Vi racconterò un viaggio. Sì, ma non un viaggio compiuto a bordo di un treno o imbarcati su aeroplani. Un viaggio costruito nella fantasia. Attraverso foreste incantate e luoghi da fiaba. Percorrendo strette strade ondulanti su vasti altopiani verdeggianti. Là dove prati lucenti giungono in un timido contatto con quanto di più diverso dalla loro luminosa essenza, alti boschi di abeti scuri e capaci di custodire ombre che raccontano storie. Forse seguendo questo sentiero fantasioso si potrà incontrare qualche strega, di quelle che il naso adunco ha sempre un bitorzolo su un lato. Magari anche casette di marzapane o tane di lupi affamati di gentili nonnine occhialute. O forse questa non è immaginazione, non è fantasia. Il viaggio è reale. Il suono dei rintocchi di un orologio a cucù ci risveglia dal sogno ad occhi aperti e ci proietta in una nuova avventura....senza però cambiare scenari.
La Foresta Nera resterà sempre una delle nostre mete storiche, il cui ricordo rimarrà sicuramente indelebile anche a distanza di lungo tempo: è il primo viaggio che affrontiamo insieme alla piccola Lidia, poco meno di un anno di età ma già tutta la curiosità che solo i bambini sanno custodire. Decidiamo di compiere la traversata in automobile con partenza da Milano: i bagagli dei viaggiatori con bambini al seguito sono sempre incredibilmente voluminosi e ci serve spazio, comodità e libertà di manovra. Amelia, 5 anni di età, parla di questo viaggio ormai da mesi, impaziente di partire quasi come di arrivare al mattino la notte della vigilia di Natale. La trasferta si preannuncia abbastanza lunga e noiosa, il panorama offerto dalle autostrade non è mai particolarmente emozionante. Ma un prezioso cantastorie elettronico ed alcune matite colorate per dipingere il vetro del finestrino promettono di rendere l'attesa meno fastidiosa. Si parte la mattina, direzione confine svizzero, dogana e pedaggio annuale dovuto di circa 40€, e dopo poco più di 110km siamo già all'imbocco del Gotthard Strassentunnel, una galleria automobilistica di quasi 17km di lunghezza, inaugurata nel 1980 (epoca in cui divenne la galleria autostradale più lunga del Mondo, primato perduto solo nel 2000 a favore di un'autovia norvegese), che consente il superamento dell'omonimo passo alpino su una strada a carreggiata singola e doppio senso di marcia non separato da spartitraffico. Una sorta di salto nel buio, soprattutto se si pensa che all'uscita dalla galleria si para davanti ai nostri occhi uno spettacolo a dir poco apocalittico: in senso contrario, direzione Italia, decine di chilometri di automobili stipate in colonna, completamente ferme; i conducenti, privati della benchè minima speranza, usciti fuori dagli abitacoli ed appoggiati, braccia conserte, alle barriere autostradali; una fila interminabile di veicoli che mette disperazione solo ad incrociarla con la vista sfrecciando impietosamente lungo la carreggiata nella direzione opposta. Nei tratti di autostrada antecedenti gli imbocchi della Galleria Stradale del San Gottardo sono infatti collocati alcuni semafori con la funzione di amministrare il traffico in entrata ed evitare quindi la formazione di incolonnamenti pericolosi all'interno del tunnel: questo tratto di strada, secondo mia modesta opinione, va sempre evitato a favore di vie e percorsi alternativi, pena il possibile sequestro forzato per diverse ore, senza possibilità di fuga, sul nastro d'asfalto dell'autostrada svizzera A2. Superiamo questo punto e ci involiamo verso la Germania, non prima però di fermarci presso Zurigo dove avevamo pianificato la pausa per il pranzo: con le bambine al seguito, l'orologio fa tic-tac con incedere più perentorio, i ritmi e gli orari vanno rispettati sempre e comunque. Eleggiamo a nostro approdo il Villette-Park della piccola località svizzera di Cham, poco più di 16.000 abitanti, situata lungo le sponde dello Zugersee: quest'ultimo è un piccolo lago di 39km² di superficie e di appena 200m di profondità massima, situato nell'omonimo Canton Zugo. Il Villette-Park è un piacevole spazio ricreativo di ben 46.000m² di estensione, creato nel 1865 in stile inglese da Theodor Froebel dopo che i terreni furono proprietà fino al 1863 dell'editore tedesco Ernst Rohmer. Il luogo è fornito oggi di vaste superfici verdi, aree gioco per i bambini comprendenti un piccolo vascello pirata in legno, una villa storica eretta nel 1866 dall'architetto zurighese Leonhard Seugheer (oggi sede di eventi e ricevimenti), oltre che una piccola tavola calda con banchi all'aperto ed un percorso di minigolf attiguo. E' qui che consumiamo il nostro primo pasto in viaggio, a base ovviamente di Bratwurst. Ripartiamo dopo un ovvio giro d'obbligo al minigolf. Riprendiamo il viaggio in auto e ci concediamo una deviazione non voluta attraverso le vie del centro di Zurigo che non ci risparmiano un po' di traffico. Mancano ancora più di 150km alla destinazione, ma il confine svizzero-tedesco è vicino. La dogana ci appare ben più rilassata di quella che presidiava l'ingresso in Svizzera dall'Italia e la superiamo senza colpo ferire: siamo finalmente in Germania. Proseguiamo su strade tranquille ed il paesaggio si fa progressivamente più gradevole: il contesto comincia ad ondeggiare sul saliscendi di morbide colline e si arricchisce gradualmente di macchie di verde boschivo.
Abbiamo raggiunto finalmente la Foresta Nera, l'epicentro del nostro viaggio. In lingua tedesca la chiamano Schwarzwald e si definisce come un'area boschiva e montuosa estesa nella parte sudoccidentale della Germania: costituisce il più vasto massiccio montuoso del Mittelgebirge, ambiente composto da bassi rilievi che caratterizza l'Europa centrale, la Germania in particolare, e delimitato a sud dalle Alpi. Il paesaggio che configura tale ambiente è chiamato Hügelland, termine che non ha equivalente in lingua italiana ma che può essere concettualmente reso come un altopiano collinare con alture che non superano i 500m s.l.m. di altezza: in effetti, è precisamente questo il paesaggio che ci sembra di incontrare subito dopo aver oltrepassato il confine svizzero che a pieno titolo costituisce grossomodo anche il limite meridionale della Foresta Nera, la quale prosegue ad estendersi a nord per circa 160km all'incirca fino alla città di Stoccarda, mentre giunge a lambire ad ovest il confine franco-tedesco ed il fiume Reno. Ad est è invece il più modesto fiume Neckar a segnarne l'estremità. La superficie complessiva della Foresta Nera copre circa 13.500km². A conferire il romanzesco appellativo, quasi mistico, a questa regione tedesca sono gli abeti che storicamente ne popolano i boschi, caratterizzati da una chioma dal tipico colore verde scuro. Nonostante il sul ricco patrimonio arboreo, la Foresta Nera ha subito un progressivo impoverimento di aree boschive a partire dal XIX secolo, causato da una continua opera di disboscamento finalizzata a consegnare parte dei territori alla silvicoltura ed all'allevamento di animali. Solo in epoca più recente la tendenza è stata revertita attraverso un'attenta politica di ripopolamento e trapianto di monocolture di abeti per recuperare il terreno perduto. Nuovi pesanti colpi all'ambiente boschivo vennero inflitti alla Foresta Nera nel 1990 e nel 1999, quando sulla regione si abbatterono rispettivamente gli uragani Vivian seguito a pochi giorni dall'uragano Wiebe, e l'uragano Lothar: i primi due provocarono raffiche di vento fino a 270km/h, la perdita stimata di 75.000.000m² di legname arboreo oltre alla morte di 99 persone; il terzo abbattè nuove ed ampie porzioni di Foresta Nera aprendo nuove radure prive di vegetazione ed uccise complessivamente 137 persone. Nonostante tutto ciò, la magnificenza e la rigogliosità della Schwarzwald, nonostante forse lontana dalla selvaggia bellezza degli albori, appare ancora oggi uno spettacolo emozionante e stupefacente, conservando ancora il proprio fiero ed antico carattere tanto consistente da poterlo respirare a pieni polmoni attraversandone i territori. Carattere conferitole anche dalla antichissima storia che la caratterizza: l'area era abitata infatti già in epoca celtica ed in tale periodo era nota con l'appellativo di Abnoba Mons, nome che rimanda ad un'omonima divinità celtica; in epoca romana venne coniato invece il nome di Silva Marciana in riferimento all'antica vicinanza del popolo germanico dei marcomanni al limite della provincia romana della Gallia. Nel corso del III secolo d.C. furono gli alemanni ad occupare queste zone: in tale epoca i romani vi collocarono il limes germanicus, la linea di confine con i popoli barbari germanici. Confine piuttosto caldo, data la belligerosità degli alemanni, nati come un'alleanza eterogenea ed irrequieta di tribù come testimonia anche il nome che letteralmente si potrebbe tradurre con "tutti gli uomini". I romani non riuscirono mai a sottomettere questo indomito popolo, riportando anche inattese sconfitte come quella del 260d.C., quando gli alemanni penetrarono addirittura in Italia attraverso il Passo del Brennero. Solo nel VI secolo d.C. gli alemanni furono sconfitti, sebbene non dai romani bensì dai franchi, i quali occuparono poi i loro territori, compresa la Foresta Nera. E' a partire da tale epoca che inizia la colonizzazione più intensiva della Schwarzwald e la conseguente opera di disboscamento dovuta all'umanizzazione progressiva degli ambienti. Oggi la Foresta Nera è divenuta meta turistica, ma conserva ancora parte della propria autentica natura, soprattutto la sua porzione meridionale, la Südschwarzwald, che raggiunge da est ad ovest l'estensione maggiore (più di 60km) dell'intera regione incastrandosi sotto una linea di confine settentrionale tesa tra le città di Friburgo in Brisgovia e Donaueschingen, ospitando tra l'altro anche la cima montana più alta dell'intera regione, il monte Feldberg con i suoi 1.493m di altezza. E' questo il motivo per cui la Foresta Nera del Sud viene chiamata anche Hochschwarzwald, vale a dire Alta Foresta Nera. Più a nord, la Südschwarzwald prosegue senza apparente soluzione di continuità nella Mittlerer Schwarzwald, la Foresta Nera Centrale, compresa nei territori posizionati tra Friburgo in Brisgovia a sud ed il monte Kniebis a nord: con la Foresta Nera del Sud, questa porzione condivide gli stessi paesaggi e grossomodo gli stessi costumi, mantenendo lo stesso inestimabile valore. Infatti, nonostante una densità boschiva inferiore rispetto alla porzione più settentrionale, le parti meridionale e centrale custodiscono forse i luoghi più caratteristici e le tradizioni più distintive dell'intera regione, disseminati in innumerevoli piccoli centri abitati, poco più di minuscoli villaggi, intercalati qua e là come gemme preziose nello smeraldo verde delle foreste di abeti, le quali si estendono sul territorio come macchie di colore cadute accidentalmente dalla tavolozza di un pittore distratto, con punte e propaggini che intersecano ampi spazi pianeggianti coperti di prateria. Bastano queste poche righe di descrizione per rendere l'idea della ricchezza naturalistica, storica e paesaggistica detenuta dalla Foresta Nera, ed in particolare dalla Südschwarzwald e della Mittlerer Schwarzwald, le nostre destinazioni, con un patrimonio che siamo impazienti di incontrare: è qui che si può respirare la Foresta Nera più autentica...o così, per lo meno, abbiamo sentito dire noi. Ma niente è meglio che toccare con mano. Pertanto, eccoci qua, con la nostra automobile lanciata lungo le stradine che separano un centro abitato dall'altro di questa meravigliosa e stupefacente regione: spingiamo su i giri del motore dell'automobile, la strada dopo così tante ore di viaggio sembra non finire più. Ma il viaggio è solo all'inizio.
Ci troviamo nel land di Baden-Würrtemberg, regione posizionata all'estremità sudoccidentale della Germania, al confine con la Svizzera e la Francia, il quarto land tedesco in ordine di dimensioni. La sua estensione ingloba completamente la Foresta Nera del Sud, condividendo con essa i limiti occidentale e meridionale. Abitato probabilmente fin dall'epoca preistorica, questa regione era conosciuta in età romana con l'appellativo di Agri Decumantes, ma solo nel Medioevo conobbe un significativo sviluppo, in particolare a partire dal X secolo e sotto il vessillo del Sacro Romano Impero post-carolingio. Inizialmente riconosciuta come contea, dal 1495 ascese al rango di ducato su patrocinio di Eberhard I von Würrtemberg. Dal 1806 il territorio venne addirittura proclamato regno sotto influenza francese, dopo che la Francia napoleonica occupò la regione pilotando il matrimonio di Katharina Friederike von Würrtemberg con Girolamo Bonaparte, nipote di Napoleone. Nello stesso anno venne istituito, sempre su spinta francese, anche il Granducato di Baden sui territori governati dai von Zähringen: qui, dal 1818, si adottò per la prima volta in Germania un sistema di governo parlamentare regolato da una carta costituzionale. Il Regno di Würrtemberg ed il Granducato di Baden si estinsero con il termine della I Guerra Mondiale, a seguito dell'abdicazione di re Guglielmo II e del granduca Friedrich II von Baden. Infine, a seguito della II Guerra Mondiale, i territori delle due regioni verranno suddivisi tra le forze alleate statunitensi e francesi, per essere poi riunite in un'unica entità territoriale, il land di Baden-Würrtemberg, nel 1952. La destinazione finale di questa nostra prima giornata di viaggio è la piccola cittadina di Schönwald im Schwarzwald, piccolo centro abitato da circa 2.500 anime situato nel cuore del Baden-Würrtemberg a 1.000m s.l.m, che si raggiunge sbucando in una stretta vallata lungo la stradina che attraversa poco prima una corta macchia di abeti. Questa località ha veramente poco da offrire a livello architettonico: l'unico edificio degno di nota è la Pfarrkirche St. Antonius, situata in Dorfplatz. Menzionata per la prima volta in documenti storici del 1275, questa chiesa parrocchiale mostra nel suo aspetto odierno, frutto di lavori di ristrutturazione condotti nel 1864, le caratteristiche della hellenkirche, modello stilistico diffuso in area tedesca durante l'epoca romanica e successivamente gotica, contraddistinto da una facciata a capanna con culmine in due spioventi e da navate laterali di altezza grossomodo pari a quella della navata centrale. Da notare anche il bel campanile affilato che taglia in due metà la facciata della chiesa dominandone la forma. Ma soprattutto a Schönwald im Schwarzwald si trova l'Hotel zum Ochsen, un ottimo punto di partenza per visitare tutti i dintorni con calma e comodità: camere molto spaziose, personale gentile e disponibile, ristorante veramente buono, menzione speciale per la colazione davvero ben assemblata con prodotti freschi e di qualità, oltre che zero plastica. Una vera scoperta, vivamente consigliato! L'albergo si trova a poche centinaia di metri da Dorfplatz, proprio di fronte al Landschaftspark, un vasto parco cittadino che occupa la parte centrale dell'abitato. Qui con due bambine al seguito non ci siamo sentiti per nulla penalizzati, vero attestato di bravura per il personale dell'hotel e circostanza non proprio scontata. Unica piccola pecca: il menù delle pietanze servite a cena presso il ristorante è offerto solo in tedesco, senza traduzioni...meno male che esistono i traduttori online. A parte l'Hotel zum Ochsen che dubito, nonostante la sua caratura, che possa rendere celebre nel Mondo Schönwald im Schwarzwald, questa piccola e gradevole località è famosa in particolare per avere dato i natali a Franz Ketterer. Chi è costui, chiederete giustamente voi? Beh, Franz Ketterer è colui al quale, per convenzione, si attribuisce la paternità dell'orologio a cucù: fu sicuramente un grande innovatori nell'ambito di questa antica arte molto di tradizione tra i confini della Foresta Nera ed all'interno del proprio laboratorio situato in un fattoria (andata poi perduta in un incendio scatenato da un fulmine nel 1941) nei pressi dell'odierno centro abitato di Schönwald im Schwarzwald nel 1737 Ketterer avrebbe inventato il primo meccanismo capace di ricreare artificialmente il verso del cuculo. I primi prototipi di orologi a cucù elaborati da Ketterer erano ancora comunque lontani dall'immagine che ne abbiamo noi oggi, privi di tutti i decori e gli intagli che oggi caratterizzano questi oggetti. Tale innovazione segnò comunque un cambiamento epocale nell'arte della manifattura degli orologi a pendolo, ben più antica di Ketterer, di difficile datazione precisa e radicata già da tempo ingente tra i confini della Foresta Nera. Colui che è considerato l'inventore ufficiale degli orologi a cucù, Ketterer per l'appunto, passò a miglior vita nel 1749 ed oggi i suoi discendenti sono ancora attivi nel ramo degli orologi, seppure producano orologi metereologici. Ad ogni modo è a Schonwald im Schwarzwald che acquisteremo, a fine viaggio, il nostro orologio a cucù, scelto presso la bottega di August Schwer situata in Hauptstrasse.
Tali circostanze spiegano esaustivamente anche perchè Schönwald im Schwarzwald sia collocata lungo il percorso della Deutsche Uhrenstrasse, la Strada degli Orologi, un itinerario turistico istituito nel 1992 e lungo complessivamente 320km, pensato per collegare tra loro tutte le località più significative (in tutto una trentina di cittadine) per quanto concerne la produzione artigianale locale di orologi a cucù. Per comprendere l'importanza di tale oggetto per la Foresta Nera è sufficiente pensare a come nel 1840 erano attivi solo nella parte centrale di questa regione circa 1.000 laboratori di orologiai, i quali ogni anno producevano suppergiù 600.000 orologi in legno. Il primo prototipo di orologio a cucù immesso sul mercato su larga scala porta il nome di tale Friedrich Eisenlohr, originario di Lörrach (piccolo centro abitato tedesco al confine con la Svizzera), di professione architetto ferroviario, il quale nel 1850 ebbe la trovata di nascondere gli ingranaggi dietro un fronte intagliato nel legno con le fattezze della facciata di una stazione ferroviaria. Ancora oggi, il Bahnhäusle costituisce uno dei modelli di orologi a cucù più tradizionali e meglio riconosciuti al Mondo: la diffusione di questi prototipi conobbe il proprio apice tra il XVIII secolo ed il XX secolo, tanto che prima dell'avvento della I Guerra Mondiale, la Foresta Nera esportava nel Mondo circa il 60% degli esemplari globali di orologi a cucù. Oggi l'orologio a cucù costituisce una vera icona culturale per la Foresta Nera, nonostante il progresso tecnologico abbia condotto inevitabilmente ad una contrazione della produzione, e la Deutsche Uhrenstrasse ne è una testimonianza viva: non esiste località, grande o piccola che sia, lungo questo percorso che non conservi al proprio interno qualche attrazione o stranezza legate a questo emblematico oggetto, oltre agli immancabili negozi e laboratori di orologiai che ancora oggi tramandano nelle loro creazioni i segreti di un'arte antica e complessa.
Dopo una notte di buon sonno ed un ottimo risveglio sostenuto da un'eccellente colazione in hotel, ci rimettiamo in pista per la nostra prima giornata di visita. Ci dirigiamo verso Triberg im Schwarzwald, una delle località più rappresentative della Deutsche Uhrenstrasse oltre che di questa parte di Foresta Nera: nonostante i suoi appena 4.600 abitanti, è sorprendentemente una delle mete della zona più ricercate dal turismo. Questa cittadina si colloca a poco meno di 9km da Schönwald im Scwarzwald, distanza che copriamo percorrendo a ritroso, per una piccola porzione, la strada che il giorno avanti ci ha portato all'albergo, imboccando a sinistra una svolta che attraversa una corta porzione di foresta, sbucando su un luminoso ed aperto altopiano sospeso su una valle assolata, infine digradando gradualmente verso il centro abitato su una striscia di asfalto abbastanza ripida da farmi provare compassione per coloro che abitano gli edifici disposti ai lati della via. Arriviamo a bordo della nostra automobile in Luisenstrasse, dove troviamo un comodo parcheggio: di fronte a noi si para la sagoma della Kurhaus, l'edificio di moderna costruzione che ospita il centro termale della cittadina. Oltre questo, si apre lo spazio inondato dal Sole del Kurpark, un piazzale ordinato e distinto al centro del quale troneggiano alcune eleganti e massicce panchine in legno. Non fatichiamo a notare in un angolo del piazzale un piccolo parco giochi per bambini, ad accesso libero, fornito di scivolo, altalene, e soprattutto di una piccola pompa d'acqua con condotti e chiuse a sbocco sulla sabbia: ed è così che, ancora prima di iniziare la nostra visita, paghiamo subito dazio per la prima ora e mezza al divertimento delle bambine. A fatica riusciamo a riprendere il nostro giro: è sempre impresa ardua distogliere un bambino dal proprio gioco. D'altro canto, affrontare il viaggio con molta, moltissima calma, non può far altro che distendere le nostre menti, acuire la nostra attenzione ai luoghi ed ai loro dettagli, stimolare la nostra curiosità. All'estremità del Kurpark rivolta verso il centro cittadino, si posa pesantemente una collina fatta di terra e sterpi che ad una prima occhiata appare informe ed insignificante...anche ad una seconda occhiata in effetti. In realtà si tratta di una delle vestigia più antiche e nobili di Triberg: è la Burghügel, un basso sperone roccioso che ospita gli ultimi e scarsi resti del castello medievale che un tempo dominava questa località. E' solo percorrendo il breve sentiero che conduce sulla sommità della collina e superando le prime impietose apparenze che si scoprono sulla cima le Burgruine Triberg, le rovine delle mura del castello, ormai ridotte ad un cumulo di macerie, quasi interamente fagocitate dal terreno ad eccezione di alcuni tratti di cinta muraria lungo il perimetro della collina. Poco si conosce con certezza circa le circostanze ed il periodo storico preciso che videro la nascita di questa fortezza, quel che è certo è che intorno ad esso cominciò a formarsi nel corso del XV secolo l'agglomerato urbano che diventerà Triberg im Schwarzwald. La prima menzione ufficiale in un documento storico risale al 1239 e ad erigere il castello fu probabilmente Burkhard I von Triberg, esponente di un nobile casato locale discendente dai baroni von Hornberg, a loro volta legati da vincoli di parentela al baronato svevo dei von Ellerbach, i quali fino al XIV secolo detennero il controllo delle rotte commerciali dell'intera area stabilendosi poco a nord di Triberg. Il ramo nobiliare dei von Triberg, nato dal costato dei von Hornberg, risulterà già estinto nel 1325, a seguito dell'interruzione della linea maschile con la morte precoce di Johann von Triberg: a partire da questa data il castello di Triberg im Schwarzwald passò tra i possedimenti dei conti von Hohenberg, detentori di grande influenza politica nella Germania sudoccidentale di quell'epoca in virtù del loro stretto legame con gli Hohenzollern. Trenta anni più tardi, nel 1355, la fortezza di Triberg venne rilevata dal duca Alberto II d'Austria, passando in tal modo sotto il diretto controllo asburgico. Nel 1358, alla morte di Alberto II d'Austria, la cui salute non spicca certo per proverbiale vigore, circostanza ben comprensibile se si pensa che il suo soprannome era "Alberto lo Zoppo" per via di un'artrite che lo afflisse per la sua intera esistenza, l'insediamento di Triberg venne affidato dagli Asburgo a diversi vassalli: nel 1372 ai margravi di Baden, nel 1493 ai conti von Fürstenberg, poi nel XVI secolo all'avvocato friburghese Ulrich Zasius (al quale si deve la redazione delle prime leggi civiche cittadine di Friburgo in Brisgovia, seppure infarcite di concetti antisemiti eccessivi anche per l'epoca), infine al generale imperiale Lazarus von Schwendi. Nel 1489 il castello di Triberg venne distrutto da un incendio e successivamente ricostruito; venne nuovamente dato alle fiamme nel corso di rivolte contadine e riedificato nel 1525. Fu parzialmente distrutto di nuovo nel 1616 ed infine raso al suolo dall'esercito svedese il giorno di Natale del 1642, durante il decorso della Guerra dei Trent'Anni che vedeva contrapposte l'Austria protestante alla Francia cattolica. L'influenza asburgica su Triberg terminò nel 1797 sulla scia della Rivoluzione Francese e nel 1807 la cittadina passò sotto il governo del Granducato di Baden. Dopo secoli di abbandono, le Burgruine Triberg vennero riscoperte nel 1934 in occasione di lavori di scavo che riportarono alla luce un pilastro della fortezza e parte della cinta muraria. Oggi il sito, resistendo alla progressione della terra che tenta di riprendersi quello che il tempo ha dimenticato, conserva ancora e comunque, seppure invisibile agli occhi, ogni minuto di questa storia vecchia di secoli e farcita di eventi, oltre ad ospitare eventi di carattere culturale e sociale.
Lasciamo il Burghügel, accanto al quale scorre a breve distanza il Prisenbach (piccolo affluente del fiume Gutach), abbandoniamo il Kurpark, che insieme alle Burgruine Triberg compone il complesso chiamato Burggarten, ed imbocchiamo la stretta via pedonale Amthausweg: di lato a questa, proprio ai piedi del Burghügel, sorge la Amtshaus, una bella e vasta costruzione a graticcio eretta nel 1694 sulle rovine del vicino castello. La prima funzione di questo edificio fu quella di ospitare la sede del balivo austriaco, insieme ad una stalla e ad un fienile, ma nello stesso anno della costruzione andò distrutto in un incendio e subito ricostruito. Insieme a parte delle abitazioni circostanti fu protagonista di un nuovo incendio nel 1826, a seguito del quale venne riedificato, insieme alla parte andata distrutta del centro abitato, prelevando blocchi di pietra dalle limitrofe rovine del castello. Dal 1924 la Amtshaus ospitò prima la caserma della gendarmeria e poi gli uffici della Staatliche Forstamt Triberg, ente forestale locale. L'edificio venne rilevato dall'amministrazione cittadina nel 2012 e ristrutturato profondamente tra il 2015 ed il 2019.
Superiamo la Amtshaus e poco più avanti in discesa incontriamo la facciata della Pfarrkirche St. Clemens, il cui campanile era ben visibile a brevissima distanza anche dalla cima del Burghügel. E' questo il luogo principale di culto religioso della cittadina di Triberg: i tratti moderni della facciata e le linee squadrate fanno immaginare, anche senza saperlo con esattezza, che le origini del tempio sono moderne, ed infatti la chiesa fu consacrata nel 1958, sebbene sorga sulle rovine di una piccola e più antica cappella votata a San Biagio e San Quirino. Tale cappella, attigua al castello e la cui creazione risalirebbe al XII secolo, venne rasa al suolo da un incendio, insieme a parte dell'abitato circostante, nel 1489: per favorirne la ricostruzione venne addirittura emessa una bolla papale sottoscritta da papa Innocenzo VIII la quale concedeva indulgenza plenaria in cambio di donazione a favore della parrocchia di Triberg. La trovata ebbe successo e la cappella venne effettivamente rimessa in piedi, salvo poi 450 anni più tardi, nel 1826, subire ancora la devastazione del fuoco e quindi essere abbattuta definitivamente solo nel 1956 dopo decenni di abbandono. La nuova chiesa moderna eretta al posto della vetusta cappella fu intitolata a San Clemente Maria Hofbaurer, sacerdote di origine ceca vissuto a cavallo tra il XVIII secolo ed il XIX secolo, canonizzato da papa Pio X nel 1909 per la sua opera mendicante di aiuto ai poveri svolta tra le città di Varsavia e Vienna (della quale è anche patrono). Il legame di questo santo con Triberg è suggellato dal fatto che visse in questa cittadina per brevissimo periodo, tra il maggio ed il settembre del 1805. Ci concediamo un istante per visitare anche l'interno della Pfarrkirche St. Clemens, caratterizzato da vetrate alte e strette oltre che da un altare le cui sculture tengono fede al concetto di modernità.
Riguadagnamo Amthausweg e procediamo oltre: la via compie un'inversione di direzione e prosegue in discesa planando direttamente sulla Hauptstrasse, la via principale della cittadina. E' qui che si concentrano le principali attività commerciali di Triberg, tra negozi e ristoranti, traffico automobilistico e viavai di persone. Al centro di essa, a dominare è la sagoma della Rathaus, bell'edificio dai toni rosso e bianco ed in stile Weinbrenner. Sul lato opposto della via ed a breve distanza fanno sfoggia di sè, alquanto stranamente a dire il vero, alcune repliche di Moai in miniatura: ancora adesso mi chiedo il perchè dell'associazione con questo simbolo la cui distanza, fisica e concettuale, da qui è siderale.
Sempre in Haupstrasse, poco più in là, sorge la Haus der 1.000 Uhren, la Casa dei Mille Orologi, un negozio di orologi a cucù che espone centinaia di modelli diversi, dai più tradizionali ai più moderni, dai più semplici a quelli più costosi. Si tratta di una rivendita per turisti, lo ammetto, ed ho scoperto nei giorni successivi che esistono anche altri punti vendita dotati dello stesso nome e della stessa insegna anche altrove, ma un giro tra i corridoi per curiosare tra così tanti orologi ascoltando il suono mischiato di tanti e tanti ticchettii di lancette devo dire avermi incuriosito. Ho letto da alcune fonti, non so quanto attendibili, che questo negozio custodisca, o abbia custodito in passato, quello che pretende di essere l'orologio a cucù più costoso del Mondo: non ho avuto modo di verificare la notizia nemmeno visitando l'interno del negozio. Ad ogni modo, se proprio non si volesse entrare per evitare di mischiarsi ai vari turisti pascolanti, può comunque valere la pena avvicinarsi per ammirare la facciata, lungo la quale un curioso meccanismo a carillon mostra la figura gigante di un castoro nell'atto continuo di arrampicarsi su e giù lungo una fune. Ci fermiamo per il pranzo e questa volta la scelta non ci risulta felice: finiamo in una taverna senza arte nè parte dove consumiamo il nostro pasto. Ovviamente ci siamo attrezzati per la piccola Lidia con pastina cotta su un piccolo fornello elettrico nella camera d'albergo prima di partire e conservata in un thermos; Amelia invece mangerebbe ormai anche le gambe dei tavoli. Ancora una volta si conferma la legge universale secondo la quale essere indipendente con bambini piccoli al seguito è cosa buona e giusta.
