavalcato dall'Innbrücke, il più antico ponte di Innsbruck, l'unico fino al XVI secolo: eretto su ordine di Berthold III conte di Andechs nel XII secolo, ancor prima dell'acquisizione da parte di quest'ultimo dei territori in precedenza amministrati dai monaci premostratensi locali, quest'opera fu quella che donò il nome alla successiva città di Innsbruck, attraverso la formula denominativa arcaica Ynbruggen. Fu in principio realizzato interamente in legno con pilastri rafforzati da nuclei di pietra, ma nonostante ciò questa struttura presentò fin da subito severe criticità, impedendo il corretto deflusso delle acque fluviali durante le piene e risultando troppo poco resistente all'impeto del fiume sottostante, e per tali motivi nel corso dei secoli subì più volte importanti danneggiamenti e radicali ricostruzioni. Nel 1873 fu finalmente realizzato un ponte in ferro in luogo del precedente passaggio ligneo andato distrutto definitivamente durante un'esondazione dell'Inn nel 1871: l'Innbrücke fu il primo ponte in questo materiale realizzato in Tirolo. Nel 1977 la struttura metallica del viadotto evidenziò profondi danni corrosivi, motivo per cui fu necessario limitare i flussi di traffico lungo il suo dorso e persino approntare una soluzione temporanea con il posizionamento di un ponte provvisorio collocato proprio accanto a quello principale. L'aspetto attuale dell'Innbrücke si deve infine agli ultimi lavori condotti sulla sua struttura, quelli compiuti tra il 1981 ed il 1983, i quali hanno riconsegnato il ponte, oggi composto in cemento, alla sua piena ed efficiente funzione. A metà del passaggio sopra il fiume si erge un crocifisso di bronzo, opera dello scultore austriaco Rudi Wach che la realizzò nel 1986: tale scultura fu oggetto di animate discussioni, essendo l'immagine di Cristo rappresentata senza alcun velo, a tal punto che persino il vescovo di Innsbruck si rifiutò di benedirla e solo nel 2007 il sindaco della città Hilde Zach a sorpresa e con mossa improvvisa decise di esporla lungo l'Innbrücke, dove effettivamente si trova ancora oggi. E ad onor del vero, è difficile non notare il crocifisso ad un lato della carreggiata accanto alla sponda del ponte mentre lo si attraversa, ma nell'osservarlo è altrettanto difficile non notare le variopinte facciate degli edifici storici (XV secolo e XVI secolo) allineati lungo la sponda opposta del fiume Inn, fianco a fianco l'uno accanto all'altro come tanti cioccolatini incartati in coloratissime confezioni e stipati stretti stretti nella stessa scatola, adagiati sulla retrostante Mariahilfstrasse, importante viale del quartiere Mariahilf-St. Nikolaus che è una delle parti più antiche di cui si compone Innsbruck: questa su Mariahilfstrasse e sulle sue colorate abitazioni è di certo una veduta tra le più suggestive, e per questo più fotografate, di tutto il panorama cittadino.
Attraversiamo l'Innbrücke e raggiungiamo la sponda sulla quale sorge il quartiere Mariahilf-St. Nikolaus, siamo diretti verso uno dei punti panoramici più apprezzati negli immediati dintorni di Innsbruck: fiduciosi di raggiungere la meta a piedi ci incamminiamo lungo la Höttingergasse che subito si fa in salita rendendo la nostra camminata faticosa fin dall'inizio. Coperte poche centinaia di metri ci rendiamo conto che la sfida è per noi davvero impari, così decidiamo saggiamente di arrestare la nostra ascesa per proseguire assistiti dai mezzi pubblici. Dopo aver chiesto informazioni ci appostiamo ad attendere il passaggio del bus accanto alla Neue Pfarrkirche Hl. Ingenuin und Albuin, chiesa di epoca moderna eretta nel 1911: ci siamo lasciati già alle spalle il Mariahilf-St. Nikolaus, esile lembo di terra aggrappato alle rive dell'Inn, e siamo ora nel quartiere Hötting, sito di provenienza della pietra tipica locale, quella stessa Höttinger Breccie che compone numerose costruzioni del centro storico di Innsbruck oltre alle superfici del Triumphpforte. Non dobbiamo attendere troppo tempo: il bus giunge in pochi minuti, paghiamo il biglietto direttamente al conducente, quindi proseguiamo su ruote il nostro tragitto lungo la strada che continua in avanti sempre in salita, su viali sempre più stretti e a breve sprovvisti anche dei marciapiede, disegnando angusti tornanti chiusi su sé stessi, caratteristiche queste che non fanno altro che legittimare la nostra decisione di non proseguire la salita a piedi. Ed in effetti anche la distanza non ci avrebbe permesso di procedere senza l'aiuto del bus, il quale in pochi minuti ci porta a destinazione coprendo una distanza che avremmo impiegato mezza giornata a coprire camminando. Arriviamo in questo modo ad Hungerburg, sobborgo periferico della città di Innsbruck posto in altura, a circa 870m s.l.m. Qui sorge il mercatino natalizio più alto della città, il Christkindlmarkt Hungerburg, piccolo e raccolto, costituito da poche baracche che forse si possono contare sulle dita delle due mani, quasi esclusivamente di genere gastronomico, ma la vista che si può godere da questo punto panoramico è davvero unica: da una balconata aperta sulla sottostante valle si può distinguere la distesa della città che come un puzzle si compone su una superficie animata da una miriade di forme, dai tetti appuntiti degli edifici alla piatta ragnatela delle strade, tutto portato come in palmo di mano dall'ansa morbida del fiume Inn, le cui acque verdi rischiarano del riflesso cristallino del Sole il contorno del centro abitato. Sullo sfondo della veduta troneggiano i profili delle montagne e lo sguardo abbraccia lo spettacolo della Nordkette, catena montuosa i cui versanti e picchi innevati racchiudono a sud la valle del fiume Inn e con essa anche la città di Innsbruck: è la più meridionale dei quattro raggruppamenti montani che compongono il Karwendel, la maggiore catena montuosa delle Alpi Calcaree Settentrionali divisa tra il Tirolo (che ne detiene la maggior parte) e la Baviera. La vista dalla balconata dell'Hungerburg è davvero tra le più preziose di tutti i dintorni di Innsbruck e coglierla è un piacere, soprattutto mentre si sorseggia del vino caldo venduto dalle baracche del retrostante mercatino natalizio: sarà l'ambiente montano, sarà il profumo di bevande bollenti, sarà l'atmosfera riservata del luogo, non particolarmente affollato né tanto rumoroso, ma sembra di esserci avvicinati di un altro piccolo passo al Natale che cerchiamo, e non ci lasciamo sfuggire facilmente questa sensazione.
Solo il freddo ha la meglio su di noi, costringendoci a rifugiarci per qualche minuto in un vicino caffè: ne approfittiamo per bere qualcosa e per lasciare Amelia libera di muovere qualche incerto passo, finalmente svincolata dalla stretta del marsupio e dall'ingombro del cappotto. Del resto, quando si viaggia con dei bambini al seguito non esistono mai tempi morti, e basta spostare lo sguardo su di loro per cogliere una bellezza che mai e poi mai nessun luogo al mondo potrà possedere, un viaggio dentro al viaggio ed è il viaggio di una vita. Rifocillate le membra ed impiegato il canonico quarto d'ora per ricomporre l'assetto guanti, cappellini e cappotti, ci rimettiamo in pista per discendere nuovamente in città a valle: optiamo per non compiere il tragitto di andata in bus a ritroso ma decidiamo di utilizzare la Hungerburgbahn, una funicolare ibrida di moderna costruzione che collega Hungerburg con il centro di Innsbruck: realizzata a partire dal 2004 ed inaugurata nel 2007, è opera di Zaha Hadid, lo stesso architetto di origini britannico-irachene che realizzò il Bergiselschanze, e la sua firma è ben visibile anche nella particolare forma attribuita alle stazioni della funicolare, modellate da linee morbide ed arrotondate che fanno sembrare la costruzione una paffuta nuvola argentata. Accanto alla Hungerburgbahn presso Hungerburg, da un edificio separato ma posto a breve distanza si diparte una più modesta e scarna funivia che prosegue la salita a monte fino a raggiungere i 2.300m di altitudine in coincidenza della località di Hafelekar, dove sono collocati alcuni impianti sciistici. Non siamo però intenzionati a salire più in alto, anche perché con una bambina di meno di un anno di età sappiamo bene che è consigliabile mantenersi sotto i 2.000m di altitudine: paghiamo quindi il biglietto non proprio economico del viaggio (6€ a persona, molto più del prezzo speso per i biglietti del bus) e prendiamo posto nelle cabine della Hungerburgbahn infarcite all'inverosimile di persone destinate a scendere a valle. Il tragitto prevede due fermate intermedie, ma nel giro di pochi minuti siamo nuovamente proiettati all'interno dell'Altstadt. Abbandoniamo più che volentieri le cabine congestionate di passeggeri ed infiliamo il largo viale del Rennweg, così chiamato (dal tedesco letteralmente "viale della gara") in quanto nel corso del XVI secolo l'arciduca d'Austria e conte del Tirolo Ferdinando II d'Asburgo vi ambientò diversi tornei e parate; costeggiamo l'Hofgarten, i giardini imperiali oggi parco aperto al pubblico, sfioriamo il Tiroler Landestheater, il teatro statale del Tirolo, con la sua cerimoniosa facciata in stile neoclassico caratterizzata da un alto colonnato, ed infine imbocchiamo la Herrengasse, la quale senza tappe intermedie ci proietta direttamente in Domplatz. E' sue questo piccolo piazzale, arioso e gentile con le ordinate aiuole centrali che donano una fresca nota di verde alla vista, che sorge il Dom zu St. Jakob, il Duomo di San Giacomo, il principale luogo di culto cattolico ad Innsbruck. Mirabile esempio di architettura barocca tirolese, questo tempio deve il proprio aspetto attuale all'opera degli architetti Jakob Herkomer e Johann Georg Fischer, i quali ne disegnarono la struttura riqualificando tra il 1717 ed il 1724 un precedente edificio religioso documentato sul luogo a partire dal 1180, ristrutturato in stile gotico già nel 1494 e gravemente danneggiato da un terremoto nel 1689. La chiesa detiene il rango di cattedrale dal 1964, dopo essere stata parzialmente ricostruita dagli ingenti danni provocati dai bombardamenti aerei che la colpirono nel corso della II Guerra Mondiale provocando il crollo della cupola e della volta del presbiterio. L'esterno presenta una sobria facciata composta da pietre a vista, caratterizzata da due ordini di grandi fenestrature (a tutto sesto sul livello inferiore e ovali su quello superiore), strutturata con un corpo centrale di forma concava sormontato dalle statue della Madonna col Bambino e di San Giorgio più in alto, stretta tra due poderose torri campanarie gemelle sormontate da una cupola di rame. La torre nord custodisce dal 1982 un carillon meccanico costituito da ben 48 campane, il più grande meccanismo di questo tipo presente in tutta l'Austria, il quale suona ogni giorno dieci minuti dopo lo scoccare del mezzogiorno; sempre sulla cima della torre nord è collocata la campana maggiore della chiesa, nota con il nome di Mariahilfglocke, fusa dalla fonderia Grassmayr di Innsbruck nel 1846, la seconda campana storica più grande del Tirolo. La torre sud invece ospita un complesso di differenti campane fuse sempre dalla fonderia Grassmayr tra il 1961 ed il 2018.
L'interno della chiesa è a navata unica, composta da sezioni piatte culminanti in una vertiginosa cupola posta sopra l'altare, non come da tradizione sopra il centro della navata, innovazione pensata per spostare il punto nevralgico della costruzione sopra lo spazio celebrativo: quella del Dom zu St. Jakob è la volta in legno più ampia di tutta l'Austria. Tale primato di pregio è ulteriormente impreziosito dai meravigliosi affreschi che ne decorano la superficie, creazione dell'artista Cosmas Damian Asam che li realizzò tra il 1722 ed il 1724 in collaborazione con il fratello Egid Quirin Asam, massimo esponente dello stile rococò tedesco, il quale realizzò invece le decorazioni a stucco: i sorprendenti colori pastello di questi pregevoli ornamenti sembrano quasi innalzare da terra l'osservatore, trasportandolo verso una dimensione superiore all'interno delle raffigurazioni ritratte, suscitando una sensazione di estrema leggerezza difficile da sopportare senza provare un poco di vertigine. Tra i tanti tesori scoperti ad Innsbruck questo è sicuramente tra quelli che consiglio assolutamente di non perdere. Un breve inciso: ai lati del portale di accesso alla cattedrale sono posizionati dei cartelli che esplicitano l'obbligo di pagare un contributo di pochi Euro, deponendoli direttamente in una piccola cassetta, se si vuole fotografare gli affreschi delle volte; non si scorge personale preposto a far rispettare la regola e lascio esprimere voi circa la ragionevolezza di tale sistema che personalmente ritengo per lo meno discutibile.