Non ci tratteniamo troppo e ci rimettiamo subito in cammino. Ripercorriamo i nostri passi, risaliamo la Amthausweg, riattraversiamo il Kurpark (nuova sosta al parco giochi), abbandoniamo gli zaini non più necessari in auto e proseguiamo a piedi sulla Friedrichstrasse. A breve distanza incontriamo su un lato della via la Evangelische Trinitatis Kirche, eretta nel 1898, campanile appuntito e muri accesi. Di fronte ad essa un cartello ben visibile dalla carreggiata indica la direzione verso la nostra prossima destinazione.
Un breve percorso su strade urbane ci conduce al punto di accesso delle Triberger Wasserfälle, le Cascate di Triberg, sicuramente l'attrazione che più delle altre rende celebre questa cittadina non solo tra i confini nazionali ma anche a livello continentale: sono le quarte cascate più alte presenti su territorio tedesco, contando su ben 163m di altezza disposti su due livelli. Quello superiore risulta composto da tre salti e detiene 16m di altezza, quello inferiore invece si articola in ben sette salti e tocca i 92m di altezza complessiva, la parte rimanente si esaurisce in un tratto di torrente lungo 51m che collega i due livelli tra loro. A generare le cascate è il decorso del fiume Gutach, il quale dopo aver toccato Triberg si getta più a nord nelle acque del fiume Kinzig a termine di appena 29km di percorso: nonostante la sua corta estensione, il fiume Gutach disegna lungo il proprio sviluppo una meravigliosa valle che assume il suo stesso nome, la Gutachtal, circondata da boschi e dipinta di ombra. Il rapporto tra gli abitanti di Triberg e le cascate che sorgono appiccicate al centro abitato, fu da sempre molto stretto: il sito era già visitabile dagli inizi del XIX secolo, epoca in cui Theodor Huber iniziò a tracciare i primi sentieri. Siamo intorno all'anno 1805. Inoltre Triberg im Schwarzwald fu una delle prime località tedesche a dotarsi di illuminazione elettrica lungo vie e strade: ciò fu possibile a partire dal 1884 grazie all'energia idroelettrica tratta proprio dalle Cascate di Triberg, risorsa energetica che ancora oggi viene ricavata dal salto dell'acqua sulle cascate. Al punto di accesso delle Triberger Wasserfälle paghiamo il biglietto di ingresso del costo di 7,50€ (i bambini entrano gratuitamente) e ci addentriamo nel sito: usufruiamo di un piccolo sconto sul prezzo dei biglietti in virtù della Gästekatrte che possediamo e che abbiamo avuto direttamente dall'albergo in cui risiediamo, compresa nel prezzo del soggiorno. Da diritto ad alcuni sconti su attrazioni e visite in numerose località dei dintorni, vivamente suggerito informarsi e provvedere.
Messo piede nel complesso delle cascate si viene proiettati in un ambiente totalmente differente: si abbandonano le strade urbane ed i rumori della città e si entra, quasi per magia, in un contesto boschivo fitto, verde ed ombroso, dominato dal rumore delle cascate. I sentieri sono asfaltati e di comoda percorrenza: le distanza del resto non sono per nulla impegnative. A breve distanza dall'ingresso subito si incontrano le cascate, ben visibili da una terrazza sopraelevate che ne concede tutta la selvaggia bellezza. Le Triberger Wasserfälle sono oggi visitate da una media di circa mezzo milione di turisti ogni anno, circostanza che le rende le cascate più celebri di Germania, ma in occasione della nostra visita devo dire non essere particolarmente affollate. Senza bisogno di sgomitare, percorriamo la breve distanza che conduce ai piedi del livello inferiore, dove una passerella metallica conduce a brevissima distanza dalle cascate: il vapore acqueo generato dal salto nel vuoto dell'acqua accarezza la pelle e rinfresca dal calore pomeridiano. Procediamo oltre e risaliamo il sentiero fino ad incontrare anche il livello superiore che superiamo sopra un ponte di legno. La passeggiata si rivela davvero piacevole: Lidia dorme tranquilla nel suo marsupio, Amelia cammina contenta e senza fatica. Siamo sul limitare del Naturpark Südschwarzwald, di cui Triberg costituisce proprio il limite settentrionale: si tratta di uno dei sette parchi naturali presenti nel Baden-Württemberg, il secondo più vasto della Germania intera con ben 394.000 ettari di estensione su una superficie totale di 3.700km². Istituito nel 1999, qui viene ospitato un habitat naturale preziosissimo per varietà, basti citare lo Schwarzwälder Kaltblut, specie di cavalli a sangue freddo caratterizzati da crine bianco e manto scuro storicamente usati per i lavori di traino in virtù di una corporatura piccola ma possente (oggi purtroppo a rischio estinzione), e la specie di verme endemico Lumbricus Badensis che raggiunge fino a 60cm di lunghezza e che non abbiamo disgraziatamente il piacere di incontrare.
Il percorso oltre le Triberger Wasserfälle prosegue attraverso il bosco conducendo in breve tempo e senza difficoltà sul lato opposto del sito, dove ad attenderci è un'altra perla tra il ricco patrimonio di Triberg. Usciti dalla macchia di vegetazione incontriamo dapprima il Bergsee, piccolo lago glaciale largo appena 80m celebre per essere stato scenario negli anni '20 del XX secolo di gare nazionali ed internazionali di pattinaggio su ghiaccio. Superiamo anche il lago e digradiamo gradualmente dall'altopiano del Wasserfallberg, sul quale ci trovavamo a visitare le cascate, in Clemens-Maria-Hofbauer-Strasse. A breve distanza, lungo questa via si erge la Wallfahrtskirche Maria in der Tanne, il Santuario di Santa Maria dell'Abete, nota a livello continentale ed anche oltre come luogo di pellegrinaggio mariano. Questo tempio sembra quasi volersi nascondere alla vista dei passanti, rannicchiato su un lato della strada a concedere agli sguardi solo il fianco, non la facciata. Si tratta di una piccola chiesa di professione cattolica in stile barocco e a navata unica.
La vicenda di questo edificio è contornata da un alone di leggenda, tramandata di generazione in generazione ad alimentarne il culto: si narra che sul luogo dell'attuale santuario si trovasse in origine un abete con bassi rami pendenti, ad uno dei quali era costume locale appendere piccole immagini mariane come simbolo votivo. Accanto all'abete sgorgava una piccola fonte d'acqua. Fin qui nulla di straordinario, se non fosse che nel 1644 una bambina di nome Barbara Franz passò con i suoi sette anni di età davanti alla sorgente, accompagnata dalla madre Anna, e notando che una piccola immagine votiva era caduta dal ramo dell'abete la raccolse e la tenne con sè facendo con essa ritorno a casa. Pochi giorni più tardi la bambina contrasse una gravissima malattia che colpì i suoi occhi privandola rapidamente dell'uso della vista: non ci fu medicina capace di guarirla e quando tutto fu provato ai poveri genitori, disperati per la sorte della figlioletta, non restò che rivolgersi in preghiera all'altare domestico presso il quale era stata adagiata l'immagine mariana rinvenuta nel bosco. Le preghiere penetrarono il sonno della povera bambina ed una voce celestiale la consolò avvertendola che la malattia sarebbe completamente guarita qualora avesse provveduto a ricollocare l'immagine votiva sul ramo dell'abete presso il quale era stata tratta. I genitori fecero subito ritorno nel bosco, conducendo con sè anche la figlioletta ormai cieca, si raccolsero in preghiera presso il luogo indicato ed infine sciacquarono gli occhi della bambina con l'acqua della vicina sorgente. E fu così che il morbo fu sconfitto e Barbara Franz recuperò miracolosamente la vista. Le voci circolarono in fretta tra gli abitanti dei dintorni e l'abete miracoloso acquisì ben presto fama portentosa. Richiamato da cotanta celebrità, l'anno successivo un sarto locale di nome Friedrich Schwab si recò sul posto per bagnarsi con la prodigiosa acqua della sorgente allo scopo di curare una forma di lebbra di cui era afflitto: anche il suo corpo fu miracolosamente sanato ed in riconoscenza della guarigione ricevuta ricavò una nicchia nel tronco dell'abete e vi collocò una piccola statua mariana intagliata in un legno di tiglio. Il sito acquisì sempre maggiore notorietà negli anni a seguire, divenendo vera meta di pellegrinaggio locale, ma con il trascorrere del tempo il luogo conobbe un progressivo abbandono e venne dimenticato, tanto che la nicchia con la scultura mariana venne gradualmente ricoperta dalla vegetazione incolta che ricoprì la corteccia dell'abete, nascondendola completamente alla vista. Passarono gli anni e nel 1692 tre soldati tirolesi accampati nei pressi di Triberg, seduti intorno al bivacco, udirono giungere a loro attraverso l'oscurità della notte una canto angelico dell'origine del quale subito si misero alla ricerca. Guidati dalla voce celestiale giunsero all'abete miracoloso e, liberandone il tronco dalle sterpaglie, riscoprirono la nicchia abbandonata con la statua mariana all'interno. Ripristinarono la nicchia strappando le erbacce e posero sopra di essa una targa con la scritta "Sancta Maria, patrona militum, ora pro nobis". Tra i tre soldati tirolesi ve ne era uno, di nome Gabriel Maurer, il quale era gravemente ferito e solo a fatica aveva potuto seguire, sorretto da stampelle, i due compagni: fatto ritorno all'accampamento dopo la scoperta, Maurer si addormentò di un profondo sonno ristoratore ed al risveglio scoprì tutte le ferite risanate e le forze recuperate. La devozione che ne conseguì spinse Maurer a vivere per ben 35 anni, a partire dal 1697, all'interno di una casa a graticcio situata nei pressi del prodigioso abete. La vicenda dei tre soldati tirolesi riportò alla ribalta la fama miracolosa del luogo, dove venne presto eretta una piccola cappella votiva in pietra che però il vescovado della città di Costanza diede ordine di demolire, pena addirittura la scomunica. Sorprendentemente, sembra che per erigere tale prima cappella fu sradicato proprio l'abete protagonista dei miracoli. Solamente dal 1697 il pellegrinaggio mariano a Triberg venne ufficialmente approvato dalle autorità ecclesiastiche e la cappella votiva fu pertanto salva: a partire da tale data questa cittadina della Mittlerer Schwarzwald richiamò pellegrini da tutta la Germania e dall'Europa intera, e fu sicuramente anche grazie a queste circostanze che Triberg riuscì a conservare il credo cattolico durante il periodo della Riforma Protestante nel XVI secolo. Tale ingente afflusso di fedeli richiese ben presto un'organizzazione più efficiente: il primo curatore del percorso mariano della Madonna dell'Abete a Triberg fu Johann Baptist Degen, il quale mantenne l'incarico fino alla propria morte avvenuta nel 1730. L'opera di Degen fu fondamentale se pensiamo che si deve a lui la prima trascrizione letteraria dei miracoli avvenuti in questi luoghi. La prima chiesa venne eretta già a partire dal 1699, a sostituire la piccola cappella di pietra costruita negli anni precedenti: la posizione occupata dalla cappella fu presa dal coro e dalla sagrestia del nascente santuario. Gli altari laterali della chiesa saranno realizzati nel 1703, mentre l'altare principale verrà completato l'anno successivo: a condurre l'attuazione di queste opere fu Anton Joseph Schupp. La prima funziona si terrà all'interno della chiesa nel 1705, ma solo nel 1716 la Wallfahrtskirche Maria in der Tanne verrà ufficialmente consacrata da Konrad Ferdinand Geist von Wildegg, vescovo di Costanza. Nel 1717 il soffitto venne rivestito da una copertura in legno a disegni geometrici. Lavori di restauro coinvolsero la costruzione già nel 1865 e poi nel 1891 e nel 1911. Nel corso del 1945 la chiesa venne danneggiata dalle esplosioni della II Guerra Mondiale ed i danni non saranno riparati che nel 1953. Nuove ristrutturazioni vennero condotte nel 1983 e nel 1987; nel 2000 fi ridisegnato il coro e l'altare su progetto di Elmar Hillebrand, scultore originario di Colonia. L'organo attualmente conservato nella chiesa è invece opera del 1938 del friburghese Willy Dold. Tutta questa avvincente storia sembra essere gelosamente conservata dal Santuario di Santa Maria dell'Abete, che ad un primo sguardo ci mostra il fianco, come nel gesto di voler celare il proprio patrimonio storico dietro una braccio coricata sulla facciata.
Penetriamo all'interno dell'edificio, dove ammiriamo il bell'altare impreziosito da una statua della Madonna dell'Abete, opera del 1645 da attribuire probabilmente a Bartholomaeus Winterhalder, incastonata all'interno di una cornice dorata insieme ad un frammento di un tronco d'abete che si crede essere quello originario dei miracoli. L'immagine mariana è circondata dalle statue di Sant'Anna (madre di Santa Maria), Gesù Bambino, San Giuseppe, San Gioacchino (padre di Santa Maria), San Giuseppe Saverio (missionario gesuita spagnolo vissuto nel XVI secolo) e Sant'Antonio da Padova. Sull'arco del presbiterio, ad introdurre l'altare, non si può non notare un maestoso Crocifisso opera sempre di Anton Joseph Schupp. Il fonte battesimale presente all'interno del santuario venne collocato qui nel 1814 prelevato dalla vicina Pfarrkirche St. Clemens e fu probabilmente realizzato intorno al 1620: riporta sul fianco lo stemma araldico dei von Fürstenberg, nobile casato che governava all'epoca della sua creazione sui territori di Triberg, e sulla sommità riporta una scultura raffigurante San Giovanni Battista, opera di Joseph Kaltenbach risalente al XVIII secolo. La storia di questa chiesa merita sicuramente la curiosità che spinge a visitarne anche gli interni, nel tentativo (per me vano) di aguzzare la vista per scorgere nel fiume d'oro dell'altare, il frammento di tronco d'abete simbolo di tanti miracoli. Usciamo nuovamente all'esterno e continuiamo a percorrere Clemens-Maria-Hofbauer-Strasse: la circostanza che motiva il nome di questa via nei pressi del santuario risiede nel fatto che San Clemente Maria Hofbauer fu curato della Wallfahrtskirche Maria in der Tanne durante il suo brevissimo periodo di permanenza a Triberg. Dopo una breve parentesi di giochi presso un piccolo parchetto nei pressi del Bergsee, facciamo ritorno al punto di partenza arrivando, oltre il Santuario di Santa Maria dell'Abete, nuovamente in Hauptstrasse. Da qui ritorniamo alla nostra automobile e quindi rientriamo al nostro albergo. La prima giornata da girovaghi in Foresta Nera si è conclusa, senza certo deludere le nostre aspettative.
La mattina successiva partiamo con un itinerario ben preciso stabilito da Amelia: la curiosità ci spinge ad esplorare il sorprendente universo degli orologi a cucù. Ci mettiamo in auto e ripercorriamo nuovamente il percorso che il giorno precedente ci aveva condotto a Triberg im Schwarzwald. Superiamo questa cittadina e circa 2km oltre in direzione nordovest, seguendo la via, giungiamo al sito, già ben visibile a lato della carreggiata che stiamo percorrendo, in cui sorge l'Erste Weltgrösste Kuckucksuhr.
E' questo il primo orologio a cucù più grande del Mondo, incluso con questo titolo negli annali dei primati Guinness già nel 1984. A realizzarlo fu l'artigiano locale Josef Dold, il quale impiegò ben cinque anni per ultimarlo, dal 1977 al 1982. Le circostanza che videro nascere l'idea di un orologio a cucù di dimensioni ciclopiche stanno a metà tra favola e realtà: si narra infatti che Dold decise di costruire un prototipo così grande a seguito delle frequenti richieste di spiegazioni e chiarimenti che riceveva dagli avventori, i quali portavano nella sua bottega orologi a cucù guasti da riparare. Affinchè tutti potessero vedere di persona i meccanismi di funzionamento degli orologi, ed oso aggiungere per risparmiare fiato troppe volte evidentemente sprecato, l'artigiano costruì un orologio a cucù in scala 50:1, dotato di un meccanismo di movimento in legno largo 3,6m e lungo 3,1m, fornito di una ruota meccanica principale di diametro pari a 1,85m, il pendolo che ne consente il funzionamento raggiunge una lunghezza di 2,7m. Tale creazione, che non si sa bene se definire un oggetto (in fondo è un orologio) oppure un luogo, non è solo stato il primo orologio a cucù ad ottenere il primato come più grande del Mondo, ma è stato anche il primo orologio walk-in della storia. Ancora oggi è infatti possibile entrare letteralmente nell'orologio per ammirarne il complesso funzionamento. Non ci lasciamo di certo sfuggire un'occasione tanto curiosa quanto bizzarra. A bordo della nostra automobile, abbandoniamo la strada principale e ci addentriamo in un tranquillo quartiere abitato che sembra offrire veramente poco di notevole. Posteggiamo infine l'automobile in un piccolo parcheggio posto poco distante, a lato dell'ingresso del sito. Sembra quasi di entrare nel giardino di un'abitazione privata e percorso a piedi un breve vialetto di accesso ecco pararsi l'ingresso dell'Erste Weltgrösste Kuckucksuhr. La sensazione non cambia, di fronte a noi sembra innalzarsi una piccola casupola abitata da qualche simpatica vecchietta.
Appena superata la soglia però la musica cambia ed assume le note del ticchettio incessante degli ingranaggi di un orologio in movimento: sotto il tetto della casupola si nasconde un preciso, ordinato, intricato ed incantevole garbuglio di ruote dentate, contrappesi ed ingranaggi. Il loro colore è quello acceso e vivo del legno, e vivo appare anche il suo funzionamento, animato da una forza invisibile quasi soprannaturale. L'impressione è quella di essere una piccola formica che cammina curiosa tra i pertugi di un orologio. Senza successo provo a districarmi tra i vari meccanismi tentando di carpirne il segreto funzionamento, ma l'impresa supera le mie conoscenze e mi arrendo infine alla magia della meccanica. Non so come, ma l'orologio avanza nel tempo con passo misurato e costante, scandendone l'incedere. Per la prima volta mi rendo conto che osservare l'azione di un orologio a cucù è quasi un atto di fede: qualcosa lo muove anche se non lo si vede. Il costo per assistere a questo spettacolo è di appena 2€, che paghiamo alla silenziosa custode rintanata in un angolo appena oltre l'ingresso all'interno dell'orologio. Il prezzo del biglietto ci consente, oltre che ammirare in tutta libertà la struttura interna, anche di fuoriuscire all'esterno sullo spiazzo antistante la facciata dell'orologio a cucù. E' qui che esso assume il suo aspetto più formale: un enorme quadrante, due finestrelle ai lati decorate con fioriere, la figura scolpita di un boscaiolo che ritmicamente conficca l'accetta in un ceppo di legno accompagnando lo scandire dei minuti. Il tutto inquadrato nella struttura di una classica abitazione a graticcio: l'altezza dell'intera costruzione sfiora i 15m.
Siamo in orario perfetto per osservare il funzionamento del cucù, sta per scoccare la mezz'ora: al momento giusto un cuculo in legno di altezza pari a 0,8m esce da una piccola apertura posta sopra il quadrante; ad animarlo all'interno sono due mantici che gonfiandosi e sgonfiandosi producono i due suoni che compongono il canto riprodotto del cuculo. L'evento non dura che pochi istanti, tanto basta per soddisfare la curiosità di osservare il coronamento del trionfo di meccanica ammirato poc'anzi all'interno dell'orologio. Una visita semplice e breve ma soddisfacente, soprattutto per la curiosità implacabile dei bambini: consigliata! Soprattutto se si aggiunge che di fronte all'orologio, sopra un prato assolato, sono posizionati alcuni giochi di equilibrio in legno, tra cui una grande altalena saliscendi. Prima di abbandonare questo luogo c'è solo un'altra precisazione da fare: perchè a questa attrazione è attribuito il sostantivo erste, che in tedesco lo qualifica come primo orologio a cucù più grande del Mondo? La risposta è a pochi chilometri di distanza.
Ritornando verso Triberg im Schwarzwald e proseguendo poi verso nordest sulla B33, in poco più di 5 minuti si raggiunge il Weltgrösste Kuckucksuhr, l'attuale orologio a cucù più grande del Mondo. Realizzato in scala 60:1 e fornito di un meccanismo di movimento del peso di 6t, lungo 4,5m e largo 4m, questo gigante degli orologi supera in altezza complessiva (15,3m) di ben 80cm il suo predecessore, caratteristica che gli vale il primato di re degli orologi a cucù fin dal 1997. E' dotato di una ruota meccanica di diametro pari a 2,6m e animato da un pendolo alto ben 8m. A realizzarlo furono gli artigiani locali Ewald Eble e Ralf Eble. Nonostante le sue maestose dimensioni, il confronto con l'Erste Weltgrösste Kuckucksuhr non regge sul piano dell'ambientazione: il contesto è molto più freddo e anonimo, direttamente lungo il bordo della strada e sul fondo dell'Eble Uhrenpark, un negozio di orologi a cucù per turisti. Unica nota positiva è il fatto che per visitarlo non serve pagare un ingresso, la vista è libera ed accessibile a tutti i passanti, sebbene per azionare il cucù serva inserire qualche monetina nell'apposita apertura posta alla base dell'orologio. Una visita che non ruba più di qualche istante e per la quale non ci siamo nemmeno sentiti in dovere di svegliare la piccola Lidia che dormiva pacifica nel suo seggiolino sull'auto: se volete ammirare in zona un orologio a cucù di dimensioni fuori dal comune, dirigetevi sicuramente verso l'Erste Weltgrösste Kuckucksuhr. Dopo aver dedicato la mattinata agli orologi formato gulliveriano, ci muoviamo in cerca di un buon luogo dove consumare il pranzo. Decidiamo di prendere la strada più lunga senza passare nuovamente da Triberg im Schwarzwald: questo percorso ci consente di ammirare nuovi e bellissimi paesaggi sulla Foresta Nera e di lasciar dormire Lidia ancora per un poco.
In poche decine di minuti raggiungiamo Schonach im Schwarzwald, cittadina di poco meno di 4.000 abitanti, celebre in zona come una delle principali mete per la pratica degli sport invernali, in particolare sci di fondo e salto con gli sci. Sul luogo in cui sorge questa piccola località si pensa sorgesse un minuscolo agglomerato di masi già all'inizio del XII secolo, sebbene la prima menzione di un luogo con questo nome risalga a documenti storici del 1275. Il primitivo villaggio riuscì ad espandersi sul finire del XIII secolo a seguito dell'opera di disboscamento e bonifica condotta sull'area soprattutto da congregazioni religiose di monasteri vicini. Nel corso della propria successiva storia, Schonach im Schwarzwald fu sempre sottoposta al controllo della vicina Triberg, condividendone le stesse vicende storiche, gli stessi passaggi di potere e conservando anch'essa il credo cattolico in epoca di Riforma Protestante. Tra i suoi confini si posiziona, poco fuori dal centro abitato, l'Erste Weltgrösste Kuckucksuhr che abbiamo visitato poc'anzi, circostanza che la colloca anche lungo il tragitto delle Deutsche Uhrenstrasse. Ora invece siamo diretto al nucleo della cittadina, in cerca soprattutto di un buon pranzo da consumare: dopo le visite della mattinata, i nostri stomaci cominciano a brontolare, quelli delle bambine ad organizzare un vero comizio sindacale. Abbandoniamo l'automobile e subito la situazione ci appare strana: strade deserte, come non si vede nemmeno a Ferragosto in città, negozi e ristoranti chiusi in stile scenario apocalittico da invasione dei morti viventi, silenzio surreale di quelli spettrali che ti aspetti che vengano interrotti da un omento all'altro dall'urlo di un'innocente fanciulla in pericolo. Non ci lasciamo scoraggiare e proseguiamo, siamo speranzosi. Abbiamo parcheggiato l'auto proprio di fronte al Kurgarten, il cuore verde di Schonach: quest'area ricreativa è frutto di un lavoro di riprogettazione urbanistica condotto recentemente nel 2019 e ci accoglie con i riflessi luminosi rispecchiati dal Sole dal Kurgartenweiher, piccolo laghetto di appena 3.220m² di superficie complessiva. Accanto a questo si stende un secondo piccolo stagno, il Mühlenweiher, profondo appena 3m nel suo punto di maggiore altezza. I due laghi sono alimentati da tre torrenti: uno di essi prende lo stesso nome della cittadina, Schonach, il secondo è l'Obertalbach che proviene da nordovest, il terzo è il Turntalbach e giunge da sudovest. In questo stretto rapporto tra Schonach im Schwarzwald e l'acqua risiede anche l'origine del nome del luogo: dal tedesco arcaico si potrebbe tradurre con "acqua che scorre luminosa". Così era alle origini, così appare ancora oggi.
Questi due piccoli laghi costituiscono il centro vitale del Kurgarten, ed intorno ad essi si sviluppano brevi percorsi per passeggiare, oltre ad un minigolf da 18 buche, un'area ristoro che fa capo al nome di Brigit's Bistrot e soprattutto un bel parco giochi per i bambini. L'area appare davvero ben tenuta: spazi puliti ed in ordine, materiali ben conservati. L'area ludica è davvero bella, realizzata interamente sulla sabbia e dotata di scivoli, giochi di equilibrio, una pompa d'acqua con lunghi condotti, canali e chiuse, ma soprattutto (udite, udite!) delle zattere giocattolo sulle quali i bambini possono attraversare il laghetto seguendo la guida di una fune. Tutto rigorosamente in materiali ecologici, legno e metallo, zero plastica. Ad Amelia si sono illuminati gli occhi appena ha scorto questa meravigliosa area giochi. Ci fermiamo ovviamente per qualche istante a testare i vari elementi del parco, mentre la piccola Lidia consuma il proprio pasto al tiepido Sole che qui non trova occasioni di contesa con l'ombra. Scopriamo purtroppo che al Brigitt's Bistrot non servono piatti caldi, solo gelati e caffetteria. E qui la situazione si complica. Cominciamo il nostro pellegrinaggio attraverso il deserto delle vie intorno al Kurpark, continuando a chiederci perchè siano così vuote e spopolate. Scopriremo solo a posteriori che il 19 maggio cade la festività religiosa a copertura nazionale del Christi Himmelfahrt (Ascensione di Cristo). Fatichiamo così a trovare un posto dove consumare il nostro pasto.
Arriviamo in Hauptstrasse dove incontriamo l'edificio moderno della Rathaus, e dietro di essa i profili della Narrenbrunnen der Geissenmeckerer Zunft Schonach: è questa una fontana che narra una delle vicende più caratteristiche di questa piccola cittadina. Nel 1935 un piccolo gruppo di persone decisamente fuori dal comune si riunì proprio a Shonach per fondare la Narrenzunft Schonach, un'associazione culturale e folkloristica che ancora oggi si occupa di organizzare eventi e manifestazioni tradizionali in occasione della festività del Carnevale. Ed infatti fu proprio questa associazione, traducendo dal tedesco letteralmente una gilda di sciocchi, ad inventare nel 1953 una maschera carnevalesca, il Geissenmeckerer, un caprone umanizzato e dotato di corna ricurve, denti sporgenti, naso rubicondo, vestito con una collana di campanacci, un mantello nero sulle spalle ed un bastone sormontato da una coda di volpe nella mano. Intorno a questa figura venne anche allestito un racconto mitologico: si narra che, in una fredda mattina d'inverno, un cacciatore stava camminando attraverso un bosco innevato con il proprio fucile a tracolla. Ad un certo punto, nel fuoriuscire da un groviglio di cespugli, l'uomo incontrò la strana figura del Geissenmeckerer. Appena la bestia vide il cacciatore gli rivolse la parola dicendo: "Ehi, chi sei? E che cosa è quell'attrezzo lungo che porti sulla spalla?". L'uomo rispose: "Sono un vagabondo e questa è la mia pipa che uso per fumare il tabacco. Vuoi provarla?". Il caprone accettò e si infilò subito la canna del fucile nella bocca. Subito il cacciatore premette il grilletto. Quando il fumo dello sparo si dissipò, il Geissenmeckerer sputò le pallottole e, prima di fuggire ridendo tra i cespugli, disse belando: "Questa è roba forte!". Tale leggenda, che dà vita alla maschera del Geissenmeckerer, ha contribuito nei decenni a rendere il Carnevale di Schonach im Schwarzwald uno dei più peculiari della zona, nonostante le piccola dimensioni della località. Ed eccoci proprio di fronte alla fontana dedicata alla bestia carnevalesca, la cui figura tradotta in statua ci osserva dall'alto di un piedistallo. Da qui il passo è breve per arrivare alla Schwarzwaldgasthof Schwanen, una locanda storica posizionata a brevissima distanza dal municipio, sempre sulla Hauptstrasse: è questo il luogo della nascita della Narrenzunft Schonach e quindi anche del Geissenmeckerer. La nostra intenzione è quella di consumare qui il pranzo, ma ovviamente la troviamo chiusa. E se devo essere sincero non è che ne sia molto dispiaciuto: non saprei dire dall'interno, ma da fuori il locale appare a dir poco fatiscente. Giudizio comunque sospeso per non aver potuto provarne la cucina, ma qualche dubbio mi sorge. Ad ogni modo, la costruzione dell'edificio risale al 1752, e questo lo rende la locanda più antica di Schonach, da sempre condotta dalla famiglia Haberstroh ed in origine utilissima per i carrettieri di passaggio che qui trovavano riparo, ristoro ed una stalla per le cavalcature. Oggi la facciata della locanda è rubata da un brutto negozio e l'atmosfera, complice le strade deserte, è davvero sinistra.
Di fronte alla locanda sorge invece la Pfarrkirche St. Urban, la chiesa locale, costruita tra il 1912 ed il 1914 sul luogo in cui sorgeva già un tempio probabilmente dal 1100: la piccola cappella originaria venne sostituita da una più capiente chiesa in stile gotico nel 1542, dopo che fino al 1513 i fedeli di Schonach erano costretti a recarsi presso la vicina Triberg per assistere alle funzioni religiose. Della costruzione gotica sopravvive oggi solo la torre, dal momento che nel 1748 fu demolita la navata per consentire la realizzazione di uno spazio più grande. L'attuale edificio, progettato da Raimund Jeblinger, possiede una lunghezza complessiva di 54m ed un aspetto di stile barocco. La consacrazione avverrà solo nel 1922 alla presenza del vescovo di Friburgo in Brisgovia Karl Fritz. Lavori di restauro furono operati sulla chiesa nel 1989 e nel 1997: in occasione di questi ultimi venne ristrutturata la torre campanaria, alta oggi ben 54m ed ospitante sei campane, tutte realizzate nel 1950 tranne una, chiamata Marienglocke, risalente al 1501. Non entriamo all'interno della Pfarrkirche St. Urban: l'edificio è in parte ingabbiato all'interno di alte impalcature edilizie che evidentemente ne fanno oggetto di restauro. Concludiamo questa giornata con un misero ma insperato panino trovato presso l'unica tavola calda aperta della cittadina e facciamo ritorno al nostro albergo. Una giornata non proprio brillantissima, ma comunque capace di offrirci spunti interessanti.
Terzo giorno nella Foresta Nera. Abbiamo voglia di riscatto dopo il giorno precedente poco frizzante. A seguito dall'aver apprezzato un assaggio dei piccoli centri abitati che caratterizzano questa regione, decidiamo di approcciare la città. Ad attenderci è Friburgo in Brisgovia, uno dei centri abitati più importanti della Foresta Nera, la capitale della Südschwarzwald, la città più meridionale della Germania. Con circa 230.000 abitanti, è questo il quarto abitato più popoloso del land di Baden-Würrtemberg. Situata ad appena 15km dal confine franco-tedesco, è il capoluogo della Brisgovia, regione storico-geografica estesa per circa 400km² tra il Reno e la Foresta Nera: rinomata per la sua produzione vinicola, caratteristica che detiene grazie ad uno degli ambienti climatici più caldi di tutta la Germania, tale territorio fu abitato dagli Alemanni nel corso del V secolo, epoca da cui deriverebbe anche il nome che mantiene tutt'oggi. Nel corso dell'XI secolo divenne una contea sottomessa agli Hohenstaufen, duchi di Svevia, e successivamente passò tra i possedimenti degli Zähringen. Nel 1218 la Brisgovia venne suddivida tra i casati dei von Zähringen, e quelli delle sue due discendenze minori, vale a dire i von Urach ed i von Kyburg. Nel 1340, gran parte della regione venne rilevata dagli Asburgo, i quali la mantennero fino al 1805, salvo una breve parentesi tra il 1469 ed il 1474 in cui la Brisgovia fu assegnata a Carlo I duca di Borgogna. Dopo gli Asburgo passerà infine al Granducato di Baden fino al 1918. Tornando alla meta di questa nostra giornata di viaggio, visitare Friburgo per chi giunge in automobile non è del tutto agevole: già prima di lasciare il nostro albergo scopriamo infatti che in città è consentita la circolazione solo ai veicoli a motore che espongono sul cruscotto l'Umweltplakette, un contrassegno di colore verde con il numero 4 stampato sul centro, una sorta di bollino ambientale che contraddistingue gli autoveicoli a basse emissioni di carbonio. Se non si dispone di questo contrassegno, non è consentita la circolazione del veicolo nell'intera area della città. Ovviamente noi non disponiamo di questa certificazione. Ed è per questo che dopo poco meno di un'ora di viaggio, parcheggiamo l'auto in Kapplerstrasse, a circa 6 km di distanza dal centro storico. Percorriamo a piedi il chilometro che separa il parcheggio dalla Lassberstrasse. Da qui un tram ci conduce nel centro storico di Friburgo: fortunatamente la nostra Gästekatrte ci consente anche di viaggiare gratuitamente sui mezzi pubblici. Il nostro approdo è il Gerberau, una delle strade più caratteristiche della città. Un tempo collocato ai piedi delle mura difensive della cittadella medievale, oggi questa via costituisce il cuore del quartiere chiamato Schneckenvorstadt, traducibile in Quartiere delle Lumache. In questo sobborgo erano anticamente, in epoca medievale, collocate la maggior parte delle botteghe artigiane, la cui vicinanza alle mura, e quindi al limite del centro abitato, era giustificato dalla necessità di tenere confinati ai margini dell'abitato gli odori e le esalazioni emesse durante le fasi di produzione delle merci. E da tale circostanza deriverebbe anche il nome attribuito al quartiere, tratto forse da quello di una rinomata locanda che un tempo animava queste vie ed il cui nome doveva essere per l'appunto Zum Schnecken, oppure più probabilmente dalle numerose scale a chiocciola che caratterizzavano le facciate degli edifici. Infatti, una delle attività più diffuse era la concia delle pelli e non era raro che i conciatori usassero stendere le pelli ad essiccare al Sole lungo i tetti delle proprie botteghe: lo stesso nome Gerberau si potrebbe tradurre dal tedesco come "quartiere dei conciatori". Tale attività produttiva risultava essere qui tanto fiorente grazie all'abbondante risorsa idrica ed alla forza tradotta da piccoli mulini collocati sul Gewerbekanal, uno stretto rivolo fluviale, lungo complessivamente appena 5km, che attraversa ancora oggi il quartiere originando dal più grande fiume Dreisam poco più ad est. Parallela al Gerberau, appena più a sud, è la Fischerau, una breve stradina lunga appena 200m, anch'essa affacciata sul Gewerbekanal, un tempo quartier generale dei pescivendoli: dal momento che l'acqua utilizzata dai conciatori veniva contaminata dai prodotti utilizzati nella concia delle pelli, i venditori di pesce attingevano alla risorsa a monte rispetto al senso di scorrimento delle acque, avendo pertanto cura di disporre le proprie botteghe prima di quelle dei conciatori verso l'origine del canale. Ancora più breve è la via Insel, un centinaio di metri appena, posizionata sempre a sud del Gerberau ma più ad est rispetto al Fischerau: questa strada ospita tra gli altri anche l'Ölmühle, un edificio la cui costruzione risale al 1850, oggi occupato da una poco storica oreficeria. In realtà, a discapito del nome che indica nella costruzione l'uso adibito a frantoio, esso non svolse mai tale funzione, ma un commerciante di olio deteneva anticamente una rivendita nell'edificio attiguo all'Ölmühle, utilizzando la parete esterna di quest'ultimo come spazio pubblicitario per l'affissione di manifesti per la commercializzazione della propria merce.
L'insieme di queste piccole e strette vie, legate indissolubilmente allo scorrere del Gewerbekanal, compone una porzione di Friburgo sopravvissuta al trascorrere dei secoli, soprattutto al periodo della II Guerra Mondiale che segnò profondamente il vissuto della città, mantenendo la propria autenticità ed un'identità fedele alle origine. Ed è per questo, oltre che per la simbiosi tra tessuto urbano ed acqua, che lo Schneckenvorstadt è chiamata affettuosamente dagli abitanti della città Klein Venedig, la Piccola Venezia...ad essere onesti, e per non togliere proprio nulla alla Venezia originale, credo solo dagli abitanti della città. Ad est il Quartiere delle Lumache è delimitato dalla Schwabentor, uno degli antichi portali di accesso alla città, eretta nel 1250.
Questa torre è protagonista di un racconto del folklore locale: si narra che in antichità un mercante di sale di origini sveve si recò a Friburgo con il proprio carretto carico di due botti ricolme di monete d'oro, con il folle intento di acquistare la città. Ma arrivato a destinazione, al momento di avanzare la propria offerta, venne deriso dagli astanti nello scoprire, aprendo le botti, che erano ricolme solo di sabbia. Era stata la scaltra e parsimoniosa moglie a sostituire l'oro prima della sua partenza. Da qui il nome attribuito alla torre, che letteralmente si traduce come "torre dello svevo". Tale scena è riportata oggi lungo la facciata della Schwabentor in un dipinto realizzato da Matthias Schwäri nel 1572. Per il resto, la torre mantenne la sua struttura originaria fino al 1901, epoca in cui venne innalzata di ben 39m, rispetto ai 26m originari, su proposta dell'allora sindaco Otto Winterer e su progetto di Carl Schäfer. Nel 1903 venne aggiunto lungo una delle facciate un dipinto raffigurante San Giorgio, patrono della città, opera di Franz Geiges. Il tetto a gradoni posizionato sulla struttura a seguito dell'innalzamento del 1901 venne sostituito nel 1954 dall'attuale tetto a tenda, simile a quello originario, sormontato da una torretta a campana con cupola a cipolla. E' proprio nei pressi della Schwabentor che veniamo depositati dal tram che ci ha condotti nel centro cittadino: spinti da curiosità ci spingiamo più vicino ad ammirarne la struttura, impreziosita dai begli orologi ai culmini delle facciate. Cerchiamo anche di aguzzare la vista per scorgere, sulla chiave di volta dell'arcata interna, il rilievo raffigurante il soggetto del Ragazzo con la Spina, un giovane nell'atto di estrarre un aculeo dalla pianta del piede, monito cristiano per ogni passante a ricordare l'acume inesorabile delle proprie questioni insolute: devo ammettere che per le dimensioni della figura e per l'usura dei suoi tratti, non è stato per nulla facile trovarlo. La Schwabentor fa il paio con la Martinstor, situata più ad ovest a definire il limite occidentale dello Schneckenvorstadt, altra antica breccia di accesso attraverso la cinta muraria medievale. La costruzione di questa torre risale al 1202 ma rispetto alle origini la struttura subì ritocchi e modifiche, fino ad assumere la forma slanciata e ricercata che possiede oggi: tale lavoro di ristrutturazione avvenne in particolare a partire dal XIX secolo, epoca in cui l'altezza complessiva fu innalzata da 22m a 63m. A sponsorizzare tale opera fu il sindaco della città, sempre Otto Winterer, che svolse un ruolo cruciale per il destino di questo monumento dopo averlo ricoperto anche per la Schwabentor: era quello un tempo in cui la cittadinanza di Friburgo richiedeva a gran voce la demolizione della Martinstor motivata da nuove esigenze di traffico urbano legate alla crescente circolazione di veicoli a motore e soprattutto di moderni ed innovativi tram, una vera rivoluzione tecnica per l'epoca. Serviva pertanto più spazio. Winterer si oppose fermamente all'abbattimento di questo pezzo di storia cittadina: diede mandato sempre a Carl Schäfer di condurre i progetti di restauro, tra i quali, oltre allo sviluppo in altezza, si annovera anche la posa di un nuovo tetto decorato con elementi stilistici tradizionali tipici del XV secolo. Alla base, fu previsto un allargamento del passaggio per consentire anche il transito di tram, con buona pace dei cittadini friburghesi. Fino all'epoca di tali lavori, la struttura della torre era rimasta grossomodo invariata rispetto alle origini. La preservazione della Martinstor assume ancora più valore se si pensa che dell'antica cinta muraria medievale che racchiudeva il centro storico di Friburgo, oggi non rimane pressochè nulla, dopo che venne demolita dalla truppe francesi in ritirata nel 1745. E' curioso notare che furono gli stessi francesi ad innalzare le mura difensive, fu re Luigi XIV a dare mandato a Sebastien le Preste de Vauban di costruirle: l'intento era quello di realizzare una cittadella fortificata in vicinanza con il confine (Friburgo dista appena 40km dal limite franco-tedesco). Siamo nel XVII secolo, epoca in cui si svolse la Guerra dei Trent'Anni e l'area conobbe ripetuti e ravvicinati cambi di bandiera in alternanza tra Francia ed Austria. I francesi occuperanno poi Friburgo sotto il comando del maresciallo François Crequi in maniera continuativa per vent'anni a partire dal 1677 ed interromperanno nuovamente il filo conduttore della dominazione asburgica occupando la città anche in seguito nel 1713 durante il decorso della Guerra di Successione Spagnola, nel 1744 in concomitanza con la II Guerra di Successione Austriaca, ed infine nel 1796. Un anno più tardi, nel 1797, Friburgo verrà assegnata dai francesi ad Ercole III d'Este, duca di Modena, ma costui rifiutò la concessione reputando questa località troppo poco produttiva per essere convenientemente rilevata. Alla morte di Ercole III, nel 1803, Friburgo ritornò per brevissimo tempo tra i possedimenti asburgici per mezzo dell'unione matrimoniale tra Maria Beatrice d'Este, figlia di Ercole III, e Ferdinando Carlo Antonio d'Asburgo-Lorena, fino a quando Napoleone Bonaparte, annettendo la città nel 1805, la assegnò ai territori del neonato Granducato di Baden. Nonostante questa forte influenza francese sulla città, lungo una delle facciate della Martinstor, a sormontare l'arco, spicca oggi un rilievo raffigurante un'aquila, simbolo del Sacro Romano Impero, opera scultorea qui posizionata dopo che nel 1951 andò perduto un dipinto con il medesimo soggetto presente fino ad allora su uno dei lati della torre.
Altro elemento che non si fa fatica a notare sulla superficie della facciata opposta è una targa commemorativa delle battaglie sostenute dai soldati friburghesi contro la forza d'invasione francese nel corso del XVIII secolo. Decisamente meno degno di nota è l'insegna della catena di fast food Mcdonald's collocata in epoca più recente su un arco accanto alla torre: il logo che richiama alla memoria panini dozzinali e patatine fritte ha veramente poco da spartire con questo simbolo della storia di Friburgo. Unico sgravio alla coscienza dell'amministrazione della città che accettò questo diabolico compromesso con il capitalismo risiede nel fatto che l'insegna posta a marchiare la Martinstor non ostenta il consueto colore giallo intenso, che avrebbe ulteriormente violentato il carattere del monumento, ma si ferma ad un più neutro marrone scuro, privata inoltre anche del simbolo con la lettera emme stilizzata di colore giallo su sfondo rosso. Un vero atto di clemenza verso la storia di questa città. Un'altra circostanza curiosa inerente questa torre riguarda il suo nome: la costruzione è intitolata a San Martino, patrono dei mendicanti. Fu costui un soldato romano vissuto nel VI secolo d.C. la cui vicenda narra di come, durante una notte di ronda, incontrò un mendicante infreddolito dal gelo notturno, e magnanimamente decise di tagliare un pezzo del proprio mantello per donarlo al pover'uomo. La notte seguente San Martino ricevette in sogno l'apparizione di Cristo, il quale si rivelò come il mendicante al quale aveva donato il proprio mantello: Gesù restituì il pezzo di tessuto a San Martino il quale al risveglio scoprì che miracolosamente il mantello che aveva lacerato la notte precedente era tornato integro ed intero. A seguito di questa vicenda, San Martino si convertì al cristianesimo, continuò a servire l'esercito romano ma in seguito si dedicò alla predicazione, divenendo persino vescovo della città francese di Tours. Detto ciò, perchè la Martinstor porta il nome di San Martino? Semplice, perchè la torre nel corso degli anni ha svolto anche la funzione di prigione e vi venivano detenuti in particolare gli indigenti ed i debitori inadempienti. Lungo una delle facciate del monumento era presente dal XVI secolo anche un affresco raffigurante il santo, usurato dal trascorrere del tempo, restaurato da Wilhelm Dürr nel 1851, ma andato definitivamente perduto nel 1968. Ancora visibile invece è una targa commemorativa collocata lungo una parete all'interno dell'arco della torre che rende memoria al rogo di tre donne friburghesi, Marghareta Mössmer, Catharina Stadelman ed Anna Wolffart, condannate a morte con l'accusa di stregoneria: erano rimaste vedove di tre consiglieri dell'amministrazione cittadina ed il pregiudizio associato all'ignoranza le condusse ad essere additate come streghe, quindi prima decapitate e poi bruciate vive. Era il 1599. La stagione di caccia alle streghe era già cominciata qui, come in tutti i territori circostanti, negli anni '30 dello stesso secolo e subì una rapida accelerata nel 1564, quando una violenta epidemia di peste colpì l'intera regione, mietendo circa 2.000 vittime, generando paura e rabbia tra il popolo. Le tre donne non vennero in verità assassinate nei pressi della Martinstor, ed in effetti ignoro il motivo che abbia condotto al posizionamento di una targa commemorativa proprio qui, ma appoggiare gli occhi sulle parole che riporta è un po' come calarsi con il pensiero in questa tragica vicenda legato ad buio periodo storico attraversato dalla città.
Il tram ci ha depositato ad un tiro di schioppo dalla Schwabentor. Attraversiamo al passo lo Schneckenvorstadt: passeggiare per le vie di questo piccolo quartiere è uno dei piaceri da non mancare nel visitare Friburgo. Le strade sono oggi animate da numerose caffetterie e tavole calde, se non fosse per le sue dimensioni ristrette sarebbe facile perdercisi. Eppure, quasi senza volerlo, sbuchiamo in Augustinerplatz, una delle piazze più rappresentative di Friburgo, attraversata lungo il suo limite meridionale dal Gerberau. In lieve pendenza, lungo la corta scalinata che la definisce ad un'estremità si raduna quotidianamente la gioventù friburghese, richiamata anche dai locali che si affacciano sul suo spiazzo. Forse è per questa ragione che al centro della piazza è stata installata dal 2009 la Säule der Toleranz, un'anonima colonna multimediale che segna digitalmente l'ora e con lo scoccare della mezzanotte si colora di rosso, suggerendo ai passanti di osservare silenzio e quiete. Non so quanto efficace, ma in perfetto stile germanico! Ben più significativi sono alcuni resti di mura medievali che sopravvivono ancora oggi lungo il lato ovest della piazza. All'angolo sudest invece, un piccolo parco giochi offre ombra e divertimento per i bambini: ovviamente non ci siamo lasciati sfuggire l'occasione. Ma a caratterizzare decisamente in modo maggiore Augustinerplatz è l'Augustinermuseum, senza ombra di dubbio lo spazio museale più importante della città. L'edificio che lo ospita fu in origine un convento agostiniano, da cui il nome del sito e della piazza circostante. La struttura venne innalzata a partire dal 1278, epoca in cui Egon II conte di Friburgo autorizzò la costruzione di un nuovo edificio monastico destinato ad ospitare la comunità di monaci agostiniani che già abitava la città: la chiesa monastica sarà consacrata nel 1299 mentre l'intero complesso non verrà completato che all'inizio del XIV secolo, dopo aver comportato anche la demolizione di sette edifici attigui per esigenze di maggior spazio. Nuovi lavori di ristrutturazione vennero condotti sul monastero nel corso del XVII secolo e del XVIII secolo. L'aspetto attuale dell'edificio è invece frutto, nella matrice, di restauri condotti nel corso del XX secolo. Nel 1784, su ordine imperiale, gli Agostiniani si trasferirono presso la vicina Martinskirche lasciando il monastero disabitato: a partire dal 1803 il monastero venne quindi soppresso ed il suo spazio fu utilizzato come teatro fino al 1910. E' in questo periodo, più precisamente a far partenza dal 1874, che all'interno del complesso si cominciò ad accumulare oggetti storici e materiale artistico, affiancando all'uso teatrale quello di magazzino e rimessa. Nonostante ciò, lo spazio un tempo curato dai monaci non ricevette le stesse cure ed attenzioni, e progressivamente andò incontro ad uno stato di degrado ed abbandono: tale decadenza è testimoniata anche dal fatto che vi verrà collocata negli anni seguenti prima una scuola e poi un deposito di munizioni.
Solo dal 1923 si decreterà in modo definitivo di collocare qui un museo: è questa la data di nascita dell'Augustinermusem che verrà inaugurato proprio in quell'anno. A sostenere la conversione e la rinascita del luogo fu lo storico dell'arte Max Wingenroth, il quale già dal 1910 aveva avanzato l'idea di recuperarlo a scopo espositivo, ma passato a miglior vita nel 1922 non vide mai la propria proposta completata. La struttura dell'edificio fu interessata da nuovi lavori di restauro condotti da Rudolf Schmid a partire dal 1914, ma già nel 1915 l'opera dovette essere interrotta a causa dello scoppio della I guerra Mondiale. I lavori ripresero nel 1919 sotto la direzione di Karl Gruber. La struttura originaria del monastero verrà sostanzialmente conservata con l'aggiunta e la riqualificazione di alcuni nuovi spazi funzionali alla riconversione museale. Il resto, come si sul dire, è noto: già negli anni '30 del XX secolo la collezione dell'Augustinermuseum annoverava numerosi ed importanti opere di artisti tedeschi; la fama del museo non stentò a crescere. Sotto il regime nazista parte di questo patrimonio andò perduto subendo la censura dei gerarchi; un'altra fetta, fortunatamente non molto ingente, venne distrutta dai bombardamenti che interessarono la città nel corso della II Guerra Mondiale, colpendo per miracolo solo l'ala orientale del museo. Nel 2004 fino al 2016 l'Augustinermuseum conobbe nuovi importanti interventi di restauro condotti da Christoph Mäckler e mirati a sanare l'edificio della precedente chiesa monastica e aggiungere nuovi spazi espositivi sottraendo alla città alcuni edifici attigui al museo: nacque così lo spazio attualmente occupato dalla biglietterie ed il negozio del museo. Ancora oggi l'edificio è oggetto di lavori il cui termine è previsto per l'anno 2025, circostanza che si mostra ai nostri occhi sotto forma di impalcature edilizie che ricoprono una parte delle facciate esterne, soprattutto quelle rivolte verso il parco giochi su Augustinerplatz. Oggi nel museo sono custodite numerose opere artistiche che attraversano un periodo che va dal Medioevo all'età barocca fino al XX secolo, distribuiti su uno spazio espositivo di quasi 2.000m². Il valore inestimabile e la notorietà dell'Augustinermuseum non venne intaccata nemmeno da un curioso episodio avvenuto nel 2018, quando quattro quadri di pregio, di cui tre in prestito da altri musei, vennero sfregiati da un oggetto contundente presumibilmente durante l'orario di apertura al pubblico: il colpevole non venne mai individuato e l'episodio andò ad alimentare quel novero di episodi bizzarri che a volte caratterizzano la storia di luoghi spesso giudicati erroneamente ordinari come i musei. Peccato non poter apprezzare l'offerta che l'Augustinermuseum ha da concedere, ma con due bambine piccole al seguito (delle quali una di meno di un anno di età), i musei artistici sono un tantino fuori dalla nostra portata. Ci limitiamo ad apprezzarne la facciata esterna, austera e sobria ad evocare il proprio passato monacale, e proseguiamo oltre.
Abbandoniamo Augustinerplatz e ci incamminiamo verso un'altra celebre piazza di Friburgo, senza ombra di dubbio la più celebre. Abbiamo perso l'orientamento e dobbiamo chiedere aiuto ai passanti per recuperare la bussola. Non fatichiamo però a ritrovare la direzione giusta ed in brevissimo tempo giungiamo in Münsterplatz. Sorta intorno al 1120 contestualmente ad un mercato autorizzato da Konrad I von Zähringen all'interno del primo nucleo urbano di Friburgo, è questa oggi la più grande piazza della città. Oltre a detenere questo primato, Münsterplatz, estesa su una superficie di circa 1km², è anche il cuore dell'Altstadt, il centro storico di Friburgo: risalente all'epoca medievale, quest'ultimo custodisce l'origine del primitivo agglomerato abitativo fortificato di Friburgo, venutosi a formare a partire dal 1091 ai piedi della collina che ospitava il castello del duca Berthold II von Zähringen oggi andato perduto. Raggiungiamo Münsterplatz e ad accoglierci subito è una delle tradizioni più vissute e significative della città: il Münstermarkt è il mercato agricolo e floreale che anima fin dal XVI secolo la piazza, erede ridimensionato dell'originario mercato medievale che accompagnò le origini dell'intera città. Ospita oggi circa un centinaio di banchi di aziende locali e si tiene ogni mattina dei giorni feriali. Ci immergiamo subito nel mercato e nelle sue sensazioni, fatte di voci, odori, colori. Tra i banchi di prodotti agricoli si insinuano baracchini ambulanti che offrono ai passanti, soprattutto turisti, prodotti tipici della cucina locale. Tra di essi la corona regale spetta al celebre Lange Rote, una salsiccia arrostita tipica della città di Friburgo: la sua particolarità è quella di essere priva di budello e cotta alla brace insieme a cipolle. La paternità di questa pietanza è attribuita a tale Josef Föhrenbach, panettiere friburghese, il quale nel 1949 ebbe l'idea di creare questa versione alternativa dei canonici Bratwurst, preparandoli inizialmente bolliti nell'acqua ma passando ben presto alla cottura su griglia. Nella tradizione, i Lange Rote devono misurare non meno di 35cm ed è assolutamente vietato chiedere al commerciante di spezzarli in due, per non essere smascherato come il più sprovveduto dei turisti. Un po' come chiedere di mettere l'ananas su una pizza insomma! Decidiamo di cimentarci anche noi con questa vera istituzione locale ed ordiniamo i nostri panini con Lange Rote, devo dire che anche la piccola Amelia ha fatto onore alla tradizione evitando di spezzarlo anche se non senza fatica.
Consumiamo i nostri panini in una delle vie attigue alla Münsterplatz, all'ombra della facciata della Kornhaus: costruito su commissione dell'imperatore Massimiliano I d'Asburgo nel 1498, questo edificio era destinato in origine a svolgere la funzione di sala da ballo, sebbene l'imperatore stesso non potè usufruire di questa ambientazione mondana dato che al momento della sua visita in città, la costruzione non risultò ancora ultimata. Negli anni seguenti assunse la finalità di granaio (da cui il nome attuale), di mattatoio ed infine di teatro, identità che mantenne tra il 1770 ed il 1824. Fu ristrutturata nel 1824 ed a partire da tale data ospitò anche una sala per banchetti, seppure nell'intero arco della propria esistenza fino alla II Guerra Mondiale non abbandonò mai la propria funzione di granaio. La Kornhaus verrà distrutta in occasione del bombardamento aereo che colpì Friburgo nel 1944. Sarà ricostruita fedelmente rispettando i canoni originali solo tra il 1969 ed il 1971, ed oggi ospita la sede di alcuni negozi oltre ad una caffetteria affacciata sulla piazza. Terminato il pasto, ritorniamo sull'acciottolato di Münsterplatz, composto dalla pietra estratta dal Reno chiamata Rheinwaken, e ci dirigiamo verso i suo centro. Mentre ne percorriamo la superficie ci risulta curioso pensare a come la piazza, fino agli anni '70 del XX secolo, ospitava, quando non occupata dal mercato, un triste parcheggio per automobili. Oggi ovviamente è delimitata come spazio pedonale. E' altresì interessante ricordare inoltre che la piazza in origine era delimitata lungo tutto il perimetro da un muro di pietra, alto 1,6m, rimosso nel 1785. Inizialmente il mercato non era tenuto in questo spazio, bensì nella vicina Kaiser-Joseph-Strasse, mentre lungo il lato nord era collocato un cimitero che verrà traslato fuori dalla piazza e verso il limite settentrionale dell'Altstadt nel 1514 per ordine dell'imperatore Massimiliano I d'Asburgo. A sopravvivere a questo spostamento fu solo una piccola cappella con funzione di ossario e votata a Sant'Andrea, demolita successivamente nel 1752. Superiamo i banchi del mercato e giungiamo dinnanzi a tre alte colonne in arenaria sormontate da statue adagiate su capiteli corinzi. Le tre sculture raffigurano la Vergine Maria, San Lamberto e Sant'Alessandro: il primo di questi due santi ricoprì nel corso del VII secolo la carica di vescovo di Liegi e morì martire durante la celebrazione di una messa per mano di Pipino di Herstal dopo aver denunciato l'unione illegittima di quest'ultimo con la concubina Alpaide; il secondo visse a Roma nel II secolo e morì martire insieme ai suoi sette fratelli. I resti di entrambi questi santi sono custoditi all'interno della Cattedrale di Nostra Signora di Friburgo, quelli di San Lamberto (un frammento di osso cranico) portati nel 1191 da Rudolf von Zähringen, vescovo anch'egli di Liegi, quelli di Sant'Alessandro giunte probabilmente intorno al 1650 su donazione di papa Innocenzo X.