Tornando a quanto di buono il duomo ha da offrire, l'altare maggiore, ricco e ricercato, ospita all'interno di una fastosa cornice l'immagine sacra della Madonna Ausiliatrice, oggetto di particolare culto in città ed in tutto il Tirolo: opera risalente al 1520 ed attribuita a Lucas Carnach il Vecchio, celebre pittore ed incisore tedesco esponente della Scuola Danubiana (corrente artistica austriaca di inizio XVI secolo contraddistinta da uno spiccato approccio naturalistico nelle raffigurazioni dei paesaggi), il dipinto raffigura un'immagine mariana che trova la propria origine in un'invocazione apparsa per la prima volta nel 1576 con la formula "Maria Auxilium christianorum, ora pro nobis" compresa all'interno delle litanie lauretane e poi approvata ufficialmente da papa Clemente VIII nel 1601. Secondo la tradizione, a pronunciare per primo tale invocazione fu papa Pio V in seguito alla vittoria riportata dalla coalizione cattolica della Lega Santa, promossa dal papa stesso, sull'invasore ottomano presso Lepanto nel 1571. La festività della Madonna Ausiliatrice, coincidente con il 24 maggio, venne invece istituita da papa Pio VII per celebrare il proprio trionfale ritorno a Roma compiuto nel 1814 dalla prigionia patita per mano di Napoleone Bonaparte, il quale lo incarcerò per essersi rifiutato di riconoscere i vescovi ordinati direttamente dall'imperatore francese in maniera arbitraria e indipendente dall'autorità ecclesiastica. E' davvero difficile concepire che tutta questa intricata storia di papi, imperatori e battaglie, insieme all'immenso significato della sacra immagine della Madonna con il Bambino, sia racchiusa in un dipinto tanto minuto quanto prezioso come quello custodito sull'altare maggiore del Dom zu St. Jakob; ciò che invece è certo è che quest'opera pittorica, dono dell'arciduca Leopoldo V conte del Tirolo e fratello minore dell'imperatore Ferdinando II d'Asburgo (nonché vescovo di Strasburgo dalla tenera età di 12 anni) che la trasportò da Dresda ad Innsbruck nel 1650, fa tutt'oggi di questo importante tempio della cristianità una ricercata meta di pellegrinaggio mariano.
All'altare, lungo il pilastro di sinistra, si affaccia il pulpito sostenuto dalle statue di putti allegorici raffiguranti le tre Virtù Teologali, opera dello scultore Nikolaus Moll che lo realizzò nel 1724. Sullo stesso lato, poco più in là verso l'altare, nel braccio sinistro del transetto si erge il mausoleo dedicato all'arciduca d'Austria Massimiliano III, conte del Tirolo e Gran Maestro dell'Ordine Teutonico (ordine monastico-militare tedesco sorto in Terra Santa all'epoca delle guerre crociate con lo scopo di proteggere i pellegrini in viaggio; divenne successivamente nel corso del XII secolo un vero e proprio stato monastico a capo della regione della Prussia; oggi è un ordine clericale della Chiesa Cattolica): progettato nel 1620 dallo scultore Caspar Gras, uno dei più apprezzati lavoratori del bronzo in Tirolo nel corso del XVII secolo, ed ultimato da Heinrich Reinhart nel 1629, questo monumento funebre si compone di quattro colonne bronzee ornate da decorazioni raffiguranti soggetti vari, tra cui tralci di vite, figure di uccelli ed altri animali. Sopra la copertura del monumento posta a sormontare il sepolcro di Massimilano III, poggia la statua bronzea del defunto genuflesso, accostata dalla scultura di pari materiale rappresentante San Giorgio in atteggiamento di benedizione. Massimiliano III fu in vita strenuo sostenitore della Controriforma, vale a dire dell'insieme di misure di rinnovamento spirituale, liturgico e teologico adottate nel corso del XVI secolo dalle istituzioni cattoliche per arginare il diffondersi della Riforma Protestante in Europa: questo mausoleo, solenne e regale, rende memoria all'opera che il nobile paladino realizzò in vita attraverso l'inevitabile viaggio verso la morte. Ammiriamo con stupore tutto questo enorme patrimonio che il Duomo di San Giacomo è in grado di preservare: prima di abbandonare il luogo spendiamo un ulteriore istante nella visita della cripta sottostante la navata centrale e nell'ammirare l'inestimabile organo a canne, realizzato in epoca recente ma collocato all'interno di una cassa barocca risalente al 1721, posizionato con le sue 3.729 canne (per un totale di 57 registri) su di un soppalco innalzato sopra l'ingresso. Utilizziamo gli ultimi attimi a nostra disposizione per affrancare sopra un volante pezzo di carta il timbro ufficiale della cattedrale, abbandonato ad uso e consumo dei fedeli sopra un tavolino in un angolo lungo il fondo della chiesa: il Dom zu St. Jakob è tappa del pellegrinaggio austriaco verso Santiago de Compostela e la nostalgia dei ricordi di viaggi passati ha facilmente il sopravvento su qualsiasi tipo di buon senso. Del timbro apposto sopra la cartina della città ci faremo ben poco, ma alcune abitudini fortunatamente sono davvero dure da abbandonare. Lasciamo Domplatz e rieccoci subito in pochi passi ancora di fronte al Tettuccio d'Oro. L'ora non è ancora tarda così decidiamo di cogliere l'occasione di visitare quello che costituisce un altro forte simbolo di Innsbruck: in fondo ad Herzog-Friedrich-Strasse, di fronte al Goldenes Dachl, svetta la sagoma della Stadtturm, la Torre Civica.
Con i suoi 51m complessivi di altezza, questa costruzione costituiva all'epoca della sua realizzazione un vero esempio di arditezza architettonica, nonché ovvio motivo di orgoglio per gli abitanti della città: fu eretta tra il 1442 ed il 1450, circa 50 anni prima che venisse realizzato il Tettuccio d'Oro, ed il suo forte legame con le tradizioni locali è testimoniato anche dal materiale di cui è costituita, quella stessa Höttinger Breccie che è possibile ritrovare in numerose costruzioni del centro storico. Dall'epoca della sua costruzione, la Stadtturm ha illuminato, come un faro nei secoli, la via per conservare fondamentali valori sociali quali libertà ed indipendenza. Infatti, accanto alla torre sorge la Altes Rathaus, l'antico municipio, sede delle istituzioni governative locali dal 1358, anno della sua costruzione, fino al 1897, data che coincise con la traslocazione degli uffici amministrativi cittadini presso un più ampio edificio tuttora situato in Maria-Theresien-Strasse. Con la sua vivace e piatta facciata rossa, divisa asimmetricamente dalla struttura della Stadturm che ne risulta inglobata, oggi la Altes Rathaus è la testimonianza locale della nascita del diritto civile cittadino, in un'epoca in cui le società di uomini cominciavano a stabilire leggi che regolamentassero la vita comune: tale nobile funzione è testimoniata anche dalla presenza di un rilievo lungo la sua facciata principale, raffigurante un angelo alato nell'atto di sostenere lo stemma araldico di Innsbruck ed affiancato da due figure di cittadini comuni in abiti seicenteschi, opera di Hans Andre che lo realizzò nel 1939 in occasione del 700° anniversario della prima proclamazione delle leggi civiche. Ristrutturato nel 1691 per mano di Johann Martin Gumpp il Vecchio dai danni provocati da un terremoto, il municipio antico presentava una struttura a tre piani, di cui in epoca medievale veniva impiegato il piano terra come magazzino e forno per il pane, il primo piano come sede degli uffici amministrativi e dell'archivio, il secondo piano ospitava infine la sala delle udienze del governatore. Nel corso del XV secolo lo spazio del municipio venne ampliato tramite l'annessione alla struttura di alcune abitazioni vicine ed appunto con la costruzione della Stadtturm. Proprio verso quest'ultima siamo diretti: ne ammiriamo prima di tutto la conformazione esterna, in stile gotico, di forma quadrangolare, suddivisa in sei piani e tre zone delimitate da cornici. Sulla cima della torre spicca verso l'alto una struttura ottagonale più sottile, di circa 20m di altezza, dotata di quattro bovindi semicircolari ai quattro angoli e di una guglia con apice arrotondato a forma di cipolla terminante con un loggiato deputato ad ospitare una lanterna sulla sommità: questa struttura è postuma rispetto alla restante torre di circa un secolo e venne riqualificata da Caspar Schäbl in stile rinascimentale nel 1560. Nel 1586 furono aggiunti alla torre, a scopo decorativo, quattro gargoyles con fattezze di delfini, mentre gli orologi posti lungo le sue facciate vennero posizionati per la prima volta nel 1603 ad opera di Erasmo Melchiorre. La Stadtturm offre inoltre la possibilità di raggiungere una piattaforma all'altezza di 31m dal suolo dalla quale è possibile ammirare tutto il magnifico panorama circostante, dalle costruzioni cittadine ai picchi montuosi più in lontananza: un tempo questa piattaforma era presidiata giorno e notte da una guardia armata, la quale aveva il compito di annunciare le ore e di lanciare tempestivamente l'allarme in caso di incendio o di altri pericoli imminenti, oltre a presidiare le carceri della città poste al piano terra della torre, precauzioni alla sicurezza dei cittadini che furono adottate per circa quattro secoli dal 1529 al 1967. Oggi invece la sala che anticamente ospitava l'alloggio della guardia all'interno della Stadtturm viene adottata per organizzare incontri letterari ed eventi culturali, mentre la piattaforma panoramica è messa a disposizione dei turisti ovviamente dietro pagamento di un biglietto di accesso. Anche noi pertanto siamo intenzionati a salirci: acquistiamo gli ingressi (3€ a persona) e saliamo al primo piano dal quale parte verso l'alto una vertiginosa scala a chiocciola in ferro color marrone che per mezzo di 133 gradini, faticosamente percorsi a dire il vero, ci proietta direttamente alla piattaforma panoramica superando uno stretto pianerottolo di vetro che concede libera la vista giù in basso verso il fondo ormai lontano della scalinata (esperienza da non consigliare a chi soffre di vertigini). Usciti all'aperto sulla piattaforma panoramica, resistendo al forte vento che ci soffia sul volto, gustiamo la suggestiva vista che miscela la veduta dall'alto sull'Altstadt, in lontananza i campanili del Duomo di San Giacomo e delle altre chiese della città, più lontano ancora i versanti e le cime innevate della Nordkette.
Ma soprattutto da qui è possibile ammirare una prospettiva del tutto differente e particolare sul Tettuccio d'Oro, che dall'alto appare minuscolo ma sempre impreziosito dalla sua brillante tonalità dorata riflessa dal Sole, contornato dalla brulicante folla di persone che giungono in Herzog-Friedrich-Strasse per ammirarlo: un'opportunità da non mancare per innalzarsi sopra la massa di turisti per cogliere da un punto d'osservazione privilegiato il più famoso monumento di Innsbruck. Lo spazio della piattaforma panoramica si riduce comunque ad uno stretto corridoio percorribile lungo il perimetro della torre, l'accesso ad esso è a dir poco angusto e la vista è parzialmente disturbata da un reticolo metallico posto per ovvie ragioni di sicurezza tutto intorno al suo margine: nonostante tutto però, la visita vale sicuramente lo sforzo.
Il nostro giro in questo secondo giorno a spasso per Innsbruck termina proprio dove era cominciato: scesi a terra ed abbandonata la Stadtturm, attraversiamo Herzog-Friedrich-Strasse oltrepassando il Goldenes Dachl, ed in pochi passi siamo nuovamente di fronte all'imbocco dell'Innbrücke. Ad un lato di esso si apre Marktplatz, la piazza sulla quale si tiene settimanalmente il mercato cittadino, ed adagiato sopra di essa troviamo il Christkindlmarkt Marktplatz. Quest'ultimo è il mercatino natalizio più precoce della città insieme al Christkindlmarkt Altstadt, dal momento che entrambi vengono allestiti a partire da metà novembre, circa due settimane prima di tutti gli altri mercatini locali. Ma non è questa l'unica peculiarità del Christkindlmarkt Marktplatz: esso, a differenza di tutti gli altri, è considerato infatti come il mercatino natalizio dei bambini, ed al suo interno è possibile imbattersi, tra le altre cose, anche in un carosello girevole ed in un teatro delle marionette. Del resto, il Natale è dei bambini, e se dovo essere sincero, forse è questo tra tutti i mercatini natalizi che si possono trovare ad Innsbruck, quello che meglio ispira l'atmosfera del Natale. Dopotutto, alzi la mano chi di noi non si fermerebbe ad ammirare, anche solo per un breve istante di pura ed infantile curiosità, le figure delle marionette danzare sulla voce dei burattinai. Purtroppo Amelia è ancora troppo piccola per assistere a questo genere di spettacoli, oggi a dire il vero alquanto inusuali da trovare data la frenesia tecnologica del Mondo in cui viviamo, però l'occasione ci è utile per provare noi stessi a tornare un poco bambini ed avvicinarci pertanto un po' di più allo spirito del Natale tramite una forma d'arte che possiede ancora calore, fascino e passione. Tra tutti i mercatini natalizi di Innsbruck, questo è forse quello da non mancare assolutamente.