Questi tre pilastri sono collocati fin dal 1719 a presidiare ed annunciare l'ingresso alla Münster Unserer Lieben Frau, la cattedrale ed il principale luogo di culto religioso della città. La professione di fede di questa chiesa è quella cattolica, a ricordo del fatto che Friburgo rifiutò di aderire alla Riforma Protestante e rimase il principale baluardo del culto cattolico in questa parte di Germania. Il periodo della sua realizzazione attraversò un arco temporale di 350 anni ed oggi rappresenta uno dei pochi esempi di grande chiesa gotica tedesca. La storia di questo tempio ha del miracoloso se si pensa che è l'unico edificio rimasto in piedi dopo il bombardamento aereo che colpì Friburgo la notte del 27 novembre 1944 radendo al suolo Münsterplatz, la totalità dell'Altstadt settentrionale e buona parte di quello occidentale: nel dopoguerra il centro storico della città verrà ricostruito rispettando fedelmente la sua planimetria originale. La spedizione della RAF denominata Operazione Tigerfish portò sulla città tedesca 351 aeroplani che sganciarono sul centro storico 14.000 bombe nell'arco di appena 20 minuti di tempo, provocando una devastazione totale e causando 2.797 morti oltre a 4.200 feriti, nonostante una parte di popolazione era fortunatamente riuscita a trovare riparo nei bunker predisposti nei pressi del vicino Schlossberg. Il tutto nonostante a Friburgo non fossero presenti chiari obiettivi di natura militare. Tale circostanza investe il fatto storico di un alone di mistero, tanto che si arrivò ad interpretarlo come un errore strategico dei vertici militari alleati: secondo alcune teorie fu infatti l'Höllentäler, vento caldo che soffia su Friburgo nelle ore notturne, a confondere i punti di repere luminosi destinati a guidare l'attacco aereo spostandolo erroneamente dai territori limitrofi sul centro storico della città. In effetti, nonostante un precedente bombardamento condotto dalle forze armate americane nel 1943 e mirato a danneggiare la linea ferroviaria, operazione che non provocò ingenti danni al centro abitato, Friburgo venne sostanzialmente risparmiata dalla devastazione della guerra fino alla fatidica notte del 1944: a tale proposito, un racconto al limite con la leggenda narra che sarebbe stata la governante di Winston Churchill, originaria proprio di Friburgo, a chiedere al primo ministro inglese di risparmiare la propria città natale dalle operazioni belliche. Il 10 maggio 1940 invece fu il fuoco amico a danneggiare la città: tre velivoli tedeschi incaricati di colpire la vicina cittadina francese di Colmar, posizionata ad appena 50km di distanza lungo il confine franco-tedesco, si ritrovarono a colpire Friburgo per errore di navigazione, scambiandola per l'obiettivo della propria missione e sganciando ben 69 bombe prima di accorgersi dello sbaglio, causando la morte di 57 persone. Forse, proprio in seguito a questa lontananza dagli obiettivi critici dello scontro bellico, Friburgo non si avvalse di efficaci sistemi antiaerei, circostanza che favorì probabilmente la devastazione del 1944. La lontananza dalla guerra non fu però lontananza dalla contaminazione ideologica nazista, come testimonia il pogrom antisemita che la notte tra il 9 ed il 10 novembre 1938 vide data alle fiamme e successivamente fatta saltare in aria con dell'esplosivo la locale sinagoga per opera criminale dei miliziani delle SS: Friburgo non opporrà resistenza alcuna nella resa agli Alleati e la sinagoga sarà ricostruita al termine della II Guerra Mondiale in un sito differente della città.
Indenne e resiliente a tutte queste tristi vicende rimase, baluardo impossibile da abbattere, il Münster Unserer Lieben Frau, che si stenta a capire come riuscì a sopravvivere senza danni alla distruzione piovuta dal cielo: solo il tetto della cattedrale rimase danneggiato ma potè essere completamente ripristinato già nel 1945. Una vera grazia calata dall'alto, è questo che pensiamo mentre ammiriamo le bellissime forme della cattedrale, raffinate e sottili, caratterizzate da un pregevole gioco di volumi pieni e vuoti, uno spettacolo che lascia letteralmente a bocca aperta. A patrocinare la costruzione della chiesa fu il casato dei von Zähringen: qui sorse una prima chiesa in stile romanico già nel 1120, lunga appena un terzo dell'attuale cattedrale. Nel 1200 venne intrapresa la costruzione di un nuovo e più ampio tempio sopra quello precedente: l'opera fu promossa dal duca Berthold V von Zähringen, la cui morte avvenuta nel 1218 determinò una battura d'arresto nella progressione dei lavori. Berthold V verrà sepolto in un punto imprecisato della nascente cattedrale e con la sua dipartita priva di eredi si estinguerà la lunga tradizione della linea di discendenza originale dei von Zähringen: a partire da tale data, i territori posseduti precedentemente da questa nobile stirpe verranno spartiti tra i due rami dinastici minori, quello dei von Kyburg e quello dei von Urach. Questi ultimi si proclameranno conti di Friburgo, rileveranno il governo della città e lo manterranno fino al 1368. Tornando alla storia della cattedrale, la sua costruzione ripartì nel 1230 secondo un progetto riqualificato con i nuovi canoni stilistici del gotico francese. Nel 1298, con il progredire dei lavori e la crescita in altezza, la struttura cominciò ad essere chiamata dal popolo con l'appellativo münster, nonostante l'investitura a cattedrale non avverrà ufficialmente che solo nel 1827, epoca in cui Friburgo diventò sede arcivescovile. Diverse fasi costruttive si alternarono a pause fino al 1471, anno in cui la realizzazione della chiesa conobbe un'ultima e decisiva spinta che la portò ad essere completata nel corso della prima metà del XVI secolo. Nell'arco di questo lungo periodo temporale, l'opera porterà ad un progressivo esaurimento delle disponibilità economica dei conti di Friburgo con la conseguente formazione di un consistente debito che risulterà insanabile dalle sole casse del casato nobiliare e verrà compensato solo con l'intervento a donazione della popolazione, all'epoca appena all'incirca 9.000 persone. L'opera architettonica che ne risultò apparve fin da subito sproporzionata, per dimensioni e pregio di fattura, rispetto ad un centro abitato così piccolo, circostanza che costituisce un ulteriore merito per questa ambiziosa città. Nella struttura attuale della cattedrale sono ancora visibili tutte la fasi costruttive attraversate in questa lunga epopea estesa su tre secoli e mezzo di tempo: della primitiva chiesa romanica rimangono il transetto e le basi delle torri laterali del coro, note col l'appellativo di Hahnentürme (Torri dei Galli); della successiva fase di costruzione gotica del XIII secolo si riconoscono le due campate orientali delle tre navate; le ulteriori quattro campate risalgono ad una fase gotica successiva. La torre campanaria, a pianta ottagonale e posta a sormontare la facciata principale con l'ingresso, è alta ben 116m ed è l'elemento di maggior pregio dell'intera struttura: una vera meraviglia, di una forma unica ed inconfondibile, alta, leggera ed elegante. Come un faro luminoso spicca sopra i tetti degli edifici circostanti, visibile da qualunque punto della città a guidarne tanto i visitatori quanto gli abitanti. La sua indiscutibile bellezza valse a questa struttura una fama diffusa e riconosciuta ovunque, e ne è un esempio la definizione che nel 1869 lo storico Jacob Burckhardt le attribuì dichiarandola la torre più bella di tutta la cristianità. E' inoltre l'unico campanile gotico medievale presente su suolo tedesco ed all'epoca della sua ultimazione rese addirittura la Cattedrale di Nostra Signora di Friburgo una delle chiese più alte d'Europa, titolo che mantenne per oltre un secolo. Come se non bastasse rappresenta anche il primo esempio di guglia traforata del periodo gotico: proprio la guglia a trafori è l'elemento che colpisce maggiormente di questa particolarissima opera architettonica, allo sguardo è forte l'impressione che a comporla non siano solo i mattoni ma anche l'aria, che sembra proprio reggerne sorprendentemente il peso. Composta della stessa pietra arenaria rossa che caratterizza le facciate della cattedrale, la torre campanaria venne eretta, contestualmente alla realizzazione del piedicroce, nel 1230 su progetto di Erwin von Steinbach. Questa costruzione fu modello ed esempio per gli stili architettonici che seguirono e persino la banderuola posta al suo culmine, raffigurante in rame dorato il Sole e la Luna, costituì un esempio unico per l'epoca in cui venne realizzata, andando a costituire un canone poi diffusosi in altri edifici religiosi: raffigura la potenza di Cristo sul giorno e sulla notte. Al centro della facciata del campanile spicca il quadrante di un orologio realizzato nel 1851 da Jean-Baptiste Schwilguè e tuttora funzionante. Sono 19 le campane poste alla sua sommità, ospitate in una nicchia di legno realizzata tra il 1290 ed il 1300: quella più vecchia, chiamata Hosanna-Glocke, venne forgiata nel 1258 ed è una delle campane più antiche di tutta la Germania; le più recenti, 15 delle 19 campane totali, risalgono invece al 1959. L'aspetto bellissimo di questa torre è favorito anche dai lavori di restauro che la riguardarono in epoca recentissima, tra il 2006 ed il 2018. Riscossi dalla meraviglia abbassiamo lo sguardo dal campanile e ci apprestiamo ad entrare nella cattedrale. Ad accoglierci per primo è il pregevole portico, impreziosito da sculture policrome con soggetti tratti dalla vita di Gesù e dal Vecchio Testamento; sul timpano del portale d'accesso invece, diviso in tre registri, si collocano le scene scolpite del Giudizio Universale, della Natività e della Crocifissione. Lungo le pareti, a sinistra e a destra del portale, si apprezzano le sculture delle cinque Vergini Sagge, e delle cinque Vergini Stolte, accompagnate dalle figure allegoriche del Peccato, del Tentatore, dell'Angelo Ammonitore e delle Arti Liberali: protagoniste di una parabola lucana, la vicenda di queste dieci fanciulle narra di come esse fossero in attesa dell'arrivo degli sposi per accedere alla propria festa nuziale, ed essendo calata già la notte portarono con sè ciascuna una lampada, cinque di esse custodendo saggiamente anche una boccetta di olio per alimentare la fiamma e cinque invece sprovviste di combustibile. Le cinque fanciulle sprovvedute chiesero in prestito alle cinque sagge un poco di olio per far funzionare la propria lampada, ma quelle rifiutarono per timore di esaurirlo anzitempo, e fu così che le fanciulle abbandonarono il luogo dell'appuntamento per recarsi a comprare l'olio, mancando così l'arrivo dello sposo e quindi anche la partecipazione alla festa, mentre le altre cinque dotate della luce incontrarono gli uomini ed accedettero alle nozze. Queste dieci figure virginali presidiano sui lati il portale di accesso alla cattedrale, diviso in due metà dalla statua di una Madonna con Bambino.
Penetriamo all'interno della chiesa: le alte navate sembrano vestirsi di ombre, in contrasto con la luminosità dell'altare sullo sfondo e soprattutto delle vetrate laterali dai colori vivaci ed intensi. Questo costituisce un altro enorme patrimonio di questa cattedrale ed infatti il Münster Unserer Lieben Frau è una dei pochi templi tedeschi di quest'epoca a conservare ancora intatta una buona parte delle proprie vetrate, seppure non più posizionate al loro posto all'interno della chiesa ma nelle sale espositive del vicino Augustinermuseum: per sottrarle al pericolo di danneggiamento, vennero traslate in un luogo più sicuro e protetto agli inizi della II Guerra Mondiale, decisione che consentì di risparmiarle dal bombardamento aereo del 1944. Le vetrate originali risalgono ad un periodo tra il 1212 ed il 1220. Già nella fase di costruzione tardogotica della cattedrale, vennero però in parte smontate per esigenze di maggiore luminosità nei lavori edilizi, operazione che condusse alla perdita di alcune di esse. Subirono un altro duro colpo intorno al 1900, quando vennero interessate da lavori di restauro condotti da Fritz Geiges, il quale pensò bene di creare delle copie delle vetrate originali conducendo poi su di esse un processo di invecchiamento artificiale, procedimento che generò un risultato posticcio e quindi piuttosto discutibile. Le vetrate esposte oggi nella cattedrale sono davvero notevoli, un vero sussurro di vivacità che irrompe nel silenzio immobile della cattedrale. Procedendo oltre, la navata principale è impreziosita da un crocifisso monumentale sospeso, di epoca tardoromanica, realizzato intorno al 1200 in legno di quercia ed argento, alto 2,63m e largo 1,45m: chiamato Böcklinkreuz, con i suoi 820 e rotti anni di età è attualmente il reperto più antico custodito all'interno della cattedrale. Questo maestoso oggetto era precedentemente collocato all'interno di una delle cappelle del coro e si pensa addirittura che stesse a segnalare il punto preciso della sepoltura perduta di Berthold V von Zähringen, forse il committente della realizzazione del manufatto. L'altare principale custodisce un dipinto con la scena dell'Annunciazione e della Natività, è opera di Hans Baldung Grien risalente al XV secolo: curioso notare che sul retro dell'opera, lungo il lato rivolto verso il deambulatorio, l'autore si è autoritratto nel personaggio di un servitore posto nella scena dipinta della Crocifissione. Ci dirigiamo verso il coro. Su un lato dell'altare il passaggio verso la parte posteriore della cattedrale è possibile acquistando un biglietto d'accesso del costo di 2€: non abbiamo problemi a spenderli, vista la bellezza che la cattedrale ci ha offerto finora e considerando anche che l'accesso alla chiesa è completamente gratuito. Percorriamo la galleria che circonda il coro incrociando le numerose cappelle votive che la caratterizzano. La Stürzelkapelle, realizzata su commissione dell'avvocato imperiale Konrad Stürzel tra il 1505 ed il 1530, detiene un pregevole altare dipinto da autore ignoto e delle belle vetrate colorate. La Universitätskapelle, completata tra il 1505 ed il 1507 con lo scopo di ospitare i membri più eminenti della docenza universitaria locale, compito che svolse egregiamente fino al 1789, custodisce un prezioso dipinto sulla Natività opera di Hans Holbein il Giovane, uno degli elementi di maggior spicco nel novero artistico della cattedrale. La Kaiserkapelle, collocata temporalmente tra il 1498 ed il 1512, venne commissionata dall'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, il quale sicuramente si starà rigirando nella tomba se sapesse che parte dei dipinti che la affrescano vennero irrimediabilmente danneggiati durante i lavori di restauro condotti sulla cappella nel 1792. La Lochererkapelle porta il nome di Nikolaus Locherer, ciambellano del capitolo di Friburgo, ed è lo scrigno di un altare scolpito da Sixt von Staufen insieme al falegname Hans Wysinger tra il 1521 ed il 1524: la cappella verrà consacrata solo nel 1538 a sei anni di distanza dalla morte del suo committente. Queste e altre cappelle animano lo spazio retrostante il coro della cattedrale. Questi spazi rappresentavano un vero attestato di importanza e potere per le famiglie notabili di Friburgo che ne promuovevano la realizzazione. In origine, l'accesso a questa parte di cattedrale era proibito al comune popolo e le cappelle erano utilizzate per riti e celebrazioni commemorative private. Percorrere questo corridoio è per certi versi come attraversare una piccola porzione di storia cittadina, fatta di nomi, volti, stili e date. Lungo la pavimentazione capita anche di riscoprirsi in piedi sulla lapide tombale di qualche principe o dignitario il cui nome è ormai pressochè completamente cancellato dal trascorrere inesorabile dei secoli. Abbandoniamo questa sezione, il percorso ci guida ad attraversare l'altare concedendoci un'ultima spettacolare prospettiva inversa della cattedrale, dall'avanti verso il retro. Da qui è ben visibile il sistema di organi in quattro parti realizzato tra il 1964 ed il 1966: si tratta di uno degli strumenti di questo genere più grandi presenti in tutta la Germania.
Abbandoniamo la chiesa per mezzo di un'uscita laterale e ci troviamo di nuovo sotto il Sole della Münsterplatz. Sul lato opposto della piazza si affaccia, concedendosi al nostro sguardo, la Historisches Kaufhaus, con la sua inconfondibile livrea rosso acceso. Costruito tra il 1520 ed il 1532, questo edificio assunse in origine la funzione di dogana e deposito. Non si sa con certezza chi ne sia stato l'autore, ma si pensa che il progetto possa essere attribuito a Lienhart Mülle, all'epoca già impiegato come capomastro anche nella costruzione della cattedrale. L'edificio subì nel corso dei decenni numerose opere di ristrutturazioni: nel 1550 venne aggiunta alla struttura originaria una balconata che ancora oggi fa notevole sfoggio di sè lungo la facciata; nel 1814 vennero ridipinte le pareti esterne ad opera di Simon Göser e vennero predisposti nuovi abbaini lungo il tetto; nel 1880 iniziò un'opera di riqualificazione nelle forme e negli stili che però fu abolita nel 1924 con il ritorno all'aspetto precedente. In epoca più recente, la Historisches Kaufhaus fu protagonista di restauri tra il 1987 ed il 1991, poi di nuovo nel 2000. Al di là di tutte queste notizie, ciò che rende importante questa costruzione per la città è il fatto che dal 1947 al 1951 qui ebbe sede l'organo parlamentale della regione del Baden, circostanza che le conferisce un carattere di autorevolezza. A questa anima rispettabile e formale si unisce in armonioso contrasto la bellezza delle linee e dei profili, con il porticato a colonne sormontate da quattro arcate al pianterreno, il tetto a due piani racchiuso da timpani a gradoni, la facciata impreziosita da sculture raffiguranti esponenti del casato degli Asburgo realizzate da Hans Sixt von Staufen tra il 1530 ed il 1531. Alle due estremità del fronte si trovano due meravigliosi bovindi poligonali riccamente decorati. Ad affacciarsi dall'interno della Historisches Kaufhaus sulla piazza antistante, attraverso le belle vetrate realizzate nel 1924 da Fritz Geiges, è al primo piano la Kaisersaal, l'ambiente di maggior pregio dell'edificio, oggi adibito a sala per eventi istituzionali: questo salone trae il proprio nome da Guglielmo I Hohenzollern, imperatore di Germania, per il quale la città di Friburgo tenne un ricevimento proprio all'interno della Historisches Kaufhaus il 3 ottobre 1876. Un ulteriore attestato di importanza storica per questo edificio, il quale nel 2019, a conferma della propria rilevanza per la città, si vide ritratto su una banconota commemorativa da 0€ coniata per i collezionisti di numismatica tedeschi e (perchè no?) internazionali.
Alla destra della Historisches Kaufhaus, procedendo per ordine ed a brevissima distanza, si trova la Wentzingerhaus, costruita nel 1761 dall'architetto Johann Christian Wentzinger, da cui il nome dell'edificio: la sua importanza è denotata dal fatto che costituisce un raro esempio di architettura tardobarocca conservata nel proprio aspetto originale. Da ammirare è la bella facciata a tre piani corredata da un elegante portale a colonne e da una balconata lungo la cui ringhiera è riportata una scultura ritraente il busto del fondatore. Il quale doveva essere in vita un tipo eccentrico se si pensa che alla sua dipartita, avvenuta nel 1797, donò il proprio lascito, piuttosto consistente se si pensa che fu tra gli artisti più attivi in Brisgovia nel corso del XVIII secolo, all'ospedale dei poveri di Friburgo. Tanto di cappello! Solo nel 1905 la proprietà della Wentzingerhaus sarà rilevata dall'amministrazione della città, la quale nel 1906 vi collocò la sede della camera di commercio locale, mentre tra il 1946 ed il 1983 vi dimorò la Hochschule für Musik Freiburg, la scuola universitaria musicale. Dal 1994 invece l'edificio ospita il Museum für Stadtgeschichte, uno spazio museale dedicato alla storia di Friburgo. Spostando ancora lo sguardo alla destra della Wantzingerhaus, si scorge la Alte Wache, edificio meno appariscente e più modesto nelle dimensioni, ma dal grande valore storico: eretto nel 1733 per ospitare una caserma della guardia austriaca, è una delle poche costruzioni, insieme alla cattedrale, a non essere stata completamente rasa al suolo dal bombardamento aereo del 1944. Forse, proprio nascondendosi all'ombra del Münster Unserer Lieben Frau, come un pulcino sotto l'ala di una possente aquila, ha trovato riparo dalla devastazione delle bombe. Unica annotazione un po' triste: oggi al suo interno è ospitata un'enoteca. Nulla di personale nei confronti del vino, ma mi sarei aspettato un destino più valoroso.
Procedendo verso il centro della piazza e tornando sui nostri passi, si incontra su un lato la Haus zum Ritter, la Casa dei Cavalieri, costruita nel 1756 da Johann Jacob Fechter sopra un precedente edificio di epoca medievale. Inizialmente adibita a sede del cavalierato cittadino, una sorta di assemblea degli esponenti dell'aristocrazia della Brisgovia, dal 1766 ospitò la riunione dei feudatari locali, mentre dal 1832 divenne sede dell'arcivescovado di Friburgo. Dal 1995 ed ancora oggi accoglie invece il Freiburg Domsingknaben, il coro della Cattedrale di Nostra Signora di Friburgo. I bombardamenti aerei del 1944 non risparmiarono nemmeno questo edificio, il quale venne ridotto in macerie, ma fu ricostruito nel decennio successivo seguendo fedelmente la fisionomia che gli apparteneva dal XIX secolo. Di fronte alla Haus zum Ritter sta la Georgsbrunnen, una fontana realizzata nel 1520 e raffigurante San Giorgio, patrono della città, in un'effige dorata posta sulla cima: l'esemplare esposto attualmente sul monumento è però solo una copia posta a sostituzione dell'originale fin dal 1935. Il tempo ha camminato in punta di piedi, senza farsi sentire, durante la nostra visita della Münsterplatz. Mentre abbandoniamo la piazza le bancarelle del Münstermarkt stanno smontando i banchi, in un rito che come l'alba ed il tramonto ogni giorno si rinnova. Ci lasciamo alle spalle Münsterplatz per fermarci subito a godere di un po' d'ombra nella limitrofa Münsterstrasse. La piccola Lidia ne approfitta per assumere la propria razione di latte. Mentre aspettiamo di ripartire, notiamo una piccola bancarella proprio all'estremità della via. Ci avviciniamo e scopriamo che vende giocattoli, in particolare un giocattolo che qui chiamano Bächleboote: si tratta di una piccola barchetta di legno con una vela di tela colorata ed un gancio attaccato alla prua a cui viene legata una breve cordicella. Il perchè questa bancarella vendesse un giocattolo simile in una città decisamente urbanizzata e lontana dal mare è presto detto: Friburgo è irrorata dai Bächle, stretti e piccoli canali posti ai lati delle vie che percorrono come vene ed arterie ogni punto dell'Altstadt. Il loro calibro varia da 15cm a 75cm ed il nome deriva dalla parola tedesca bäch, che significa "torrente", a cui si aggiunge una desinenza diminutiva di origine alemanna arcaica. L'origine dei Bächle si sovrappone a quella della città e ciò contribuisce a farli diventare un vero simbolo di Friburgo: sono citati già in documenti storici del 1220, epoca in cui il conte Egon I von Urach sancì la concessione di utilizzo di un piccolo canale acquifero come fonte irrigua ad una comunità di monaci locali. Nonostante questa citazione ufficiale, sono in molti a ritenere che l'origine di questi canali sia molto più antica e coincida grossomodo con la data della fondazione della città, nel 1120: il primitivo nucleo medievale di Friburgo nacque infatti sui versanti di una collina, ed un efficace sistema di veicolazione delle precipitazioni piovane, unito alla pendenza del terreno, consentiva un'utile ed efficiente raccolta delle acque poi utilizzate a scopo agricolo e produttivo. A partire da queste date, la rete dei Bächle si sviluppò parallelamente all'espansione della città, contribuendo a definirne l'aspetto ed il carattere. Ad alimentarli è il fiume Dreisam, che nasce nella Foresta Nera circa 11km ad est di Friburgo e dopo averne attraversato l'abitato lambendone il centro storico confluisce, a termine di un decorso di appena 29km, nel fiume Elz. Come ogni città di grandi dimensioni, anche Friburgo non può che dipendere dalla vicinanza all'acqua, nella buona sorte come in quella cattiva. Gli esempi a sostegno di quest'ultima evenienza sono molteplici, basti pensare che il Dreisam alluvionò Friburgo nel 1896 causando la morte di due persone e la distruzione di edifici e ponti; nuovamente nel 1991 il fiume esondò danneggiando soprattutto la parte orientale della città; ed anche nel 2010 e nel 2013 una piena alluvionale costò la vita a due ciclisti di passaggio. Da allora l'alveo del Dreisam fu fatto oggetto di importanti lavori, con il rafforzamento degli argini e la canalizzazione in alcuni passaggi che rese il tratto di fiume presso la città più sicuro. La maggiore confidenza della città con il fiume è in confermata dal il bizzarro fatto che vede dal 2011 il fiume essere teatro annualmente di una curiosa gara di paperelle di gomma, organizzata per raccogliere fondi a scopo benefico, atta ad eleggere la papera giocattolo più veloce della città, appuntamento ormai divenuto celebre in tutta la zona.
Al di là di tutto ciò, l'acqua per la città è ed è sempre stata vita, e questa vita è quotidianamente distribuita a Friburgo dalla rete dei Bächle. In effetti questa fu sin dal principio la loro funzione, vale a dire distribuire acqua per l'approvvigionamento idrico della popolazione e per l'allontanamento delle acque nere, il cui sversamento dalle abitazioni era severamente regolamentato, dal momento che ne era consentita l'eliminazione attraverso i Bächle solo nelle ore serali per evitare miasmi. Inoltre, va ricordato anche il loro ruolo nella lotta agli incendi, compito non indifferente se pensiamo che in antichità gli edifici erano costruiti in legno. E proprio questo prezioso contributo fu decisivo la notte del bombardamento del 1944, quando i Bächle funsero da riserva d'acqua utile alla lotta per spegnere i numerosi roghi che devastarono il centro storico riducendolo in macerie. Proprio per questo insperato aiuto, dopo anni di trascuratezza ed abbandono, a partire dagli anni '50 del XX secolo i Bächle vennero progressivamente sistemati, ripuliti e rimessi a regime. La progressiva decadenza di questi canali era cominciata infatti già dal principio del XIX secolo, quando con l'avvento di nuovi sistemi di distribuzione urbana delle acque vennero chiusi con grate di ferro o lastre di legno, in alcuni casi sostituiti completamente con tubature di metallo o condotti in cemento. Originariamente disposti al centro delle vie, quelli che sopravvissero a questa evoluzione della modernità vennero spostati tra il 1840 ed il 1852, per maggior sicurezza dei passanti, ai margini delle strade, salvo pochissime eccezioni in cui il Bächle venne lasciato al centro del passaggio. Affezionati alla presenza di questi canali, il popolo non prese bene questo cambiamento, motivo per il quale i Bächle continuarono ad essere prodotti come da tradizione fino al 1858. Tale legame affettivo prosegue ancora oggi se pensiamo che nel 2000 i cittadini di Friburgo donarono 500DEM per ogni metro di canale per realizzare un Bächle a circa 2km dal centro storico, in Messplatz. E' incredibile pensare che il vissuto di questi minuscoli corsi d'acqua cittadini abbia attraversato un periodo storico così ampio, ma a testimonianza della loro longevità stanno le differenze di struttura dei vari canali: ad ogni epoca il proprio Bächle. Così, i primi prototipi erano costituiti da piccoli fossati grezzi e poco profondi posti allo stesso livello delle strade, nel XIX secolo vennero cementati alla base e dotati di una cornice in arenaria per contenerne meglio i flussi, nel corso del XX secolo poi evolvettero con una base pavimentata in granito e ghiaia secondo l'aspetto che possiamo ammirare anche oggigiorno. I Bächle continuano ancora a segnare la storia di questi luoghi, a volte con circostanze ed eventi bizzarri: come quando nel 1956 un commerciante locale intentò una causa legale da 2.300DEM contro la città per essersi infortunato cadendo accidentalmente in un Bächle: perse la causa e non venne risarcito con la somma richiesta. Anche nel 1964 un turista si ruppe una gamba inciampando in un Bächle ed in questo caso al termine del processo legale fu addirittura il querelante ad essere costretto a risarcire economicamente l'amministrazione cittadina. Il 2010 fu invece l'anno della scoperta della Freiburger Bächle-Egel, una nuova specie di sanguisuga scoperta dal biologo Ulrich Kutschera nelle acque dei canali di Friburgo. Nel 2019 l'arcidiocesi di Friburgo diffuse un pesce d'aprile secondo il quale un antichissimo Bächle era stato inaspettatamente rinvenuto all'interno del Münster Unserer Lieben Frau: tutto falso ovviamente, solo uno scherzo, ma ben riuscito. Tante curiosità, tanta storia, ma una cosa è certa: se capitate in città, prestate attenzione a non mettere accidentalmente un piede in un Bächle, oppure, secondo una superstizione secolare, vi ritroverete costretti volenti o nolenti a sposare una donna di Friburgo.