Ma il Christkindlmarkt Marktplatz non è solo questo, è anche qualcos'altro, qualcosa di prezioso e sfavillante: al centro del mercatino natalizio svetta infatti il Kristallbaum Swarovski, un albero natalizio composto da 170.000 cristalli firmati dalla famosa azienda austriaca produttrice di gioielli. Sono in molti a sostenere che questo manufatto sia in grado di elevare Innsbruck nell'olimpo delle città detentrici dei più celebri alberi natalizi al Mondo, in compagnia di metropoli quali Tokyo e New York; tuttavia il suo profilo affilato ed appuntito risulta alquanto freddo e meccanico, tanto da non reggere assolutamente il confronto con il più caloroso abete illuminato collocato in Herzog-Friedrich-Strasse accanto al Tettuccio d'Oro, ma questo ovviamente è solo il mio modesto parere personale. Ciò che è certo è che il Kristallbaum Swarovski contribuisce sicuramente ad attribuire ulteriore interesse a Marktplatz ed al suo mercatino natalizio. Dedichiamo parte del nostro tempo per visitare le circa 60 baracche componenti il Christkindlmarkt Marktplatz e ci soffermiamo ad una di esse attirati da uno curioso spiedo di patate fritte condite con spezie: un po' di calore non ci dà per nulla fastidio. Anche perché il freddo è reso più intenso da un gelido vento che dal pomeriggio ha cominciato a soffiare sulla città e che ci costringe presto a gettare la spugna e a ritirarci al coperto. Il tragitto di ritorno verso l'albergo non è lungo ma richiederebbe uno sforzo che, seppur piccolo, le basse temperatura renderebbero alquanto impegnativo. Inoltre dobbiamo badare che Amelia non buschi troppo freddo, ed in aggiunta per lei è arrivata l'ora della merenda, così decidiamo più che volentieri di trovare riparo in un caffè: dopo aver scartato un locale all'interno del quale l'aria risultava essere irrespirabile a causa del fumo di sigaretta (sorprendentemente non l'unico che abbiamo trovato nel corso del nostro soggiorno in città in cui è concesso fumare al chiuso), entriamo in una caffetteria posta a poca distanza da Marktplatz, in Marktgraben. La scelta si rivela ben presto infausta: servizio lentissimo, personale a dir poco scortese, e nonostante avessimo una bambina al nostro seguito diversi gruppi di persone sono stati condotti prima di noi ai pochi tavoli che mano a mano si liberavano dalla folla di avventori, nonostante fossimo seduti in attesa al bancone da moto più tempo. Del resto cosa potevamo aspettarci da un esercizio commerciale che non possedeva nemmeno un nome sull'insegna all'ingresso? Capiamo di non essere graditi, anche se francamente non ne comprendiamo il perché, paghiamo la nostra consumazione, somministriamo la merenda a base di omogeneizzati alla frutta alla piccola Amelia e ci affrettiamo ad abbandonare questo luogo che con molto garbo definisco solo pieno di negatività. Facciamo ritorno in albergo che il Sole illumina ancora il pomeriggio: approfittiamo del tempo a nostra disposizione per toglierci un po' di fatica di dosso in vista di un'altra serata a passaggio per il centro storico della città. Il nostro obiettivo questa volta è la cucina tipica locale, ed il posto che fa al caso nostro è sicuramente la Gasthof Goldenes Adler, la Locanda dell'Aquila d'Oro. E' questa la locanda storica più prestigiosa di Innsbruck nonchè una delle più antiche d'Europa, ed ancora oggi come nel 1390, anno della sua fondazione, essa si propone ancora salda nello svolgere la sua abituale funzione di pensione (al momento hotel 4 stelle) e di taverna (attualmente ristorante di piatti tipici della tradizione tirolese). Dalla sua nascita fino all'epoca moderna, questa vera istituzione alberghiera e gastronomica locale, vero pezzo ancora pienamente vitale della storia cittadina, ha ospitato mercanti e viaggiatori di passaggio, acquisendo via via nei secoli sempre un crescente prestigio tanto da annoverare tra i propri visitatori anche importanti personalità di spicco dell'arte e della politica europea. L'imperatore Carlo V d'Asburgo, per esempio, vi si rifugiò nel 1552 durante la rovinosa ritirata attraverso il Tirolo a cui fu obbligato da Enrico III di Valois, re di Francia, il quale lo aveva colto alla sprovvista con un attacco a sorpresa occupando i territori dell'Italia settentrionale, oltre alla Lorena ed alle Fiandre, spinto dalla preoccupazione per il divampante potere egemonico di Carlo V: costui era infatti solito sostenere che il Sole non tramontasse mai sui territori da lui governati, essendo i suoi domini estesi per un totale di circa 4 milioni di chilometri quadrati di superficie. Nel 1573 l'arciduca d'Austria e conte del Tirolo Ferdinando II, consorte della dama borghese tedesca Philippine Welser, tenne nella Gasthof Goldenes Adler una memorabile festa a cui parteciparono circa 416 invitati giunti su 580 cavalcature, e che consistette in un sontuoso ricevimento per il quale furono spesi suppergiù 1.800 fiorini d'oro. Leopold Mozart scelse nel 1773 questa locanda come punto di sosta per sé e per il figlio Wolfgang Amadeus, diciassettenne prodigioso musicista, mentre erano in viaggio da Milano. Nel 1777 l'imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena vi soggiornò, sotto il falso nome di conte Falkenstein, di ritorno da una visita condotta in Francia presso la sorella, la regina Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena. Il poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe si intrattenne per ben due volte presso la Gasthof Goldenes Adler, la prima nel 1786 e la seconda nel 1790; inoltre si tramanda che fu proprio dall'ispirazione ricevuta da questo luogo che il vate trasse importanti spunti per la creazione di alcune sue opere: la stanza che occupò nella locanda oggi è santuario di artisti, pittori, musicisti e scrittori in cerca d'estro. Nel 1828 il compositore e violinista italiano Niccolò Paganini risiedette per una sola notte presso la locanda e si dice che lasciò in eredità di questo suo soggiorno il proprio nome inciso nel telaio di una finestra all'interno della camera che occupò. Ma l'ospite più celebre mai passato per i saloni della Locanda dell'Aquila d'Oro, in barba a tutte queste teste coronate e menti eccelse, fu Adreas Hofer, eroe delle guerre di liberazione del Tirolo dalle truppe di occupazione bavaresi durante il periodo di strapotere napoleonico sull'Europa. Di estrazione volgare, costui fu acclamato come condottiero indiscusso delle rivolte popolari contro la dominazione straniera nei territori tirolesi; conseguì molte vittorie alla guida dell'esercito di contadini da lui stesso assemblato, la prima delle quali fu raggiunta nel 1809. Proprio in seguito ad essa Hofer fece il proprio trionfale ingresso ad Innsbruck dove tenne un celebre discorso pubblico dall'alto del primo piano della Gasthof Goldenes Adler: "Salute o miei fratelli. Poichè mi avete eletto comandante in capo eccomi a voi. Tutti quelli che vogliono essere fratelli in armi sotto di me devono combattere da valorosi, onesti e bravi tirolesi per Iddio, per l'imperatore e per la patria, e diventeranno miei fratelli in armi. Quelli poi che non vogliono farlo, vadano a casa, e quelli che vengono con me non devono abbandonarmi, che io pure non li abbandonerò, quanto è vero che mi chiamo Andreas Hofer. Io ve l'ho detto, voi mi avete veduto, Iddio vi protegga". Venne catturato nel 1810, fu processato davanti ad un tribunale militare e si dice che il popolo tirolese si adoperò addirittura per organizzare una colletta con il fine di liberarlo, ma la somma raccolta non fu sufficiente e servì quindi solo per pagare l'onorario di un avvocato difensore, tale Gioacchino Basevi. Si narra anche che durante la sua prigionia, nel corso di una notte una stufa cominciò ad esalare un fumo tossico, ed Hofer preferì salvare il soldato a guardia della sua cella, il quale addormentatosi sarebbe sicuramente morto di asfissia, piuttosto che cogliere l'occasione di evadere dalla propria reclusione. Poche settimane dopo la sua cattura fu condotto davanti ad un plotone d'esecuzione e fucilato presso la città di Mantova: stringendo tra le mani un crocifisso ornato di fiori e rifiutando di essere bendato, la leggenda narra che le ultime parole che esclamò furono "Ah, come sparate male!", rivolgendosi in tale beffardo modo ai soldati del plotone di esecuzione che, colpiti dal suo carismatico temperamento, mancarono il bersaglio con la prima raffica di spari. Il suo esempio ed il suo sacrificio furono da guida per le lotte che portarono successivamente nel 1815 alla liberazione del Tirolo dall'occupazione bavarese, contestualmente alla capitolazione di Napoleone ed alla conseguente restaurazione delle monarchie europee, seppure tale periodo storico sancì anche la fine del Sacro Romano Impero e la sua conversione in Impero Austriaco.