Dopo aver acquistato le nostre Bächleboote ci incamminiamo lungo Kaiser-Joseph-Strasse, la principale via che attraversa il centro storico. Amelia cammina dietro di noi conducendo la sua Bächleboote sull'acqua dei Bächle tentando di indirizzarla con la cordicella appesa alla prua. Un gioco forse vecchio di decenni, se non di secoli, ma ancora molto molto efficace. Se si torna a casa da Friburgo senza aver provato a guidare una Bächleboote lungo i canali, allora non sei stato veramente a Friburgo. Sicuramente per i bambini un bel ricordo da mettere nello zaino prima di fare ritorno a casa. In poche centinaia di metri incontriamo lungo la via la Bertoldsbrunnen, una fontana in stile moderno formata da una base in pietra alta circa 4m, posta in una stretta vasca a terra, coronata dalla figura astratta di un cavaliere in sella al proprio cavallo, omaggio a Berthold II von Zähringen, uno dei fondatori della città. Questa fontana, realizzata nel 1965, costituisce uno dei principali punti di ritrovo della mondanità friburghese, tanto da essere chiamata con il vezzeggiativo di Berti dai più giovani. Perdendoci nuovamente tra le strade dell'Altstadt e seguendo un percorso che davvero non saprei ripetere, arriviamo in Rathausplatz. A dare il nome a questa piazza, uno dei crocevia principali della città, è la presenza di due edifici simbolici. Il primo di essi è la Altes Rathaus, il Municipio Vecchio, il quale si affaccia sulla piazza con la propria facciata color rosso acceso. La nascita di questa struttura si articola in tre fase costruttive differenti, avviate rispettivamente nel 1557, nel 1561 e nel 1600. Ad iniziare i lavori furono gli architetti Dietrich Neeb e Barthlin Ress, posizionando la nascente struttura in sostituzione di tre edifici preesistenti che fecero da base per la nuova edificazione. Tale particolare genesi è ancora oggi ben impressa nell'aspetto dell'edificio: la disposizione dei volumi è asimmetrica, composta da entità architettoniche tuttora ben distinguibili e con tre differenti porte di accesso al piano terra. Di queste, quella più estrema sulla destra è in stile rinascimentale, venne realizzata nel 1558 ed offre un timpano decorato con le figure di due leoni intenti a sorreggere due scudi incisi con gli stemmi di Friburgo e dell'Austria, quest'ultimo a retaggio della dominazione asburgica che si estese sulla città dal 1368 al 1805, seppure in modo non continuativo. All'estremità sinistra è posizionato un secondo portale in stile rinascimentale, anch'esso affiancato dallo stemma friburghese ed austriaco: è questa porta a costituire oggi la principale via di accesso all'edificio. Sopra questo secondo portale si trova, lungo la facciata, il quadrante di un orologio coronato dall'effige dipinta dell'aquila a due teste, emblema della nazione tedesca. Ai lati dell'aquila invece campeggia la figura di un'aquila rossa, simbolo della dinastia Zähringen, e di un leone, immagine associata al casato degli Urach. Più in basso, ai lati dell'orologio, sono riportati invece uno stemma composto da cinque aquile su sfondo blu, di richiamo asburgico, e l'emblema dell'Alsazia sul lato opposto. Una terza porta, più piccola e meno artisticamente rilevante, è calata in mezzo alle due precedenti.
Anche questo, come la stragrande maggioranza degli edifici del centro storico di Friburgo, vede segnato il proprio vissuto dal bombardamento aereo del 1944. Ed è facile rendersene conto sapendo che la facciata della Altes Rathaus era originariamente adornata con affreschi, i primi dei quali sul tema della Danza Macabra furono opera di Galienus Entringer che li realizzò nel 1559. Lo stesso autore dovette già nel 1560 sostituirli con scene tratte dalla cultura classica su ordine dell'amministrazione cittadina, che evidentemente non approvava il precedente soggetto. Nel 1801 Simon Göser eseguì sulla facciata del Municipio Vecchio nuovi dipinti in canoni rinascimentali, mentre nel 1881 è il turno di Fritz Geiges di lasciare la propria impronta artistica in stile neogotico sulla facciata del Municipio Vecchio. Questa preziosa ed interessante storia artistica impressa sui muri dell'Altes Rathaus venne cancellata, come da un violento colpo di spugna, dalle bombe del 1944 che diedero alle fiamme l'edificio mandando in fumo anche i suoi preziosi dipinti. il municipio verrà ripristinato nel 1954, con le fedeli precedenti proporzioni ma senza affreschi, e fu in quest'occasione che alle pareti venne attribuito il colore rosso vivo che in seguito saprà diventare comunque uno dei tratti distintivi di questo monumento. Pochi anni più tardi, nel 1958, il complesso municipale venne ampliato con l'aggiunta di nuovi spazi sul lato rivolto verso Gauchstrasse. Come indica bene anche il nome, oggi la Altes Rathaus svolge ancora egregiamente il proprio compito di edificio istituzionale, ospitando alcuni uffici dell'amministrazione friburghese, ruolo che ricopre fin dalla sua nascita, fin da quando cioè fu l'imperatore austriaco Massimiliano I d'Asburgo ad ordinarne la costruzione per una nuova e più spaziosa sede da attribuire al governo della città.
Spalla a spalla con la Altes Rathaus e collegata ad essa per mezzo di una passerella pedonale sospesa, sorge sempre su Rathausplatz la Neues Rathaus, il Municipio Nuovo, realizzata su due edifici preesistenti, l'uno completato tra il 1539 ed il 1545 prima, l'altro nel 1595. A commissionare la prima fase di costruzione sul primo stabile fu il medico Joachim Schiller von Herdern; a detenere il possesso del secondo caseggiato fu invece l'università locale. I due edifici vennero in seguito uniti l'uno all'altro a comporre un'unica entità architettonica per mezzo di un porticato a colonne disposto al piano terra. Dando una rapida scorsa alle date che lo riguardano, non può sfuggire il fatto che il Municipio Nuovo è, in termini di epoca di costruzione, di fatto più antico del Municipio Vecchio, ma il nome gli è attribuito a designarlo come il più arzillo dei due in virtù dell'assegnazione più recente a sito istituzionale: infatti, solo nel 1896 l'edificio venne acquistato dall'amministrazione di Friburgo, divenendo di fatto dal 1901 sede municipale, mentre in precedenza e fino al 1774 servì come succursale della locale università. Nell'arco di tempo di circa 120 anni intercorso tra queste due vite, l'edificio cadde in stato di abbandono e rischiò persino di essere demolito, venendo salvato solo dall'intervento delle istituzioni cittadine, le quali dopo averlo rilevato lo ristrutturarono aggiungendo fenestrature e bovindi. E' grazie a quest'opera di riqualifica che oggi possiamo godere della bella balconata posizionata al primo piano, colorata da vivaci fioriere e presidiata dagli stemmi araldici dei casati d'Asburgo, Zähringen, Urach, e Baden, disposti in rilievo sopra le fenestrature. In passato e fino al periodo della II Guerra Mondiale, lungo la balconata erano collocate anche delle statue di metallo, fuse poi per ottenerne materia prima da destinare alla produzione di materiale bellico. All'estremità dell'edificio, sul lato opposto rispetto alla Altes Rathaus, rivolta verso Rathausplatz all'angolo con la Rathausgasse, sorge come una propaggine della facciata del Municipio Nuovo un bovindo alla cui base è riportato il rilievo di una figura alata sormontata da un volto umano: questa scultura ebbe un destino mesto, dal momento che nel corso dei decenni fu ripetutamente danneggiata dal transito di veicoli lungo le strade attigue, venendo più volte riparata finchè nel 2012 si decise di sostituirla con una copia traslando l'originale in un luogo più riparato. Da notare lungo la facciata della Neues Rathaus anche il prezioso orologio a carillon prodotto presso la cittadina di Schonach ed installato nel 1898: le 22 campane che ne animano il meccanismo sono però forestiere e provengono dalla vicina località francese di Colmar. Nel 1933 l'orologio si guastò a causa delle infiltrazioni d'acqua che nell'arco di decenni ne intaccarono il meccanismo: vennero intrapresi numerosi interventi di bonifica ma senza risolvere il problema, tanto che nel 1977 fu il collezionista Jan Brauers a farsi avanti proponendosi come acquirente del manufatto, ricevendo però in cambio un rifiuto. Nel 1988 si propose addirittura di demolire l'orologio rimuovendolo dalla facciata del municipio. Per fortuna il carillon è ancora oggi al proprio posto ed il suo funzionamento è stato riparato fornendolo di una nuova tecnologia basata su rotoli di carta musicale, analogamente a quanto previsto per il funzionamento dei pianoforti automatizzati che appaiono nei rumorosi saloon delle pellicole cinematografiche western: a concepire tale soluzione fu già nel 1932 l'orologiaio Karl Bockisch, il quale ne propose la realizzazione a proprie spese. Il progetto rimase nei cassetti per quasi 50 anni, arrivando a risolvere la malattia dell'orologio della Neues Rathaus dopo decenni di dimenticatoio. Quando si dice avere la soluzione dei problemi sotto il naso! Grazie a tale intuizione oggi il carillon continua a funzionare venendo messo in moto ogni giorno (tranne sabato e domenica) verso mezzogiorno da alcuni inservienti municipali. I due municipi stanno come due anziane sorelle, sempre vispe e distinte, che si tengono a braccetto sedute su un lato della piazza, da dove sono secoli che osservano passare chissà quante persone. E non sono sole. A far loro compagnia, magari scambiandoci qualche chiacchiera ogni tanto, giace di fronte sul lato opposto della piazza la Martinskirche, con la sua particolare facciata dalla forma simile ad un razzo spaziale pronto a partire verso il cielo.
Sul sito di questa chiesa era collocata in origine una piccola cappella votata a San Martino e donata nel 1246 da Konrad I conte di Friburgo alla congregazione francescana che abitò la città fin dal 1226. Tale comunità di monaci era stabilita originariamente ai margini dell'antico centro abitato. A partire dalla metà del XIII secolo i francescani si trasferirono presso l'attuale Rathausplatz, presso la quale si iniziò a costruire un convento ed una chiesa: è questo il motivo per cui la piazza prima di ricevere l'attuale appellativo era nota come Franziskanerplatz. Nel 1262 verrà completato il chiostro del nascente monastero; nel 1286 sarà invece ultimato il coro del tempio presso cui sopravvive ancora oggi parte dell'antica cappella del 1246, la navata della chiesa non sarà completata che nel 1318 e solo nel 1518 la Martinskirche sarà consacrata. Danneggiata durante gli eventi della Guerra dei Trent'Anni nel XVII secolo, la chiesa sarà oggetto di ripetuti lavori di riparazione. L'edificio verrà nuovamente intaccato in occasione dell'invasione francese del 1713 e successivamente restaurato. Originariamente configurata in stile barocco, nel 1821 la struttura venne riqualificata subendo diversi interventi, tra cui la ripavimentazione degli interni con lastre di pietra provenienti dalla vicina cattedrale. Nel 1845 il monastero e parte del chiostro furono demoliti; nel 1875 la chiesa venne nuovamente ristrutturata in stile neogotico e furono predisposte nel 1880 delle vetrate colorata ad impreziosirne l'aspetto. Il campanile, posto a lato dell'abside, fu eretto tra il 1890 ed il 1893, opera su progetto di Max Meckel: curioso pensare che fino a tale data la Martinskirche non possedette nessun campanile ma solo una piccola nicchia campanaria posizionata al culmine del tetto. La torre ricevette nel 1968 sei campane di bronzo; una campana storica risalente al 1729 è invece oggi custodita all'interno della vicina canonica. Con i bombardamenti dal cielo del 1944 la Martinskirche subì ingenti danni e la guglia che originariamente ne completava il profilo fu completamente distrutta dalle fiamme, crollando insieme a parte del tetto nella sottostante navata. La chiesa sarà poi ripristinata tra il 1949 ed il 1951 ma la guglia non verrà mai più ricostruita: ci si limiterà a dare al tetto della chiesa una forma più appuntita, piramidale, con una pendenza più accentuata che in precedenza, a memoria della guglia andata perduta, caratteristica che alla mia impressione fa apparire la Martinskirche come una nave spaziale pronta a sprizzare scintille infuocate dalla base per schizzare a tutta velocità nello spazio. Anche le vetrate, distrutte dalle bombe, saranno riposizionate negli anni '50 del XX secolo. Nuovi lavori di restauro interessarono la chiesa tra il 1974 ed il 1975: in tale occasione venne traslato qui un dipinto con soggetto San Martino proveniente dal Münster Unserer Lieben Frau, circostanza che conferì il nome attuale alla chiesa. Appellativo che mantiene ancora oggi nonostante ad amministrarla sia, dal 2009, una comunità di monaci domenicani. La storia più contemporanea della Martinskirche è poi connessa a quella di un importante personaggio di rilevanza particolare non solo per la città ma anche per l'intera Foresta Nera: si tratta di Heinrich Hansjakob, sacerdote vissuto a Friburgo tra il 1884 ed il 1913, ricoprendo in tale periodo anche l'incarico di curato presso la Martinskirche. Il suo contributo risulta ancora oggi ingente nei termini dell'inestimabile lascito di scritti sul tema della storia e dei costumi della Foresta Nera di cui fu autore. La sua produttività letteraria non fu intaccata nemmeno dalla forma di nevrosi, caratterizzata da improvvisi e violenti sbalzi d'umore, che lo afflisse per l'intero arco della sua esistenza, tanto da renderlo dipendente all'uso di sostanze oppiacee e da costringerlo perfino nel 1894 ad un periodo di internamento in un sanatorio psichiatrico presso Achen, in Francia. Morirà nel 1916 lontano da Friburgo ma unito a questa regione in maniera indissolubile ed imperitura da un profondo legame intellettuale.
Ciò che offre Rtahuasplatz non è però solo storia, arte e spiritualità: il viavai di persone è incessante ed è favorito dai caffè che si affacciano sulla piazza. Anche noi decidiamo di sederci ai tavolini all'aperto di uno di essi, proprio dietro la Berthold-Schwarz-Brunnen, una fontana in arenaria circondata da castagni, il vero fulcro della piazza, quello in cui come su una giostra girano le persone di passaggio. La fontana è dominata al centro da un piedistallo che sostiene la statua di Berthold Schwarz, monaco francescano vissuto a Friburgo nel corso del XIV secolo: di lui si tramanda che fosse un abile alchimista e che riuscì, in circostanze rocambolesche e fortuite, a scoprire la polvere da sparo. Le notizie circa l'esistenza di questo monaco si perdono nella nebbia dei tempi, tanto che non sono pochi a ritenere che Berthold Schwarz sia un personaggio inventato, non realmente esistito, leggendario, come leggendaria sarebbe anche la vicenda legata alle sua scoperte: l'invenzione della polvere da sparo risalirebbe infatti a ben cinque secoli addietro ed a crearla per primi furono probabilmente i cinesi. La fontana, con la sua piccola vasca ottagonale, venne realizzata da Josef Alois Knittel ed installata sulla piazza nel 1855. All'ombra di questa fontana consumiamo delle birre, un abbondante gelato con panna ed un fruttino alla pera che non può mai mancare nel nostro zaino, che più che uno zaino sembra il borsone senza fondo di Mary Poppins. Terminato lo spuntino, abbandoniamo Rathausplatz ed imbocchiamo Franziskanerstrasse, proprio accanto alla Martinskirche. Poche decine di metri più in là passiamo davanti alla facciata della Haus zum Walfisch, un edificio poco appariscente se non fosse per un paio di circostanze che lo riguardano. Si tratta di una residenza borghese ed uno degli edifici storici più prestigiosi della città: venne eretta tra il 1514 ed il 1517 su commissione di Ludwig Villinger e sopra tre precedenti e più modesti edifici che vennero demoliti ed in parte inglobati nella nascente struttura. Il nome che le è attribuito, letteralmente Casa della Balena, risulta di incerta origine, ma sarebbe da attribuire alla vicenda biblica del profeta Giona, sinceramente per motivi che mi sfuggono. Tra l'altro, la casa ospitò dal 1529 al 1535 l'umanista Erasmo da Rotterdam, che vi risiedette dopo essere fuggito da Basilea a causa della persecuzione che subì per non essersi schierato a favore della Riforma Protestante. Danneggiato profondamente dai bombardamenti del 1944, l'edificio sarà ricostruito subito dopo per ospitare gli uffici di un istituto bancario. Nel 1977 la struttura venne eletta come ambientazione del film italiano di genere horror-thriller "Suspiria": il regista Dario Argento vi collocò la scuola di ballo che fu il centro delle vicende raccontate dalla pellicola che rappresenta una vera opera di culto anche a livello internazionale. Per questo non è difficile imbattersi in turisti curiosi che passeggiano di fronte alla Haus zum Walfisch nel tentativo di bucare lo schermo ed attraversare per pochi e brevissimi passi, la vicenda del film. Certo, se si è vista l'opera sullo schermo, ci vuole un bello stomaco a volerci entrare.
La nostra visita a Friburgo sta per concludersi. Attraversiamo l'Altstadt, impresa alleggerita dalla Bächleboote che Amelia fa scivolare sull'acqua dei canali senza sentire la fatica della camminata. Raggiungiamo nuovamente la Schwabentor ed imboccando la stretta Konviktstrasse facciamo una bella passeggiata fino allo Stadtgarten, uno dei polmoni verdi della città, posizionato al margine nordorientale del centro storico. A proiettarci all'interno di esso è il Karlssteg, un ponte pedonale in cemento ed acciaio lungo 136m che da Karlsplatz conduce proprio dentro i giardini: realizzato tra il 1969 ed il 1970 su progetto svizzero, questa struttura fu la prima nel suo genere realizzata in Germania e venne inaugurata in occasione dell'850° anniversario della fondazione della città dal sindaco Eugen Keidel, il quale per dimostrare la tenuta della struttura svolse la celebrazione sul dorso del ponte affiancato da un veicolo edile di 4t di peso. Percorrerlo non è propriamente una passeggiata: la pendenza è abbastanza impegnativa, per carità nulla di impossibile, ma per gambe poco allenate, schiene cariche di zaini e bambini a tracolla, la nostra carovana in viaggio, devo ammettere che la fatica si fa sentire. Planiamo infine nello Stadtgarten, probabilmente l'area verde più importante della città distribuita nei pressi del centro storico: copre un'estensione di 2,6 ettari, i lavori per la sua realizzazione vennero avviati nel 1886 in occasione della Oberrheinische Gewerbeaussfellung, fiera industriale della regione dell'Alto Reno, e venne ultimato nel 1888. Durante il decorso della I Guerra Mondiale questo spazio subì anni di abbandono e trascuratezza: non fu ovviamente un periodo storico semplice per Friburgo, che nell'aprile del 1915 subì anche un attacco aereo riscuotendo otto morti, di cui sette bambini, oltre ad un'ondata di dolore e terrore che provocò un'ingente fuga di abitanti dalla città. Lo Stadtgarten venne ristrutturato tra il 1920 ed il 1924 ma subirà nuovamente gravi danni con il bombardamento aereo del 1944, in occasione del quale il parco fu devastato e perse irreparabilmente la sala da concerti originariamente collocata al suo interno. Solo tra il 1948 ed il 1953 lo Stadtgarten sarà ripristinato ed ampliato; nel sito su cui sorgeva la sala da concerti verrà posizionato un ampio roseto. Il parco è anche protagonista di una leggenda del folclore locale: si tramanda infatti una storia secondo la quale la notte in cui Friburgo venne bombardata nel 1944, un'anatra che abitava lo Stadtgarten cominciò a starnazzare segnalando il pericolo imminente e preannunciando l'arrivo dei velivoli militari. Insospettiti dall'inusuale comportamento dell'animale, alcuni cittadini poterono accorgersi per tempo dell'attacco e riuscirono così a rifugiarsi nei bunker disposti intorno alla città. Vero o meno che sia, la leggenda ispirò la creazione di un'opera scultorea, a crearla fu Richard Bampi nel 1953, che oggi è custodita all'interno del locale Museum für Stadtgeschichte, ma che fino agli anni '80 del secolo scorso risiedette all'interno dello Stadtgarten, al quale oggi rimane solo una copia dell'originale.
Raggiungere questo parco è per noi come arrivare ad una fresca oasi presso la quale riposare i nostri piedi indolenziti e recuperare un poco di frescura dal caldo della giornata. Almeno è così per noi adulti, mentre per Amelia significa trovare una meravigliosa occasione di divertimento presso l'incredibile parco giochi del parco: l'area è veramente bellissima, ben tenuta ed ovviamente pulita, fornita di un fantastico intreccio di rampe, pedane, pareti da arrampicare, scivoli, percorsi di equilibrio e chi più ne ha più ne metta. Per un bambino, un luogo in cui perdersi. Unico suggerimento per i genitori dei bambini più piccoli: alcune strutture sono davvero alte e nonostante il terreno sia coperto di scaglie di corteccia di legno per attutire le cadute, meglio prevenirle che curarle. Anche per i piccolissimi è prevista un'area di svago, con una grande sabbionaia comprensiva di giochi d'acqua e percorsi più bassi adatti a loro. Se capitate in città con bambini, veramente un posto da non perdere! E così la devono pensare anche gli abitanti di Friburgo, visto che il parco è veramente colorito e vivace. Un posto dove godersi un meritato riposo senza rinunciare ad essere circondati dalla parte più autentica della città vissuta.
Di fronte allo Stadtgarten, come una silenziosa governante che osserva vigile i bambini giocare e divertirsi, si staglia il profilo dello Schlossberg, la Collina del Castello, completamente ricoperta da vegetazione a sembrare quasi il casco di una folta capigliatura. Alta appena 456m ed istituita area protetta dal 1954, questo basso rilievo ospitava un tempo il castello fondato da Berthold II von Zähringen nell'XI secolo, teatro di una grande fetta della storia cittadina nei primi secoli dopo la sua nascita. Qui risiedeva il potere, qui si dipanavano gli intrighi, qui si svolgevano le vicende, qui risiedeva l'anima aristocratica che dominava questi luoghi, spesso creando scintille in attrito con il carattere ruvido del volgo. Questa fortezza venne infatti più volte, nel corso dei secoli, distrutta e poi ricostruita in virtù della grande importanza strategica che deteneva sul controllo all'accesso verso questa porzione di Foresta Nera, oltre che per la sua vicinanza a giacimenti minerari d'argento ed alla sua significativa posizione lungo le rotte commerciali del tempo. Nel 1299 il castello venne assaltato dal popolo in rivolta contro Egino II conte di Friburgo, reo di averi imposto delle tasse altissimi agli abitanti: Egino II fu costretto a chiamare a suo rinforzo il cognato Konrad von Lichtenberg, vescovo di Strasburgo, il quale marciò sulla città con il proprio esercito ma, secondo una ricostruzione storica a metà tra verità e leggenda, venne ucciso con un pugnale da un macellaio friburghese durante un agguato. Da questo misfatto i conti di Friburgo esigettero dal popolo un risarcimento di 300 monete d'argento ad ammenda del delitto commesso. I conflitti tra popolo e nobiltà proseguirono fino al 1366, quando i conti di Friburgo tentarono di riprendere completo possesso della città con un'incursione notturna ma ricevettero in risposta le cannonate che i ribelli rivolsero alla fortezza. Due anni più tardi, nel 1368, la città si affrancherà definitivamente dalla sottomissione aristocratica ed acquisterà infine la propria libertà: a finanziare questo passaggio epocale, contribuendo a titolo di prestito all'ingente somma di 15.000 monete d'argento dovuta ai conti di Friburgo come prezzo dell'indipendenza, saranno gli Asburgo, i quali poco dopo si presero la città non appena il debito non venne ovviamente onorato. Il periodo di sottomissione asburgica durò per trecento anni, dal XVI secolo al XIX secolo, epoca in cui Friburgo venne nominata capoluogo dei possedimenti austriaci nella Germania sudoccidentale. Dopo essere stato recuperato dalle forze di occupazione francesi nel corso del XVII secolo, il castello verrà fatto saltare in aria e distrutto dai soldati francesi, insieme alla cinta muraria difensiva eretta intorno al centro storico, nel 1745. Del castello rimase solo un cumulo di macerie. Oggi le pendici dello Schlossberg sono raggiungibili per mezzo di una cabinovia, presente già dal 1968 ma rinnovata nel 2008, la cui stazione a valle è situata proprio all'interno dello Stadtgarten: sarebbe bello salirci per godere una vista sicuramente mozzafiato sull'intera città, ma il tempo stringe e le bambine hanno già speso molto nel corso dell'intera giornata, impegnativa ma divertente. Ci limitiamo a scorgere dalla distanza il profilo della Schlossbergturm, una torre di osservazione alta poco più di 33m e dotata di tre piattaforme panoramiche, installata sulla cima della collina dal 2002: inizialmente costruita con tronchi di abete ricavati dagli alberi abbattuti dall'uragano Lothar nel 1999, venne riqualificata in acciaio nel 2017 a causa dell'usura subita dal legname esposto agli agenti atmosferici. Non possiamo percorrere i suoi 153 scalini per raggiungerne la sommità, ma lo osserviamo da lontano onorandone la presenza, faro senza luce a dirigere i viaggiatori attraverso Friburgo.
La cittadina di Titisee-Neustadt è di certo una località non estranea ai circuiti turistici della Südschwarzwald, soprattutto per quanto concerne gli sport invernali, in particolare lo sci nordico, ed anche grazie alla stretta vicinanza con il monte Feldberg che dista appena una trentina di chilometri verso est. Posta ad 849m s.l.m., detiene una discreta notorietà nonostante i suoi appena 12.000 abitanti. A contribuire alla sua fama interviene anche il fatto di essere collocata lungo il percorso della Deutsche Uhrenstrasse: nonostante non vi si trovino richiami evidenti agli orologi a cucù, qui hanno comunque sede alcune delle fabbriche di ingranaggi di precisione più rilevanti della zona. Tale patrimonio costituisce l'eredità del fiorente sviluppo di locande artigianali e laboratori di orologeria che la cittadina conobbe nel corso del XVIII secolo. In contrapposizione a tale dato storico, Titisee-Neustadt nacque in realtà come entità territoriale appena una manciata di decenni fa', precisamente nel 1971, anno in cui i due borghi fino ad allora disgiunti di Titisee e Neustadt si fusero in un'unica area urbana. Oggi questa cittadina comprende un territorio più vasto che annovera altre quattro borgate, confluite nei confini cittadini tra il 1973 ed il 1974. A fare da capitano attraverso i flutti della storia fu il villaggio di Neustadt, probabilmente originato a partire da pochi masi già intorno al 1250 con il nome latino di Nova Civitas (da cui poi il nome attuale): non si hanno notizie certe circa le prime fasi di vita di questo centro abitato, ma secondo alcune teorie furono i von Fürstenberg, esponenti dell'aristocrazia sveva con possedimenti nella Germania sudoccidentale, a dare il via all'abitato. Secondo altri la paternità di questo villaggio sarebbe da attribuire invece agli Urach, conti di Friburgo, oppure ai von Hohenfirst loro vassalli. L'unica certezza storica indica che i primi detentori ufficiali di Neustadt appartennero alla nobile famiglia Blumegg. Titisee-Neustadt è la meta perfetta per una mezza giornata di quiete, ristoro e rilassamento, dopo i primi quattro giorni di visita spesi in modo intenso anche se con ritorno di grande soddisfazione. Arriviamo alla cittadina dopo un breve tragitto in auto, circa un'ora di viaggio. Abbandoniamo l'automobile nel parcheggio posto a breve distanza dall'uscita della strada a percorrenza veloce: il costo è da capogiro ma le alternative sono scarse ed il flusso di visitatori sembra già considerevole. Siamo nella parte della cittadina corrispondente al borgo di Titisee. Lasciatoci alle spalle il parcheggio cominciamo a passeggiare lungo la Seestrasse, la via principale di questa porzione di città. Il percorso si fa ben presto pedonale e viene affiancato da negozi, tavole calde, alberghi, ristoranti: la prima impressione che abbiamo di Titisee-Neustadt è di un luogo viziato nella sua originalità dal turismo di grandi proporzioni. Non siamo però gente da abbandonarsi alle apparenze e proseguiamo la passeggiata indugiando qua e là a curiosare tra i vari empori. In capo a poche decine di metri arriviamo alla Titisee Strand, una piccola spiaggia affacciata sul lago lunga poco più di 100m e composta da sabbia e ghiaia finissima. L'impatto non è dei migliori: la spiaggia non appare curatissima ed a peggiorare l'impressione sta ad un'estremità un piccolo cantiere edile per la costruzione di un edificio in legno direttamente sulla spiaggia. Lungo la battigia sono dislocati però alcuni banchi presso i quali è possibile noleggiare delle barchette per avventurarsi a navigare lungo la superficie del lago. Ne scegliamo uno presidiato da un rivenditore la cui somiglianza con Benny Hill sembra quanto meno sospetta, cosa che non contribuisce certo al mio senso di sicurezza. Non perdiamo comunque l'occasione e, spinti dall'entusiasmo di Amelia, noleggiamo la nostra imbarcazione: optiamo per un mezzo a pedali e decliniamo l'offerta per un più comodo natante a motore. Non è certo nostra intenzione dare l'impressione di essere fuori allenamento! Ben sistemati sul nostro pedalò, con la piccola Lidia a fare da vedetta, ci spingiamo sullo specchio del lago, evitando il vicino molo da cui partono dei traghetti che trasportano i visitatori in punti diversi della costa lacustre. Il lago Titisee non si distingue certo per le sue dimensioni, dal momento che si estende su una superficie di 1,3km² e raggiunge una profondità massima di 20m. Ad alimentarlo è il corso del fiume Seebach, proveniente da ovest.
Le origini del lago Titisee sono glaciali e pertanto legate a filo doppio con il vicino monte Feldberg, dal momento che le sponde lacustri altre non sono che i residui delle morene formatesi in epoca preistorica dal ghiacciaio montano in ritirata. Sulla provenienza del nome, che appartiene oltre al lago anche al borgo attiguo, non esiste oggi una teoria unanime: una delle interpretazioni più diffuse lo fanno derivare dalla parola tedesca arcaica teti, che significherebbe "bambino", avvalorata dalla credenza anticamente diffusa nell'Europa centrale secondo la quale i bambini nascessero dalle profondità dei laghi, versione locale della nostrana cicogna o, per gli avvezzi ai lavori agricoli, dei proverbiali cavoli. Ma tale spiegazione non è l'unica a circolare intorno all'origine del nome di questo lago: secondo altri l'appellativo sarebbe stato attribuito a questa località, tra il XII secolo ed il XIII secolo, dal conte Rodolfo II d'Asburgo in memoria della figlioletta Tiziana, prematuramente scomparsa ed il cui amato profilo del volto egli riconosceva nel disegno delle sponde lacustri. Anche la figura protagonista di alcuni racconti del folclore locale, chiamata Titini, interviene ipoteticamente nel battezzare questo lago. Infine, altre teorie si appellano alla storia nuda e cruda, affermando che il nome sarebbe da associare a quello del comandante romano Tito, il quale probabilmente si accampò con il proprio esercito per un certo periodo nei pressi della costa del lago. Dovunque risieda la verità, documenti storici sembrano affibbiare al Titisee, prima della sua attuale denominazione, il nome Mückenloch, usato da tempo inquantificabile dall'antica popolazione della zona. Piccolo lago, grande storia: le leggende non si fermano solo al suo nome ma narrano altre ed altrettanto bizzarre rievocazioni. Ed è così che leggendo e curiosando non è difficile imbattersi nella credenza popolare in voga in un passato lontano secondo la quale il lago fosse talmente profondo che chiunque tentasse di misurarne gli abissi ricevesse in risposta una voce che lo avrebbe ammonito dicendo: "Se mi comprendi ti annegherò, se desideri misurarmi ti divorerò". Non è in effetti difficile credere che la superstizione di un tempo arrivasse ad attribuire al lago un'entità soprannaturale, quasi divina, in un'epoca in cui l'uomo deteneva un rapporto più intimo ed una vicinanza più stretta, forse si potrebbe dire anche maggiore rispetto, con le entità naturali. Le favole si moltiplicano e così, passando in rassegna altri racconti della fantasia antica, il lago custodirebbe sul proprio fondale un'antichissima città, sommersa dalle acque come castigo divino dopo che i suoi abitanti avevano utilizzato il pane per fabbricarsi delle calzature: può sembrare strano ed inverosimile per i nostri canoni di coerenza, ma in epoca Medievale sprecare il pane e mancare di condividerlo con gli indigenti costituiva un vero sacrilegio. Abbandoniamo la finzione e torniamo alla realtà ma senza cambiare tenore alla narrazione. Il lago impiega molto tempo a ghiacciare, come risultante dei venti costanti che soffiano sulla sua superficie, ed una volta ghiacciato lo strato della calotta risulta molto spesso: questo è un dato di fatto. Ciò rese possibile l'utilizzo, nei mesi invernali, dello specchio d'acqua ghiacciata come pista di atterraggio per piccoli aeroplani, ed a tale scopo il ghiaccio superficiale veniva costantemente ripulito e da trattori spazzaneve. Questa prassi proseguì fino al 1966, anno in cui uno di questi mezzi per la manutenzione della pista precipitò in una falle creatasi nello strato di ghiaccio venendo inghiottito dalle profondità del lago: il cadavere del guidatore, tale Walter Wilde, non venne recuperato che due settimane più tardi. Anche lo sport, contributo ingente alla fama di questa località, trova il suo posto nella storia incredibile di questo piccolo lago: lungo la superficie del Titisee si tennero nel 1925 gare nazionali di pattinaggio su ghiaccio, curling e slittino, oltre alla prima partita in assoluto di hockey su ghiaccio nella storia della Foresta Nera. L'hockey rimase un ospite regolare del lago fino al 1958.
Il Titisee offre spunti e curiosità davvero consistenti, ma per noi, in questo assolato pomeriggio di maggio, costituisce soprattutto una bella giornata passata in famiglia, spensierata e divertente. Girare con il nostro pedalò sulla superficie dell'acqua andrà a delineare uno di quei ricordi che si stagliano indelebili nella memoria di questo viaggio. Il fiato finisce presto, ma non tanto per la fatica, che comunque si rivela maggiore del previsto, ma per le risate che raccogliamo a piene nasse sulla nostra barchetta. Un'occasione da non perdere per divertirsi se si viaggia con dei bambini. Il caldo della giornata ormai giunta alla sua metà ci impone di fare ritorno a riva. Riconsegnamo la nostra imbarcazione ed abbandoniamo la spiaggia. Costeggiamo la sponda nella direzione da cui siamo giunti ed a breve distanza ci fermiamo per il pranzo presso il Treschers Schwarzwaldhotel, un albergo a quattro stelle con un bel ristorante posizionato su una terrazza di fronte al lago. Qui consumiamo il nostro pasto con il bel panorama del Titisee davanti agli occhi. Il cameriere che ci serve, di origini italiane, ci fa sentire un poco a casa ed i piatti si rivelano semplici ma davvero ottimi. Visto il successo, decidiamo di spingerci oltre e per dolce ordiniamo l'indiscutibilmente principale istituzione culinaria della Foresta Nera, il suo simbolo tradotto in piatto e forchetta.
La Schwarzwälder Kirschtorte, a noi nota come Torta Foresta Nera, è una preparazione a base di pan di Spagna al cioccolato, farcitura e ricopertura di panna montata alle ciliegie con guarnizione di ciliegie candite combinate a scaglie di cioccolato. Per essere fedeli alla tradizione, la torta deve avere un diametro non inferiore ai 17cm ed alla farcitura è richiesto un contenuto di circa il 30% di grassi. La base di pan di Spagna deve essere disposta in due strati, contenere almeno il 3% di cacao e deve inoltre essere obbligatoriamente imbevuta nel Kirschwasser, una sorta di acquavite alla ciliegia, prodotto tipico di questa regione: in effetti, la coltivazione delle ciliegie in Foresta Nera costituisce una delle attività produttive di frutticultura più radicate, come testimonia anche l'usanza che chiede ai novelli sposi di piantare un ciliegio in segno di bonaugurio. Il nome di questo dolce deriva ovviamente da quello della celebre regione, in virtù anche di un rimando cromatico generato dalla superficie scura della torta tempestata di scaglie di cioccolato. Nonostante questo fortissimo richiamo d'origine, questo piatto fu protagonista in passato di una sorprendente disputa che ne collocava la nascita non in Germania, bensì in Svizzera: con tutta probabilità però, la diatriba è destinata a risolversi in favore dei colori tedeschi, con buona pace dei pasticceri svizzeri, dal momento che sembrerebbe, da fonti storiche, che questo dolce sia nato in Germania nel XIX secolo seppure in forma destrutturata e non nell'aspetto con cui è celeberrimo oggigiorno. La paternità ufficiale è conferita dunque ad un pasticciere svevo di nome Joseph Keller, vissuto a cavallo tra il XIX secolo ed il XX secolo: fu lui a creare per la prima volta la Schwarzwaälder Kirschtorte nel 1915 all'interno della cucina del Cafè Agner di Bad Godesberg, presso Bonn, Germania nordoccidentale. L'invenzione della Torta Foresta Nera non spartirebbe quindi nulla con la Foresta Nera. A conferma di ciò, una ricetta riportante le fasi di preparazione della torta e scritta di proprio pugno nel 1927 da Keller è oggi custodita presso lo Schwarzwälder Freilichtmuseum Vogtsbauernhof di Gutach. A differenza dal dolce odierno la cui struttura portante è il pan di Spagna, questa ricetta storica prevede alla base uno strato di pasta frolla alle nocciole accompagnato da marmellata alle ciliegie. Esiste però una tesi alternativa secondo la quale sarebbe la città di Tubinga, oggi non più ma fino al 1924 compresa tra i confini della Foresta Nera, a contendere i natali della Schwarzwälder Kirschtorte: qui, secondo teorie meno accreditate, sarebbe stato Erwin Hildenbrand ad inventarla nel 1930 presso le sale del Cafè Walz. In effetti la prima citazione ufficiale in documenti storici della Torta Foresta Nera risale al 1934, ma la sua fama crebbe in maniera rapida e dirompente, tanto che già dalla seconda metà degli anni '30 del XX secolo, questo dolce era diffuso nella capitale Berlino ed in tutta la Germania, fino a valicare in confini con l'Austria e la Svizzera. Questa diffusione risulta ancora più sorprendente se si pensa che in quell'epoca la disponibilità di sistemi di refrigerazione per alimenti era quanto meno scarsa. Indipendentemente da dove si collochino le sue origini, oggi la Schwarzwälder Kirschtorte è senza dubbio il dolce tedesco più diffuso e conosciuto sia tra i confini nazionali sia a livello mondiale, tanto che il Bundesanstalt für Landwirtschaft und Ernährung, organo federale deputato alla tutela delle attività produttive agricole ed alimentari, ha presentato nel 2014 a livello continentale una petizione per istituirla come prodotto nazionale tutelato. Appena scorgiamo sul menù del ristorante la possibilità di gustare la Torta Foresta Nera i nostri sguardi si incrociano e senza pronunciare una parola ci siamo già capiti. Uno spettacolo per gli occhi, una delizia per il palato. Anche Amelia ne gusta una piccolissima porzione prima che ci accorgiamo che la torta contiene del liquore. Non puoi dire di essere stato in Foresta Nera se prima di fare ritorno a casa non assaggi una fetta di vera Torta Foresta Nera...anche se la torta appartiene alla Foresta Nera come i castelli di sabbia fatti con paletta e secchiello alla Groenlandia. Ci alziamo dal tavolo ed abbandoniamo il ristorante diretti verso l'attiguo borgo di Neustadt. Recuperiamo l'automobile dal parcheggio e ci lasciamo alle spalle il lago. In neanche 8km superiamo un ponte stradale sospeso sul fiume, imbocchiamo la Hauptstrasse e passiamo dinnanzi alla facciata della Rathaus. Realizzato nel 1817, è questo uno degli edifici attraverso cui passò la storia di questa località: basti pensare ad esempio che nel 1933 il municipio venne occupato dai militanti nazisti i quali provvidero anche a epurare l'opposizione politica inviando alcuni esponenti dell'amministrazione cittadina a confinamento presso il vicino campo di concentramento di Ankenbuck. Tale operazione venne accompagnata dalla requisizione di due importanti giornali locali, il Der Hochwächter nel 1933 e l'Echo vom Hochfirst nel 1935. Entrambi i giornali, usati durante il periodo bellico come mezzi di bieca propaganda, chiusero i battenti con il termine della II Guerra Mondiale. Nonostante ciò, la popolazione della cittadina non fu mai completamente assoggettata all'ideologia nazista, e ne è testimonianza il consenso inferiore alle aspettative che il partito NSDAP ottenne a Titisee-Neustadt alle elezioni del 1933. Eppure anche questi luoghi conobbero la devastazione portata dalla guerra, quando nel febbraio del 1945 un bombardamento aereo condotto dagli Alleati colpì la città e l'ospedale militare che vi era collocato, provocando 27 morti. Questi territori conobbero il terrore proveniente dal cielo anche con i due attacchi aerei di portata minore dell'aprile 1945 (8 morti) e del settembre 1944.
Superiamo il municipio, con la sua bella facciata e la piccola piazzetta antistante, svoltiamo a sinistra imboccando la via che si apre proprio dinnanzi alla Rathaus. In Scheuerlenstrasse, a brevissima distanza, sorge il Münster St. Jakobus, la cattedrale. Inaspettatamente per noi, questa rappresenta la sorpresa più piacevole di questa nostra visita a Titisee-Neustadt. La presenza di una prima chiesa in questo luogo risale al 1275 e questa costruzione ebbe una vita piuttosto lunga, più di 400 anni, ma venne distrutta da un incendio nel 1693. Il tempio venne successivamente ricostruito, sebbene a partire dal 1796 fu abbandonato e cadde in stato di degrado: tale deterioramento era favorito anche dal frequente transito di truppe militari, soprattutto francesi, nel periodo corrispondente ai conflitti napoleonici. Durante il decorso del XIX secolo, si tentò di recuperare l'edificio, ma ben presto la chiesa si dimostrò troppo piccola per ospitare i fedeli delle località circostanti, che nel frattempo si erano ingrandite. Ed è per questo motivo che il parroco August Fauler nel 1891 si rivolse alle autorità ecclesiastiche presso Friburgo in Brisgovia per richiedere un allargamento degli spazi di culto. Da qui nacque il progetto, firmato da Max Meckel, dell'attuale cattedrale, la quale venne realizzata tra il 1897 ed il 1901 previa demolizione della costruzione antecedente e di due edifici ad essa attigui. A condurre i lavori fu Johann Happle e l'opera procedette a ritmi estremamente sostenuti, tanto che si tramanda che i manovali, tra i quali molti muratori italiani, lavorassero anche di notte senza concedersi soste. La capriata del tetto era già completata nel 1900; la torre campanaria, disposta a sormontare l'ingresso ed alta 68m, fu ultimata l'anno successivo; la cuspide venne posizionata nel luglio del 1901. Più lunga e graduale risultò invece la fase di arredo e di rifinitura degli interni, dal momento che venne sostenuta solo attraverso finanziamenti privati e donazioni economiche. La consacrazione fu celebrata nel 1907 dal vescovo di Friburgo Justus Knecht, nonostante l'altare principale non fosse ancora completamente ultimato: persino lo stesso Meckel, artefice ideale dell'opera, alla sua morte nel 1910 non potrà vedere l'altare finito nella sua realizzazione, nonostante i disegni che ne guidavano la creazione riportassero la sua firma. A realizzare materialmente l'altare fu Joseph Dettlinger.
Ed eccolo davanti ai nostri occhi l'altare del Münster St. Jakobus, con la bellissima pala finemente scolpita e riccamente dipinta, guardato alle spalle da magnifiche vetrate a soggetti cromatici e realizzate come quelle delle navate nel 1904. Intorno a noi lo spazio è caratterizzato dal colore rosso dell'arenaria che compone le colonne, in contrasto con la tinta dei contrafforti che fanno mostra di un più neutro colore bianco. Lungo la superficie delle volte sono riportati meravigliosi affreschi opera di Carl Philipp Schilling che li realizzò tra il 1919 ed il 1920. Ospitate dalle due navate laterali stanno due altari minori di gran pregio, opera sempre di Dettlinger che li realizzò nel 1903 e nel 1906. L'organo, posto sopra il porticato d'ingresso, è del 1995. La bellezza degli interni è pari almeno all'eleganza dell'aspetto esteriore della cattedrale. La facciata è un tutt'uno con la torre campanaria, sulla cui sommità stanno sette campane bronzee realizzate dalla fonderia Heinrich Humpert e posizionate sulla cima del campanile nel 1949. In precedenza la torre dava alloggio a sei campane realizzate dalla fonderia Grüninger di Villingen nel 1902 ma fuse nel 1942 per trarne armi e munizioni, destino che già miracolosamente avevano scampato durante tutto il corso della I Guerra Mondiale per strenua opposizione del parroco Hermann Rinkenburger. L'aspetto attuale del Münster St. Jakobus, risultante dei restauri condotti prima tra il 1965 ed il 1966, poi tra il 2004 ed il 2008, è davvero sorprendente, merita davvero una visita. A creare un bel contrasto con la solenne architettura della cattedrale, di fronte alla facciata sorge la parete di muratura di un edificio commerciale tappezzata di bellissimi e coloratissimi murales, ulteriore elemento di pregio da attribuire a questo luogo. Ci attardiamo per qualche fotografia e rimontiamo in macchina. Facciamo ritorno all'albergo con a disposizione l'intero pomeriggio che trascorriamo presso la piscina dell'hotel, per l'immensa felicità di Amelia, un po' meno di Lidia che ancora non ama granchè i bagni nell'acqua fredda. Il tempo di un piacevole aperitivo consumato sulla terrazza dell'albergo, poi di una buonissima cena, sempre rumorosa per quanto ci riguarda, e la giornata volge al termine. Fortunatamente Amelia e Lidia sono già diventate le beniamine dell'albergo: tutti le guardano con sorrisi e tenerezza, nonostante urla, interminabili camminate avanti e indietro per la sala del ristorante tra i tavoli imbanditi, e qualche pezzo di pietanza lanciato per aria.
Nuova giornata, nuova avventura. Il sesto giorno di viaggio chiama in causa le nostre gambe ed i nostri piedi. Decidiamo di concederci una bella camminata su uno dei numerosissimi sentieri che si diramano attraverso la Foresta Nera. Scarpe comode e zaini leggeri, partiamo in automobile in direzione sud. Percorriamo parte della strada che abbiamo già percorso in precedenza per dirigerci verso Friburgo in Brisgovia. Macinati appena 9km, ci troviamo ad attraversare l'abitato di Furtwangen im Schwarzwald, località popolata da circa 9.500 persone detentrice di due peculiarità degne di rilievo. La prima è che questa cittadina risulta essere la più alta del land di Baden-Würrtenberg, posizionata a ben 1.150m s.l.m. La seconda caratteristica che vale una menzione a Furtwangen è il fatto che in passato fu il centro produttivo più importante per l'artigianato degli orologi dell'intera Foresta Nera. Proveniva da queste parti il celeberrimo orologiaio Emilian Wehrle, vissuto a cavallo del XIX secolo, inventore ed innovatore nell'ambito dei modelli di orologi musicali. la storia di questo personaggio è materiale da romanzo: nato da umili origini, intraprese la strada dell'orologeria nel 1857, dopo aver prestato servizio per alcuni anni nell'esercito regolare. Fin dagli inizi, la sua produzione di modelli non fu ampia in termini di numero, ma estremamente curata, sofisticata ed originale nei meccanismi. I prototipi da lui creati costituivano elementi di alta qualità venduti a prezzi molto elevati ed oggi sono esposti come pezzi pregiati in numerosi spazi museali sparsi per il Mondo. La poesia purtroppo finisce qua, dal momento che oggi gli eredi di Wehrle proseguono la tradizione di famiglia producendo solo componenti per contatori d'acqua e la stessa Furtwangen ha smesso di sfornare orologi di altissimo profilo ma viene citata soprattutto per l'industria di elementi meccanici di precisione e componenti di microelettronica. Del glorioso passato rimane solo il riconoscimento di essere inserita tra le località della Deutsche Uhrenstrasse, oltre alla presenza nella cittadina della Robert-Gerwig-Schule, la prima scuola tedesca di orologeria attiva fin dal 1850 con il nome di Uhrmacherschule. A conferire l'appellativo odierno alla scuola è la figura di Robert Gerwig, primo direttore dell'istituto scolastico ed illustre collezionista di orologi.
Ci lasciamo comunque Furtwangen alle spalle superando la facciata della Stadtkirche St. Cyriak, la cui costruzione ebbe luogo in stile neoromanico tra il 1859 ed il 1861 sopra le macerie di una precedente chiesa distrutta da un incendio nel 1857. L'edificio precedente, in stile barocco, eretto a partire dal 1733 e consacrato nel 1747, era già stato protagonista di un rogo provocato da un violento temporale nel 1743, il cui effetto si ripercosse soprattutto sulla torre campanaria. La struttura attuale, a tre navate con il campanile a sormontare la facciata, è frutto delle opere di ristrutturazione condotte tra il 1968 ed il 1972, nel 1997 ed infine nel 2015. Oltrepassiamo la Stadtkirche St. Cyriak che domina dall'alto, con la sua facciata collocata su un basso terrazzamento, la strada che percorriamo. In una manciata di minuti e percorsi complessivamente una ventina di chilometri, costeggiamo l'abitato di Gütenbach ed abbandoniamo l'automobile in un minuscolo parcheggio contrassegnato dal nome Wanderparkplatz Falsenkeller, a lato della Hauptstrasse. Appena un migliaio di abitanti e tappa della Deutsche Uhrenstrasse, la notorietà di questa piccola località è dovuta al fatto che ospita tra i suoi confini gli stabilimenti dell'azienda Faller, quotata produttrice fin dagli anni '50 del secolo scorso di articoli per il modellismo ferroviario. Fondata nel 1946 dai fratelli Edwin ed Hermann Faller inizialmente come fabbrica di giocattoli, oggi è conosciuta a livello nazionale ed internazionale. Facciamo il nostro ingresso a Gütenbach proprio transitando dinnanzi a parte dei suoi edifici contrassegnati dall'inconfondibile logo color blu e giallo con la piccola insegna a righe orizzontali rosse. Proprio a breve distanza da essi abbiamo smontato dall'automobile. Il Wanderparkplatz Falsenkeller è veramente poca roba: un minuscolo prato incolto all'ombra di una parete rocciosa, una piccola fontana in pietra la cui vasca appare ingombra di rifiuti, una panchina decrepita ed un antro nella parete di roccia chiuso da una grata rugginosa. Ci troviamo all'interno della Teichschlucht, la valle formata dal fiume Teichbach, il quale decorrendo verso sudovest incide la roccia per formare questa gola sottile e ricca di vegetazione, fino a gettarsi, circa a 2km di distanza dal Wanderparkplatz Falsenkeller, nelle acque del Wilde Gutach. La gola disegnata dal decorso del fiume costituisce uno degli esempi di valli erosive diffusi nei territori della Foresta Nera, risultante del progressivo affondamento della pianura fluviale con conseguente creazione di avvallamenti nella roccia. I pendii di questa valle, caratterizzate da grandi rocce nude e ripide pareti sassose, raggiungono i 400m di altezza, mentre il fiume, scorrendo sul fondo, tocca una pendenza del 13% su un dislivello complessivo di 250m, formando ripetutamente lungo il suo tragitto multiple rapide e piccole cascate. Oltre ad essere designata come area forestale protetta, le acque che scorrono all'interno della Teichschlucht portate dal Teichbach offrono lo spunto anche per il nome dell'attiguo villaggio di Gütenbach: il nome della valle e della gola deriverebbe infatti dal tedesco deich, traducibile in "fossato", a designare appunto la valle, mentre il villaggio era noto fino al XV secolo con l'appellativo Wuttenbach, scomponibile nel tedesco arcaico wütende bach che corrisponderebbe all'italiano "ruscello impetuoso", eredità del forte legame tra questa località ed il paesaggio che la circonda. Ed ecco il Teichbach scorrere proprio accanto al Wanderparkplatz Falsenkeller, punto in cui ci troviamo in attesa di iniziare il nostro cammino: transita discreto quasi senza farsi notare, chiuso in un canalone più basso rispetto al livello della strada, nascosto dalla vegetazione che ne accompagna il passaggio. I primi sentieri escursionistici in questa zona furono aperti negli anni '20 del XX secolo sotto la guida di Erwin Schwer, ma noi siamo interessati ad uno in particolare di essi.
Presso il Wanderparkplatz Falsenkeller, accanto alla fontana è posizionato un cartello direzionale che segnala il percorso della Balzer Herrgott Runde: si tratta di un percorso escursionistico disposto ad anello su una distanza totale di 16,5km e con un dislivello di circa 470m. Con due bambine al seguito, non riusciremo sicuramente a percorrerlo tutto, ma coprirne anche solo una parte sarebbe per noi già un gran successo. Quindi zaini in spalla e si riparte in cammino: Amelia ormai è una marciatrice provetta, Lidia ben sistemata al comodo nel suo marsupio. Il pannello informativo non fornisce informazioni granchè chiare, ed è così che pronti via sbagliamo subito direzione: ci inerpichiamo sul sentiero retrostante il parcheggio, impervio ed aggrappato ad un ripido versante roccioso, la cui via ci sembra subito incerta, ostacolata come appare di sterpaglie e rami caduti. Compiuti un paio di tornanti, arriviamo immediatamente al capolinea, costituito da un punto panoramico ricavato in un piccolo riparo in legno logoro ed ammuffito. Non è difficile intuire che la direzione è sbagliata e torniamo sui nostri passi. Inutile affidarci nuovamente al pannello informativo, se non è acqua è pan bagnato e partiamo per la direzione opposta. Il primo tratto di percorso si svolge su fondo asfaltato ed in discesa, affiancando il canalone basso in cui scorre il fiume Teichbach. Percorse poche centinaia di metri, la strada piega verso sinistra proseguendo su sterrato e costeggiando il versante di una collina che cala verso la via portando in dote un fitto bosco di abeti. Proseguendo oltre, si giunge in breve ad un casolare isolato, di cui si incrocia al bordo della via una sorta di fienile in legno protetto da un enorme tetto spiovente. Di fronte all'edificio, davanti all'ingresso e nel piccolo giardino antistante, incontriamo due donne, una delle quali probabilmente la proprietaria della struttura. Decidiamo, per maggior sicurezza, di chiedere loro indicazioni sulla direzione corretta da seguire per raggiungere la destinazione cui intendiamo arrivare. Mai decisione fu più funesta! Le due cordiali signore ci forniscono istruzioni segnalandoci di abbandonare la via per imboccare una salita su gradini di pietra che poco più avanti avremmo incontrato sulla nostra sinistra, spiegandoci anche di seguire i cartelli segnalatori marcati dal simbolo di un rombo giallo che avremmo trovato lungo il cammino. Ringraziamo e proseguiamo. Lasciatici alle spalle appena una ventina di metri ecco sulla sinistra aprirsi una ripida ed angusta scalinata rocciosa che sale addentrandosi nel bosco di abeti. Un segnale sbiadito con il predetto rombo giallo posto accanto all'inizio della salita sembra confermare quanto detto dalle nostre guide e pertanto ci avventuriamo sui gradini. La salita procede per una distanza non certo lunga, ma la pendenza del tragitto la rende comunque impegnativa, soprattutto con zaino e bambina sulle spalle. A metà strada incontriamo un altro decrepito punto panoramico ricavato in una struttura in legno il cui stato di conservazione comincia a farci sorgere qualche sospetto. La vista da qui sulla sottostante Teichschlucht è comunque gradevole.
Arrivati in cima alla scalinata svoltiamo a sinistra e seguiamo un sentiero sterrato sul margine del bosco. Procediamo per alcune centinaia di metri incontrando cumuli di foglie secche e rami caduti sulla pista. L'odore di bruciato si fa più intenso: si fa strada il dubbio di aver sbagliato direzione ancora una volta. Eppure le indicazioni corrispondevano al percorso che abbiamo seguito, quindi facciamo in tempo a procedere ancora per un bel tratto, prima di volgerci indietro e ritornare sui nostri passi: il sentiero comincia a presentare dei bivi poco segnalati e superati un paio di tornanti rischiamo di perdere la bussola e di non ritrovare la via una volta giunto il momento di fare ritorno indietro. Percorriamo a ritroso il sentiero, scendiamo la scalinata ed atterriamo nuovamente sulla strada asfaltata poco oltre il casolare. Camminiamo mantenendoci su questa via e poco più avanti, oltre una curva, ecco sulla sinistra una seconda salita a scalini, più breve rispetto alla precedente e collocata oltre una bassa staccionata di legno. Anche qui troviamo i segnali con l'ormai familiare rombo giallo insieme a cartelli indicanti direzioni e distanze dei sentieri. Oltrepassiamo la porticina aperta nella staccionata e saliamo facilmente i pochi gradini. In cima, il sentiero svolta a destra su superficie sterrata, dapprima stretto poi più largo e comodo, addentrandosi gradualmente nell'ombra del bosco. Eccoci finalmente sulla giusta direzione.
Il legame tra la Foresta Nera e la televisione non è testimoniata solo da questa produzione: negli anni '60 del XX secolo questa regione divenne infatti molto popolare come ambientazione di numerose pellicole con protagonista Roy Black, al secolo Gerhard Höllerich, celebre attore e cantante tedesco il cui nome non deriverebbe dal colore inglesizzato della foresta che stiamo attraversando, bensì da quello della sua capigliatura, coniugato con il nome del musicista americano Roy Orbison di cui Höllerich era grande ammiratore. Venti anni più tardi, sarà la serie televisiva "La Clinica della Forestan Nera" trasmessa anche sui canali nazionali italiani per un certo periodo, ad assumere la Schwarzwald come palcoscenico per le proprie trame. L'Unterfallengrundhof, la cui costruzione risale al 1925, è quindi in buona compagnia. Ci fermiamo un istante per godere del panorama tranquillo e silenzioso presidiato da questa lontana fattoria, nemmeno scalfito nella sua quiete dal parcheggio per automobili posto su un lato a concedere la possibilità ai più pigri di cominciare da qui il cammino. Percorriamo su asfalto la piattaforma sulla quale ci troviamo, ci reimmergiamo nel sentiero sterrato che prosegue in discesa aprendosi poco più in là su un altro prato erboso più piccolo e maturando in un'ultima discesa su una più larga pista soleggiata.
Ad 1km di distanza dall'altopiano aperto sulla vallata dell'Unterfallengrundhof, il cammino raggiunge finalmente quella che è la nostra destinazione finale: il contapassi, se lo avessi portato con me, segnerebbe che abbiamo percorso all'incirca 4km dalla partenza. Più in là il Balzer Herrgott Runde prosegue ritornando a cerchio verso il punto di origine, ma per noi concluderlo appare veramente proibitivo. Siamo però arrivati al Balzer Herrgott, sito che dona il nome all'intero percorso. Si tratta di un bellissimo faggio di età compresa tra i due e i tre secoli, nel cui spessore del tronco si trova un'immagine scolpita con soggetto il volto di Cristo. L'associazione dell'albero, retaggio antichissimo di Madre Natura, con l'effige sacra cristiana forma un connubio davvero particolare ed unico, strano ad ammirarsi e pieno di meravigliosa armonia. La data di provenienza della scultura inglobata nella corteccia, così come il suo autore, sono ignoti: secondo alcune teorie la statua venne abbandonata dagli ugonotti francesi in fuga dalla madrepatria a seguito delle persecuzioni a loro rivolte da re Luigi XIV nel corso del XVII secolo; secondo altre ricostruzioni la scultura venne abbandonata qui dai realisti in fuga dalla Francia rivoluzionaria; altri ancora affermano che a collocare qui l'immagine di Cristo fu un contadino della zona di nome Balzer Winkel intorno all'anno 1800. Quest'ultima corrente di pensiero sembrerebbe essere quella più accreditata, come testimonia il fatto che il nome del contadino è tuttora attribuito anche al sito stesso. Ulteriori narrazioni popolari raccontano di come la scultura avrebbe perduto le braccia dopo che un cacciatore di passaggio le colpì con delle schioppettate del suo fucile, adirato per aver mancato la mira e lasciato sfuggire la preda poco prima. Fonti storiche smentiscono comunque tutte queste teorie ammantandole di una coltre di leggenda. Gli annali ufficiale indicherebbero invece che sarebbero stati due apprendisti orologiai che abitavano queste zone a collocare tra il 1870 ed il 1880 la statua di Cristo a ridosso del faggio, dopo che per anni essa rimase abbandonata ai piedi dell'albero. Si ritiene che la scultura giunse qui gravemente danneggiata, proveniente da una fattoria di nome Königenhof situata nei pressi di St. Margen che venne rasa al suolo da una valanga nel 1844.