Tornando a noi, è alla Gasthof Goldenes Adler che siamo diretti per gustare una prelibata cena dai sapori tipici. Raggiungiamo la locanda situata in pieno Altstadt, a pochi metri dal Tettuccio d'Oro, e prima di entrarvi ne ammiriamo per qualche istante l'aspetto esterno: l'ingresso è protetto da un basso porticato, la facciata dell'edificio appare squadrata e traforata da piccole finestre disposte su tre livelli, decorata da disegni geometrici, raffigurazioni floreali e rappresentazioni grafiche di mattoni a vista con colori sgargianti. Accanto alla porta di accesso salta subito all'occhio un pesante pannello di marmo in cui sono iscritti tutti i nomi dei più celebri frequentatori della locanda. Penetriamo all'interno e veniamo accolti dal suo caldo ambiente: dopo pochi minuti di attesa, nonostante ci fossimo presentati senza alcuna prenotazione, ecco libero un tavolo per noi. La cena devo dire essersi svolta in modo molto gradevole e sereno: le pietanze sono risultate ben fatte e gustose, abbiamo ordinato Gulasch con contorno di Spätzle (gnocchi di farina e uova conditi con varie preparazioni, molto diffusi in Tirolo) e Schlutzkrapfen (ravioli tirolesi ripieni di ricotta e spinaci); il personale si è dimostrato davvero accogliente e cordiale, disponibile e carino anche con la gestione della pappa di Amelia (pasta cotta trasportata dentro un thermos: vi prego non raccontatelo troppo in giro, ma sì, lo abbiamo fatto); l'ambiente si è presentato davvero tipico e peculiare; preparatevi solo se dovesse servirvi la toilette, dato che per arrivarci è necessario percorrere una rampa di scale alle pareti delle quali, inframmezzate da qualche dipinto raffigurante Andreas Hofer, sono appesi svariati trofei di caccia sotto forma di teste animali impagliate, da un'imponente alce a stambecchi e cervi, vera galleria degli orrori anche per chi non fosse animalista radicale. A parte ciò, la Gatshof Goldenes Adler rappresenta, per il proprio carattere autentico, qualcosa sicuramente da cogliere durante una vista ad Innsbruck: il conto del resto è risultato davvero onesto ed alquanto accessibile. La cena si è conclusa senza quella sensazione di sazietà piena tipica delle grandi abbuffate, ma decidiamo comunque di terminare la serata facendo quattro passi per il centro storico prima di fare ritorno in albergo. All'occasione, dai dintorni di Herzog-Friedrich-Strasse si dipartono due vie molto particolari: la prima di esse è la Märchenstrasse, la Via delle Fiabe, percorso caratterizzato dalla presenza, sospese in alto lungo le pareti esterne delle abitazioni situate tra la Kiebechgasse e la Kohleplatz, di composizioni di cartapesta raffiguranti alcuni personaggi di fiabe tra le più conosciute, da Cappuccetto Rosso a Pinocchio. La seconda è la Riesengasse, la Via dei Giganti, posta sul lato opposto della Herzog-Friedrich-Strasse: qui a dominare la scena sono invece alcuni alti fantocci di cartapesta ritraenti figure mitologiche di giganti protagonisti di leggende della tradizione popolare tirolese. Tra di essi si trova Aimone, gigante d'animo buono proveniente dalle lande germaniche che si narra essere giunto nei territori dell'odierna Austria dove sfidò a duello e poi uccise in battaglia il malvagio gigante Tirso, padrone incontrastato della regione sino a quell'epoca, grazie al proprio animo più virtuoso ed ovviamente ad un equipaggiamento militare meglio assortito: Aimone scagliò un fendente mortale alla gamba di Tirso, provocandovi una profonda ferita da cui sgorgò una copiosa quantità di sangue che si riversò sopra le rocce del Karwendel, lasciando in tal modo una scia che consentì ad Aimone di seguire le tracce di Tirso in fuga e di ucciderlo infilzandolo con la propria spada. Oggigiorno i balsami oleosi fossili estratti da alcune pietre del Karwendel, che la tradizione popolare identifica con i sedimenti secolari del sangue fuoriuscito dalle ferite del gigante Tirso, si crede posseggano prodigiose proprietà curative. Altro personaggio mitologico ritratto tra i giganti di cartapesta della Riesengasse è quello di frau Hitt, la malvagia regina delle montagne del nord: costei si narra vivesse all'interno di un favoloso palazzo di cristallo insieme al figlioletto, il quale un giorno, disobbedendo al divieto del guardaboschi, si avventurò all'interno di una foresta incantata, luogo sacro per i contadini di quella regione. Qui si intrattenne con giochi e sollazzi, irrispettoso della solennità del luogo, ma nel tentativo di piegare un basso abete sotto il traino del proprio cavallo mise un piede in fallo e cadde in una pozza di fango. Tornato lamentevole dalla madre con gli indumenti, il volto e le mani sudicie di mota, non ricevette da lei rimproveri e biasimi, bensì la regina, incurante del reale valore delle proprie ricchezze, ordinò ai propri servitori di ripulire il figlio utilizzando pane morbido e latte. A questo punto un poderoso prodigio si scatenò sopra il palazzo di cristallo: lampi, fulmini e tuoni squarciarono il cielo e scossero l'atmosfera come un assordante rullo di tamburi, la terra cominciò a tremare frammentandosi in crepacci profondi, minacciose nubi addensarono il cielo oscurando la luce del Sole. Il ricco palazzo crollò in pezzi costringendo la regina a scappare portando con sè il proprio figlio: fuggì a capofitto spronando senza sosta le cavalcature e ignorando chiunque incontrasse sul proprio cammino, compreso un povero mendicante che elemosinava qualcosa per sfamarsi ed al quale in cambio ella lanciò delle pietre. Giunta sula cima delle montagne, credendosi ormai in salvo, la regina stette ad ammirare nella valle sottostante il proprio regno ormai in rovina, stretto nella morsa di un cataclisma mandato dal cielo per punire la sua altezzosa insolenza; ma il castigo soprannaturale si abbattè infine anche su di lei senza lasciarle scampo, tramutando la fredda regina in gelida pietra: ancora oggi il suo profilo è imprigionato all'interno di un picco roccioso dei monti Karwendel al quale è attribuito per l'appunto il suo nome, ed indicandolo le madri tirolesi apostrofano i propri figli disobbedienti consigliando loro di mettere da parte alcune piccole briciole di pane da dare ai poveri per evitare di dover affrontare lo stesso castigo patito da frau Hitt. Se Natale è una favola, allora passeggiare in Riesengasse è letteralmente essere al centro di essa: la percezione di sentirsi così piccoli al fianco di questi giganti di cartapesta ha la capacità di far ricordare molto da vicino la sensazione provata da bambini di fronte al sopraggiungere del Natale, e nulla più della testolina di Amelia abbandonata nel ciondolamento del sonno più giusto e sporgente dal margine del marsupio ce lo può rammentare
Il nostro terzo giorno di visita ad Innsbruck preannuncia già dal suo principio di essere piovoso, così decidiamo di dedicare la giornata alla visita interna di alcuni imperdibili luoghi di interesse della città. E' con queste intenzioni, intabarrati fino agli occhi dentro i nostri impermeabili sotto il riparo dei quali sistemiamo ben all'asciutto Amelia nel suo marsupio, che ci dirigiamo verso la Hofkirche raggiungendola per mezzo del solito tragitto a partenza dal nostro albergo fino al centro storico. E' forse questo il luogo più rappresentativo ed allo stesso tempo probabilmente più ricco di fascino di tutta la città: eretta tra il 1553 ed il 1563 su progetto dell'architetto Andrea Crivelli, questa chiesa a tre navate, in stile rinascimentale, custodisce l'essenza della storia e dello stile di Innsbruck, che qui più che in ogni altro luogo diventa davvero inconfondibile. Non vogliamo certo perderci quest'occasione così appetitosa per la nostra curiosità sempre affamata di meraviglie. Raggiungiamo la chiesa, paghiamo il biglietto di ingresso (7€, bambini e ragazzi sotto i 19 anni di età entrano gratis), ed attendiamo l'orario di apertura, dal momento che apprendiamo che essendo domenica il sito non sarà disponibile prima di mezzogiorno.
Giunta l'ora, una volta passati all'interno come prima cosa attraversiamo un chiostro composto da un porticato di forma quadrangolare disposto a racchiudere un piccolo spazio verde centrale, ed al centro di questo sta in solitudine una particolare scultura raffigurante quello che pare un personaggio ecclesiastico ritratto nell'atto di porgere in avanti la propria mano sinistra (purtroppo di essa non so dire nulla di più se non che appare davvero come opera di pregevole fattura, dato che non riportava né targhe descrittive né inscrizioni appellative sulla sua superficie).
Percorriamo il breve tragitto del porticato per giungere al punto opposto del chiostro: qui si apre l'ingresso alla Hofkirche, spingiamo le porte ed eccoci entrare nella magia. Al centro del piccolo spazio offerto da questo tempio sta il Grabmal Kaiser Maximilians I, il cenotafio (monumento sepolcrale sprovvisto della presenza dei resti mortali della salma al proprio interno) dedicato alla memoria dell'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, vero capolavoro dell'arte funeraria, ultimato nel 1572 dai lavori di realizzazione diretti da Hieronymus Longi: è costituito da un sarcofago centrale, finemente decorato con bassorilievi riferiti ad episodi della vita dell'imperatore e protetto da una grata in ferro battuto impreziosita da ricercati intrecci scultorei. A presidiare il feretro vuoto di Massimiliano I stanno immobili 28 statue bronzee a grandezza naturale, severe e regali nell'atteggiamento, cariche dall'elegante colore nero lucente che le caratterizza e che conferisce peraltro all'intero luogo il soprannome di Schwarzmanderkirche, tradotto letteralmente la "chiesa degli uomini neri". Sono queste statue a costituire l'eccezionale ed inestimabile peculiarità della Hofkirche: raffigurano personaggi di vario genere ed epoca, tra i quali alcuni congiunti più o meno vicini dell'imperatore Massimiliano I come l'unico suo figlio maschio Filippo d'Asburgo, antichi condottieri come Teodorico re degli ostrogoti, Clodoveo re dei franchi ed il valoroso cavaliere crociato Goffredo di Buglione, infine anche figure prettamente mitologiche, la più conosciuta delle quali è sicuramente quella di re Artù.
Lo spettacolo è davvero unico: 28 statue di valorosi guerrieri e condottieri a vegliare nei secoli il sepolcro di un imperatore; un luogo ricco di tradizione che traspira la nobile valorosa lealtà che è possibile leggere scritta solo nei poemi epici cavallereschi, ma che qui è tangibile e reale. Ad onor del vero, tra le statue poste a sorveglianza del Grabmal Kaiser Maximilians I non ci sono solo quelle di prodi guerrieri e saggi sovrani, vi sono anche le sculture di ben otto dame e nobildonne, tra le quali spiccano quelle raffiguranti la figlia di Massimiliano, Margherita d'Asburgo, e le due consorti dell'imperatore, Maria di Borgogna e Bianca Maria Sforza: del resto sembra che l'imperatore non potesse proprio separarsi dalla compagnia delle sue due mogli, nemmeno per compiere il viaggio più lungo, necessità questa che probabilmente lo rende agli occhi dei posteri un poco più terreno e forse anche più simile a tutti gli altri uomini mai vissuti nel corso della storia dell'umanità. E nemmeno un inestimabile valore artistico sfugge a questa immane opera celebrativa: la stata raffigurante re Artù fu realizzata da Peter Vischer il Vecchio, grande esponente della scultura rinascimentale tedesca; tre delle 28 statue (tra le quali anche quella ritraente re Artù) furono scolpite seguendo i disegni compiuti da Albrecht Dürer, massimo portavoce della pittura rinascimentale germanica, il quale contribuì anche all'esecuzione delle decorazioni del sarcofago. Attorno alle 28 statue bronzee di cavalieri, monarchi, papi, figure leggendarie e nobildonne, sono collocate altre 23 statue più piccole ritraenti i santi protettori della dinastia Absurgo. Al di là di tutto, la bellezza di questo monumento sepolcrale è davvero grande, elegante come un ricevimento di corte e solenne come una veglia funebre sempiterna: è il Grabmal Kaiser Maximilians I a rendere la Hofkirche il più importante sepolcro imperiale presente in Europa. Il suo fascino è indescrivibile, e noi non possiamo fare altro che camminare a bocca spalancata in mezzo a queste fila di aristocratici e valorosi personaggi: la sensazione è quella di farsi largo nella storia osservandone direttamente luoghi, fatti e protagonisti, diventando parte viva di ciò che a voce rimane solo una leggenda, solamente eventi di un passato lontano, ma che qui diventa tessuto vitale e pulsante del tempo. A volere tutto ciò fu Massimiliano I, già committente del Tettuccio d'Oro, personaggio che la storia tramanda sicuramente, data l'opera che ci lascia in eredità, come un esteta dotato di gusto per l'arte, ma che in realtà forse non fu del tutto scevro anche da un pizzico di follia. Di lui si dice che in vita fu ossessionato dall'idea della morte, tanto da non poter compiere lunghi viaggi senza portarsi appresso il proprio feretro, con il quale sembra persino che scambiasse lunghi discorsi filosofici. Tale sua ossessione lo spinse precocemente a porre pensiero al luogo della propria futura sepoltura, portandolo ad ordire diversi progetti dei quali il più ambizioso prevedeva la realizzazione di un tempio all'interno del quale sarebbero dovute essere collocate a guardia del suo sepolcro ben 40 statue raffiguranti congiunti veri o mitici. Purtroppo però Massimiliano giunse sul letto di morte nel 1519 senza aver compiuto l'opera: il progetto risultava sicuramente troppo sproporzionato nella realizzazione e le 40 statue da lui volute avrebbero necessitato di troppo spazio per essere adagiate l'una accanto all'altra alla tomba. Così Massimiliano, in mancanza di alternative capaci di soddisfare la propria fantasia, diede disposizione di seppellire il proprio corpo a Wiener Neustadt, piccola località a sud di Vienna. Credenze popolari narrano che l'imperatore ordinò che dopo la morte, sopraggiunta si dice per un'indigestione di melone (sul serio!?!), la propria salma dovesse essere coperta di calce, rasata della capigliatura ed i denti infranti a colpi di mazza. Strano tipo l'imperatore Massimiliano I, non sapremo mai cosa sul suo conto corrisponda al vero e cosa invece sia frutto di immaginazione; certo è che fu sicuramente un personaggio fuori dal comune, quasi al limite del bislacco, senza dubbio la personalità più importante legata alla storia di Innsbruck.
Ad ogni modo, il progetto architettonico di Massimiliano, per quanto inusuale, non fu affatto sottovalutato e dimenticato: fu invece suo nipote, l'imperatore Ferdinando I d'Asburgo-Lorena, a commissionare la costruzione della Hofkirche in suo onore ad Innsbruck, collocandovi solo 28 delle 40 statue volute dall'imperatore defunto, 11 delle quali (tra cui anche la statua di re Artù) furono già realizzate mentre Massimiliano era ancora in vita. Il risultato di questa devozione nepotale è il Grabmal Kaiser Maximilians I, opera ineguagliabile e davvero particolare, ma il patrimonio della Hofkirche non si ferma qui: di fronte al cenotafio, file di panche conducono all'altare maggiore, opera di Nikolaus Pacassi del 1755, decorato con una raffigurazione della Crocefissione di Gesù realizzata dal pittore accademico viennese Johann Carl Auerbach e contornato dalle statue in bronzo di San Francesco d'Assisi e di Santa Teresa d'Avila create dallo scultore di corte Balthasar Moll nel 1786. Sul fondo invece trova collocazione uno degli organi più antichi ancora in funzione sul continente europeo: realizzato da Jörg Ebert tra il 1557 ed il 1561, successivamente trascurato fino a divenire inutilizzabile nel corso del XIX secolo, circostanza che condusse persino a proporne la demolizione che fu sventata grazie all'intervento di Johann Deininger che lo restaurò, questo prezioso strumento musicale venne traslato durante la II Guerra Mondiale all'interno di una cappella collocata nella periferica località di Rotholz, ad est di Innsbruck, per timore che potesse venire danneggiato dai bombardamenti aerei, infine, terminate le ostilità, venne riportato alla sede originaria e restaurato integralmente tra il 1965 ed il 1977. Ai piedi dell'organo, su un lato, sta la tomba di Andreas Hofer, condottiero eroico delle lotte di liberazione del Tirolo dalla dominazione napoleonica: la statua del paladino, installata sopra il sepolcro, scruta perennemente da lontano i visitatori della chiesa, con il proprio volto contornato dall'inconfondibile folta barba, reggendo saldamente in una mano una bandiera listata con un nastro nero e nell'altra un fucile. Sul lato opposto della chiesa, salita una corta scalinata e raggiunto un piano rialzato, all'interno di una stanza allungata sta la Silberne Kapelle, la Cappella d'Argento, consacrata nel 1578 e contenente un prezioso altare votato a Santa Maria nel quale sono incorporate tre zanne d'elefante e 300kg di ebano: qui sono posti i sepolcri di Ferdinando II, arciduca d'Austria e conte del Tirolo, e della sua prima consorte, Philippine Welser, nota per la sua bellezza oltre che per il suo interesse per la scienza, tanto che si dice fu esperta conoscitrice delle farmacologia, fu solita raccogliere e catalogare piante officinali, scrisse persino diversi trattati contenenti più di 200 indicazioni per preparazioni mediche e numerose ricette culinarie. Figlia di un ricco mercante proveniente dalla città tedesca di Augusta, nonostante la propria provenienza borghese costei poté sposare Ferdinando nel 1559 dopo aver acquisito la benedizione dell'imperatore Ferdinando I, padre dello sposo, a patto che il matrimonio rimanesse segreto e che i figli nati dalle nozze avessero ereditato i titoli nobiliari solo nel caso in cui il casato d'Asburgo si fosse completamente estinto. A causa della propria estrazione popolare, essa non avrebbe mai potuto essere sepolta negli stessi luoghi destinati agli altri nobili Asburgo, così Ferdinando decise di separarsi dai propri antenati per seguire anche nella morte la propria amata consorte, ed a tale scopo fu scelta la Hofkirche, grandioso complesso sepolcrale preposto ad ospitare una tomba imperiale vuota, per accogliere le loro spoglie. Abbandoniamo la Hofkirche ed usciamo nuovamente all'aperto: la sua facciata esterna ci appare tanto scarna quanto magnificente ci è sembrato il suo interno. E pensare che inizialmente l'avevamo confusa con la vicina Jesuitenkirche, chiesa di dimensioni decisamente più grandi posta all'interno di un piccolo spiazzo all'estremità orientale dell'Altstadt: vi eravamo entrati pensando di visitare la Hofkirche e ad onor del vero ci avevamo messo un po' ad accorgerci dell'errore. Eretta tra il 1627 ed il 1640 su progetto degli architetti Karl Fontaner e Christoph Gumpp il Giovane, venne realizzata su finanziamento di Leopoldo V d'Austria, vescovo di Strasburgo e fratello minore dell'imperatore Ferdinando II d'Asburgo, in unione con la consorte Claudia de' Medici, sposata nel 1625 da Leopoldo dopo che questi aveva abbandonato gli ordini sacri per succedere all'arciducato d'Austria ed al contado del Tirolo. La Jesuitenkirche è considerata come la prima chiesa in stile barocco edificata ad Innsbruck ed oggi come nel passato è amministrata da una comunità di monaci gesuiti, circostanza che ne giustifica peraltro anche il nome. Annessa alla chiesa si trova attualmente la sede della facoltà universitaria di teologia, negli stessi spazi un tempo impiegati proprio come collegio gesuita: infatti, fin dalla fondazione nel XVII secolo dell'università cittadina, la quale sorge tuttora a poca distanza dalla chiesa, la Jesuitenkirche svolse un ruolo centrale all'interno dell'apparato universitario cattolico, dal momento che nei secoli antichi la sapienza era prerogativa della Chiesa, ed i gesuiti ne erano i custodi, vera autorità dell'istruzione scolastica. In effetti quella universitaria è un'istituzione di grande tradizione ad Innsbruck, seppure la sua storia non fu certo sempre virtuosa. A tale proposito, non va dimenticato che nel 1904 la creazione di una facoltà universitaria italiana nel capoluogo tirolese, resa necessaria dalla forte presenza straniera in città, fu ostracizzata da gruppi studenteschi austriaci di stampo irredentista, i quali prima assediarono con la complice indolenza delle forze dell'ordine un'adunanza di studenti italiani raccoltisi presso una locanda per festeggiare l'apertura delle nuova facoltà madrelingua, provocando persino la morte di un pittore ladino di nome August Pezzey, quindi misero in pratica un vero e proprio pogrom generalizzato contro i residenti italiani di Innsbruck costringendo molti di essi alla fuga dopo essere stati scortati dai corpi militari presso la locale ferrovia. Tale episodio fu preceduto a distanza di circa un anno dalle forti rimostranze di alcuni studenti austriaci all'ingresso nell'ateneo di un nuovo docente di economia politica, di origini italiane e di nome Giovanni Lorenzoni, senza però riuscire nell'impresa di impedirlo. A seguito di tale violenta condotta, due mesi dopo la sua inaugurazione la facoltà italiana fu dichiarata chiusa da decreto ufficiale del primo ministro austriaco Ernest von Koerber: gli scontri originatisi dalla susseguente rivolta degli studenti italiani, tra i quali il futuro primo presidente dell'Italia repubblicana Alcide De Gasperi ed il patriota Cesare Battisti, arrestati dalla polizia insieme ad altri 135 giovani, non riuscirono ad ottenere la riapertura della facoltà.
Queste vicende, così come tutte le altre pertinenti l'università cittadina, vennero seguite a vista dalla Jesuitenkirche, e l'aspetto rispettabile ed autorevole di questa chiesa, così drasticamente differente rispetto a quello della vicina e più minuta Hofkirche con la quale l'avevamo confusa, concilia subito alla perfezione con tale ufficiosa funzione: l'alta facciata, compatta e geometrica, fa mostra di sé con carattere austero ma imponente, contornata da due torri laterali aggiunte postume ad opera dell'architetto austriaco Friedrich Schachner e grazie all'ingente donazione privata erogata da Johann von Sieberer. Costui fu un ricco ispettore generale della compagnia assicurativa Austrian Phoenix che grazie al proprio impiego riuscì ad accumulare un ingente gruzzolo raggiungendo anche la carica nobiliare di barone: nato illegittimamente ed orfano già dalla più tenera età, egli potè compiere gli studi grazie al vescovo di Salisburgo, il quale lo accolse sotto la propria ala protettrice consentendogli di spingere la propria formazione fino alla laurea. Da qui partì una fiorente carriera che lo portò a divenire uomo ricco e conosciuto; ma Johann von Sieberer non dimenticò mai le proprie umili origini e presto iniziò a condividere la propria fortuna con i meno abbienti tra il popolo: tra le altre sue opere, nel 1885 finanziò la costruzione ad Innsbruck di un orfanotrofio intitolato a suo nome, oggi divenuto una scuola elementare comunale, e nel 1903 contribuì grandemente all'ultimazione, già finanziata dall'imperatore Francesco Giuseppe I d'Asburgo-Lorena, di un asilo per anziani. A ciò va aggiunto il patrocinio della realizzazione delle torri di facciata della Jesuitenkirche, originariamente fornite di quattro campane risalenti al XVI secolo la più grande delle quali, in argento e del diametro di 1,3m, rimase in funzione fino al 1959 attraversando indenne il periodo dei due conflitti bellici mondiali, seppure venne successivamente soppiantata nel proprio ruolo da una campana più voluminosa (2,5m di diametro e 9.000kg di peso, la quarta campana più grande d'Austria) fusa dalla celebre fonderia locale Grassmayr su donazione dei fucilieri tirolesi in occasione del 150° anniversario della liberazione del Tirolo dal dominio napoleonico. Nonostante il pensionamento, l'antica campana in argento riposa comunque ancora salda ed intatta sulla cima della torre nord, simile alla materia grigia che conservi la memoria storica dentro un cranio vivente. All'opposto, l'interno della Jesuitenkirche appare invece arioso, con le alte volte della navata centrale, e più fine, con il pregevole altare barocco e la cupola monumentale all'incrocio con il transetto. Qui, dal 1575, sono custoditi i resti mortali di San Primino, monaco missionario spagnolo vissuto tra il VII e l'VIII secolo d.C., attivo nell'evangelizzazione nei territori dell'Europa centrale, autore tra le altre opere del "Scarapsus de Singulis Libris Canonicalis" (noto più semplicemente anche come "I Detti di Primino", una sorta di elementare catechismo scritto tra il 710 d.C. ed il 714 d.C. per facilitare l'opera di conversione condotta dai frati del tempo), ma soprattutto patrono della città di Innsbruck. Le spoglie del santo furono inizialmente custodite presso il monastero di Hornbach, in Germania, località presso la quale San Primino morì; nel 1557 l'abate del monastero, il conte Anton von Salm, che tra l'altro fu investito di tale carica senza mai aver ricevuto gli ordini monastici e solo per intercessione vescovile, fu costretto a spostare i resti del santo per trarli in salvo dalla minaccia perpetrata dal duca Wolfgang von Pfalz-Zweibrucken, proprietario dei territori sopra i quali sorgeva il monastero, che votatosi alla fede protestante minacciava di sopprimere l'abbazia trafugando e dissacrando ogni bene custodito al suo interno. Le spoglie di San Primino giunsero così nella città tedesca di Spira dove rimasero per vent'anni, e furono poi definitivamente traslate ad Innsbruck, all'interno della Jesuitenkirche, dietro decisione del conte Schweikhard von Holfenstein, governatore del Tirolo convertitosi al cristianesimo dalla fede protestante divenuto successivamente stretto collaboratore della comunità di Gesuiti con i quali condivise la passione per l'erudizione, la sapienza e la bibliofilia. Quella si San Primino non è comunque l'unica sepoltura illustre di questa chiesa: undici membri della dinastia Asburgo sono sepolti all'interno della cripta del tempio, tra i quali i fondatori del sito, l'arciduca d'Austria Leopoldo V insieme alla consorte Claudia de' Medici, ed i loro figli Ferdinando Carlo d'Austria e Sigismondo Francesco d'Austria, oltre al teologo Karl Rahner, grande riformatore della Chiesa Cattolica vissuto nel XX secolo. La Jesuitenkirche e la Hofkirche stanno l'una a fianco dell'altra come due gemelle diverse, separate da una brevissima distanza, radicalmente differenti nell'aspetto ma accomunate da un senso di appartenenza comune: la Hofkirche, come il nome stesso suggerisce, è tuttavia una chiesa di corte, e la corte sta proprio lì accanto ad essa. A pochi passi sorge infatti l'Hofburg, il palazzo imperiale di Innsbruck. Fu l'arciduca Sigismondo d'Austria, conte del Tirolo, a volerne la costruzione intorno al 1460, anno in cui ricevette la scomunica da parte di papa Pio II per aver imprigionato il vescovo di Bressanone con il quale era entrato in conflitto per vertenze in termini di diritti sul governo territoriale. La prima versione del complesso architettonico imperiale vide la luce sotto forma di castello fortificato e si collocò in luogo dei bastioni e delle torri difensive appartenenti al primitivo nucleo della città medievale. Nel corso del XVI secolo, l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo ordinò un'opera di ingrandimento del complesso, la quale previde anche una riqualificazione in stile rinascimentale e l'attribuzione di un nuovo e più moderno aspetto che fu mantenuto per circa due secoli. A rimettere mano alla struttura del palazzo fu poi l'imperatrice Maria Teresa d'Asburgo nel corso del XVIII secolo: è in quest'epoca che ciò