Quale che sia la sua origine, la statua del Balzer Herrgott, composta da arenaria calcarea di probabile provenienza friburghese, originariamente sostenuta con tutta probabilità da una croce in legno o metallo, fu progressivamente fagocitata con un movimento tanto lento quanto impercettibile dalla corteccia del faggio, venendo via via inglobata nello spessore del suo tronco. Oggi dell'immagine scolpita non si apprezza che solo poco più del volto, alla cui sommità alcuni fori percepibili ai lati della corona di spine farebbero presupporre che in origine vi fosse collocata intorno anche un'aureola di metallo oggi andata perduta. La vicenda di quest'opera non fu certo semplice e lineare come si potrebbe pensare. Per evitare infatti che il tronco si prendesse impietosamente l'intera superficie della scultura, furono necessari in epoca recente numerosi interventi di conservazione. Nel 1927 la corteccia concedeva ancora alla vista gran parte del busto della statua ma nel 1955 risultava già coperta fino al torace e nel 1986 ne rimaneva libera solo una minuscola parte del tronco e la testa reclinata. A quest'epoca risale proprio il primo intervento di restauro, quando Josef Rombach, intagliatore di Gütenbach, liberò dal legno arboreo lo spazio intorno al volto e parte del torace della statua. Contestualmente a ciò, la superficie libera dell'opera venne trattata con prodotti atti a prevenire il danno dell'umidità e l'aggressione da parte di muffe. Nel 1995 venne praticata una nuova incisione nella corteccia per arrestarne l'avanzata: a partire da tale data, il volto e parte del torace della scultura rimasero incorniciate da una nicchia con la forma che richiama quella di un cuore. Nel corso dei decenni successivi il volto di Cristo subì i continui danni deteriorativi condotti soprattutto dall'acqua piovana e fu così che nel 2014, su iniziativa dell'amministrazione del vicino villaggio di Gütenbach, si decise di pulire la nicchia rimuovendo le porzioni di corteccia marcita, di posizionare una piccola tettoia di lamiera sulla corteccia direttamente sopra la scultura e di cintare l'area per alcuni metri intorno al faggio di modo da renderla interdetta al camminamento, con il fine di preservare l'integrità delle radici dell'albero ed evitare che i passanti toccassero la superficie della statua. Questa attenta ed efficace opera di manutenzione ebbe il risultato di consegnare ai posteri un luogo magico e sorprendente, dal carattere mistico e spirituale.
Il valore di questo sito è testimoniata dall'importanza che gli venne attribuita nel corso dei secoli non solo dagli abitanti dei dintorni, ma anche da viaggiatori provenienti da lontano: il Balzer Herrgott divenne infatti ben presto una conosciuta meta di pellegrinaggio nella regione e al di fuori di essa. Arrivare qui in effetti ripaga di gran lunga la fatica fatta per percorrere il sentiero che la collega a Gütenbach. Alcune panchine posizionate intorno al faggio concedono riposo e la possibilità di una riflessione o semplicemente di una preghiera. Il silenzio è ininterrotto e davvero pacifico. L'ombra dell'albero abbraccia il viandante come le braccia di un padre accoglierebbero un figlio tornato da un viaggio lungo e faticoso. Il volto scolpito di Cristo commuove e valorizza tutto il meraviglioso contesto circostante. Per chi volesse, una piccola cassetta di latta posta ai piedi della cinta di fronte alla scultura, tra ninnoli e piccoli oggetti votivi lasciati dai passanti, custodisce un diario sulle pagine del quale è possibile lasciare la propria firma o un proprio pensiero. A lato, alcuni pannelli espositivi esplicano con chiarezza tutte le fasi di conservazione del sito. La visita è veramente di valore e vale sicuramente la camminata compiuta. Ci prendiamo un po' di tempo in compagnia di altri pellegrini fermi come noi sulle panchine davanti al faggio. Lasciamo passeggiare un po' la piccola Lidia in libertà per sgranchire le gambe e ci rimettiamo in viaggio per il ritorno. Compiamo la strada a ritroso senza fermarci e ci ritroviamo nuovamente al Wanderparkplatz Falsenkeller. La giornata volge al termine e ci serve riposo per gli 8km complessivi compiuti in cammino. Amelia è stata bravissima, cresce e con lei crescono anche i suoi passi.
La fine del viaggio si avvicina, abbiamo ancora pochi gettoni da spendere. L'ultimo giorno di visita nella Foresta Nera la impegniamo in un itinerario ricco e divertente. Come si suol dire, finiamo con il botto! Partiamo di buona lena e percorriamo in auto i 40km verso nord che separano il nostro albergo da Schiltach. E' questa un'ordinata e tranquilla cittadina di circa 4.000 abitanti, celebre tra i percorsi turistici locali per il prezioso centro storico che custodisce. Le origini di questo piccolo centro abitato risalgono al XIII secolo, quando intorno al 1250 i duchi von Teck, ramo secondario del casato Zähringen estintosi nel 1493, costruirono sul luogo una fortezza intorno alla quale venne progressivamente a condensarsi il primo nucleo del villaggio. La prima menzione storica ufficiale di questo agglomerato urbano è del 1276. Nel 1371, con la morte di Hermann von Teck, questo possedimento passò in eredità al nipote Konrad VII von Urslingen: da questa dinastia la città trarrà quello che ancora costituisce lo stemma araldico, tre scudi di colore rosso su sfondo bianco. Dieci anni più tardi, nel 1381, i von Urslingen vendettero il feudo ai von Württemberg. Oggi di questo antico ed aristocratico passato rimane ben poco, dal momento che il castello cadde in rovina nel corso del XVIII secolo e di esso sopravvivono oggi solo scarsi resti, dopo che gli stessi von Württemberg ne ordinarono lo smantellamento nel 1749 per ricavarne materie prime come pietra e legname. Il punto di partenza dal quale iniziamo la nostra visita è la Schrambergerstrasse, dove posteggiamo l'automobile. A lato di questa via scorre discreto il fiume Schiltach, omonimo della cittadina che attraversa: subaffluente del Reno, questo corso fluviale origina circa 25km più a sud, presso St. Georgen im Schwarzwald, e termina il proprio decorso di una trentina di chilometri presso la cittadina con la quale condivide il nome. Appellativo che peraltro contiene la desinenza arcaica -ach, proveniente dal termine latino aqua, a confermare lo strettissimo rapporto tra questi territori e la risorsa idrica che li arricchisce. Ai bordi del fiume, lungo Schrambergerstrasse, sorge lo Schiltach Vorland, le rive fluviali adibite a spazio verde pubblico nel punto in cui lo Schiltach appare solo come un tranquillo e basso torrente.
Poco più avanti, una svolta a destra ci proietta sulla Hauptstrasse, e da qui in capo ad un centinaio di metri giungiamo attraverso una breve salita nel centro storico. L'Altstadt è il cuore della cittadina, un'autentica e vitale testimonianza delle sue origini medievali. Il suo valore culturale è veramente inestimabile, in virtù delle sue intatte condizioni di conservazione testimoniate dalla massiccia presenza di case tradizionali con facciate a graticcio, le Fachwerkhäuser, che ne tappezzano ogni spazio. Ogni angolo di questo quartiere di Schiltach è tappezzata da questi edifici antichi, contraddistinti da telai di legno a vista con travature inserite nello spessore delle pareti e collegate tra loro con vari disegni o angolature. Ogni centimetro del centro storico ne è letteralmente permeato senza che queste costruzioni lascino il minimo spiraglio ad architetture di altro genere. Sono ovunque e non ce ne sono due uguali.
Queste costruzioni sono tipiche dell'Europa centrale in un arco temporale che va dal medioevo al XIX secolo, e come tali portano sulle proprie spalle, quando ben conservate come a Schiltach, il peso ed i contenuti di secoli e secoli di storia e tradizione. Non è difficile immaginare i conciatori medievali stendere le proprie pelli ad asciugare, come era consuetudine per un'arte tra le più diffuse qui in quell'epoca, lungo i tetti delle stesse Fachwerkhäuser che possiamo ammirare ancora oggi. Fa un certo effetto pensarci. Il risultato è l'impressione veramente vivida di penetrare con un salto all'interno di una cartolina proveniente da centinaia d'anni di distanza, come con un balzo Mary Poppins (non so proprio perchè mi venga in mente sempre lei!) riusciva a saltare all'interno dei dipinti a gesso composti da un simpatico spazzacamino lungo l'asfalto dei giardini pubblici londinesi. O forse sarebbe meglio dire che addentrarsi e passeggiare per le vie silenziose di Schiltach, quiete come la brace sopita di un fuoco arso per lunghissimo tempo, fornisce l'illusione di trovarsi su un set cinematografico d'epoca. Ma a differenza del palcoscenico, questo luogo è sorprendentemente vero, autentico, ed è questo che rende questa cittadina una delle più iconiche e riconosciute di tutta la Foresta Nera, ed in particolare della Mittlerer Schwarzwald. Anche dopo averlo visitato posso affermare senza dubbio che il centro storico di Schiltach è uno dei luoghi da non perdere se si viaggia in queste zone.
Il nocciolo dell'Altstadt è Marktplatz, la piazza principale, il punto in cui originariamente veniva tenuto il mercato cittadino di cui oggi rimane traccia solo nel nome della piazza stessa, dal momento che qui si svolge ormai solo un mercatino natalizio durante il periodo dell'Avvento, mentre il mercato ordinario è stato spostato a breve distanza ma sulla riva opposta dello Schiltach, fuori dall'Altstadt. L'aspetto di Marktplatz appare piuttosto particolare, quasi bizzarro: a pianta triangolare, è in costante pendenza, ed una pendenza ragguardevole per giunta, procedendo dal basso del lato rivolto verso Hauptstrasse su a salire per qualche centinaio di metri, a mano a mano che si allontana da essa, in direzione della piattaforma che ospita le rovine dell'antico castello. L'origine della piazza è ovviamente medievale, anche se l'aspetto attuale è frutto di un lavoro di ricostruzione commissionato dal duca Ludwig Eugen Johann von Württemberg dopo che nel 1791 un violento incendio la distrusse con buona parte degli edifici affacciati su di essa. Ed in realtà questo canovaccio è ben noto alla cittadina, dal momento che questo rogo venne preceduto da tre disastri similari nel 1511, nel 1533 e nel 1590, tutti a coinvolgere l'Altstadt e Marktplatz, la quale dopo l'ultimo di questi roghi sarà ricostruita su progetto di Heinrich Schickhardt. L'incendio più recente che coinvolse Schiltach risale appena al 1833. L'opera di ricostruzione, recupero, restauro e conservazione condotta negli anni ha consegnato ad oggi una piazza dalla grande personalità: ben 13 edifici affacciati su di essa sono di riconosciuto valore storico e culturale, mentre solamente uno, il civico numero 1 posizionato all'estremità nordoccidentale dello spiazzo, rappresenta un fabbricato ordinario ospitante la sede di una banca. Di fronte a quest'ultimo però, sta il primo degli elementi architettonici storici di Marktplatz che si incontra provenendo da Hauptstrasse, direttamente sul confine con essa: è il Museum am Markt, una costruzione a graticcio oggi adibita a spazio museale dedicato alle tradizioni ed all'architettura della città, l'ultimo piano ad area espositiva per mostre d'arte temporanee. Appartenuto in origine ad un uomo di nome Wagner Lutz, dal 1985 la struttura venne acquistata dall'amministrazione locale e dal 1989 le fu assegnata la funzione di museo. L'intera costruzione subì lavori di restauro nel 2011.
Grossomodo di fronte al Museum am Markt, sul lato opposto della piazza, sorge invece la Gasthaus Sonne, un bell'edificio a graticcio dall'imponente facciata, animato da due file di dieci finestre dotate di vivaci persiane verdi. La sua costruzione risale al 1791 ed oggi come allora ospita gli ambienti di una locanda. Spingendosi verso il centro di Marktplatz, si viene circondati dalla sua incredibile atmosfera, e le case a graticcio formano un cerchio come a voler comporre un girotondo intorno al visitatore. Al centro di questa danza sta la Stadtbrunnen, una fontana in arenaria rossa, a vasca ottagonale dai bordi rivestiti di legno di quercia, nel mezzo della quale si innalza una colonna alta 3,6m dominata dalla figura scolpita di un leone nell'atto di sostenere lo scudo della città. L'aspetto attuale della Stadtbrunnen è frutto di un'opera di restauro condotta dallo scultore Batlhasar Russmann e dal fabbro Martin Schnurrberger nel 1751. E' questa fontana a dare voce alla Marktplatz con il suono nell'acqua che si getta nella vasca. Di fronte alla Stadtbrunnen, quasi rintanata poco dietro la linea delle facciate delle Fachwerkhäuser vicine, ecco un elemento di distinzione, qualcosa che stona lievemente discostandosi dallo spartito. Al civico numero 8 di Marktplatz sorge un edificio diverso da tutti gli altri: oltre ad essere più piccolo e a detenere forme più arrotondate e morbide sul profilo del timpano, quasi delle onde, non fa sfoggia di alcuna struttura a graticcio. Non che ne sia priva, anzi. Questo edificio cela piuttosto dietro alla propria originalità una storia alquanto curiosa: si tramanda che l'antico proprietario si maritò con una donna originaria della vicina regione francese della Lorena e volendone compiacere il gusto architettonico celò la struttura a graticcio dell'abitazione dietro uno strato di intonaco bianco, nascondendo così la facciata originaria della casa. Evidentemente la consorte transalpina non gradiva l'aspetto rustico delle Fachwerkhäuser. Altro punto degno di nota della piazza è l'Apothekenmuseum, situato sullo sfondo, accanto alla Gasthaus Sonne ed a breve distanza da essa: si tratta di un museo dedicato alla storia della scienza farmaceutica, ospitato in un'elegante costruzione a graticcio che fu l'ambiente di una reale farmacia attiva dal 1837 al 1985.
Il museo fu inaugurato nel 1989 ed oggi costituisce il più grande spazio museale tedesco dedicato a questo argomento, ospitando il dispensario originale della farmacia oltre a numerosi oggetti e reperti storici sul tema. All'esterno da notare il bel dipinto a muro raffigurante due uomini intenti a distillare qualche intruglio curativo da un alambicco.
L'elemento principe di Marktplatz è pero la Rathaus, posizionata a dominare un lato della piazza dietro la Stadtbrunnen. Il municipio, con le sue forme squadrate, sembra voler sovrastare lo spazio della Marktplazt come un trono in una sala reale. Fu eretto nel 1593 ma il timpano a gradoni che ne caratterizza l'aspetto non risale che al 1905. A definire il carattere di questo edificio sono però i bellissimi affreschi che ne coprono la facciata, opera di Eduard Trautwein che li creò nel 1942. Il tema di questi dipinti sono gli episodi che contraddistinguono la storia di Schiltach, ma tra di essi se ne trova uno più significativo e curioso degli altri: sulla sinistra, lungo la parete di una colonna laterale del porticato al piano terra, spicca il disegno di una fanciulla, affiancata da una creatura demoniaca, intenta a gettare un liquido infiammato contenuto in un secchio verso il tetto di un edificio. Questa raffigurazione rimanda alla leggenda del Teufel di Schiltach, che è sì in parte una leggenda ma possiede anche un fondo di verità e sicuramente un epilogo drammatico e grottesco. Per cominciare occorre tornare indietro all'anno 1533, epoca in cui Jakob Schörnlin, sindaco di Schiltach e proprietario di una locanda presso Marktplatz, decise di assumere a servizio come cameriera presso la propria gasthaus una giovane donna proveniente dal vicino villaggio di Oberndorf am Nackar. Non trascorse molto tempo dall'arrivo della fanciulla che nel villaggio iniziarono a circolare voci e pettegolezzi inerenti la presenza di spiriti e fantasmi presso la locanda in cui aveva iniziato a lavorare: numerosi avventori affermavano con assoluta certezza di aver udito nei locali dell'ostello degli strani ed inspiegabili fischi, rumori sinistri ed improvvisi, alcuni riferivano addirittura stravaganti episodi molesti causati da entità inintelligibili. L'incapacità di individuare la causa di questi eventi fece concludere al popolo che la locanda doveva sicuramente essere infestata da un demonio. Il fiocco di neve divenne con il tempo una valanga e si buon ben comprendere come la cosa non andasse troppo a genio al buon Schörnlin, dal momento che la sua locanda veniva accuratamente evitata come cosa gravata di soprannaturale pericolo. E fu così che l'intraprendente locandiere ingaggiò due preti esorcisti per liberarsi del maleficio, senza però ottenere il successo sperato. Questo non fece altro che confermare le teorie dei superstiziosi: occorreva trovare a tutti i costi un capro espiatorio. E chi meglio dell'ultima arrivata, la povera cameriera di Oberndorf am Nackar? Costei venne licenziata senza indugio e con il suo allontanamento dalla gasthaus i fenomeni presunti paranormali, in effetti, cessarono. Tutto sistemato, certo, se non fosse che dieci giorni dopo il licenziamento della cameriera, la notte del 10 aprile 1533, un violento incendio divorò la piazza e gli edifici che vi si affacciavano. L'origine del rogo venne stabilito a posteriori proprio sul tetto della locanda condotta da Schörnlin. Ecco quindi che tutto sembra tornare: non si impiegò sicuramente più di qualche istante a collegare l'incendio con l'infestazione demoniaca della gasthaus. E come dubitare che l'autore del disastro sia stato la povera cameriera scacciata pochi giorni prima? La fanciulla venne accusata di stregoneria ed arrestata. Alcuni testimoni affermarono addirittura di averla vista camminare sui tetti della piazza in compagnia di un demonio, quindi dare alle fiamme, come atto vendicativo, il tetto della locanda in cui era stata impiegata. Ecco illustrato a parole il dipinto che abbiamo ammirato poc'anzi lungo la facciata della Rathaus. A nulla valse il fatto di aver appurato che la donna fosse lontana da Schiltach la notte in cui scoppiò l'incendio: ovviamente la lunga distanza era stata percorsa dalla strega a bordo della propria scopa volante. Gettata in cella, la giovane cameriera venne sottoposta ad atroci torture ed infine confessò un crimine che evidentemente non aveva mai commesso, oltre alla complicità con quello che da allora in avanti sarà noto come il Teufel, letteralmente traducibile con "diavolo", di Schiltach. Venne condannata al rogo ed arsa viva il 21 aprile 1533 presso Oberndorf am Nackar: di lei non si tramanderà negli anni nemmeno il nome, tanto fu il rabbioso rancore che la popolazione montò ingiustificatamente verso la sua persona. Ironia della sorte, poco dopo questi eventi, un negromante vagabondo confessò presso la cittadina di Ingolstadt di essere l'autore dell'incendio che devastò la piazza di Schiltach, ma non venne creduto: raccontò anche di conoscere la sventurata cameriera e che proprio costei, non è dato conoscere con quale motivazione, lo aveva aiutato a trovare un riparo temporaneo nascondendolo all'insaputa di Schörnlin all'interno della sua locanda. L'umorismo e la goliardia del negromante avevano fatto il resto: non potendo resistere a giocare qualche scherzo e a prendersi burla degli avventori che giungevano alla locanda, aveva involontariamente dato vita alla leggenda del Teufel. Non poteva sapere che le sue facezie avrebbero alimentato il sospetto ed il risentimento, portando alla rovina la sua benefattrice. L'allontanamento della cameriera da Sciltach dovette sembrare una grande ingiustizia al negromante e fu per rivalsa che una notte salì sul tetto della locanda per darle fuoco, scatenando così il più terribile degli incendi che nei secoli coinvolse questa città. L'impressione che la storia del Teufel fece sugli abitanti del posto fu tanto grande che a partire dal 1533 gli furono attribuiti tutti gli incendi che prima e dopo coinvolsero Schiltach e tutte le località limitrofe. Non solo! Questa narrazione valicò confini terrestri e marittimi, per un secolo e mezzo si diffuse a livello continentale e sorprendentemente anche al di fuori di esso, venne discussa da filosofi e studiosi, molti dei quali la presero a riprova dell'esistenza effettiva della stregoneria e della connessione tra questa e molte calamità naturali. Tra di essi nomi insospettabili come quelli di Erasmo da Rotterdam. Questa vicenda segnò un punto marcato ed indelebile anche per la storia della Foresta Nera, dando inizio ad una stagione cruenta e folle di caccia alle streghe che proseguì per decenni. A Schiltach venne arsa al rogo nel 1591 una donna di nome Brigita Dieterle, accusata di aver appiccato con l'uso della stregoneria l'incendio che aveva bruciato la città un anno prima. Fino al 1631 furono ben 9 le donne uccise a Schiltach a seguito dell'accusa di stregoneria. La cupa reputazione che la regione della Foresta Nera acquisì in questo periodo fu probabilmente di ispirazione per due tra i più celebri favolisti della storia dell'umanità: queste macabre vicende di streghe, diavoli e magia spinsero Jacob Ludwig Karl Grimm e suo fratello Wilhelm Karl Grimm ad attingere, per contestualizzare le proprie storie, proprio agli scenari della Schwarzwald, ambientandovi secondo molti autorevoli pareri le proprie fiabe. Seppure i luoghi non siano mai così chiaramente specificati nelle narrazioni, lasciando così spazio alla fantasia del lettore, è comunque plausibile pensare che i due scrittori tedeschi potessero pensare anche, se non solo, ai fitti ed oscuri boschi della Foresta Nera nel comporre i propri scritti, visto che entrambi nacquero a brevissima distanza, presso Francoforte, rispettivamente nel 1785 e nel 1786. A conferma di ciò, ci giungono alcune leggende tipiche della Foresta Nera tramandate da tempi lontani: ad esempio quella della figura di provenienza medievale di Knecht Ruprecht, noto anche con l'appellativo di Servo Nero, un uomo abietto che costrinse la sorella ad andare in sposa al malvagio Bruno von Steinegg, salvo poi il fatto che costei fuggì nel bosco trovando riparo presso una caverna abitata da dei buoni nanetti. Oppure come quella dei Freischutzen, potenti arcieri che ottennero la capacità di una mira infallibile in cambio di un patto con il demonio che li condannò a trasformarsi in lupi ogni notte di Luna piena. Foreste, nani, lupi, suonano decisamente familiari se si richiama alla memoria molte delle favole dei fratelli Grimm. La fama di questi due favolisti arriva solida e durevole fino ai giorni nostri, ma forse non tutti sanno che in principio non fu quella di scrittore la carriera scelta dai Grimm: entrambi studiarono infatti legge e ad avanzare l'idea di comporre una raccolta di racconti popolari tedeschi tramandati di generazione in generazione, spesso solo oralmente, fu Jacob, all'epoca impiegato come bibliotecario. E fu a partire da tale idea che poco dopo, nel 1812, venne dato alla luce e pubblicato il primo volume dei fratelli Grimm intitolato "Kinder-und Häusmarchen", traducibile in italiano con "Le Fiabe del Focolare". E l'idea era proprio questa: condensare, tra le pagine di un libro, secoli di narrazioni folcloristiche costruite intorno al concetto di focolare, inteso come luogo di aggregazione presso il quale si forma e mantiene l'identità di una famiglia, un popolo, una nazione. Scopo perseguito facendo leva sul sentimento e sulle superstizioni popolari, con il fine di tramandare insegnamenti morali e comportamentali. Proprio quello di stimolare un senso di appartenenza, di unità, oltre che di uniformità linguistica, in un'età in cui la Germania era frammentata in decine di principati ed enclavi, era l'intento dei Grimm, obiettivo confermato anche dalla stesura da parte loro del "Deutsche Wörterbuch", uno dei primi dizionari tedeschi e tuttora pietra miliare della lingua germanica, pubblicato per la prima volta in 33 volumi nel 1838 e completato postumo solo 123 anni più tardi, nel 1961. La prima edizione del "Kinder-und Häusmarchen" fu seguita nel 1815 da una seconda ristampa e fino al 1857 furono sette le edizioni di questo testo pubblicate dai fratelli Grimm, l'ultima delle quali conteneva ben 210 storie, una considerevole crescita numerica se si pensa che la prima pubblicazione ne conteneva appena una cinquantina. Tale importante produttività resistette anche al distanziamento di Jacob dall'opera letteraria, maturato con l'esigenza di dedicare maggiore spazio agli studi filologici, lasciando pertanto al Wilhelm il grosso del lavoro editoriale. Le storie contenute in questo volume, in fedeltà allo scopo prefissato, non erano inizialmente concepite per il solo pubblico infantile, tutt'altro. Ne è testimonianza il fatto che nelle versioni originali, quelle partorite direttamente dalle penne dei fratelli Grimm, i racconti erano molto più crudi, a volte truci, spesso e volentieri dotati di risvolti grotteschi, arricchiti di passaggi macabri e con epiloghi spaventosi, a cui si aggiungono ambientazioni cupe e scenari tenebrosi. Questi tratti risultarono fin da subito indigesti per la società perbenista dell'epoca e fu per questo che le storie dei Grimm divennero ben presto oggetto di discussione e di controversia, non solo in ambito letterario, ma anche sociale. Il dibattito, data l'ampia diffusione dell'opera, valicò i confini tedeschi e coinvolse l'intero continente, e fu così che nel 1857 la prima versione attenuata dei racconti, adattata con tratti edulcorati e sempre a lieto fine, comparve in Inghilterra nel 1857: i fratelli Grimm dovettero accettare da lì fino alla loro dipartita, avvenuta nel 1859 e nel 1863, di vedere modificate significativamente le proprie storie. Certo non fu un cambiamento da poco, la censura lavorò sicuramente con mano pesante, ed è per questo che nel leggere oggi i racconti originari c'è di che sorprendersi. Iniziamo da Biancaneve: nella versione originale non era una fanciulla bella e gentile, ma solo una bambina di 7 anni e a perseguitarla per la sua bellezza non era una strega malvagia ma la madre della bimba, la quale chiese ad un cacciatore di ucciderla nel bosco e di portarle a riprova del misfatto il fegato ed i polmoni della vittima affinchè potesse cibarsene. Inoltre, dopo aver addentato la mela avvelenata ed essere caduta in un sonno simile alla morte, Biancaneve non verrà svegliata dal bacio di un principe ma dalla sbadataggine di un suo servitore, il quale, nel trasportarne il feretro verso il castello, inciampò in una radice e fece distrattamente cadere la bambina in un dirupo, un urto tanto violento da far uscire dalla gola di Biancaneve il pezzo di mela ingoiato. Nella favola di Cenerentola le due sorellastre si mozzano le dita dei piedi ed i talloni pur di ingannare il principe e calzare la celebre scarpetta, che è d'oro e non di cristallo: una volta rivelato l'inganno, due corvi caveranno gli occhi dalle orbite delle due zitelle come punizione per il tentato raggiro. Hänsel e Gretel vengono abbandonati nel bosco dalla madre, non da una matrigna senza scrupoli, la stessa madre che proverà rammarico e rabbia, fingendo anzi gioia e sollievo, quando vedrà i due bambini fare ritorno a casa al termine della storia. Quella tra Raperonzolo ed il bel principe non fu un amore platonico, a tal punto non lo fu che la fanciulla arriverà a portare in grembo il frutto di questo amore e scoperta dalla strega Gothel verrà allontanata dalla torre ed abbandonata in un arido deserto inospitale, circostanza che condurrà il principe a gettarsi dall'alto della torre per la disperazione di averla perduta. Per concludere con Cappuccetto Rosso, che nella stesura dei Grimm è un'adolescente di 15 anni e giunta alla casetta della nonna incontra sì il lupo, ma questi ha divorato solo parte della vecchina, stipando il resto nella dispensa per darlo in pasto proprio alla nipote. Con la perdita di tutte queste sfumature, forse i racconti evocati dai Grimm smarriscono parte del loro valore evocativo e tradizionale, oltre al potere esorcizzante sulle paure ancestrali dei lettori. In merito a tale adulterazione, nel 1813 Jacob Grimm scrisse queste parole in un'epistola: "La differenza tra le fiabe per bambini e quelle del focolare, ed il rimprovero che ci viene mosso di avere utilizzato questa combinazione nel nostro titolo, è più una questione di lana caprina che di sostanza. Altrimenti bisognerebbe letteralmente allontanare i bambini dal focolare dove sono sempre stati e confinarli in una stanza. Le fiabe per bambini sono mai state concepite ed inventate per i bambini? Io non lo credo affatto e non sottoscrivo il principio generale che si debba creare qualcosa di specifico appositamente per loro. Ciò che fa parte delle cognizioni e dei precetti tradizionali da tutti condivisi viene accettato da grandi e piccoli, e quello che i bambini non afferrano e che scivola via dalla loro mente, lo capiranno in seguito quando saranno pronti ad apprenderlo. E' così che avviene con ogni vero insegnamento che innesca ed illumina tutto ciò che era già presente e noto, a differenza degli insegnamenti che richiedono l'apporto della legna ed al contempo della fiamma." Una cosa però le favole dei fratelli Grimm hanno mantenuto intatta nei secoli: Biancaneve trova rifugio nella casetta dei nani occultata nel bosco, Hänsel e Gretel si smarriscono nel bosco prima di trovare la casa di marzapane, Raperonzolo è prigioniera in un'altissima torre situata in un punto segreto del bosco, Capuccetto Rosso attraversa il bosco prima di giungere alla capanna della nonna. Il bosco è il filo conduttore di buona parte dei racconti dei Grimm, un elemento senza il quale le storie non sarebbero le stesse. E qui torniamo alla Foresta Nera, che assume quindi il ruolo di un elemento magico, misterioso, un'entità vitale ed animata da uno spirito dinamico, elementi che in parte, fuori dalla fantasia, si ritrovano nelle reali vicende che ebbero come palcoscenico questi luoghi, come quelle del Teufel di Schiltach. Chissà se Jacob e Wilhelm Grimm furono mai in Marktplatz? Se ci passarono, spero che abbiamo avuto lo stesso piacere che abbiamo avuto noi nel visitarla.