che nacque come un castello medievale sbocciò finalmente nell'Hofburg, un raffinato palazzo imperiale in stile rococò utilizzato dai discendenti della stirpe degli Asburgo come residenza estiva, succedendo in tale funzione a quella di dimora del governatore del Tirolo assunta subito in seguito alla sua fondazione. A condurre questa radicale metamorfosi fu Nikolaus Pacassi, architetto della corte asburgica dal 1766 al 1773, coadiuvato dall'estro dell'architetto locale Johann Martin Gumpp il Vecchio prima e di Konstantin Johann Walter poi. In realtà comunque, nonostante l'interesse riversato sulla ristrutturazione dell'Hofburg, l'imperatrice Maria Teresa visitò Innsbruck solo due volte, nel 1739 e nel 1765, e pure l'occasione non fu lieta dato che in concomitanza con il suo secondo soggiorno in città, determinato dall'imminente matrimonio del figlio Leopoldo, la sovrana patì la tragica perdita del marito, l'imperatore Francesco I di Lorena: gli ambienti dell'Hofburg presso i quali la coppia imperiale risiedeva nel corso della permanenza ad Innsbruck, non devono sicuramente aver lasciato un ricordo lieto nella memoria di Maria Teresa. Dal 1805 al 1815, anni di sottomissione del Tirolo alla potenza napoleonica, l'Hofburg venne occupato dal re bavarese Massimiliano I Giuseppe Wittelsbach, il quale assunse il controllo di questa regione su licenza francese. Tuttavia, nel 1809, dopo aver conseguito una sorprendente vittoria sulle truppe bavaresi costringendole alla ritirata, Andreas Hofer, l'eroe locale delle lotte di liberazione, alla guida del proprio esercito di soldati provenienti dal volgo, entrò nel palazzo occupandolo per poco più di due mesi ed assumendo nel corso di tale periodo la carica di governatore del Tirolo per acclamazione popolare. La Baviera abbandonò queste zone solo sei anni più tardi, portandosi via, tra le altre cose, anche il ricco corredo di mobilio originale dell'Hofburg e lasciando quindi il palazzo praticamente svuotato; un nuovo corredo immobiliare in stile Biedermeier, tuttora custodito nelle sale del palazzo, sostituì a partire dal 1839 quello precedentemente trafugato. Gli ultimi lavori di ammodernamento degli appartamenti imperiali, sempre in stile rococò, furono condotti nel 1858 dallo scultore di corte viennese August La Vigne seguendo il modello dello Schloss Schönbrunn di Vienna. Oggi l'Hofburg rientra tra le proprietà dello stato austriaco ed è parzialmente aperto alle visite del pubblico: anche noi non ci possiamo lasciare sfuggire l'occasione di visitarne gli ambienti interni. Ci dirigiamo quindi alla biglietteria ed acquistiamo rapidamente i biglietti (9€ ad ingresso), ma non prima di aver provato l'ebbrezza di assaggiare l'inimitabile acqua minerale venduta presso il Cafè Sacher collocato proprio di fronte all'ingresso principale del palazzo imperiale: bottiglia di vetro da un litro, qualità alquanto discutibile, costo a pezzo 8€. Nell'osservare il sorriso con il quale il commesso mi ha consegnato lo scontrino fiscale, a metà tra il divertito ed il truffaldino, mi sono sentito come il tizio al quale Totò, in un suo celebre film, tentava di vendere la Fontana di Trevi. Un'estorsione bella e buona! Da evitare come la peste questa brutta copia dell'originale Hotel Sacher di Vienna. Ma tant'è: Amelia aveva sete e non esiste genitore che badi a spese per accudire i bisogni fondamentali del proprio figlio. Assorbito il colpo, riacquistiamo subito il buonumore oltrepassando senza ulteriori indugi la soglia dell'Hofburg, e sinceramente, per opinione postuma, credo di poter consigliare vivamente la visita di questo sito a chiunque passi per Innsbruck in viaggio. Su un'estensione di quattro piani ed una superficie di circa 5.000m² si sviluppano suppergiù 400 stanze e 30 appartamenti privati, reale palcoscenico storico della nobiltà trascorsa. Gli elementi di imperdibile rilevanza all'interno del complesso sono molteplici, a cominciare dalla Hofkapelle, piccola cappella di corte ricavata da quella che era stata la stanza da letto dell'imperatore Francesco I di Lorena per ordine della consorte Maria Teresa, desiderosa di cristallizzarne in tal modo la memoria del sovrano defunto; pregevole l'altare della cappella raffigurante la scena della deposizione di Gesù dalla croce, opera del 1766 di Anton Sartori. Di stupefacente eleganza e sfarzo sono i saloni di corte: la stanza presso la quale i sovrani davano udienza ai visitatori, con il trono sovrastato da un baldacchino; la sala da pranzo arredata con una lunga tavola riccamente apparecchiata con pregiate stoviglie e porcellane, al centro della quale troneggiano pesanti e lussuosi centrotavola dorati; lo studio utilizzato dall'imperatrice austriaca Elisabetta di Baviera (meglio nota con il soprannome di Sissi), nel quale ancora sta la scrivania utilizzata dalla sovrana, situato nel torrione nord e per questo strutturato di una forma pressochè circolare, rischiarata con gradevole abbondanza dalle numerose fenestrature ed illuminata da un brillante colore verde disteso a ricami sulle pareti. Anche se tra loro il ruolo di vincitore incontrastato per bellezza e magnificenza spetta alla Riesensaal, letteralmente la "sala dei giganti" con riferimento ad alcuni dipinti raffiguranti il mito di Ercole che in origine decoravano le pareti e la volta della stanza: lunga 31m, larga 13m e alta 11m, veniva utilizzata come salone per le feste. Le pareti di questo incredibile ambiente sono oggi coperte da ritratti di nobili personaggi, tra i quali un incredibile numero, se non la quasi totalità, raffigura bambini, ingessati nei loro scomodi abiti aristocratici, imbellettati con parrucche e nastrini, con lo sguardo fisso dal quale ci si aspetterebbe da un momento all'altro la vivacità di un sorriso infantile che però mai nell'immobilità della tela potrà più rendere spontanei i loro volti seriosi: la Riesensaal è una sorta di galleria d'arte specializzata in raffigurazioni di bambini, così come fu voluto dall'imperatrice Maria Teresa che con questa peculiare ma ragionata scelta volle celebrare la nascita di una nuova stirpe, gli Asburgo-Lorena, fondata dalla sua unione con nuziale con l'imperatore Francesco I di Lorena. Ammirevole anche la volta, dalle bellissime tonalità pastello dipinte nel 1775 dall'artista tedesco Fran Anton Maupertsch sul tema del trionfo della dinastia Asbrugo-Lorena: di fronte a cotanta maestria pittorica è inevitabile rimanere a bocca spalancata, ma scorgere l'espressione e lo sguardo della piccola Amelia intenta a sporgersi dal proprio marsupio per scorgere gli affreschi, riflessi da specchi molto opportunamente posti lungo tutta la lunghezza del salone per consentire una migliore osservazione dei dipinti a volta, beh, questa per me è la meraviglia più preziosa. C'è qualcosa nello sguardo spontaneamente ed istintivamente curioso dei bambini che mai potrà smettere di affascinare chiunque li accompagni. La visita degli ambienti della Hofburg si conclude con il passaggio attraverso una strana sala espositiva in cui sono messe in mostra in teche di vetro numerose sedie di epoca antica, nonché con il celebre ritratto dell'imperatrice Elisabetta di Baviera opera del pittore tedesco Franz Xaver Winterhalter del 1856, collocato insieme a quello di altri illustri esponenti del casato d'Asburgo (tra i quali anche quello del consorte, l'imperatore Francesco Giuseppe I d'Asburgo-Lorena, creazione dello stesso anno e dello stesso autore di quello di Sissi) all'interno di un angusto spazio posto ai piedi di una scalinata laterale un po' nascosta allo sguardo. La proverbiale bellezza di Sissi, trasmessa attraverso la sua posa regale ed il suo sguardo ammaliante, appare in tutto il suo più affascinante splendore dalla tela di questo incantevole dipinto. Abbandonati gli ambienti scintillanti della Hofburg ed uscendo nuovamente all'esterno, non si può non atterrare sulla Hofgasse, altro asse portante dell'Altstadt, viale che scorre dritto come il binario di un treno intersecando a perpendicolo la Herzog-Friedrich-Strasse all'altezza del Goldenes Dachl. Nel percorrerla non bisogna mancare di fermarsi ad uno dei chioschi specializzati nella vendita di spuntini a base di Speck, prodotto in realtà tipico della salumeria altoatesina ma per contiguità molto diffuso ed apprezzato anche da queste parti.
Proprio di fronte al Tettuccio d'Oro, tra la Hofgasse e la Herzog-Friedrich-Strasse, sorge un'altra costruzione il cui particolare aspetto tipizza in maniera inconfondibile il centro storico di Innsbruck: la Helblinghaus nemmeno ad uno sguardo distratto potrebbe sembrare una semplice palazzina borghese, seppure questa è la sua primitiva natura. Nato come semplice abitazione a schiera in stile gotico nel corso del XV secolo, questo edificio venne successivamente acquistato dal facoltoso tesoriere Johan Fischer nel 1725; costui diede incarico al maestro stuccatore bavarese Anton Gigl di decorarne la facciata con splendidi stucchi rococò policromi, arricchendo in tal modo la struttura di un ricercato apparato ornamentale costituito da cornici, volute, tralci floreali scolpiti, figure di putti e conchiglie, davvero unico nel suo genere. I lavori di decorazione si svolsero tra il 1730 ed il 1732, e fanno ancora oggi Helblinghaus la più particolare ed insieme appariscente abitazione borghese del centro storico di Innsbruck, l'unica all'interno dell'Altstadt realizzata in stile rococò. Su una superficie fornita da quattro piani e due facciate, quella principale più stretta su Herzog-Friedrich-Strasse e l'altra più larga e piana sulla Hofgasse, entrambe marcate da erker che si innalzano ai lati della prima ed al centro della seconda come colonne, si intreccia un fine disegno di orpelli che incorniciano le numerose finestre donando brillantezza al delicato color pastello rosato delle pareti esterne dell'edificio. Il nome di questo palazzo è invece meno raffinato e poetico e deriva da quello di Sebastian Hölbling (nel tempo trasmutato in Helbling), proprietario dell'immobile dal 1800 al 1827, che negli ambienti della Helblinghaus condusse un caffè. Per concludere degnamente il percorso della Hofgasse senza perdersi nulla, basta spingersi pochi metri più avanti, superare l'ingresso della Gasthof Goldenes Adler, e giungere all'Ottoburg: siamo sul limite estremo del viale, poco più in là scorrono le acque del fiume Inn sormontate dall' Innbrücke insieme al vociare delle persone affollate nel Christkindlmarkt Marktplatz, e qui sorge una strana costruzione di forma irregolare, spigolosa e squadrata, seriosa e compatta, animata solo da dissonati imposte a strisce colorare rosse e bianche sulle minuscole finestre a bovindo. Oggi l'Ottoburg opsita le sale di un ristorante di cucina tipica tirolese, ma in origine esso nacque come bastione fortificato inglobato nelle mura difensive della città medievale. La sua costruzione risale ad un periodo compreso tra l'XI secolo ed il XII secolo, seppure la struttura fu in seguito riqualificata nel corso del XV secolo e sul finire del XVI secolo: durante questo ampio periodo di tempo la conformazione primitiva dell'edificio venne gradualmente estesa in altezza, motivo che ne spiega l'odierna forma irregolare ed eccentrica. Fu Massimiliano I a donare sul finire del XV secolo l'Ottoburg al principe tedesco Rudolf von Anhalt-Zerbst, ed in seguito alla morte di quest'ultimo la struttura rimase disabitata per circa mezzo secolo, circostanza che le valse il nome temporaneo di Eepurg, letteralmente "castello vuoto". Il nome attuale fu invece assegnato a posteriori in onore di Ottone II duca di Andechs, considerato per tradizione uno dei fondatori del primo nucleo medievale cittadino.
La bellezza di Innsbruck comunque non si limita solo all'Altstadt, ed anche al di fuori dei confini del centro storico è possibile trovare in città luoghi di importante significato storico, culturale ed artistico, oltre all'atmosfera calda e festiva che qui caratterizza il periodo natalizio permeando temporaneamente tutti i freddi spazi urbani. Tra di essi quello che mi sento di consigliare maggiormente è il quartiere di Wilten, all'estremità meridionale dell'abitato: questo costituisce il reale luogo della fondazione di Innsbruck, e ciò lo rende a mio parere meta imperdibile per tutti i viaggiatori di passaggio da queste parti. Innsbruck nacque infatti sui medesimi territori in cui, in epoca remota, era stato collocato un antico castrum romano noto con il nome di Valdidena: questa rimase località di confine fino al declino della civiltà romana, per essere poi occupata ed amministrata in età successiva da una comunità di monaci premostratensi giunti ad abitarne i luoghi. Detti anche Norbertini dal nome del loro fondatore, San Norberto, o anche Canonici Bianchi in riferimento all'abito candito che erano soliti vestire, i frati appartenenti all'Ordine dei Canonici Regolari Premostratensi svolsero un fondamentale ruolo per lo sviluppo e la crescita della regione che oggi ospita la città di Innsbruck: nei pressi dell'odierno quartiere di Wilten fondarono all'inizio del XII secolo un monastero, la Stift Wilten, che fu anche il primo luogo sacro cristiano della nascente città.
Considerata oggi una delle abbazie più importanti di tutta l'Austria, la sua costruzione venne patrocinata da Reginbert von Brixen, vescovo di Bressanone, e riconosciuta con documento ufficiale emesso da papa Innocenzo III nel 1138: i monaci che vi giunsero ad abitarlo provenivano dall'abbazia di Roth, in Germania. In realtà e con tutta probabilità, sul luogo era già stata presente una chiesa più piccola, probabilmente in legno, votata a San Lorenzo, già citata in documenti storici del 565 d.C., tempio paleocristiano che con l'incedere del tempo cadde probabilmente in rovina. Fu poi la comunità di monaci premostratensi che si stabilirono a Wilten a concedere parte dei territori da loro amministrati a Berthold III conte di Andechs, e da questa circostanza nacque il nucleo mercantile medievale che in seguito maturerà nella città di Innsbruck. Nei secoli che seguirono alla costruzione della Stift Wilten, l'iniziale struttura in stile romanico venne più volte danneggiata dal fuoco di diversi incendi, così che l'edificio andò incontro a ripetute ricostruzioni virando progressivamente verso lo stile gotico. Nonostante ciò, nel 1644 il crollo accidentale del campanile della chiesa provocò ingenti danni alla costruzione, ed a partire da questa disastrosa circostanza, grazie all'opera di ristrutturazione intrapresa su indicazione dell'abate Dominikus Lohr, fiorì l'odierna struttura barocca: la nuova chiesa venne alla luce dai progetti dell'architetto Christoph Gumpp il Giovane (padre del già citato Johann Gumpp il Vecchio) e fu consacrata nel 1665 dal vescovo di Bressanone Sigmund Alphons von Thun alla presenza dell'imperatore Leopoldo I d'Asburgo. Nel secolo a seguire l'abazia conobbe il proprio periodo di massima importanza, mentre durante il periodo di occupazione bavarese di inizio XVIII secolo e quello di annessione al regime nazista, il monastero subì una totale, seppur fortunatamente temporanea, abolizione, venendo anche saccheggiato e parzialmente distrutto dai bombardamenti aerei nel corso della II Guerra Mondiale: data la sua prossimità ad un importante svincolo ferroviario, la chiesa subì gravi danni nel 1944 e non potè essere riabilitata che nel 1952, il giorno di Natale. Oggi l'abbazia ci giunge nel pieno del proprio splendore. Vi giungiamo dopo una faticosa passeggiata dal centro storico verso la periferia della città, ostacolati da un freddo glaciale che presto si accessoria anche di una fine nevicata, e la stanchezza nel giungere a destinazione accentua la sorpresa alla vista dell'abbazia. La facciata imperiosa della chiesa, dalle vivaci tonalità rosse e gialle, opera di Georg Anton Gumpp che la realizzò nel 1716, coglie davvero impreparato lo sguardo, stupisce immancabilmente l'osservatore ed alimenta la meraviglia nello scorgere i primi tratti di questa sorprendente costruzione, la quale da lontano appare come una vivace fiamma isolata in mezzo alla neve. A presidiare la facciata stanno ai lati del portale d'accesso le statue imponenti di due giganti corredati di armature da cavalieri, Tirso appoggiato ad un ceppo di legno e Aimone equipaggiato di scudo e spada: secondo la leggenda fu infatti il gigante Aimone a fondare il monastero intorno all'878 d.C., in seguito al pentimento sopraggiuntogli per aver ucciso Tirso; fu per tale rimorso che interruppe la costruzione del proprio castello, si convertì al cristianesimo ed iniziò ad erigere un tempio per espiare il proprio peccato. Ma un diavolo venne a conoscenza del pio proposito di Aimone, si infuriò e sguinzagliò una feroce creatura simile ad un drago serpentiforme dotato di due zampe e sprovvisto di ali per impedire al gigante di ultimare la realizzazione del luogo sacro. Aimone sconfisse la bestia e le mozzò la lingua, dopo aver terminato la costruzione del monastero prese i voti, visse da monaco il resto della sua vita ed alla sua morte fu seppellito all'interno dell'abbazia da lui fondata. La lingua mozzata al drago da Aimone, fossilizzata, è oggi esposta all'interno del Tiroler Landesmuseum ad Innsbruck, seppure il reperto sembri provenire in realtà dalla propaggine tagliente di un comune pesce spada.
Oggi le statue dei due giganti protagonisti dei miti relativi alla fondazione di Innsbruck accolgono il visitatore all'ingresso della Stift Wilten con i loro sguardi severi e scrutatori, come a voler soppesare l'animo di chiunque si appresti ad oltrepassare la soglia della chiesa. Non lasciarsi intimorire da questa guardia fedele e sempiterna significa scoprire gli interni del tempio, privilegio certo da non mancare: la chiesa è a navata unica, coperta da una volta a botte ed affiancata da cappelle laterali sormontate da matronei (balconata prevista all'interno delle chiese per ospitare le donne in maniera separate rispetto a tutti gli altri fedeli); a dividere l'ingresso dallo spazio dedicato al culto sta un nartece delimitato da una pregevole cancellata in ferro battuto opera del fabbro locale Adam Neyer che la realizzò nel 1707, su un lato rimane ferma in posa un'altra statua raffigurante il gigante Aimone nell'atto di stringere in mano la lingua strappata al drago che sconfisse in combattimento; le decorazioni davvero notevoli sono opera di Kaspar Waldmann che realizzò gli affreschi della navata tra il 1702 ed il 1707, e di Bernardo Pasquale che compose gli stucchi nel 1703. Oggi all'interno degli ambienti offerti dalla Stift Wilten dimorano ancora circa 30 monaci ed 11 prelati: l'Ordine dei Canonici Regolari Premostratensi venne fondato all'inizio del XII secolo da San Norberto, rampollo di un nobile casato renano passato giovanissimo alla vita monacale dopo essere stato folgorato da un fulmine mentre era intento a passeggiare in solitudine; divenuto in seguito canonico della collegiata della città di Xalten in Germania, diverrà vescovo di Magdeburgo e sarà canonizzato nel 1170.
Ma Wilten è in grado di offrire ancora di più: a far compagnia alla Stift Wilten, basta attraversare la strada per incontrare la Basilika Unserer Lieben Frau Unter den Vier Säulen, la Basilica di Nostra Signora sotto le Quattro Colonne (più semplicemente nota come Wiltener Basilika). Capolavoro della commistione di stili barocco e rococò austriaci, considerata una delle chiese barocche più belle della regione, fu costruita nel 1259 dai monaci premostratensi stabilitasi presso il vicino monastero, sul luogo in cui racconti popolari tramandano che fosse collocato in antichità un santuario mariano venerato dai legionari romani convertitisi al cristianesimo e dislocati presso l'antico castrum di Valdidena. Ed in effetti scavi archeologici pare che riportarono alla luce nel suolo sottostante alla chiesa i resti di un tempio paleocristiano risalente al V secolo d.C. La basilica conobbe un periodo di abbandono e degrado a cavallo tra il XVII secolo ed il XVIII secolo, e per tale motivo subì diverse ricostruzioni. L'ultima ristrutturazione risale al 1751, epoca nella quale il parroco Franz de Paula Penz, nato da un'umile famiglia di contadini ma capace di divenire nel tempo abile architetto autodidatta, condusse lavori di rinnovamento sulla struttura secondo i progetti di Joseph Stapf, risollevandola in tal modo dal profondo stato di degrado in cui era precipitata: fu questa l'opera di restauro apportata sulla basilica che le attribuì l'aspetto odierno. Le tenui tinte gialle e bianche delle facciate appaiono tanto discrete e delicate quanto appariscenti ed ardite erano apparse quelle della vicina Stift Wilten; le linee regolari e prevedibili si intrecciano armonicamente con quelle dei tralicci elettrici che scorrono poco più indietro e poco più in basso sopra i binari ferroviari; le due torri campanarie gemelle attorniano la facciata principale quasi a sostenerne la fievole bellezza. Elevata al rango di basilica minore da papa Pio XII nel 1957, in virtù del fatto che quella di Wilten costituisce la parrocchia più antica della regione oltre che la principale di Innsbruck, oggi la Wiltener Basilika è anche un'importantissima meta di pellegrinaggio mariano: all'interno, sull'altare maggiore della chiesa, riparata sotto un baldacchino sostenuto da quattro pilastri marmorei e sormontato da una grande corona, è custodita la statua del XV secolo raffigurante Nostra Signora delle Quattro Colonne, un'immagine della Vergine col Bambino che oltre a donare il nome al tempio è anche oggetto di grande venerazione in tutto il Tirolo.
Ma Wilten è in grado di offrire ancora di più: a far compagnia alla Stift Wilten, basta attraversare la strada per incontrare la Basilika Unserer Lieben Frau Unter den Vier Säulen, la Basilica di Nostra Signora sotto le Quattro Colonne (più semplicemente nota come Wiltener Basilika). Capolavoro della commistione di stili barocco e rococò austriaci, considerata una delle chiese barocche più belle della regione, fu costruita nel 1259 dai monaci premostratensi stabilitasi presso il vicino monastero, sul luogo in cui racconti popolari tramandano che fosse collocato in antichità un santuario mariano venerato dai legionari romani convertitisi al cristianesimo e dislocati presso l'antico castrum di Valdidena. Ed in effetti scavi archeologici pare che riportarono alla luce nel suolo sottostante alla chiesa i resti di un tempio paleocristiano risalente al V secolo d.C. La basilica conobbe un periodo di abbandono e degrado a cavallo tra il XVII secolo ed il XVIII secolo, e per tale motivo subì diverse ricostruzioni. L'ultima ristrutturazione risale al 1751, epoca nella quale il parroco Franz de Paula Penz, nato da un'umile famiglia di contadini ma capace di divenire nel tempo abile architetto autodidatta, condusse lavori di rinnovamento sulla struttura secondo i progetti di Joseph Stapf, risollevandola in tal modo dal profondo stato di degrado in cui era precipitata: fu questa l'opera di restauro apportata sulla basilica che le attribuì l'aspetto odierno. Le tenui tinte gialle e bianche delle facciate appaiono tanto discrete e delicate quanto appariscenti ed ardite erano apparse quelle della vicina Stift Wilten; le linee regolari e prevedibili si intrecciano armonicamente con quelle dei tralicci elettrici che scorrono poco più indietro e poco più in basso sopra i binari ferroviari; le due torri campanarie gemelle attorniano la facciata principale quasi a sostenerne la fievole bellezza. Elevata al rango di basilica minore da papa Pio XII nel 1957, in virtù del fatto che quella di Wilten costituisce la parrocchia più antica della regione oltre che la principale di Innsbruck, oggi la Wiltener Basilika è anche un'importantissima meta di pellegrinaggio mariano: all'interno, sull'altare maggiore della chiesa, riparata sotto un baldacchino sostenuto da quattro pilastri marmorei e sormontato da una grande corona, è custodita la statua del XV secolo raffigurante Nostra Signora delle Quattro Colonne, un'immagine della Vergine col Bambino che oltre a donare il nome al tempio è anche oggetto di grande venerazione in tutto il Tirolo.
Come in tutta Innsbruck, anche a Wilten la sacralità del Natale, così ben materializzata dai templi che dominano il quartiere, si miscela con la necessità terrena degli uomini di condividere in compagnia le ricorrenze importanti, e la magia del Natale sta forse proprio nel rendere secolare questo bisogno così transitorio. Rispettando tale canovaccio, anche il quartiere di Wilten non può non possedere il proprio mercatino natalizio: il Christkindlmarkt Wiltener Platzl detiene dimensioni minori rispetto a molti suoi simili presenti in città, si colloca sul fondo del quartiere, poco dietro la Stift Wilten, sopra un piccolo piazzale rialzato. Qui vengono esposti nelle usuali baracche di legno soprattutto prodotti dell'artigianato prettamente locale. Peccato non poterne godere, dal momento che lo troviamo chiuso: scopriamo difatti che i mercatini natalizi più periferici ad Innsbruck, quelli insomma posti al di fuori dei confini dell'Altstadt, sono aperti solo nelle ore pomeridiane e quello di Wilten in particolare la domenica rimane addirittura chiuso tutta la giornata. Peccato davvero, però per chi fosse assalito dalla fame nel freddo pungente che ricopre la città nei mesi invernali, proprio ai piedi del piazzale che ospita il Christkindlmarkt Wiltener Platzl si trova il posto giusto. La Bierstindl Kulturgasthaus è una taverna in grado di offrire piatti della cucina tipica tirolese, i migliori che abbiamo potuto trovare nel corso del nostro seppur breve viaggio ad Innsbruck: ambienti caldi e spaziosi, atmosfera tranquilla e familiare, personale cordiale e vestito nei tradizionali costumi tirolesi, piatti abbondanti e di ottima fattura, prezzi più che onesti, bambini ben accetti. Caldamente suggerito, decisamente! Abbandonare Wilten con la pancia piena dona un senso di soddisfazione già di per sé appagato dalla visita dello splendido patrimonio storico e culturale che il quartiere è in grado di regalare. Rinunciamo a ripercorrere la via di ritorno a piedi, il freddo non ci lascia scampo: saltiamo sul tram fermo in attesa della partenza al capolinea situato di fronte alla Stift Wilten, compiamo a ritroso il percorso già fatto all'andata passando davanti alla Glockengiesserei Grassmayr, storica fonderia avviata nel XVI secolo e autrice di numerose opere in città (tuttora in attività e sede anche di un museo dedicato alle campane), ed in pochi minuti siamo riproiettati all'interno del centro storico. Il resto del tragitto verso l'albergo lo percorriamo a piedi, ed ormai lo compiamo a memoria: siamo in città solo da poco più di due giorni, ma ad Innsbruck ci sentiamo già un po' a casa.