Abbandoniamo la piazza non prima di averne tentato la scalata per dirigerci verso la collina che ospita le rovine del castello. La salita con tanto di passeggino al seguito dovrebbe essere inserita, a mio parere, tra le discipline olimpiche. Un cantiere edile sbarra però il passaggio. Niente da fare, abbandoniamo Marktplatz attraverso la stessa via da cui siamo arrivati. Nel farlo incrociamo la Gasthaus Adler: all'andata era sfuggita ai nostri sguardi, rintanata sul lato all'incrocio con la Hauptstrasse, ma la sua facciata, con le travi a graticcio di un bel rosso accesso ed un grande bovindo ad un'estremità, merita sicuramente di essere osservata. Fa parte della piazza solo dal 1840, anno in cui venne demolita una sezione muraria che separava questo edificio da Marktplatz, ed oggi ospita un albergo, compito che svolge fin dal 1604.
Attraverso Hauptstrasse ritorniamo al punto di partenza, rimontiamo in auto e ci apprestiamo ad abbandonare Schiltach. Valichiamo il fiume e poco più avanti, sul limitare del centro abitato, incontriamo la Evangelische Stadtkirche, chiesa in stile bizantino realizzata tra il 1839 ed il 1843 su progetto di Heinrich Leonhardt sopra un precedente tempio gotico andato distrutto dalle fiamme. E' una delle più grandi chiese protestanti della regione del Baden-Würrtemberg, lunga ben 49m e larga 24m. Il campanile è alto 54m e supera di 27m il resto della struttura. La costruzione di questo edificio richiedette un ingente sforzo economico, sostenuto per buona parte dagli abitanti della cittadina: i sostanziosi contributi e le donazioni ricevute non evitarono però all'amministrazione di Schiltach di indebitarsi pesantemente per completarla, al punto di giungere addirittura vicinissima alla bancarotta. Solo dopo decenni i conti furono sistemati e la chiesa potè finalmente essere consegnata serenamente alla città.
Ci fermiamo per un istante ad ammirarne l'imponente struttura in arenaria disposta su tre navate e dotata di due file parallele di vetrate. Giusto il tempo di una fotografia mentale e subito si riparte. A breve distanza la via si affianca al corso del Kinzig, fiume affluente del Reno che scorre per 93km di lunghezza interamente tra i confini del Baden-Würrtemberg, formando il sistema di valli di origine fluviale più esteso di tutta la Foresta Nera. Poco più in là, presso l'abitato, era stato proprio il Kinzig a ricevere le acque del fiume Schiltach che in esso termina il proprio breve tragitto. Questo corso d'acqua, il cui animo antico sarebbe testimoniato dal nome di derivazione celtica che si potrebbe tradurre con la parola "acqua", riveste molteplici significati. Innanzi tutto, il fiume fu importante crocevia di passaggio per i cammini antichi, come conferma il fatto che lungo le sue sponde in epoca romana venne realizzata una importante strada che collegava le località di Offenburg a quella di Rottweil. In secondo luogo, il Kinzig fu fondamentale rotta commerciale per il trasporto di legname, che lungo le sue acque veniva spostato dalla Foresta Nera verso il Reno e Strasburgo ad opera di corporazioni chiamate Schifferschaften presiedute da ricchi mercanti locali. Tale attività, citata fin dal 1339 ed ampiamente sviluppata tra il XV secolo ed il XVI secolo, contribuì grandemente allo sviluppo economico di questa regione. Infine, la sua valle principale, la Kinzigtal, è la valle fluviale più profonda dell'intera Foresta Nera: qui i villaggi si posizionano ad un'altitudine anche inferiore ai 200m s.l.m.: questa caratteristica rende il clima di quest'area particolarmente temperato e favorevole alla coltivazione della vite, circostanza più unica che rara in un ambiente boschivo e d'altura come quello tipico della Schwarzwald. Proprio nella Kinzigtal ci troviamo nel percorrere la strada che ci allontana da Schiltach. In capo ad una ventina di chilometri, direzione sudovest, giungiamo nel villaggio di Gutach Schwarzwaldbahn, appena 2.300 abitanti, il cui nome deriva da quello dell'omonimo fiume che vi scorre accanto, e che poco più a sud genera le Triberger Wasserfälle, associato al nome della ferrovia i cui binari affiancano il centro abitato, per distinguere questa località da Gutach im Breisgau situata più a sud. Questa piccola cittadina fu storicamente legata prima al casato dei von Hornberg, successivamente e fino al 1810 a quello dei von Würrtemberg, infine fu ricompresa tra i territori del Granducato di Baden. E' ora di pranzo e percorrendo la via che attraversa il villaggio scorgiamo a lato un ristorante che attira la nostra attenzione. Ci fermiamo per consumare il pasto presso il Gasthof Krone, un pranzo veramente male assortito, ma la compagnia riscatta abbastanza le pietanze ignobili: incontriamo infatti una comitiva numerosa di motociclisti italiani che stanno attraversando la Foresta Nera in sella ai loro bolidi. E' il compleanno di Alice ed i simpatici centauri intonano una canzone di auguri che attira ovviamente le attenzioni di tutti gli astanti. Terminato il pasto, ci spostiamo di poco per dare una sguardo ad alcuni dei siti più significativi di Gutach Schwarzwaldbahn. Confinante con il ristorante sorge la Pfarrkirche St. Peter und Paul, la chiesa cattolica. Di questo edificio c'è poco da dire: la facciata appare spoglia ed essenziale nelle forme, senza fronzoli o decorazioni ma coperta da un'uniforme tinta bianca che ne riempie la spigolosa sagoma; la torre campanaria, bassa e coerente rispetto al corpo principale, sembra detenere unicamente significato funzionale senza velleità decorative; le fenestrature, poche e a forma di croce, aggiungono poco al resto del contesto. La sua costruzione risale all'epoca moderna, circa agli anni '60 del XX secolo.
Procedendo otre lungo la Kirchstrasse che sfila davanti all'anonima Pfarrkirche St. Peter und Paul, il percorso supera il fiume Gutach sul dorso di un breve ponte proiettandosi sulla riva opposta, dove ad appena 100m di distanza si innalza la struttura più notevole della Evangelische Peterskirche, la chiesa protestante. La presenza di un tempio in questo luogo è testimoniata in documenti ufficiali fin dal 1275, epoca in cui fu probabilmente il patrocinio dei von Hornberg a determinarne la costruzione. A seguito della Riforma Protestante del XVI secolo, il tempio abbandonò la professione cattolica per assumere quella protestante, dopo che nel 1534 i von Würrtemberg imposero questo credo a tutto il volgo.
L'aspetto odierno della chiesa risale al XVI secolo, anche se la navata non fu ultimata nella sua struttura attuale in stile barocco che nel 1743. La facciata anch'essa austera ed uniforme, senza particolari decorazioni e priva di importanti vetrate, appare più elegante e distinta rispetto alla sua dirimpettaia. La torre campanaria, posta sul fondo a sormontare il presbiterio, detiene sulla cima una cupola a cipolla risalente al 1781. Sul lato sinistro della Evangelische Pfarrkirche, accanto alla facciata a precedere un piccolo camposanto disposto sul fondo del complesso, è sicuramente da ammirare l'elemento che più di tutti, a mio parere, merita la visita di questo piccolo villaggio, sia per la bellezza della fattura, sia per il significato storico che detiene. Il Kriegerdenkmal è un monumento commemorativo dei caduti tedeschi, abitanti della zona, nel corso della I Guerra Mondiale. E' opera di Curt Liebich che la realizzò nel 1923. I valori di questa scultura soni molteplici, a partire dal soggetto, una donna vestita in abiti tradizionali, seduta su una base di granito, la testa reclinata e sostenuta dalla mano nell'atteggiamento disperato di chi contempla e percepisce il proprio profondo dolore per un tragica perdita, nell'altra mano i simboli di un lutto che inesorabilmente scivolano via senza portare nessuna consolazione. L'espressione del volto colpisce, commuove, l'espressività di quest'opera scultorea evoca sentimenti di compassione in chi la osserva, ed è questo il valore più grande e prezioso che l'opera possiede. Il sito si rivela una vera inaspettata sorpresa ed indugiamo più di un attimo ad ammirarne le meravigliose fattezze. Ma non tutti in passato ne apprezzarono le caratteristiche: questo memoriale non presenta infatti i tratti canonici dei monumenti tradizionali di questo genere, infarciti generalmente di eroismo, coraggio, senso del sacrificio. Una retorica vicina alla propaganda ma spesso troppo lontana dalle persone.
Il Kriegerdenkmal è invece vicino alla gente, con il suo apporto nella condivisione del dolore e della disperazione. Anche la scelta di rappresentare una donna fu alquanto controcorrente, in vece del canonico soldato o milite dallo spirito indomito: l'obiettivo dell'artista si sposta qui sulla protagonista del dolore, chi sopravvive alla perdita, spesso una donna, superando la vittima. Questi concetti ovviamente spiazzarono la critica e non piacquero ad una parte della politica, soprattutto in alcuni periodi storici di particolare propaganda nazionalista come quello del Terzo Reich: la dialettica fondata su un forte aspetto militare e suprematista, costruita su ideali spesso vuoti ed in fin dei conti disumanizzati, non poteva accettare una manifestazione artistica così emotiva, umana e pietosa, tanto che gli stessi nazisti proposero lo smantellamento dell'intera opera e la sua sostituzione con un elemento più accettabile. Solo l'opposizione dell'amministrazione locale evitò lo scempio. Ma l'incrocio tra Liebich ed il nazismo non si ferma a questa vicenda: nel 1933 l'artista disegnò i certificati di cittadinanza onoraria concessi dalla cittadina di Gutach Schwarzwaldbahn ad Adolf Hitler in persona ed a Robert Heinrich Wagner, gauleiter della regione di Baden ed hitleriano della prima ora, come testimonia la sua partecipazione alla sommossa nazista di Monaco di Baviera del 1923 per la quale sarà arrestato e detenuto per 11 settimane, nonostante la pena originaria prevedesse 15 mesi di detenzione. L'epilogo dell'esistenza di Hitler è nota a tutti; Wagner invece, dopo la resa tedesca tentò di sfuggire agli Alleati fingendosi un contadino presso il villaggio di Tuttlingen, ma venne arrestato nel 1946, processato presso il tribunale di guerra di Strasburgo, riconosciuto colpevole di crimini contro l'umanità ed infine giustiziato per mezzo di fucilazione dai francesi. Le sue ultime parole sul patibolo furono: "Lunga vita alla grande Germania, lunga vita ad Adolf Hitler, lunga vita al nazinalsocialismo". La storia ben presto scongiurerà fortunatamente il suo becero augurio, epitaffio di un'epoca buia e crudele verso cui possiamo immaginare il Kriegerdenkmal fu immota resistenza, perenne celebrazione del più sincero e spontaneo sentimento umano. Pensare però che quest'opera costituisca un elemento singolo e sconnesso da tutto è un errore: rappresenta piuttosto la stella luminosa di una piccola galassia culturale. Curt Liebich visse infatti a Gutach Scwarzwaldbahn dal 1896 fino alla sua morte, avvenuta nel 1937. Qui fondò insieme al collega Wilhelm Hasemann una prolifica colonia di artisti riuniti in un'associazione libera e priva di vincoli stilistici o espressivi. Il risultato fu una produzione artistica significativa che apportò immenso valore culturale a questa località ed alle aree circostanti. Il gruppo arrivò a comprendere decine di artisti provenienti anche oltreconfine, in particolare dalla Svizzera e dalla Francia. Hasemann e Liebich erano i portavoce di questo vivace laboratorio culturale, ma la loro conoscenza ed i loro rapporti esulavano da questo contesto e detenevano radici più profonde: si conobbero sul finire del XIX secolo durante gli studi artistici presso la cittadina di Weimar, nella Germania centrale; successivamente Liebich sposerà la cognata di Hasemann e poco più tardi raggiungerà l'amico presso Gutach Schwarzwaldbahn dove Hasemann era giunto già nel 1880. La loro produzione artistica si incentrò sulla raffigurazione di paesaggi rurali e scene di vita tradizionali, cosa che donò alla Foresta Nera una propria personale arte figurativa oltre ad una progressiva notorietà, alla quale non fece ostacolo anche la creazione da parte di Liebich di soggetti destinati alla composizione di cartoline postali. Purtroppo Hasemann morirà molto prima di Liebich, già nel 1913, interrompendo questo felice sodalizio artistico.
In eredità di questo particolare periodo culturale, oggi a Gutach Schwarzwaldbahn sorge il Kunstmuseum Hasemann-Liebich, collocato in un basso edificio con struttura a graticcio, in precedenza servito come magazzino commerciale, posto sempre lungo la Kirchstrasse, a metà strada tra la Pfarrkirche St. Peter und Paul e la Evangelische Peterskirche. Questo museo d'arte contemporanea venne inaugurato nel 2005. Peccato non poterne visitare le sale, dal momento che al nostro passaggio la struttura appare chiusa: ci saremmo fermati volentieri ad ammirarne i dipinti. Ed invece proseguiamo oltre tornando sui nostri passi verso il Gasthof Adler. Ci lasciamo alle spalle questo spezzone di cittadina che seppur piccolo e silenzioso cela una forza nobile e valorosa: qui convivono pacificamente due professioni di fede religiosa ben distinte, e lo fanno da sempre, basti pensare che fino al 1960 la Evangelische Peterskirche ospitò al proprio interno sia le celebrazioni protestanti sia quelle della minoranza cattolica. Prima di risalire in automobile indugiamo pochi minuti presso un piccolo parco giochi situato di fronte al ristorante in cui abbiamo consumato il pasto. Il breve tempo concesso a questo luogo non ci evita di notare una panchina sulla quale è collocato il manichino di una donna in abiti tradizionali della Foresta Nera, sul capo un cappello dalle forme particolarissime e ben riconoscibili. Il Bollenhüt è una sorta di cappello di paglia a tesa larga contraddistinto da sfere di lana colorate poste sulla sua sommità: sono proprio questi piccoli globi di tessuto, chiamati bollen in tedesco, a donare il nome al copricapo stesso. La tradizione vuole che siano rigorosamente realizzate a mano avvolgendo un filo intorno ad un disco di cartone, che siano in numero di 14, che abbiano colore rosso se il cappello è indossato da una fanciulla nubile e nero se invece a portarlo è una donna sposata. Può essere indossato da tutti gli individui di genere femminile a partire dall'età di celebrazione del sacramento della Cresima, mentre le bambine e le donne anziane sono solite vestire solo la cuffia nera allacciata sotto il mento che si pone a sostegno del Bollenhüt. Insieme ad un abito composto da una gonna lunga ed ampia ed un corpetto decorato con maniche vaporose, costituisce un costume della tradizione locale, la cui origine risale al XIX secolo ed è strettamente circoscritta ai villaggi contigui di Kirnbach, Reichenbach e soprattutto Gutach Schwarzwaldbahn.
L'invenzione di questi copricapi dalla forma particolare ed inconfondibile fu però in realtà una mera trovata commerciale, come confermerebbe la sua nascita recentissima: si ritiene che vennero diffusi con lo scopo di creare lavoro per i villaggi di questa zona. Ma nonostante ciò, con il tempo il Bollenhüt acquisì un significato culturale di grande rilievo, risultante della progressiva fama che il costume acquistò non solo a livello regionale e nazionale ma anche continentale. A tale imprevedibile celebrità contribuì enormemente la pellicola cinematografica de 1950 "Schwarzwaldmadel" (in italiano "La Ragazza della Foresta Nera"), con protagonista Sonja Ziemann, che concesse al copricapo una grande visibilità: contributo di enorme portata se si pensa che questo viene considerato uno dei più grandi successi della cinematografia tedesca di tutti i tempi, oltre ad essere il primo film tedesco prodotto a colori. Oggi il Bollenhüt ha definitivamente perduto il proprio carattere locale divenendo un vero simbolo dell'intera Foresta Nera, nonostante forti tentativi, mai concretizzati, effettuati fino al 1982 dalle tre località d'origine di limitarne l'uso e la diffusione attraverso la registrazione di un brevetto a livello nazionale. Come tutti gli elementi iconici che fungono da ambasciatori di un luogo o di un popolo, anche l'uso del Bollenhüt probabilmente ha conosciuto nel corso degli anni spesso eccessi e travisazioni: persino la popolare drag queen tedesca Betty BBQ, originaria di Friburgo in Brisgovia, ha fatto di questo copricapo il tratto distintivo del proprio costume, non rinunciando quasi mai ad indossarlo in combinazione con i propri estrosi abiti. Non è comunque raro imbattersi in questi cappelli viaggiando per le strade intorno a Gutach Schwarzwaldbahn: lo si trova in manifesti posizionati ai bordi delle strade, nelle insegne delle varie attività commerciali e su manichini seduti su panchine come quello presso cui ci siamo fermati prima di riprendere il nostro viaggio. La nostra automobile ci conduce a poca distanza dal centro abitato, appena pochi istanti di tragitto. Superiamo i binari della Schwarzwaldbahn, dai cui il nome della vicina cittadina, la linea ferroviaria che collega le località di Offenburg e Singen attraversando la Foresta Nera: realizzata a partire dal 1865 sotto la direzione dei lavori di Robert Gerwig, completata nel suo tratto tra Triberg im Schwarzwald e Gutach Schwarzwaldbahn nel 1868, elettrificata poi tra il 1972 ed il 1977, è lunga complessivamente 150km. Oggi questa linea ferroviaria ha un'importanza scontata sia dal punto di vista commerciale sia da quello civile, ma all'epoca della sua costruzione consentì di raggiungere numerose località della Foresta Nera fino ad allora di difficile accesso e raggiungibili solo a cavallo o a piedi, dando così una decisiva spinta allo sviluppo industriale prima e turistico poi di questi territori. Abbandoniamo l'auto in un parcheggio situato a breve distanza dal passaggio dei binari ferroviari e percorriamo il brevissimo tratto a piedi che ci distanzia dallo Schwarzwälder Freilichtmuseum Vogtsbauernhof. Questa è in assoluto e senza ombra di dubbio la scoperta più sorprendente di tutto il nostro viaggio compiuto nella Foresta Nera. Si tratta di un museo a cielo aperto situato all'estremità settentrionale dell'abitato di Gutach Schwarzwaldbahn, ai bordi del passaggio del fiume omonimo. Il complesso è davvero grande, esteso su ben 5 ettari, ed allo stesso tempo ben congegnato ed organizzato in maniera efficiente, per nulla dispersivo, facile e gradevolissimo da visitare. Inaugurato nel 1964, espone numerosi esempi di costruzioni tradizionali tipiche della regione della Foresta Nera che coprono un arco temporale che va dal XVI secolo al XVIII secolo. A partorire l'idea di questa particolare area espositiva, unica davvero nel suo genere, fu Hermann Schilli, il fondatore del museo e suo primo direttore, carica che mantenne per quasi 20 anni a partire dalla data di apertura del sito: fu lui a proporre nel 1961 all'amministrazione del villaggio di Wolfach (situato 5km a nordest dell'area su cui si posiziona il museo) l'acquisto della prima struttura che andrà a comporre l'embrione del museo nascente. Il maso in questione era il Vogtsbauernhof, da cui poi il nome del sito espositivo, collocato proprio nel punto in cui successivamente si verrà a creare il museo: questo casolare, la cui costruzione è datata 1612, è l'unico elemento dello Schwarzwälder Freilichtmuseum Vogtsbauernhof a mantenere la propria ubicazione originaria. L'idea di Schilli era ben definita fin dalla partenza: lo scopo era creare un'esposizione di edifici storici tipici della regione traslando in questo museo costruzioni posizionate nei dintorni, attraverso un attento e fedele lavoro di smontaggio e rimontaggio, oltre che di restauro e conservazione.
Negli anni successivi infatti, in un periodo compreso tra il 1965 ed il 1981, anno della sua morte, Schilli riuscì a recuperare e collocare all'interno del museo altri quattro masi storici. A succedere al fondatore nella carica di direttore fu Dieter Kauss, la cui opera, prestata fino al 2002, fu altrettanto preziosa nell'allestire e perfezionare i percorsi di visita e nel realizzare le aree esplicative dedicate non solo alla storia architettonica degli edifici ma anche alle tecniche agricole, ai metodi di allevamento del bestiame ed all'artigianato storico, oltre ad arricchire il patrimonio del museo di altri due masi. Il risultato giunto a noi oggi è un sito di indiscutibile valore culturale, nel quale il visitatore può letteralmente immergersi interagendo direttamente con gli elementi esposti in un modo diretto e personale che costituisce una vera e rara opportunità. Personalmente, percorrere ed attraversare gli spazi dello Schwarzwälder Freilichtmuseum Vogtsbauernhof per me è come trovarsi protagonista nelle vignette di un fumetto d'avventura, ambientato in tempi antichi e ricco di magia e mistero. E' impossibile che questo luogo non riesca a stimolare la curiosità e la fantasia di chi lo incontra, soprattutto i bambini.
Decidiamo di visitare questo sito senza troppe aspettative, rimarremo strabiliati dal suo contenuto. Per accedere al museo attraversiamo un grande parcheggio, valichiamo il fiume Gutach sul dorso di un piccolo ponte, oltrepassiamo una raccolta area composta da negozi di souvenir e tavole calde, percorriamo un breve sottopassaggio ed eccoci all'ingresso. La biglietteria si trova in un bell'edificio basso, in stile moderno, realizzato tra il 2005 ed il 2006. L'accesso non è economico, costa 12€, ma credetemi se vi dico che ne vale la pena. Superiamo le sale della biglietteria, accanto alle quali si apre anche un piccolo negozio di oggetti a tema, usciamo nuovamente all'aperto ed inizia la nostra visita. Oggi il museo custodisce una ventina di struttura esposte. Di fronte alla biglietteria un padiglione coperto riporta una grande mappa del sito ed offre riparo dal Sole con alcune panchine. Per fortuna la stagione estiva non è ancora iniziata e l'affluenza non appare esagerata, non c'è folla ed è perciò possibile visitare con tutta calma i vari edifici. Il primo che incontriamo è la Hotzenwaldhaus, datata 1756 e proveniente dall'area meridionale della Foresta Nera rivolta verso il confine franco-svizzero-tedesco: il suo tetto di paglia cala verso il suolo coprendo quasi interamente la struttura, rintanata sotto di esso come riparata da un voluminoso cappello. Sul fronte, una rampa introduce in una sorta di ampio sottotetto dove sono esposti alcuni oggetti d'epoca.
Davanti alla Hotzenwaldhaus, percorso un breve vialetto, si incontra il Falkenhof, di dimensioni decisamente più imponenti: proveniente da Buchenbach, nell'area circostante a Friburgo in Brisgovia, risale al 1737. Al suo interno ci si può quasi perdere visitando sia il piano terra, destinato in parte al bestiame, sia quello superiore. Nello spazio antistante l'edificio, alcune panche configurano una piccola area ristoro, e poco più in là un recinto con alcune mucche ed uno con dei cavalli.
Procedendo oltre si incrociano la sagome del Schauinslandhaus, datata 1730, e dell'Hippenseppenhof, tra le prime struttura traslate qui da Schilli, datato 1599 e proveniente dall'area di Furtwangen, la cui facciata è contraddistinta da un grande Crocifisso antico. Impressionante l'ampiezza delle stalle situate al piano terra. Ad esso sono allegati un piccolo granaio del 1590 ed una cappella votiva del 1736.
Un viale di collegamento, costeggiato da alcune aiuole coltivate, conduce da questa struttura al nucleo centrale del museo: il Vogtsbauernhof sorge al centro dello spazio espositivo, imponente e regale. Esempio tipico di antica abitazione della Gutachtal, colpisce il suo tetto di paglia ed è veramente sorprendente pensare che questo edificio sorge e rimane testardamente nel suo punto di appoggio da ben 410 anni. Al suo interno sono esposti alcuni costumi della tradizione locale; al piano più alto, un solaio coperto dal tetto di paglia offre un ampissimo sguardo su un grandissimo fienile e su alcune vetture d'epoca, carrozze, calessi, mezzi agricoli: viene quasi voglia di tuffarsi nel fieno stipato se non fosse per i cartelli che ne segnalano chiaramente il divieto. Di fronte all'edificio, un granaio più grande del precedente e datato 1606. A lato del Vogtsbauernhof fa una certa impressione osservare le più piccole strutture di un antica distilleria (1870), di un mulino (1609) e soprattutto di una segheria (1673) con la propria enorme sega a lama battente che sembra essersi fermata pochi istanti prima di essere arrivati ad ammirarla.
A breve distanza si procede arrivando al Lorenenzhof, altro elemento di spicco dell'esposizione, proveniente dalla vicina località di Oberwolfach e datato 1608. Davanti ad esso un prototipo antico di frigorifero: una struttura con uno stretto bacino in pietra in cui scorreva dell'acqua, e sopra di esso, ad un'estremità, un vano sempre in pietra con delle ante in legno, al cui interno alcuni ripiani erano destinati ad ospitare gli alimenti da conservare, chiusi al buio ed al fresco trasportato dall'acqua corrente.
Di fronte al Lorenzenhof, la struttura di un antico forno ed un carretto di legno, una specie di roulotte in miniatura, probabilmente utilizzato dagli allevatori per spostarsi a far pascolare il bestiame. Si procede ormai verso l'estremità del museo. Sulla sinistra un sito risulta ancora in allestimento e pertanto ancora inaccessibile: l'inaugurazione è prevista per l'estate del 2023.
Infine, in fondo, a concludere la visita, costeggiato un piccolo specchio lacustre, si giunge all'Effringer Schlössle. E' questa l'ultima costruzione ad essere stata portata nel museo, frutto di lavori di ampliamento condotti a partire dal 2002 ad aggiungere circa due ettari alla superficie precedente. Si tratta di un edificio originario di Wildberg, piccolo villaggio nell'area di Stoccarda, e costruito intorno al 1379, circostanza che lo rende l'elemento più antico dell'intera esposizione. Nonostante la sua consistente età, questo edificio in arenaria rossa venne in epoca recente adibito prima a residenza signorile e dopo, a partire dal XIX secolo, ad abitazione privata occupata fino al 1972. Proprio i precedenti abitanti della struttura collaborarono alla ricostruzione dell'Effringer Schlössle presso il museo fornendo una preziosa consulenza ed un'utile raccolta di documenti fotografici. Gli interni sembrano usciti da una rivista di arredamento degli anni '60 del XX secolo, nonostante un inevitabile usura dovuta all'effetto del tempo. La nostra visita non si conclude prima di aver concesso un po' di tempo a Lidia ed Amelia presso il gradevole parco giochi situato accanto alla Hotzenwaldhaus. Accanto al parco, un piccolo baracchino vende bibite fresche, ma non riusciamo a goderne in quanto scocca l'ora di chiusura e dobbiamo abbandonare il museo. Visitare lo Schwarzwälder Freilichtmuseum Vogtsbauernhof è stata davvero una bellissima avventura. Ci regaliamo un aperitivo presso il Museumsrestaurant Hogengel, situato accanto all'edificio della biglietteria: ovviamente ordiniamo un'ultima fetta di Schwarzwälder Kirschtorte insieme ad un paio di birre fresche.
E' la fine anche di questo bellissimo viaggio. Abbiamo apprezzato tantissimi bellissimi luoghi e tante curiose attrazioni. La Foresta Nera fa vivere una favola a chi la visita, alla fine i Grimm non erano dovuti allontanarsi troppo dalla realtà per rendere questi luoghi uno scenario da fiaba. Una visita goduta lontano dalle resse di turisti, a ritmi sostenibili. Viaggiare con i bambini cambia il concetto di viaggio: luoghi più piccoli, spesso più autentici, tempi più larghi e a misura di pensiero. La mente è arricchita da questa nuova esperienza, ma ciò che rimane nell'animo sono soprattutto i momenti trascorsi tutti insieme, momenti felici e spensierati. E per questo, quello che più ricorderò del viaggio in Foresta Nera sarà una folle corsa a bordo di piccoli slittini su rotaie insieme ad Amelia. Una discesa in picchiata lunga 1.190m sul percorso della Sommerrodelbahn Gutach, con le risate di una bambina nelle orecchie, il vento sul viso e la gioia consapevole di vivere un momento che durerà un'eternità.
La via del ritorno verso casa ci conduce su un itinerario diverso rispetto all'andata. Oltrepassato il confine svizzero-tedesco, una breve deviazione ci conduce a visitare le Schaffhausen Rheinfall, le Cascate di Sciaffusa. Si tratta del complesso di cascate più grande d'Europa: detengono un'altezza di 23m, un'ampiezza di 150m, una profondità di bacino di 13m nel punto d'impatto ed una portata media d'acqua pari a 600m³/s. A generare le cascate è il corso del fiume Reno, mentre il rilievo roccioso sul quale si adagiano ha avuto origine circa 15.000 anni fa' per effetto dell'erosione e del deposito di sedimenti causati dalla ritirata di un ghiacciaio. Il luogo appare già affollato fin dal parcheggio, ingombro di automobili. Percorriamo il breve tragitto a piedi che conduce lungo una riva del fiume fin davanti alle cascate. La vista è gradevole e decidiamo di consumare qui il nostro pranzo a base di Bratwurst. L'intenso sfruttamento turistico del luogo non gli rende pienamente giustizia: lungo il viale numerose tavole calde e ristoranti non sembrano offrire una qualità granchè alta, ad intervalli regolari alcune piccole chiatte partono dalla riva per condurre i visitatori sotto ed a ridosso delle cascate, la folla è davvero grande. Nulla di più lontano dagli ambienti che abbiamo frequentato nella Foresta Nera. Ma la curiosità va sempre assecondata, soprattutto se si viaggia con bambini...e come bambini.