Il nostro tempo ad Innsbruck sta per scadere ed il giorno successivo il treno per il ritorno a Milano ci attende a mezzogiorno circa. Approfittiamo però della sveglia mattiniera, inevitabile con una bambina al seguito, per compiere un'ultima passeggiata per la città in attesa della partenza. Depositiamo gli zaini approfittando del servizio di armadietti a tempo offerto dalla stazione ferroviaria, davvero pratici e pure economici, di modo da non portarci appresso la zavorra del bagaglio e goderci gli ultimi attimi di viaggio in piena libertà. Ci dirigiamo verso il centro storico, attraversiamo l'Altstadt passando accanto al Tettuccio d'Oro, imbocchiamo la Hofgasse e raggiungiamo le rive del fiume Inn presso l'Innbrücke, attraversiamo il ponte e ci addentriamo nel quartiere Mariahilf-St. Nikolaus. Piegando verso destra attraversiamo il Waltherpark, piccolo spazio verde presidiato dalla statua di Walther von der Vogelweide, famoso poeta tedesco vissuto tra il XII ed il XIII secolo d.C., e sorpassiamo il Christkindlmarkt St. Nikolaus, il più piccolo dei mercatini natalizi presenti ad Innsbruck, costituito com'è da una manciata delle solite baracche di legno, eppure forse anche il più intimo e familiare, come scopriremmo se solo al momento del nostro passaggio fosse stato aperto, e invece al contrario il posto ci appare serrato e deserto, anche un po' malinconico, motivo per cui passiamo oltre senza soffermarci troppo.
Siamo diretti alla Pfarrkirche St. Nikolaus, chiesa un po' nascosta e marginale rispetto all'Altstadt, e purtuttavia davvero incantevole. La sua costruzione coincide grossomodo con la fondazione del centro storico di Innsbruck: venne infatti eretta verso la metà del XII secolo su commissione dei conti di Andechs, contestualmente alla creazione del mercato medievale sulle rive dell'Inn e del ponte per collegare le sponde del fiume. Fu intitolata a San Nicola, patrono dei navigatori, dal momento che in quell'epoca, nelle vicinanze presso le rive dell'Inn era collocato un piccolo attracco navale annesso all'attigua area mercantile. La struttura originaria del tempio subì nei secoli progressive modifiche, venendo via via ampliata e ristrutturata dapprima in stile gotico nel corso del XIV secolo, poi in stile neogotico sul finire del XIX secolo. Gli ultimi lavori di rinnovamento e restauro, quelli che conferirono alla chiesa l'aspetto attuale, furono condotti seguendo i progetti dell'architetto viennese Friedrich von Schmidt. Al termine della II Guerra Mondiale, a causa degli ingenti danni subiti dal Dom zu St. Jakob che richiesero prolungati lavori di riparazione rendendo pertanto il duomo inagibile per lungo periodo, la Pfarrkirche St. Nikolaus venne temporaneamente designata come principale luogo di culto cristiano della città. Questa chiesa giunge oggi a noi nel suo pieno splendore, davvero magnifica con la facciata dalle precise forme geometriche coperta alle spalle dalla pulita ed acuminata torre campanaria. L'interno a tre navate è un trionfo di vetrate variopinte che conferiscono una vivida luce a tutto l'ambiente, smorzando il carattere solenne del luogo ed elevando il prezioso altare in stile neogotico posto sul fondo della navata centrale. Visitare la Pfarrkirche St. Nikolaus è assistere a parte della storia di Innsbruck e godere di una porzione del suo patrimonio artistico, già di per sé ricchissimo, ma c'è qualcosa in più che questa piccola chiesa un po' nascosta è in grado di offrire e narrare: tale singolare attitudine è legata alla figura di San Nicola, vescovo della città di Myra (località antica collocata nei territori dell'odierna Turchia ma oggi scomparsa) vissuto a cavallo tra il III secolo d.C. ed il IV secolo d.C: di origini elleniche seppure il suo nome sia costantemente associato alla città italiana di Bari, di cui è patrono e presso la quale sono custodite le sue spoglie, si tramanda che egli fu strenuo oppositore dei movimenti eretici del suo tempo, soprattutto nei confronti dell'arianesimo, ed a tale riguardo una leggenda narra di come San Nicola in occasione di un dibattito con Ario, teologo berbero fondatore della dottrina eretica avversata dal santo, prese a schiaffi il proprio interlocutore in un impeto d'ira. Di lui si tramanda la prodigiosa capacità di mantenersi inginocchiato in posa di preghiera già in età neonatale, e forse anche per questo motivo oggi San Nicola è pure il santo protettore dei bambini. I racconti popolari che legittimano tale patrocinio sono molteplici: si narra ad esempio che San Nicola salvò tre bambine dai deplorevoli piani del malvagio genitore, il quale intendeva costringerle alla prostituzione spinto dall'impossibilità a maritarle decorosamente, data la mancanza di denaro, e così il santo per tre notti consecutive lanciò segretamente una sacca riempita con una sfera d'oro nella finestra dell'abitazione delle tre fanciulle salvandole dal crudele destino che le avrebbe attese (le tre sfere dorate accompagnano difatti molte delle raffigurazioni sacre con le quali il santo viene rappresentato); secondo un altro racconto, San Nicola resuscitò tre bambini che un malvagio macellaio aveva trucidato e messo sotto sale con il fine di venderne la carne insieme alle altre mercanzie esposte nella propria bottega. Proprio da questi racconti della tradizione popolare deriva anche quella di una conosciutissima figura del folclore pagano, la cui fama trascende le diverse culture ed i diversi continenti, prettamente collegata con il Natale seppure abbia poco a che vedere con il suo più profondo e più sacro significato di nascita e salvezza: lunga barba candida, portamento imponente e dalle rotonde forme rassicuranti, vestito rosso bordato di pelliccia bianca e cappello anch'esso rosso con nappa bianca pendente, chi non conosce Babbo Natale? Occorre precisare che teorie differenti fanno risalire la figura di Babbo Natale alla civiltà romana, e più precisamente identificandola con quella del dio Saturno, patrono degli agricoltori e protettore dei defunti, il quale veniva celebrato nelle festività saturnali, con l'avvento del solstizio d'inverno, tramite lo svolgimento di sontuosi banchetti (talvolta anche dai tratti promiscui ed orgiastici) in concomitanza dei quali gli invitati erano soliti scambiarsi doni ed indossare stravaganti travestimenti: con l'avvento del cristianesimo la figura del dio pagano Saturno venne progressivamente soppiantata da quella di San Nicola, rimase l'usanza dello scambio dei doni che fu via via applicata al Natale, mentre la consuetudine di travestirsi con scherzosi costumi venne assorbita dal Carnevale. Altre ipotesi ancora identificano Babbo Natale con la divinità germanica Odino, dio del tuono, il quale si narra che in vicinanza del solstizio invernale fosse solito partecipare ad una grande battuta di caccia insieme alle altre divinità nordiche ed allo spirito dei valorosi guerrieri umani caduti in battaglia: in tale periodo i bambini dei popoli del nord erano quindi soliti lasciare i propri stivali ripieni di paglia e carote ai piedi del focolare domestico, per offrire nutrimento a Sleipnir, il leggendario cavallo del dio Odino, ed in cambio la divinità avrebbe lasciato loro all'interno delle calzature dolciumi e regali. Ancora oggi la tradizione vuole che nei paesi dell'Europa settentrionale vengano lasciati la notte di natale alcune calze ripiene di paglia appese ai camini delle abitazioni, di modo da consentire a Babbo Natale, il quale in queste zone non giunge come noto guidando una slitta volante ma in sella ad una veloce cavalcatura, di riempirle di doni. Nell'Inghilterra del XVII secolo appare per la prima volta la figura che solo in seguito verrà battezzata Babbo Natale: tra le righe del "Canto di Natale" di Charles Dickens si cita la presenza di un personaggio chiamato con l'appellativo di Spirito del Natale Presente, impersonificazione della bontà e della gioia del Natale, barbuto e corpulento, completamente vestito di un costume verde con bordi di pelliccia. Decenni più tardi, negli anni '30 del XX secolo, a tramutare il colore degli indumenti di Babbo Natale da verde a rosso si crede sia stata la Coca-Cola, la quale in occasione del lancio della propria pubblicità natalizia utilizzò proprio la figura dell'anziano magico latore dei doni natalizi vestendolo con la stessa livrea vermiglia della propria celeberrima lattina. La realtà però è differente, dal momento che già circa un decennio prima fu la ditta americana di bibite analcoliche White Rock Beverages ad utilizzare Babbo Natale per pubblicizzare la vendita di acqua minerale e di ginger ale. Una buona parte del processo di trasformazione da San Nicola a Babbo Natale lo si deve infine anche allo scrittore e linguista americano Clarke Moore che nel 1823 all'interno della propria poesia "A Visit from Saint Nicholas" rappresenta San Nicola come un elfo panciuto con il viso contornato da una folta barba bianca e vestito di rosso, alla guida di una slitta trainata da renne per consegnare i regali trasportati all'interno di un grosso sacco. In realtà la convenzione che associa le renne a Babbo Natale proviene dalla cultura scandinava, presso la quale questo animale in antichità possedeva significato di sacralità, essendo associato alla grande dea madre dei popoli nordici di nome Isa (o Disa): nello specifico la renna veniva identificata come simbolo lunare, così come tutti i cervidi, e nelle credenze popolari le era assegnato il compito di accompagnare le anime dei defunti nell'aldilà, ma soprattutto era considerato animale notturno e per tale motivo fu associato alla figura di Babbo Natale, il cui compito, come risaputo, è quello di consegnare i doni natalizi la notte della vigilia del Natale. Tale forte collegamento con la cultura nordica giustifica anche la provenienza di Babbo Natale, seppure anche su questo aspetto non vi sia piena concordanza nelle differenti regioni del Mondo, e se negli USA la sua abitazione è collocata nell'Artide, in Europa la si stabilisce in Lapponia, mentre i canadesi sono più patriottici e la posizionano al nord dei propri territori nazionali. Nei Paesi Bassi a coadiuvare l'opera di Babbo Natale è il personaggio immaginario di Zwarte Piet (italianizzato in Pietro il Nero) uno schiavo moro che si racconta ai bambini disobbedienti giungere di notte per rapirli nel sonno al fine di portarli chiusi dentro un sacco presso la propria dimora posta nella regione dell'Andalusia, in Spagna, antica roccaforte della fede musulmana: da queste zone deriva anche il nome con cui è designato Babbo Natale nelle nazioni anglosassoni, Santa Claus, da Sinterklaas, appellativo olandese di San Nicola. Un racconto simile è diffuso anche nelle nazioni tedesche dove una funzione similare è attribuita ad un personaggio chiamato Belsnickel, volgarmente detto Nicola il Peloso, facendo qui riferimento invece alla repellente bruttezza della figura mitologica per intimorire i fanciulli più vivaci. Ed anche queste usanze sono ricollegabili alla figura di San Nicola: si tramanda infatti che il santo venne invocato in antichità per smascherare e scacciare un diavolo che si era nascosto in una banda di giovani che erano soliti travestirsi da bestie feroci nei periodi di carestia con il fine di terrorizzare e saccheggiare i villaggi; il demonio venne riconosciuto grazie alle proprie zampe a forma di zoccolo di capra e fu esorcizzato da San Nicola, da quel momento si racconta che fuggì per rifugiarsi nuovamente negli inferi, secondo altri invece si convertì mettendosi agli ordini del santo e raccogliendo intorno a sé una schiera di folletti per aiutarne e sostenerne l'opera pia. Realtà o finzione, per noi adulti è inutile chiedersi se Babbo Natale esista veramente oppure no, la risposta appare ovvia. Eppure esiste sempre qualcosa dentro di noi, prezioso retaggio della nostra infanzia, che ci spinge con il pensiero un poco più su, a fluttuare con l'immaginazione per cieli che conosciamo ormai bene, perché da anni li scrutiamo aspettandoci di vedere da un momento all'altro una slitta volante trainata da renne e guidata da un buffo personaggio di rosso vestito fendere l'aria lasciandosi dietro una scia luminosa di stelle. Forse sono pazzo, ma lasciatemelo pensare mentre varchiamo la soglia della Pfarrkirche St. Nikolaus, lasciatemi credere l'impossibile in conclusione di questo nostro viaggio ad Innsbruck, lasciatemelo fare mentre entriamo accompagnando la nostra piccola Amelia, minuto concentrato di genuina onnipotenza, all'interno di un luogo sacro che porta lo stesso nome di Babbo Natale custodendone il reale spirito immortale. Una melodia accennata si fa strada nei miei pensieri, reminiscenza di qualche passaggio radiofonico o delle solite canzoni trasmesse in sottofondo dagli esercizi commerciali durante il periodo natalizio, la voce elegante e piena di Frank Sinatra mi suggerisce qualcosa: Santa Claus è in città.